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Cap III L’evoluzione della politica di difesa

3.1 Lo sfaldamento del Fianco Sud della NATO

Se nel 1980 un commentatore autorevole come Stefano Silvestri poteva affermare che «la NATO nel Mediterraneo, come organismo integrato politico- militare, non esiste[va] », evidentemente lo stato di salute dell’Alleanza Atlantica 240

nella regione non era dei migliori. Immediatamente dopo la fine del secondo conflitto mondiale, il Mediterraneo era un mare «fortemente protetto dalla VI Flotta USA e dalla Mediterranean Fleet britannica, circondato per tre quarti da territori alleati o dipendenti da potenze alleate ». Ma con il proseguire della Guerra Fredda la presa 241

delle potenze “atlantiche” si sarebbe progressivamente allentata. L’egemonia occidentale nel bacino stava subendo un ridimensionamento scandito da tappe ben precise: a cominciare dalla disfatta anglo-francese nella Crisi di Suez (1956), proseguendo con l’indipendenza di Cipro (1960) e Malta (1964) dal Regno Unito e dell’Algeria (1962) dalla Francia, nonché l’uscita di quest’ultima dal dispositivo militare integrato dell’Alleanza Atlantica (1966). Gli Stati Uniti, il cui “ombrello atomico” e la superiorità strategica nei confronti dell’URSS avevano protetto in modo così efficace gli alleati europei al punto da ridurne al minimo l’importanza nel dispositivo militare dell’alleanza , erano coinvolti fin dagli inizi del decennio 242

Sessanta in una sanguinosa ed interminabile guerra nel Sud Est asiatico, che assorbiva la stragrande maggioranza del loro sforzo militare e distoglieva sempre di più l’attenzione dall’Europa e dal Mediterraneo. La parità strategica raggiunta dal blocco sovietico, la conseguente distensione dei rapporti internazionali e l’enunciazione della Dottrina Nixon - che delegava la sicurezza regionale agli alleati degli USA a fronte di una diminuzione dell’impegno militare americano al di fuori dei confini nazionali - chiudevano il quadro .243

Un sempre più evidente “vuoto di potere” si profilava dunque nella regione, a cui si aggiunse una rinnovata e rinforzata presenza navale sovietica all’indomani della Guerra dei Sei Giorni (1967): il Mediterraneo diventava dunque l’area di maggior rilevanza geo-strategica per i due contendenti della contrapposizione bipolare. L’ambiente marittimo ha il vantaggio di consentire una fluidità maggiore nei contatti tra gli attori politici, poiché «sul mare i margini di sicurezza, atti ad evitare reazioni non controllabili, risultano ben più ampi di quelli consentiti dalla rigidità dei

S. Silvestri, M. Cremasco, Il Fianco Sud della NATO. Rapporti politici e strutture militari

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nel Mediterraneo, Feltrinelli, Milano, 1980, p. 18 C. M. Santoro, Il Mediterraneo cit., p. 149

241

N. Labanca, La Repubblica e il militare, in P. Bianchi, N. Labanca (a cura di), L’Italia e il

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‘Militare’ - Guerre, nazioni, rappresentazioni dal Rinascimento alla Repubblica, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 2014, p. 270

J. Asmussen, The Post-Cold War Legacies of US Realism - The 1974 Cyprus Crisis in

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confini terrestri» . Questa fluidità consentiva reciproche capacità di pressione nei 244

limiti di un gioco che, per reciproco accordo, tendeva a non scatenare un escalation. Proprio per questo motivo, una volta irrigidito fino ad un punto di non ritorno lo spazio continentale europeo, le superpotenze spostarono la propria competizione proprio nel Mediterraneo.

