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3.4 “Indirizzi di Politica Militare” Lelio Lagorio (1980)

3.4.1. L’Italia, l’Alleanza Atlantica e le nuove sfide alla sicurezza

«Un punto fermo della nostra politica militare è l’Alleanza Atlantica [ma] La NATO è un’alleanza militare difensiva e geograficamente delimitata» . La 341

collocazione internazionale non è mai stata messa in discussione dall’Italia repubblicana, neppure nei momenti di maggior tensione con l’alleato americano. Ciò che invece è stato oggetto di diverse interpretazioni, nell’arco dei diversi governi che si sono avvicendati, è stato il modo in cui concepire e declinare in termini pratici l’appartenenza della nazione al blocco occidentale. Se nella stagione del neo- atlantismo il rapporto con gli Stati Uniti era considerato come il volano per una presenza più assertiva nel Mediterraneo, durante i governi del centro-sinistra organico degli anni Sessanta si era imposta un’interpretazione dell’Alleanza Atlantica in termini strettamente difensivi . Questa posizione poteva acquisire una sua 342

validità nel contesto della distensione tra i blocchi caratteristico della seconda metà degli anni Sessanta, e agli inizi degli anni Ottanta veniva in un certo senso rafforzata dal generale stato di crisi in cui si trovava l’Alleanza Atlantica nel suo Fianco Sud, di cui l’Italia rappresentava uno dei tre centri nevralgici . 343

Abbiamo visto come uno dei fattori principali della crisi del Fianco Sud fosse stato l’emergere di “rischi”, per i paesi membri, al di fuori della cornice dello scontro bipolare. Rispetto a questa novità dello scenario regionale, Lagorio abbracciava una concezione «geograficamente limitata» delle funzioni della NATO e sosteneva di conseguenza che la presenza dei “nuovi” rischi «non [poteva] significare che gli automatismi militari e i vincoli di solidarietà politica […] [venissero] estesi a regioni esterne a quelle di competenza del Patto» . Il ministro si rendeva conto che le 344

problematiche di sicurezza nazionale avevano una natura diversa rispetto al passato:

L. Lagorio, Indirizzi di politica militare cit., p. 9

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E. Di Nolfo, Dieci anni di politica estera cit., pp. 111-112

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Insieme a Grecia e Turchia.

343

L. Lagorio, Indirizzi di politica militare cit., p. 9

Non siamo più al tempo dell’ipotesi della “minaccia frontale” in Europa; ora si profila una nuova ipotesi di “minaccia” da accerchiamento .345

Il testo proseguiva con una disamina della NATO nella sua interezza, che in larga parte citava il Libro Bianco del 1977. Per quanto concerne l’Italia, era in funzione dell’equilibrio strategico tra i blocchi che era stato accettato il dispiegamento degli “Euromissili”, pur evidenziando l’importanza delle forze convenzionali, per la loro funzione di «abbassamento della soglia nucleare». La “narrazione” pacifista aveva ancora un peso rilevante nelle riflessioni del ministro: le direttrici che guidavano la politica militare nazionale erano infatti le «quattro grandi “D”: Deterrenza e Difesa, Disarmo e Distensione» . Come anche Cossiga avrebbe affermato nel dicembre 346

1980, l’eventualità dello schieramento degli missili Pershing e Cruise programmato per il 1984 aveva lo scopo di spingere l’Unione Sovietica a riequilibrare lo status di parità strategica rispetto alla NATO in Europa, rinunciando al proprio programma di costruzione dei sistemi d’arma SS-20 e dei bombardieri Backfire. Con una logica che a posteriori appare piuttosto paradossale, il governo perseguiva la strada della «complementarietà tra iniziative per l’armamento e il disarmo» . 347

