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Dal Concetto Strategico italiano ai compiti della Marina Militare: teoria e pratica di un impegno rinnovato

3.2 “Prospettive ed Orientamenti” (1973)

3.2.2. Dal Concetto Strategico italiano ai compiti della Marina Militare: teoria e pratica di un impegno rinnovato

Giampaolo di Paola, Capo di Stato Maggiore della Difesa, ha definito il «concetto strategico» come «il quadro di riferimento concettuale per la pianificazione, la predisposizione e l’impiego delle Forze Armate, quale concreta attuazione tecnico-

http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/DF/276423.pdf, ultimo accesso in

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08.06.2019 Ibidem

militare delle linee guida politico-militari contenute nelle Direttive Ministeriali ». In 278

“Prospettive e Orientamenti” esso ha il duplice obiettivo di

- assicurare l’assolvimento dei compiti che sono stati assegnati all’Italia nell’ambito della difesa integrata dell’Alleanza Atlantica, mediante l’inserimento delle Forze Armate nel contesto generale del dispositivo difensivo della NATO

- porre, al contempo lo strumento difensivo nazionale in condizioni di intervenire autonomamente, per fronteggiare particolari emergenze per le quali non si possa fare sicuro affidamento sul concorso diretto dei paesi alleati .279

La ristrutturazione delle Forze Armate era perciò volta a riaffermare il ruolo italiano nell’Alleanza Atlantica, ponendo anche le basi per un’azione autonoma in grado di salvaguardare gli interessi nazionali nel Mediterraneo. La possibile complementarietà tra i due obiettivi non veniva prevista nel testo: la salvaguardia degli interessi nazionali avrebbe potuto essere funzionale ad ruolo più centrale nel dispositivo NATO? O, viceversa, un adeguamento dello strumento militare oltre gli standard minimi richiesti dalla NATO avrebbe potuto assicurare una maggiore libertà d’azione nella regione?

Dall'ambito teorico del “concetto strategico" ad quello pratico degli effettivi compiti che la Marina era chiamata a svolgere nella sua azione quotidiana, il documento li distingueva in due macro-gruppi: compiti in tempo di guerra e compiti in tempo di pace. In caso di conflitto, sia “nazionale” che “atlantico”, la responsabilità primaria della Marina era la protezione delle linee di traffico nazionali: l’Italia infatti «riceve[va] attraverso il Mediterraneo il 95% dei beni di cui abbisogna [va] ed esporta[va] via mare il 65% dei profitti che invia[va] all’estero» . 280

Approssimativamente la metà del totale dei beni era composta da combustibile, elemento cruciale dato che al momento della pubblicazione del testo l’Italia era travolta dalla crisi energetica scaturita dalla Guerra del Kippur. Gli altri compiti in tempo di guerra erano la difesa degli oltre 8000km di coste nazionali e, in caso di conflitto NATO, la difesa delle portaerei alleate della VI Flotta e il supporto logistico alle linee di rifornimento dell’Alleanza Atlantica.

Il testo proponeva una visione più innovativa quando si addentra nell’esplicazione dei compiti della Marina in tempo di pace. L’aspetto economico

Giampaolo Di Paola, Il Concetto Strategico del Capo di Stato Maggiore della Difesa,

278

Ministero della Difesa, Roma, 2005.

(https://www.difesa.it/SMD_/CaSMD/ConcettoStrategico/PublishingImages/ 87587_Documento%20completo%20(File%20Pdf%202,48%20Mb)pdf.pdf, ultimo accesso in 08.06.2019)

Stato Maggiore della Marina, Prospettive e Orientamenti cit., p. 18

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Ivi, p. 19

rimaneva centrale, solo che veniva declinato in un’ottica più propositiva che di mera difesa - come in caso di conflitto armato. Il Mediterraneo infatti veniva indicato come uno spazio geo-strategico aperto allo sfruttamento da parte di tutti i paesi rivieraschi, e di conseguenza a forme di pressione economica, politica ed ideologica che avrebbero potuto compromettere gli interessi nazionali. La motivazione principale di questa nuova conflittualità stava nella natura stessa degli spazi di influenza marittimi: in un periodo in cui a distensione irrigidiva confini terrestri, sanciva status quo considerati immutabili e delimitava sfere di influenza reciproche, la natura fluida dello spazio marittimo diventava la migliore garanzia di margini di sicurezza più ampi, in grado di evitare escalation distruttive e perpetuare la competizione globale mai realmente abbandonata. La volontà di non estendere i meccanismi della distensione al Mediterraneo da parte delle superpotenze nasceva quindi dalla volontà di far slittare il confronto tra i blocchi da un ambito ormai sterile come il continente europeo ad uno più fertile come il Mediterraneo, in cui la partita per l’egemonia era ancora aperta.