La volontà dell’amministrazione Nixon di sganciare gli Stati Uniti dal conflitto indocinese stava dunque nella necessità di recuperare quell’egemonia mediterranea che alla fine degli anni Sessanta era in palese difficoltà. Accanto al “vuoto di potenza” si costituiva inoltre un altro processo, apparentemente opposto ma in realtà complementare: una “diffusione di potenza”, alimentata dalla de- colonizzazione in corso, in cui attori fino ad allora relegati ai margini dello scenario internazionale acquisivano una rilevanza di primo piano nelle dinamiche regionali. La recente “potenza” guadagnata ad esempio dal mondo arabo grazie al monopolio delle fonti energetiche ristrutturava completamente i rapporti di potere nell’area, andando ad accentuare quelle tensioni latenti - in primis l’ostilità con il neonato stato di Israele e con l’occidente colonialista - fino ad allora neutralizzate dagli attori dominanti . 245

Se da un lato la presenza navale dell’URSS - che toccava il suo picco all’indomani dello scoppio della Guerra del Kippur nel 1973 - minacciava la sicurezza del blocco occidentale esposto a Sud, la stessa NATO si affacciava ad una crisi innescata da dinamiche del tutto indipendenti dallo scontro bipolare, cioè la questione di Cipro, nell’estate del 1974. In luglio l’ala nazionalista greca dell’isola, con il supporto del regime dei colonnelli - fedele alleato degli Stati Uniti nella regione - aveva deposto l’arcivescovo Makarios, presidente della Repubblica. La Turchia - membro a sua volta dell’Alleanza Atlantica - si risolse ad intervenire in difesa della forte minoranza turca dell’isola, al fine di prevenire un’annessione unilaterale di Cipro alla Grecia. Dando il via all’Operazione Attila, il 20 luglio truppe turche sbarcarono nell’isola, occupandone circa un terzo.

Per la prima volta dalla sua fondazione, due membri di lungo corso del blocco occidentale si ritrovavano in guerra l’uno contro l’altro. La questione puramente etnica alla base del conflitto era completamente sganciata da qualsiasi tipo di appartenenza ideologica o collocazione internazionale. Ecco dunque che, nonostante tutti i paesi europei partecipanti ai negoziati della CSCE allora in corso a Ginevra - tra cui sia Grecia che Turchia - esprimessero la propria opinione sulla questione , soltanto la nazione leader del blocco di appartenenza realisticamente 246

poteva sperare di ricomporre la divergenza. Ma l’approccio rigidamente bipolare del

Stato Maggiore della Marina, Prospettive e Orientamenti di massima della Marina Militare

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per il periodo 1973-1984, Rivista Marittima, Roma, Novembre 1973, pp. 15-33 (p. 20) C. M. Santoro, Il Mediterraneo cit., p. 171

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N. Badalassi, Sea and Détente cit. p. 65

Segretario di Stato americano Kissinger si ritrovava privo di qualsiasi strumento efficace: il principio del “contenimento”, stella polare dell’azione politica dell’amministrazione Nixon, inteso come supporto anche ai regimi autoritari al fine di garantire la sicurezza regionale , non era problematizzato dalla crisi, se non nella 247

misura in cui le due nazioni coinvolte potevano mettere in dubbio la propria partecipazione al dispositivi di controllo statunitense. Cosa che effettivamente si verificò, con l’uscita della Grecia dalla NATO nell’agosto 1974 per protesta contro l’invasione turca. Kissinger stesso, impegnato a fondo nella risoluzione del conflitto mediorientale e indebolito indirettamente dal Watergate , decise di non impegnarsi 248

in prima persona. La sua ripetuta incapacità di valutare le crisi regionali in un ottica che tenesse conto dei rispettivi interessi delle parti coinvolte gli impedì di trovare una soluzione condivisa . La decisione del Congresso degli Stati Uniti di varare un 249

embargo militare nei confronti della Turchia, come rappresaglia per l’invasione di Cipro, comportò un brusco disimpegno militare di Ankara dall’Alleanza: di fronte alla perdita di ventisei basi di monitoraggio situate in Anatolia, il futuro del Fianco Sud della NATO era seriamente minacciato .250