Passando dal quadro generale dell’Alleanza Atlantica, il testo si addentrava nell’analisi specifica del suo Fianco Sud. Il suo isolamento rispetto al resto dell’Alleanza era «esaltato dalla mancanza di una contiguità geografica tra i tre paesi interessati» , il che comportava - come affermato in “Prospettive e Orientamenti” 348

nel 1973 e nel “Libro Bianco” del 1977 - che ognuno di essi «[doveva] rendersi, per la difesa diretta, credibilmente autosufficiente» . 349

Le premesse della politica militare che Lagorio intendeva portare avanti erano dunque due: la prima era la presenza di “rischi” la cui origine esulava dalle “regole 350

d’ingaggio” geografiche o politiche dell’Alleanza Atlantica; la seconda era che l’Italia, per via della particolare conformazione del sistema difensivo in cui era inserita, necessitava di forze armate quanto più possibile auto-sufficienti e funzionanti. Queste esigenze di natura esterna implicavano necessariamente una serie di

Ivi, p. 90 345 Ivi, p. 13 346 Ibidem 347 Ivi, p. 12 348 Ibidem 349

Si utilizza, al fine di ottenere maggiore chiarezza, il termine “rischi” per distinguerlo da

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“minaccia”, seguendo l’impostazione di Alessandro Colombo (vedi A. Colombo, La percezione italiana dei «rischi da Sud» tra l’ultima fase della Guerra Fredda e il mondo post- bipolare cit.). Nel documento, viene utilizzato il termine “minaccia” indipendentemente dal fatto che si tratti della “minaccia sovietica” o di fattori di rischio di altra origine (quali il terrorismo, l’embargo energetico o la pirateria).

considerazioni più generali sulla responsabilità italiane nel Mediterraneo e altre più specifiche sulle reali possibilità del paese di assolverle.

Nel testo, rispetto ai “rischi” non derivanti direttamente dal confronto bipolare, si affermava che «non si risponde con il fragore delle armi; si deve cercare di rispondere innanzi tutto con le iniziative politiche, volte ad aiutare innanzi tutto i Paesi del Sud che operano per il mantenimento della stabilità» . Questa 351

impostazione era in linea con la matrice irenista della proiezione mediterranea italiana del decennio Settanta. D’altro canto, le mutate condizioni del contesto regionale avrebbero comportato un’evoluzione dell’approccio del Ministro della Difesa.

A titolo di esempio, si rende opportuno riportare un avvenimento minore che interessò l’Italia nel periodo, ma strettamente correlato con la mutata percezione dei rischi per la sicurezza nazionale. Il 18 luglio 1980 vennero ritrovati i resti di un aereo militare straniero abbattuto al suolo nei pressi di Catanzaro. In seguito alle analisi del personale dell’Areonautica Militare, l’apparecchio risultò essere un caccia libico MIG-23 di fabbricazione sovietica, precipitato per cause ancora ignote. L’accaduto ebbe assoluta rilevanza perché l’aeroplano non era stato rilevato dal sistema di difesa aerea nazionale, nonostante al momento dell’incidente esso fosse efficiente ed in normale stato di allerta. Il 31 luglio il ministro Lagorio venne convocato dalla VII Commissione della Camera dei Deputati per riferire sull’accaduto . Con l’obiettivo 352

di giustificare ai membri della commissione la manifesta vulnerabilità del sistema di controllo radar dello Stato, Lagorio invitava a riferissi al passato, «quando la cosiddetta “presumibile minaccia aerea” si presentava da direzioni prevalentemente orientali ed alle medie ed alte quote. La rete radar di avvistamento fu quindi realizzata per far fronte a quella presunta “minaccia”». Il sistema difensivo italiano era tarato su esigenze di difesa correlate allo scontro con il blocco sovietico, ma poiché «nel tempo vi è stata una continua evoluzione dei modi di presentazione della “minaccia” […] le possibilità di penetrazione hanno sempre più interessato i 353

settori di provenienza della “minaccia” che in precedenza ne erano immuni». All’adeguamento delle tattiche aeree alla capacità di rilevazione radar si aggiungeva «la progressiva evoluzione del quadro geostrategico, con particolare riferimento ai mutamenti di situazione intervenuti nel Mediterraneo»: ne risultava che «le odierne capacità di penetrazione della “minaccia aerea” sul nostro territorio [erano] pressoché omnidirezionali».

