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3.3 “Libro Bianco della Difesa” (1977)

3.3.3. La politica di sicurezza, tra solidarietà atlantica e scelta europea

La scelta atlantica dell’Italia, intesa come la volontaria adesione al blocco occidentale fin dalla sua fondazione nel 1949, corrispondeva ad «un’esigenza di sicurezza originaria nel quadro delle enunciate concezioni e prescrizioni difensive della Costituzione stessa» . Data l’affermata coincidenza tra dettami costituzionali 316

e imperativi atlantici, la scelta “occidentale” acquistava così caratteri di irreversibilità che escludevano qualsiasi opzione alternativa . Essa comunque «non 317

pregiudica[va] il perseguimento di altri non incompatibili obiettivi della politica militare italiana» . Il testo non si spingeva ad indagare quanto strette fossero le 318

maglie della compatibilità tra politiche autonome e dettami di appartenenza di blocco, anche se, come è stato rilevato, i margini di manovra concessi dal leader di blocco nel periodo non furono mai così stretti durante l’intero arco della Guerra Fredda.

La scelta europea veniva presentata come integrativa di quella atlantica, in tutti i campi d’azione, compreso quello militare. Lo scopo principale dell’Italia diventava dunque favorire con ogni mezzo una già profonda integrazione dei dispositivi militari dell’Europa dei Nove. Siccome il Mediterraneo era il naturale complemento dell’Europa comunitaria, la politica estera italiana doveva spingere per una più accentuata proiezione europea nell’area. Sul piano della sicurezza, una maggior presenza europea nel bacino avrebbe dovuto garantire una maggior stabilità e portare un contributo decisivo alla risoluzione delle diverse crisi e tensioni che lo affollavano. Questa era una delle varie manifestazioni della “strategia dell’ancoraggio” perseguita dall’Italia nel periodo: rispetto ad una valutazione della scarsità dei propri mezzi, l’Italia spingeva per un approccio comunitario e

E. Calandri, Europa e Mediterraneo cit., p. 53

315

Libro Bianco della Difesa cit., p. 31

316

Il testo ne indica tre: la «difesa autonoma», giudicata impossibile per via della rinuncia

317

italiana di dotarsi di un arsenale atomico in seguito alla definitiva ratifica italiana del Trattato di Non Proliferazione Nucleare nel 1975; la «neutralità armata», che prevederebbe particolari conformazioni geo-strategiche e disponibilità finanziarie superiori a quelle italiane; la «neutralità passiva o disarmata», che equivarrebbe alla rinuncia anche delle condizioni minime di sicurezza, in Ivi, p. 32

Ibidem

multilaterale al fine di raggiungere quegli obiettivi in politica estera che si riteneva di non poter raggiungere con le proprie sole forze. Ponendo come obiettivo primario la stabilità nel Mediterraneo, al fine di vedere garantite le proprie rotte energetiche e commerciali, più volte l’Italia auspicò una concertazione europea, anche nel campo della difesa. I primi tentativi vennero mossi agi inizi degli anni Settanta, in particolare da Moro e dalla Francia con la GMP, ma ogni occasione in cui la Comunità Europea trovò risposte condivise a problematiche internazionali vide gli Stati Uniti decisamente ostili .319

Una volta stabilito l’orizzonte ideologico - solidarietà atlantica e adesione europea - in cui si situava l’azione politica italiana, gli indirizzi della politica di sicurezza venivano direttamente desunti dalle due scelte di campo principali. Nel caso della solidarietà atlantica, lo sviluppo e la stabilizzazione della distensione, unito ad un contributo al dispositivo militare della NATO «commisurato al ruolo che spetta[va] all’Italia nella regione dell’Europa Meridionale-Mediterraneo e compatibile con le risorse nazionali» . Per quanto riguarda invece l’adesione alla Comunità 320

Europea, la volontà di «intensificare la cooperazione militare con legazioni europee alleate e tra queste e gli alleati nord-americani, al fine di realizzare un equilibrato sviluppo dei rapporti inter-atlantici» , ma soprattutto «l’assunzione di un ruolo 321

qualificante, particolarmente nei riguardi delle nazioni europee comunitarie, per stimolare il conseguimento di una situazione di stabilità politico-militare nel Mediterraneo» . Rispetto ai compiti che implicava l’adesione all’Alleanza Atlantica, 322

il progetto comunitario sembrava dare stimolo a progetti più concreti e meno di mera testimonianza. Seppur l’Italia ancora non potesse prescindere dal conflitto bipolare nello stabilire le proprie priorità in politica militare, la Comunità Europea era vista come il volano che avrebbe permesso di poter giocare una partita diversa - meno ingessata nei tradizionali ruoli post-bellici - nel teatro regionale di competenza.

