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Cap II L’opzione mediterranea, tra fedeltà atlantica e integrazione europea

2.3. Gli anni Settanta

2.3.2. I governi di “solidarietà nazionale” (1976-1979)

Se il giudizio degli storici sulla stagione che vide Aldo Moro quale principale protagonista della politica estera italiana si è col tempo modificato, non si può dire che lo stesso sia avvenuto per la stagione successiva, che si colloca nella seconda metà degli anni Settanta e che coincise con l’esperimento dei governi di “solidarietà nazionale”, a guida Andreotti. Accanto ad una bibliografia sterminata sulle vicende interne dell’Italia, l’azione internazionale del periodo viene affrontata in un numero decisamente minore di titoli con un’evidente sproporzione d’analisi. In particolare, si deve registrare una carenza di analisi incentrate sulla direttrice mediterranea della politica estera .186

L’evidente sconvolgimento degli equilibri interni che il paese visse nel triennio 1976-1978 ha praticamente monopolizzato l’attenzione degli storici. Non volendo aggiungere nulla a quanto già scritto sulle vicissitudini domestiche del paese - esulerebbe dall’obiettivo di questa tesi - mi limito a citare le parole di Arnaldo Forlani, ministro degli Esteri durante i tre governi Andreotti che si succedettero dal luglio 1976 all’agosto 1979:

Ora, io credo che l'Italia abbia un ruolo importante. Questo ruolo non è sottovalutato da alcuno nel mondo se non da noi stessi […]; la nostra immagine all'estero, le nostre possibilità di collegamento e di fruttuosa collaborazione, diciamo pure il nostro peso, possono essere oggi ridotti e minacciati da altri fattori: cioè, dal disordine, dalla indisciplina, dalla criminalità, dalle spinte eversive e disgreganti le cui radici hanno proliferato, e che dobbiamo dimostrare di saper recidere salvaguardando le condizioni di libertà e di vita democratica .187

C. M. Santoro, L’Italia e il Mediterraneo cit., p. 32

184

Democrazia Cristiana, Partito Comunista, Partito Socialista, Partito Repubblicano, Partito

185

Social-democratico.

Il contributo di Giuseppe Romeo (G. Romeo, La politica estera italiana nell’era Andreotti

186

(1972-1992), Rubbettino, Soveria Mannelli, 2000) per esempio dedica molto più spazio agli anni Ottanta, in cui Andreotti guidava il Ministero degli Esteri, rispetto al triennio 1976-1979 in cui fu invece Presidente del Consiglio. All’opposto, Elena Calandri (Il Mediterraneo nella politica estera italiana cit.) e Guido Formigoni (L’Italia nel sistema internazionale cit.) concentrano la loro attenzione sulla prima metà del decennio Settanta, relegando a poche pagine l’analisi della stagione della “solidarietà nazionale”, così come Antonio Varsori (L’Italia nelle relazioni internazionali cit.).

Testi e Documenti della Politica Estera Italiana, Il ministro degli esteri on. Forlani alla

187

Camera dei Deputati (1 dicembre 1977), Ministero degli Affari Esteri - Servizio Storico e Documentazione, 1977, p. 129

Gli stessi protagonisti dell’epoca affermavano dunque che la situazione interna dell’Italia aveva la capacità di inficiare l’operato del Paese in sede internazionale. Non sorprende quindi che la presenza internazionale dell’Italia non avesse lo stesso dinamismo degli anni precedenti, e dunque che la storiografia abbia avuto meno “materiale” su cui poter lavorare.

Accanto alle ragioni interne di questo ridimensionamento del ruolo internazionale dell’Italia, ve ne erano chiaramente anche di esterne. Il 1975 si rivelò un anno denso di avvenimenti destinati ad incidere profondamente sulla condotta italiana della seconda metà del decennio Settanta. Dalla conclusione della CSCE e l’emissione dell’Atto Finale, all’uscita unilaterale della Grecia dall’Alleanza Atlantica e allo scoppio della guerra civile libanese, fenomeni contraddittori continuavano a non dare tregua al Mediterraneo. La concomitanza di nuovi elementi destabilizzanti - esterni ed interni - si aggiungeva ai fattori “storici” di crisi che non cessavano di colpire l’azione internazionale dell’Italia fin dalla fine degli anni Sessanta. Si può affermare dunque che una certa “stanchezza” del mondo politico italiano fosse comprensibile, dinnanzi alla lunga stagione di instabilità la cui fine sembrava non giungere mai, a dispetto dei notevoli sforzi posti in essere dagli esponenti del Governo.