L. Lagorio, Indirizzi di politica militare cit., p. 90

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http://legislature.camera.it/_dati/leg08/lavori/Bollet/19800731_00_10.pdf, ultimo accesso

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08.06.2019

«Per eludere l’avvistamento, i velivoli incursori hanno incominciato ad adottare tattiche di

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penetrazione a bassa quota e ad impiegare apparati di contromisure elettroniche.», in Ivi, p. 44

Ancora otto mesi dopo, il 14 aprile 1981, intervenendo in Commissione , il 354

ministro esprimeva la necessità di definire un «nuovo modello di difesa» per l’Italia, in grado di rispondere con efficacia alle sfide poste dai mutamenti del quadro politico e strategico regionale. Pur rimanendo ancorato al concetto della “risposta flessibile” della NATO, il modello di difesa «[doveva] essere rivisto, aggiornato e possibilmente migliorato in considerazione del fatto che […] in termini di minaccia vi sono delle sostanziali novità». A livello regionale, inoltre, «la situazione mediterranea continua[va] ad essere caratterizzata da uno stato di precario equilibrio dipendente da motivi conflittuali propri e da influenze destabilizzanti esterne». L’instabilità del bacino implicava la necessità di «adeguare lo strumento operativo in modo da scongiurare i rischi di confronti minori, che non si colloca[va]no nel contesto degli impegni dell’Alleanza». Non essendo ritenuta credibile l’ipotesi di un attacco sovietico diretto contro il Fianco Sud della NATO , la priorità per l’Italia diventava la 355

“prevenzione” di attacchi ostili provenienti da altri attori del settore regionale, attraverso un’effettiva capacità di “dissuasione”. Ecco perché, tra le funzioni che il “nuovo” modello di difesa doveva essere in grado di assolvere, il ministro riportava «l’agevolare il riconoscimento di un ruolo attivo dell’Italia da parte degli altri Paesi mediterranei». L’alternativa era l’eventualità di «scontri estranei alla logica di un conflitto generale […] tanto più inattesi quanto più insufficiente od inadeguata risulta[sse] percepita all’esterno la capacità di reazione nazionale».

Ma, realisticamente, quanto il dispositivo militare nazionale era preparato di fronte ai “rischi” che si profilavano? La relazione di Lagorio dedicava un capitolo allo stato delle Forze Armate, descrivendone «compiti, consistenza, schieramento, efficienza e problemi operativi» . Sui compiti non si discostava dal Libro Bianco del 356

1977, da cui riprendeva integralmente sia quelli in tempo di pace che quelli in caso di conflitto: per l’Esercito «assicurare la vigilanza delle frontiere terrestri»; per la Marina, «salvaguardare con una costante presenza e sorveglianza i molteplici interessi nazionali sul mare»; per l’Aeronautica, «esercitare la necessaria attività di controllo e intervento nello spazio aereo di responsabilità» . 357

Per quanto riguardava le problematiche strutturali, nonostante «la Difesa [fosse] la migliore amministrazione della nostra organizzazione governativa» , la 358

consistenza di ciascuna Forza Armata risultava comunque «inferiore agli standard

http://legislature.camera.it/_dati/leg08/lavori/Bollet/19810414_00_03.pdf, ultimo accesso

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08.06.2019

S. Silvestri, M. Cremasco, Il Fianco Sud cit.

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L. Lagorio, Indirizzi di politica militare cit., pp. 21-38

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Ivi, p. 21

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Ivi, p. 80. La fonte di questa affermazione - citata da Lagorio - è il dossier emanato nel