Dagli indirizzi di politica di sicurezza derivava quindi la direttiva politico- strategica, che si proponeva di metter in pratica le indicazioni del quadro di riferimento concettuale stabilito in precedenza. Gli obiettivi fondamentali della sicurezza erano: l’integrità del territorio nazionale e l’inviolabilità dello spazio aeronavale; la libertà dei traffici commerciali e di conseguenza la tutela degli interessi nazionali. Le linee d’azione per raggiungere questi obiettivi erano l’effettiva capacità di intervenire autonomamente nel caso in cui non fosse possibile un soccorso immediato del dispositivo NATO, di assolvere i compiti concordati nell’ambito della difesa integrata dell’Alleanza Atlantica e di «far fronte a situazioni di

S. Silvestri, M. Cremasco, Il Fianco Sud cit., p. 56

319

Libro Bianco della Difesa cit., p. 34

320

Ibidem

321

Ibidem

tensione e di crisi internazionali ed assolvere i compiti istituzionali del tempo di pace» . Se i compiti in tempo di pace di Esercito e Aviazione erano delineati in 323

un’ottica “conservativa” - di difesa del territorio nazionale e delle istituzioni democratiche - il Libro Bianco del 1977 riprendeva integralmente le proposte dell’articolo del Capo di Stato Maggiore De Giorgi del 1973 nell’elencare i compiti della componente navale delle Forze Armate. Partendo dal dato di fatto che «il Mediterraneo […] [era] la zona di maggiore concentrazione e sovrapposizione dei contrastanti interessi dei paesi rivieraschi» e che «ogni alterazione dell’equilibrio in questa regione si ripercuote[va] ampiamente nelle aree a diretto contatto con il territorio italiano» , la sicurezza nazionale non poteva prescindere dalla 324

pacificazione dell’intera area. Poiché il «sistema economico della Nazione dipende[va] dal libero uso del mare», era essenziale per il mantenimento della stabilità interna che esso fosse garantito dalla «costante presenza di un complesso di navi idonee a svolgere azioni di prevenzione e dissuasione» . «Prevenzione» e 325

«dissuasione»: la pubblicazione del 1977 citava pedissequamente il testo del 1973. Segno inequivocabile dell’importanza che le riflessioni dello Stato Maggiore della Marina di quattro anni prima ancora rivestivano presso il Ministero della Difesa: una sorta di passaggio di consegne dal mondo militare a quello politico. Stabiliti i compiti e gli obiettivi, veniva infine delimitato l’areale di competenza: mentre in caso di conflitto l’azione della Marina doveva circoscriversi principalmente al Mediterraneo Centro-Occidentale, in tempo di pace essa doveva esplicare la propria attività in «tutto il Mediterraneo, per mantenere i contatti con i paesi rivieraschi e sostenere l’azione politica e diplomatica della Nazione» .326

Al netto di una progettualità così ambiziosa, il Libro Bianco doveva fare i conti con una realtà ben al di sotto delle aspettative. Nel capitolo «Considerazioni e raffronti sull’andamento delle spese per la Difesa» veniva illustrata nella sua 327

completezza la situazione finanziaria delle Forze Armate. Nel decennio 1966-1976, la percentuale delle spese per la Difesa sul bilancio dello Stato aveva subito un calo del 5% rispetto alle entrate e del 7% rispetto alle uscite . Un dato in 328

controtendenza rispetto al trend degli altri paesi membri della NATO , nei quali le 329

Ivi., p. 35 323 Ivi, p. 129 324 Ivi, p. 130 325 Ivi, p. 131 326 Ivi, pp. 66-69 327 Ivi, p. 67 328

Il dato si riferisce al triennio 1973-1975, e non su base decennale. Va comunque riportato

329

che, anche nei tre anni presi in esame, l’Italia vide un calo (dal 3.2% al 2,8%) del rapporto Difesa/PIL.

spese per la difesa erano in generale aumento . Nel quadro del rapporto tra 330

economia e spese militari, la situazione italiana non rispecchiava assolutamente il ruolo di terza potenza economica del continente europeo e membro del G7 : con il 331

suo 2,8% di spese per la Difesa rispetto al Prodotto Interno Lordo, l’Italia era infatti al 12º posto tra i 15 paesi della NATO. Stesso ranking anche per quanto riguardava la spesa pro-capite dei membri dell’Alleanza Atlantica: soltanto Lussemburgo e Turchia spendevano meno . 332

Se le critiche formulate da commentatori coevi indicavano di un contributo alla NATO estremamente ridotto e di un’efficienza militare italiana ai minimi termini , le “leggi promozionali” del 1975 (Marina) e 1976 (Aviazione ed Esercito) si 333

proponevano anche la funzione di colmare questo gap rispetto ai partner dell’alleanza. Cinque mesi dopo la pubblicazione del Libro Bianco, rivolgendosi al Senato, l’onorevole Attilio Ruffini ,334

riferendosi alla direttiva ministeriale NATO 1977, [confermava] che l’impegno tendenziale diretto ad incrementare 3% il bilancio complessivo della difesa in termini reali, [veniva] assolto dall’Italia con l’attuazione delle leggi promozionali approvate dal Parlamento .335