Il riflesso immediato di questa apparente “irrisolvibilità” delle tensioni regionali fu un appannamento della politica estera nazionale: una “contrazione” del protagonismo italiano nella regione mediterranea, con la progressiva presa di coscienza che l’Italia, da sola, non aveva davvero i mezzi per risolvere alcunché. A tal proposito, le parole di Forlani sono di nuovo illuminanti. Rispondendo ad alcune interrogazioni in aula, egli controbatteva che

spesso la nostra politica estera riceve accuse di velleitarismo, inerzia o assenza. [Ritengo], invece, che ogni nostra iniziativa che trascenda le reali possibilità dell'Italia, debba essere evitata, anche se questo necessario realismo non deve paralizzare ogni nostra possibilità di intervento e ridurci all'immobilismo. L'Italia ha un ruolo da svolgere sulla scena internazionale e particolarmente su quella europea e mediterranea .188

Questo ruolo che l’Italia aveva da svolgere aveva però dei precisi limiti, imposti dalla situazione internazionale e contro i quali il mondo politico italiano poteva ben poco. Bisognava considerare

gli spazi diplomatici disponibili per la nostra azione, che sono circoscritti. L'Italia molte volte può e deve essere presente ma dobbiamo renderci conto che, se

Testi e Documenti della Politica Estera Italiana, Il ministro degli Esteri on. Forlani alla

188

Commissione Esteri della Camera dei Deputati (6 ottobre, Resoconto sommario), Ministero degli Affari Esteri - Servizio Storico e Documentazione, 1976, p. 104

isolata, la sua presenza ha un valore relativo. Una costante linea di tendenza per noi deve essere la ricerca di una comune posizione dell'Europa su tutti i problemi. Una particolare cautela si impone nella previsione delle possibili risposte diplomatiche alle crisi di carattere locale . 189

Tornava ancora una volta la tematica dell’ancoraggio alla Comunità, con una sfumatura leggermente diversa rispetto a Moro: mentre il politico pugliese puntava all’Europa con un’ottica propositiva, il richiamo di Forlani alla concertazione comunitaria stava più nel timore che l’Italia, se emarginata, non avesse reali speranze di sopravvivenza nell’incandescente bacino mediterraneo degli anni Settanta. Non si deve dimenticare che nel giugno 1976 si era tenuto il Vertice di Puerto Rico tra le sette grandi potenze industriali dell’Occidente, in cui non solo gli Stati Uniti ma anche gli alleati europei avevano minacciato una sospensione degli aiuti finanziari all’Italia nel caso di una partecipazione attiva dei comunisti al governo . 190

Se dunque difficoltà interne ed esterne determinarono una delle stagioni di politica estera dell’Italia repubblicana tra le più opache , questo non significa che 191

una politica estera non ci sia stata. E nonostante il dinamismo mostrato dalla classe di governo - con il gran numero di visite diplomatiche nelle capitali mediterranee compiute da Andreotti, Forlani ed Ossola - sia stato definito «più apparente che 192

reale », l’Italia, nello scenario internazionale, ancora esisteva. 193

Pertanto, nel quadro di un’analisi della politica mediterranea che aspiri ad una completezza, rimane doveroso confrontarsi anche con questa stagione e verificare quanto il giudizio della storiografia sia condivisibile. Il metro di valutazione che si ritiene più adatto sta nel riscontro - o meno - di una “continuità” nell’operato di governo rispetto alla fase precedente. Dapprima ricostruendo il percorso dell’attività internazionale dei protagonisti, per poi identificare delle aree tematiche - nell’ambito mediterraneo della politica estera nazionale - in cui rilevare se ed in che modo essi proseguirono sulle linee direttive stabilite in precedenza. I tre principali indirizzi erano: la strategia dell’ancoraggio alla Comunità Europea; i rapporti con il mondo arabo e la questione palestinese; l’irenismo come orizzonte ideologico dei rapporti internazionali.

Ivi, p. 105

189

Per una trattazione esaustiva degli effetti del Vertice di Puerto Rico, si rimanda a: A.

190

Varsori, Puerto Rico (1976): le potenze occidentali e il problema comunista in Italia, «Ventunesimo Secolo», Vol. 7, No. 16 (Giugno 2008), pp. 89-121

E. Calandri, Il Mediterraneo cit., p. 377

191

Ministro per il Commercio con l’Estero durante i tre governi a guida andreottiana.

192

Ivi, p. 378

È chiaro che un fattore di discontinuità sussisteva fin dal principio: l’affidamento della Farnesina ad Arnaldo Forlani - uomo «interessato sopratutto alle vicende interne» e «Ministro degli Esteri autorevole ma poco appassionato » - sicuramente 194

non contribuirono al protagonismo italiano nel bacino mediterraneo. Inoltre, l’assenza di alcun incarico di governo ad Aldo Moro comportava la perdita del principale esponente del nuovo corso della politica estera nazionale, l’unico fino ad allora in grado di stabilire un raccordo solido tra interno ed esterno, tra necessità economiche ed esigenze politiche : l’impatto della sua morte sulla condotta 195

italiana nella politica estera non può - e non deve - essere sottovalutato. Alla luce di queste premesse, probabilmente la politica estera dei governi di “solidarietà nazionale” ebbe meno caratteri d’innovazione rispetto a quella della stagione morotea. Ma i tratti di continuità che vi si possono riscontare le danno una funzione di “cerniera”, senza la quale l’attivismo internazionale dei primi anni Ottanta risulterebbe infine poco comprensibile.