La Questione di Cipro era dunque l’atto iniziale di una crisi del Fianco Sud completamente interna al blocco occidentale: così come i sovietici non avevano avuto un ruolo determinante nel processo di decolonizzazione dei paesi rivieraschi tra gli anni Cinquanta e Sessanta, anche durante l’estate del 1974 non mostrarono alcuna volontà di intervenire direttamente nella crisi. Addirittura, gli storici hanno ipotizzato che se i sovietici avessero mostrato maggior interesse alla questione, Kissinger probabilmente avrebbe agito in modo più determinato . L’atteggiamento 251

sovietico minimizzava dunque le problematiche dell’assetto militare “atlantico” nella regione, che comunque esistevano ed erano valutate con preoccupazione in ambiente NATO. La stessa conformazione geo-strategica del Fianco Sud, articolato su tre fronti (Gorizia, Tracia e Caucaso) territorialmente non contigui rendeva il dominio dello spazio marittimo essenziale per il rifornimento ed il supporto logistico delle truppe di terra . La presenza navale sovietica, nonostante non raggiunse mai 252

un’eventuale parità strategica con la VI Flotta americana nella regione, da sola bastava a ridurre la capacità di dispiegamento ed intervento del dispositivo NATO,

J. Asmussen, Post-Cold War Legacies cit., p. 162

247

Ivi, p. 163

248

E. G. H. Pedaliu, “A Sea of Confusion” cit., p. 747

249

J. Asmussen, Post-Cold War Legacies cit., pp. 163-164

250

Ivi, p. 160

251

CSIA European Security Working Group, Instability and Change on NATO's Southern

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rendendo i tre fronti terrestri più vulnerabili . A completare il quadro, la situazione 253

interna e la collocazione internazionale dei tre paesi su cui si articolava il Fianco Sud a metà degli anni Settanta destavano seria preoccupazione: oltre alla già citata uscita della Grecia dall’Alleanza Atlantica nel 1975 e la riduzione dell’impegno militare della Turchia, anche l’Italia viveva un momento difficilissimo sul piano della stabilità interna, mentre le sue Forze Armate attraversavano una fase di profonda ristrutturazione che, nonostante a posteriori avrebbe rappresentato un “tornante” decisivo la politica di difesa italiana , al momento si limitava a certificare lo stato 254

desolante della politica di sicurezza nazionale.

Le sfide che l’Alleanza Atlantica doveva affrontare, nei convulsi anni successivi alla Guerra del Kippur, tendevano inoltre a collocarsi al di fuori dell’area di competenza stabilita nel trattato dell’Alleanza stessa. L’interpretazione sempre più rigorosa dei limiti spaziali di intervento da parte dei partner europei impediva dunque alla NATO di avere un ruolo in quelle tensioni che si profilavano ben più minacciose della minaccia sovietica nella regione, anno dopo anno giudicata sempre più improbabile. La stessa presenza navale del Patto di Varsavia nel Mediterraneo, nonostante toccasse il proprio picco nel 1973, si apprestava ad un lento declino. A questo declino concorrevano una serie di fattori tra loro in larga parte dipendenti: il depotenziato impatto ideologico dell’Unione Sovietica allentava i vincoli di dipendenza con i paesi ad essa alleati ; la nuova strategia di penetrazione nella 255

regione, basata su un supporto militare ai paesi rivieraschi, era per loro meno appetibile rispetto alle strategie di cooperazione economica attuate dai paesi europei della CEE ; la perdita di alleati di assoluta importanza come l’Egitto non 256

adeguatamente compensata dalla stretta di legami d’amicizia con altri attori - quali la Siria e la Libia - estremamente indipendenti e imprevedibili . Infine, la Quinta 257

Eskadra non aveva compiutamente sviluppato la propria potenza, e sembrava ancora rivestire un ruolo più politico e di sea denial che operativo: questa mancata volontà strategica da parte dei sovietici si accompagnò ad un riorientamento dell’apparato militare dell’URSS verso il Fronte Centrale .258