L’instabilità endemica della regione era perciò fonte costante di conflittualità potenziale, e dal momento che essa minacciava direttamente gli interessi nazionali dell’Italia, che passavano per la stragrande maggioranza nel bacino, compito primario in tempo di pace della Marina era proteggere i vettori attraverso cui l’economia italiana prosperava. La possibilità tattica che il documento introduceva era estremamente innovativa nel pensiero strategico post-bellico: lo strumento navale italiano doveva essere in grado «di svolgere azioni preventive e dissuasive con un più marcato impegno di presenza nelle nostre aree di interesse ». Gli 281

aggettivi «dissuasivo» e - sopratutto - «preventivo» sono originali sotto diversi punti di vista: il loro utilizzo implicava che l’Italia potesse impegnarsi in azioni militari anche in tempo di pace, a sostegno degli interessi nazionali. Per la prima volta dal 1945, pertanto, il dispositivo militare veniva equiparato ai tradizionali mezzi della diplomazia come strumento idoneo a perseguire obiettivi di politica estera. Rispetto alla classica impostazione adottata in seguito alla Seconda Guerra Mondiale - anche dagli esponenti più audaci dello scenario politico domestico, quali Fanfani, Gronchi o Mattei - di un ricorso costante alla diplomazia multilaterale, al sostegno allo sviluppo e ai trattati commerciali, questo breve inciso segna, a mio avviso, il primo passo verso la ricerca di un’autonomia irrobustita anche dall’attività militare.

Il documento individuava un livello minimo - il cui parametro è dato dal tonnellaggio complessivo delle unità di Marina operanti - sufficiente a garantire l’assolvimento dei compiti precedentemente descritti. Questo livello era fissato a 160.000 tonnellate, la cui entità doveva essere diversificata in una serie di mezzi aeronavali alla cui elencazione è dedicato il quarto paragrafo. In particolare, il documento si soffermava sull’adeguamento dei mezzi tattici in grado di metter in atto operazioni anfibie, nonché sul fabbisogno di elicotteri più moderni e di

Ivi, p. 20

«incrociatori tutto ponte » atti al loro trasporto . Entrambe le unità - mezzi anfibi e 282 283

portaelicotteri - erano funzionali all’attuazione di una strategia di sea control e di proiezione a lungo raggio del dispositivo militare marittimo. Si trattava perciò della richiesta di mezzi adeguati a missioni di ampio raggio, proprio per svolgere adeguatamente quei compiti fissati in precedenza: la protezione delle linee di traffico nazionale e la capacità di intervento preventivo/dissuasivo.

Alla fine del 1973, rispetto ad un’esigenza minima posta a 160.000 tonnellate, il tonnellaggio complessivo dei mezzi operanti risultava essere di 105.000 . Oltre 284

ad un’insufficienza di tipo quantitativo, l’articolo elencava una serie di carenze qualitative del dispositivo militare: un generale invecchiamento della maggior parte dei mezzi a disposizione, che toccava punte del 70% per quelli minori; l’assenza di mezzi con capacità offensiva anti-nave; l’insufficienza di unità veloci e di sommergibile; obsolescenza delle forze di dragaggio; la generale indisponibilità dimezzi per il supporto logistico; assenza di mezzi moderni per il trasporto anfibio; la componente aerei ad ala fissa ed elicotteristica risulta ancora incompleta . Il 285

problema più urgente rilevato era l’assottigliamento della linea operativa: alla dismissione delle unità ormai giunte alla fine della loro carriera non corrispondeva l’entrata in servizio di altre unità di corrispettivo tonnellaggio. Nel quadriennio 1970-1973, a fronte della radiazione di 30.000 tonnellate di naviglio, entrarono in servizio soltanto 8.000, determinando una riduzione quantificabile al 25% della consistenza totale della marina militare. La motivazione principale era individuata nell’inadeguatezza dei mezzi finanziari a disposizione della Marina: anche solo per mantenere il livello - allora - attuale di tonnellaggio (ben al di sotto della soglia minima di 160.000 tonnellate indicata in precedenza) sarebbe stato necessario comunque uno stanziamento di 100 miliardi l’anno, a fronte di un budget effettivo che oscillava tra i 50 e i 60 miliardi: ne risultava che solo il 50% delle dimissioni potesse essere compensato. Contando inoltre le successive dimissioni inevitabili per mezzi che avevano superato la soglia di invecchiamento massima, si sarebbe reso necessario impostare un programma di nuove costruzioni per circa 85.000 tonnellate su un arco di dieci anni, a meno di vedere ridotta la linea operativa a 45.000 tonnellate entro il 1984: una riduzione a circa un terzo delle forze a disposizione nel 1973, la cui inadeguatezza per i compiti da adottare nel Mediterraneo del processo distensivo era già stata messa decisamente in chiaro.

Una volta stabilita la disponibilità finanziaria per la Marina, il documento traeva la conclusione che, a meno di interventi correttivi, l’entità globale delle forze

Una versione ridotta di portaerei. La Marina italiana si doterà di questo tipo di naviglio nel

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1983, con il varo dell’incrociatore portaeromobili Giuseppe Garibaldi C551. Ivi, p. 23 283 Ivi, p. 24 284 Ivi, p. 25 285

operanti di Marina entro il 1980 sarebbe stata ridotta a 45.000 tonnellate. La problematica principale stava negli inesistenti margini di manovra concessi dalla quantità di fondi previsti dal bilancio statale, che non potevano fare fronte contemporaneamente alle esigenze di rinnovamento della linea operativa e al mantenimento del personale. Inoltre, veniva posto l’accento sul carattere emergenziale dello stato della Marina, che imponeva soluzioni a breve termine a meno di minare profondamente le basi della sicurezza nazionale.

I mutamenti strategici introdotti dalla distensione avevano reso lo spazio marittimo la nuova area preferenziale di competizione tra le nazioni rivierasche e sopratutto tra le superpotenze. L’adeguamento delle forze navali era perciò un fattore indispensabile di equilibrio e di sicurezza, tanto più per l’Italia, paese profondamente incuneato nel bacino mediterraneo, da cui in larghissima parte dipendeva la sua sopravvivenza economica.