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fissati qualche anno fa dal Parlamento e a quelli indicati dalla NATO» , 359 360

determinando «un’efficenza complessiva al limite dell’accettabilità» . Le cause di 361

questa ben poco rosea condizione delle FF. AA. era dovuta principalmente alla carenza di risorse finanziarie: al tema del finanziamento della Difesa era dedicato un intero capitolo. In quest’ottica, la relazione del ministro si rifaceva all’impostazione del Libro Bianco di tre anni prima come «libro contabile», in cui l’aspetto economico aveva assoluta rilevanza nelle deficienze del dispositivo militare. L’allocazione delle risorse disponibili era il cuore del problema: nonostante l’Italia «[spendesse] molto per la Difesa, tuttavia spende[va] meno di qualsiasi altro Paese dell’Ovest e dell’Est e non [riusciva] ancora a dotarsi di uno strumento militare-difensivo adeguato» . 362

Soltanto poco più di un terzo dell’intero bilancio della Difesa poteva infatti essere destinato alle «spese discrezionali, che afferivano alle scelte tecnico-operative e quindi intimamente collegabili alla possibilità di mantenere in vita lo strumento militare» . In questo contesto ben poco esaltante si aggiungeva la richiesta, da 363

parte del Comando Alleato della NATO, di un aumento del 3% su base annua che i governi dei paesi membri avrebbero dovuto destinare alla spesa per la Difesa. L’Italia aveva dato il proprio consenso nel 1977, quando - secondo le parole dell’allora Ministro per la Difesa Attilio Ruffini - la direttiva poteva essere considerata assolta dall’impegno finanziario intrapreso attraverso le tre “leggi promozionali”. Nel 1980, al netto di un tasso di inflazione del 16,5%, l’incremento previsto dalla direttiva ministeriale NATO implicava un ammontare globale di 410 miliardi di lire in più rispetto alla spesa del 1979 : il 12% della spesa complessiva prevista dalle tre 364

leggi promozionali, che erano state emesse con un dichiarato carattere di eccezionalità. Se ne deduce che lo sforzo finanziario messo in campo dallo Stato, eroso dalla vertiginosa perdita di potere d’acquisto, aveva bisogno di altri interventi correttivi.

Passando alla questione della consistenza, dello schieramento e dei problemi operativi delle tre Forze - in linea con l’approccio analitico utilizzato nei capitoli precedenti - si riteneva necessario focalizzare l’attenzione sulla Marina Militare, data la sua “rilevanza” dipendente dalla conformazione geografica dello Stato e delle peculiari esigenze economiche nazionali, in larga parte dipendenti dal libero uso delle vie di traffico marittime. Al 1980, la consistenza della componente operativa

Il ministro si riferisce agli standard fissati dalle leggi promozionali del 1975 (Marina) e

359 1976 (Esercito e Aviazione). Ivi, p. 23 360 Ivi, p. 25 361 Ivi, p. 64 362 Ivi, p. 65 363 Ivi, p. 66 364

risultava essere 90.000 tonnellate. Rispetto alle previsioni del 1973 si può affermare che la Legge Navale del 1975 era riuscita almeno nell’intento di arrestare il grave processo di decadimento della flotta militare italiana. Ma il risultato era comunque seriamente insufficiente, dato che «tale cifra [era] sensibilmente inferiore al tonnellaggio disponibile nel 1975, e inferiore anche al livello previsto dal Parlamento nella Sua Legge di ristrutturazione (105.000 tonnellate)» . La causa principale della 365

parziale inefficacia della legge di ristrutturazione era da imputare - come nel caso delle altre due Forze - alla carenza di risorse finanziarie, aggravata dalla perdita di potere d’acquisto dovuta all’inflazione. Con un età media del naviglio pari a diciannove anni (rispetto ad una durata massima di valido impiego operativo pari a venti), la necessità di messa in servizio di nuove unità non era più procrastinabile. Nella sua relativa brevità, il testo non forniva un programma dettagliato di completamento della Legge Navale - che invece era presente nel Libro Bianco del 1977 - ma si limitava a fissare l’obiettivo di «raggiungere nel 1984 la disponibilità di 105.000 tonnellate di naviglio, il 50% delle quali costituito da nuove unità» .366