Ecco come, a partire dalla seconda metà del decennio, nel suo Fianco Sud la NATO si trovava d’innanzi ad una progressiva riduzione della “minaccia da Est”, parallela ad un deciso aumento di nuovi “rischi da Sud”, legati all’instabilità endemica della regione, avvitata in un gorgo di conflitti e ostilità apparentemente

S. Silvestri, M. Cremasco, Il Fianco Sud cit., p. 157

253

N. Labanca, L’Italia e il militare cit., p. 266

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C. M. Santoro, Il Mediterraneo cit., p. 172

255

S. Silvestri, M. Cremasco, Il Fianco Sud cit., p. 177

256

C. M. Santoro, Il Mediterraneo cit., p. 171

257

Ibidem

irrisolvibili che incombevano sulla sicurezza dei paesi europei esposti. Accanto a questi conflitti esistevano inoltre altri fattori di rischio, meno diretti a confronto dell’offensiva militare o terroristica ma ugualmente distruttivi: collasso istituzionale di singoli paesi (come il Libano) o intere sub-regioni; destabilizzazione interna di paesi islamici filo-occidentali (come Egitto e Turchia); blocco dei rifornimenti energetici; diffusione dell’integralismo islamico; aumento vertiginoso degli arsenali convenzionali; flussi migratori incontrollati . L’armonia interna all’Alleanza era 259

dunque erosa in primis da questo mutamento delle fonti di pericolo, per come erano percepite dai suoi membri mediterranei: dal momento che essa era nata con la chiara funzione di “contenimento” della minaccia sovietica, al calare di questa diminuivano sensibilmente le ragioni di allineamento alle decisioni del leader del blocco occidentale: gli Stati Uniti .260

Più volte è stata ricordata l’incapacità, da parte delle amministrazioni USA che si sono succedute nel corso degli anni Settanta, ad abbandonare un modello interpretativo bipolare ai conflitti del bacino mediterraneo, senza coglierne le specificità locali del tutto diverse dalla minaccia sovietica. Alessandro Colombo 261

ha identificato cinque caratteristiche strategiche che distinguono la “minaccia da Est” dai “rischi da Sud” , la cui individuazione comportò uno slittamento 262

progressivo delle strategie di sicurezza dei paesi euro-mediterranei da una concezione “globale” ad una “regionale” - come verrà dimostrato nei capitoli successivi.

A partire dalla «pluralità» dei soggetti in grado di mettere a rischio la sicurezza, contrapposta alla “singolarità” della minaccia sovietica, che comportava inoltre una diversificazione interna allo schieramento “atlantico”. Se di fronte ad un’offensiva militare dell’URSS tutti i membri dell’Alleanza potevano porsi su un piano di “uguaglianza” che compattava il fronte di resistenza, davanti alla «eterogeneità» delle offensive “da Sud” - il secondo elemento differenziale, in termini di modalità, tempistica e intensità - l’unità dell’Alleanza veniva seriamente minacciata - come si vide chiaramente in seguito alla stretta energetica dell’inverno 1973. La pluralità si esprimeva, oltre che nelle modalità, anche da un punto di vista “spaziale”: la «multidirezionalità» dei rischi era totalmente altro rispetto alla “fissità” della minaccia da Est. Nonostante il raggio d’azione della minaccia nucleare sovietica - in seguito all’avanzamento delle capacità tecniche - avesse ormai una portata globale, il suo centro di irradiazione rimaneva uno ed uno soltanto, chiaramente identificabile e dunque più facilmente neutralizzabile. Al contrario

A. Colombo, La percezione italiana dei «rischi da Sud» tra l’ultima fase della Guerra

259

Fredda e il mondo post-bipolare, in in M. De Leonardis (a cura di), Il Mediterraneo cit., p. 114 CSIA, Instability and Change cit., p. 152

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C. M. Santoro, Il Mediterraneo cit., p. 175