Del resto, in una fase della vita internazionale caratterizzata dalla influenza dei grandi blocchi e dei raggruppamenti regionali, non possono sfuggire i limiti delle possibilità di azione e di contributo che si offrono ai singoli paesi .196

Rivolgendosi al Senato, il ministro Forlani registrava un dato di fatto: che nell’era della distensione, delle superpotenze e delle entità politiche di influenza regionale, i margini di libertà delle singole nazioni erano ormai ridotti ai minimi termini. Nel caso dell’Italia, paese trasformatore fortemente dipendente dagli approvvigionamenti energetici esteri, la stessa sopravvivenza dipendeva dall’interdipendenza che essa era riuscita a creare nelle strette maglie della Guerra Fredda. La vulnerabilità dell’Italia era da imputare sopratutto alla sua dipendenza dalla stabilità del bacino mediterraneo: erano la libertà di circolazione marittima e l’integrità delle rotte commerciali a garantire la prosperità economica.

Nell'estate 1976, agli esordi del primo governo della storia repubblicana tenuto in piedi dall’astensione del Partito Comunista - il cosiddetto governo della “non sfiducia” - la convergenza con i partner comunitari era di assoluta necessità. Il premier Andreotti, che guidava il nuovo esperimento governativo, nel suo discorso di insediamento alla Camera dei Deputati, esponeva chiaramente le ragioni per ricercare una simile comunione d’intenti:

Ibidem

194

G. Formigoni, L’Italia nel sistema internazionale cit., p. 294

195

Testi e Documenti della Politica estera italiana, “Discorso del ministro degli Esteri on.

196

Forlani al Senato (5 ottobre)”, Ministero degli Affari Esteri - Servizio Storico e Documentazione, 1976, p. 243

Nel campo internazionale ci si muove in un mondo che va verso una era di sempre maggiore interdipendenza. Questa interdipendenza tra nazioni legate da comuni interessi è tanto più rilevante per un Paese come il nostro, la cui sicurezza dipende da uno sforzo e da una organizzazione collettiva e che deve tendere, con la sua azione di politica estera ed in collaborazione con le grandi democrazie, a raggiungere essenziali obiettivi nazionali, quali l'espansione delle esportazioni, il pareggio della bilancia dei pagamenti e la sicurezza delle fonti di approvvigionamento .197

Se, agli inizi del decennio, la scelta tra politica mediterranea e politica continentale - l’eterno dilemma dell’Italia post-unitaria - aveva finalmente trovato la propria soluzione nella proiezione mediterranea della Comunità Europea, gli esponenti dei governi Andreotti dimostrarono di credere con convinzione in questa prospettiva. «L'Europa comunitaria non costituisce per noi un settore geopolitico a se stante. Essa trova infatti un suo naturale complemento nel Mediterraneo » continuava il 198

Presidente.

Come già durante la stagione morotea, gli appelli ai partner comunitari per accentuare la proiezione mediterranea tornavano ciclicamente negli interventi degli esponenti di governo. Il ruolo della politica estera italiana stava «nel trovare formule più organiche per i rapporti tra Europa ed il Mediterraneo, che non devono esaurirsi nell’allargamento graduale della comunità »: ecco perché nel 1978 Forlani, 199

ricordando il «duplice nesso inscindibile tra gli imperativi dello sviluppo e quelli della sicurezza, così come tra stabilità in Europa e stabilità nel Mediterraneo », invitava i 200

partner europei ad una più marcata collaborazione nella regione mediterranea. Dato che la CEE si era rivelata, a trent’anni dalla fine della guerra, come un’istituzione in grado di ridare prosperità economica e stabilità politica all’Europa occidentale, l’impegno italiano «a favore dell’ampliamento della Comunità, dell’approccio globale mediterraneo, del dialogo euro-arabo e della proiezione mediterranea della CSCE » trovava il suo significato nella completa fiducia nelle istituzioni 201

comunitarie.