L’aspetto economico della ristrutturazione, che toccasse l’inadempienza italiana rispetto agli obblighi stabiliti dall’Alleanza o che puntasse ad un rilancio dell’industria bellica nazionale, poteva dirsi affrontato con provvedimenti adeguati. L’aspetto militare delle direttive strategiche veniva invece chiosato dalla relazione della IV Commissione (Difesa) del Senato , emanata il 7 febbraio 1977, 336

sul disegno di legge n. 471, in cui il relatore Bruno Giusti (DC), rammentando «il costante perseguimento dell’obiettivo di pace a cui essa [l’Italia] aspira», esponeva la

Libro Bianco della Difesa cit., p. 87

330

Il vertice dei ministri dell'economia delle sette nazioni avanzate con la ricchezza

331

nazionale netta più grande al mondo. Libro Bianco della Difesa cit., p. 69

332

G. Galli, Il sistema politico italiano e la politica estera, in N. Ronzitti (a cura di), La Politica

333

estera italiana cit., pp. 97-102

Successore di Lattanzio alla guida del Ministero della Difesa nei successivi governi

334

Andreotti fino all’agosto 1979.

Testi e Documenti della Politica estera italiana, “Comunicazione al Senato del ministro

335

Ruffini sulle riunioni a Bruxelles e a Washington (Roma, 21 giugno) ” Ministero degli Affari Esteri - Servizio Storico e Documentazione, 1977, p. 398

https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/DF/298223.pdf, ultimo accesso in

336

necessità di uno strumento difensivo nazionale idoneo, per dislocazione ed efficienza operativa, ad intervenire in modo autonomo ed efficace contro minacce ai nostri interessi vitali e per le quali non si possa fare sicuro affidamento sul concorso diretto e tempestivo dell’Alleanza

assegnando anche all’Aeronautica le stesse funzioni in “tempo di pace” che, dal Libro Bianco del 1973, erano di assodata competenza della Marina, e cioè «svolgere un ruolo dissuasivo nei confronti di possibili aggressori e […] salvaguardare i molteplici interessi nazionali sul mare». Uno strumento difensivo con queste ambizioni non poteva prescindere dal problema della «credibilità del carattere difensivo della politica militare italiana»: il relatore, in risposta alle critiche a proposito di un eterodirezione delle volontà politiche nazionali riguardo la sicurezza del paese, rivendicava «un nostro ruolo valido nel perseguimento della pace e della indipendenza nazionale pur nel rispetto degli impegni dell’Alleanza della quale l’Italia fa parte». A riprova della veridicità delle sue affermazioni, l’onorevole Giusti portava le riflessioni contenute nel Libro Bianco edito nel mese precedente, definito come «un punto di riferimento che dovrà definire gli indirizzi della politica militare italiana indicandone gli obiettivi del medio e lungo periodo».

Il Libro Bianco della Difesa è stato senza dubbio un punto di riferimento all’interno del riorientamento strategico della politica di difesa italiana. Esso infatti ha fatto chiarezza su almeno tre aspetti fondamentali del nuovo corso inaugurato negli anni Settanta. In primo luogo, ha dato solidità ad una “continuità”, sia programmatica che pratica. Ha infatti stabilito la natura delle “leggi promozionali” come implementazione delle esigenze di rinnovamento manifestate nel testo “Prospettive e Orientamenti” del 1973, di cui fu diretta filiazione poiché ne citava integralmente intere sezioni . In secondo luogo, ha sancito la “rilevanza” della 337

Marina Militare - rispetto alle altre due Forze - in funzione di due peculiarità: l’evidente collocazione geografica della Nazione, immersa al centro del bacino mediterraneo, e la “fluidità” dell’ambiente marittimo, contrapposta alla “rigidità” di quello terrestre, che garantisce margini più ampi all’utilizzo dello strumento militare senza incontrare il rischio di una radicalizzazione immediata. Infine, pur ribadendo che l’obiettivo primario della politica di difesa italiana era la pace, il Libro Bianco è stato il primo documento prodotto in sede di governo che, nella storia 338

repubblicana, prevedeva la possibilità che lo strumento militare potesse essere utilizzato “in tempo di pace” per sostenere l’azione diplomatica e politica della Nazione.

In particolare, qui ci si riferisce alle pp. 129-131, che trattano degli «Ambienti operativi e

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compiti delle Forze Armate», nella fattispecie della Marina Militare.

Il testo “Orientamenti e Prospettive” del 1973 venne infatti pubblicato sulla Rivista

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