261

A. Colombo, La percezione italiana cit., pp. 114-119

«l’universo dei rischi si presentava come un universo a-centrato, più simile al “paesaggio di tradimento” di una guerra civile che alla spericolata trasparenza dell’ellissi bipolare ». Dall’elemento modale a quello spaziale, tra “minaccia” e 263

“rischi” esisteva un quarto elemento differenziale, che atteneva alla dimensione “temporale”, e cioè all’indeterminatezza del suo compimento. La “minaccia”, per quanto improbabile, prevedeva un protocollo di esecuzione chiaro ad entrambi i contendenti, al quale adeguare le conseguenti modalità di risposta. Anche nell’ipotesi in cui non fosse mai stata portata a compimento, i dispositivi di sicurezza del bipolarismo si strutturavano nella sua certa eventualità. Nel caso dei “rischi” ci si trovava davanti ad un «differimento temporale tra il momento in cui il rischio veniva individuato e il momento […] in cui si sarebbe tradotto in una minaccia definita. […] I caratteri del rischio rimanevano l’indeterminatezza e l’imprevedibilità », il che 264

richiedeva l’implementazione di procedure di prevenzione dei rischi costanti nel tempo e prive di garanzie di efficacia.

Stabilendo un parallelismo tra “minaccia” e “rischi” rispettivamente con “scontro campale tra forze regolari” e “guerriglia tra eserciti in uniforme e miliziani irregolari”, si riproponeva la cronica difficoltà dell’Occidente di affrontare con successo le forme della petit guerre del XX secolo: il terrorismo, la pirateria, il sabotaggio. Il “sovradimensionamento” degli apparati di sicurezza del blocco occidentale - tarati su una guerra convenzionale con il Patto di Varsavia - risultava infatti eccessivamente costoso rispetto alle limitate risorse impiegate dai nuovi soggetti ostili. Comportando un tale peso economico, logistico e psicologico da risultare insostenibile sul lungo periodo - per una strategia di massima sicurezza come quella perseguita dall’Alleanza Atlantica - l’indeterminatezza dei “rischi da Sud” trasformava dunque l’immane forza militare in vulnerabilità, prima ancora di inverarsi in una “reale” minaccia . L’ultimo elemento dirimente tra “rischi” e 265

“minaccia” giaceva infine nella struttura stessa dell’ordine internazionale venutosi a creare dopo la fine del secondo conflitto mondiale: il bipolarismo. Con la divisione del globo in due sfere di influenza che si minacciavano a vicenda, che stabilivano confini chiari tra il “noi” ed il “loro” e che dividevano ruoli e compiti nei contesti multilaterali di appartenenza, i “rischi” «[tendevano] a incunearsi nei “vuoti” di sicurezza che la finalizzazione pressoché esclusiva dell[e] alleanz[e] alla competizione Est/Ovest aveva sempre lasciato a livelli inferiori ». Veniva a 266

mancare, per i paesi coinvolti, quell’intelaiatura multilaterale, quella “rete di

Ivi, p. 116

263

Ivi, p. 117

264

Per una trattazione esaustiva delle difficoltà che incontrano i dispositivi di sicurezza

265

“regolari” in in operazioni di counter-insurgency, si rimanda a G. Breccia, L’arte della guerriglia, Il Mulino, Bologna, 2013, pp. 184-187

A. Colombo, La percezione italiana cit., p. 117

sicurezza” di procedure concordate e - praticamente - automatizzate, che dovevano invece lasciare posto alla creatività ma anche alla disomogeneità tra i singoli membri.

Fintantoché la minaccia sovietica catalizzava le loro attenzioni, e al contempo la superiorità strategica degli Stati Uniti era assoluta rispetto all’Unione Sovietica, la mancanza di un centro decisionale comune e la conseguente delega agli USA del totale controllo sulle relazioni esterne dell’Alleanza non aveva costituito un problema. Ma dal momento in cui le minacce si diversificarono ed evolvettero, le esigenze di sicurezza dei paesi membri cambiarono di conseguenza, senza che la NATO avesse alcuno strumento interno di riforma per adattarvisi267. Paradossalmente, le stesse superpotenze, con il loro approccio bipolare privo di elasticità, quando scendevano indirettamente in campo con il supporto ai propri alleati nella regione, finivano per vedere le proprie strategie messe al servizio di interessi locali. Così come era la Siria a “sfruttare” l’aiuto logistico russo, allo stesso modo era Sadat ad “usare” gli americani per ottenere il maggior vantaggio possibile dalle trattative con Israele. Sia da parte russa - che si affidava ormai integralmente al rifornimento di armi convenzionali come strategia di penetrazione nella regione - che da parte statunitense - le cui “dottrine” Eisenhower e Nixon facevano affidamento sull’invio di armi e mezzi con l’obiettivo di “contenere” l’espansionismo sovietico - il conflitto “per procura” non faceva che incentivare i paesi del Mediterraneo a proseguire le ostilità in corso. Per un’eterogenesi dei fini, l’intervento di USA e URSS nella regione era visto come necessario per risolvere le conflittualità, ma l’intervento esterno stesso tendeva a perpetuarle , in un circolo vizioso in cui i paesi rivieraschi 268

si ritrovavano sempre più esposti e vulnerabili.

Malta e i paesi mediterranei non allineati auspicavano già nel 1973, all’apertura della CSCE a Ginevra, una neutralizzazione del Mediterraneo : la sua 269

uscita dal confronto bipolare appariva ai paesi mediterranei non direttamente coinvolti la soluzione migliore per neutralizzare l’instabilità endemica del bacino. Verso la fine degli anni Settanta però, con la presenza sovietica in chiaro declino e l’affermarsi degli Stati Uniti come potenza egemone, appariva chiaro che l’incapacità di pacificare la regione era tutta interna allo schieramento occidentale.

La sostanziale impossibilità della NATO di affrontare le nuove sfide che i “rischi” ponevano ai membri dell’Alleanza rendeva i legami tra Stati Uniti e alleati europei sempre più conflittuali, sopratutto nelle strategie di risposta e prevenzione. Se, da un punto di vista militare, la sfida con i sovietici pareva ormai vinta alle soglie degli anni Ottanta, l’identificazione tra il dispositivo militare NATO e la VI Flotta americana era ormai consolidata. Ma anche questo aspetto creava problemi di

S. Silvestri, M. Cremasco, Il Fianco Sud cit., p. 177

267

Ivi, p. 17

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N. Badalassi, Sea and Détente cit. p. 66

ordine politico ai partner europei dell’Alleanza: la VI Flotta infatti aveva due ruoli non complementari: perno del sistema difensivo atlantico nella regione ed elemento di forza della politica mediterranea degli Stati Uniti, al di fuori dei vincoli imposti dal trattato . Se dunque l’amministrazione americana poteva utilizzare la VI Flotta nel 270

Mediterraneo nella propria azione internazionale, l’identificazione di essa con la NATO poteva far apparire al resto del mondo che l’intera Alleanza ne condividesse scopi e linee d’azione. La realtà era invece decisamente diversa: le frizioni e le divergenze tra Stati Uniti e membri dell’Alleanza esistevano, mentre i rapporti euroatlantici seguivano un andamento modulato dall’altalenante prevalere o della volontà di autonomia europea o della volontà di controllo statunitense.

Ritornava infine, anche nell’ambito di un’istituzione al contempo militare ed ideologica quale era la North Atlantic Treaty Organization, quello iato tra “globale” e “locale” che affliggeva, sin dagli esordi del multipolarismo ,le strategie europee ed americane nel Mediterraneo. Oltre alle singole problematiche di ordine militare, che pure mettevano una pesante ipoteca sulle effettive capacità di difesa dell’Alleanza, a rendere palese lo sfaldamento del Fianco Sud fu dunque «il realizzarsi di una