Testi e Documenti della Politica estera italiana, “Dichiarazioni programmatiche del

197

Presidente del Consiglio Andreotti (4 agosto)”, Ministero degli Affari Esteri - Servizio Storico e Documentazione, 1976, p. 99

Ivi, p. 101

198

Testi e Documenti della Politica estera italiana, “Il ministro degli Esteri on. Forlani alla

199

Commissione Esteri della Camera dei Deputati (6 ottobre)”, Ministero degli Affari Esteri - Servizio Storico e Documentazione, 1976, p. 106

Testi e Documenti della Politica estera italiana, “UEO - Il ministro degli Esteri on. Forlani,

200

alla XXIV sessione ordinaria dell’Assemblea permanente (Parigi, 19 giugno)”, Ministero degli Affari Esteri - Servizio Storico e Documentazione, 1978, p. 119

Ibidem

Al centro della proiezione mediterranea della Comunità stava la questione maltese: nel 1979 le truppe britanniche avrebbero lasciato l’isola. Fin dai primi anni Settanta Malta invocava una stabilizzazione del Mediterraneo: piccola isola circondata da potenze politiche e militari ben più grandi, la questione della sua difesa e il timore di un avvicinamento all’orbita sovietica erano all’ordine del giorno sia in ambienti NATO che comunitari. L’Italia, in quanto paese europeo geograficamente più interessato alla questione della neutralità maltese, non poteva esimersi dall’intervenire. Forlani, rivolgendosi al Senato, constatava che «il problema, sia per la neutralità dopo il marzo 1979, sia per le esigenze economiche che sono state poste dal Governo di Malta, è che l'impegno dell'Italia non è sufficiente », auspicando perciò una «convergenza di altri paesi europei in una 202

considerazione positiva dell'impegno di neutralità di Malta e dei termini della sua garanzia ». Se i primi due anni degli esecutivi Andreotti si connotavano per un 203

“atteggiamento” in politica estera con cui l’Italia a più riprese denunciava l’impossibilità di un approccio unilaterale alle questioni internazionali, già l’anno successivo la situazione sembrava prendere un altro corso. Pur continuando ad sollecitare la partecipazione delle altre nazioni europee al nodo dell’assistenza economica e dello status di neutralità, il ministro dichiarava l’Italia pronta

ad assumere la [sua] parte di responsabilità e […] ove questa [la partecipazione degli altri paesi europei] non si determinasse, saremmo pronti, anche in via bilaterale, ad affrontare i problemi di una attiva collaborazione fra Italia e Malta con spirito amichevole e costruttivo . 204

Un cambio di rotta notevole, se si guarda alla serie di dichiarazioni rilasciate gli anni precedenti, tutte riguardanti l’assoluta necessità di una concertazione con gli altri paesi della Comunità. Una nuova assunzione di responsabilità, un nuovo “ruolo” per l’Italia? Senza volersi spingere troppo oltre sul piano delle valutazioni soggettive, le parole del presidente egiziano Sadat - che vanno comunque contestualizzate nel quadro dell’etichetta diplomatica - in visita a Roma il 13 febbraio 1978 sembrano confermarlo

«La convinzione che l’Italia è con noi, e ci appoggia ed opera in vista del successo del nostro scopo, è stata una delle ragioni della mia visita, così come la mano che vi tendiamo in segno di riconoscenza del ruolo dell’Italia che voi Testi e Documenti della Politica estera italiana, “l ministro degli Esteri Forlani al Senato

202

della Repubblica (19 ottobre)”, Ministero degli Affari Esteri - Servizio Storico e Documentazione, 1977, p. 100

Ibidem

203

Testi e Documenti della Politica estera italiana, “l ministro degli Esteri, on. Forlani al

204

Senato della Repubblica (16 luglio)”, Ministero degli Affari Esteri - Servizio Storico e Documentazione, 1978, p. 133

stessi avete proclamato e sul quale noi siamo d'accordo: e cioè che l’Italia è il ponte naturale tra il Medio Oriente e Europa occidentale. »205

L’importanza dell’Italia crebbe in seguito alla svolta decisiva del conflitto mediorientale: il viaggio di Sadat in Israele, compiuto il 19 novembre 1977. Nel suo discorso alla Knesset, il parlamento israeliano, il presidente della Repubblica Araba d’Egitto offriva unilateralmente la pace: una pace separata che non partiva dal concerto delle nazioni arabe e che si proponeva come coraggiosa avanguardia per far voltare pagina all’intero Medio Oriente . Se l’intero blocco occidentale guardò 206

con grande favore all’iniziativa del presidente egiziano, da parte araba le reazioni furono estremamente negative. Tutti gli stati arabi ruppero le proprie relazioni diplomatiche con l’Egitto, e la Lega Araba trasferì la propria sede dal Cairo a Tunisi. L’indignazione verso il trattato di pace - che sarebbe stato firmato l’anno successivo, il 17 settembre 1978, a Camp David - nascondeva una spaccatura tra un fronte moderato, guidato dall’Arabia Saudita, e un fronte «della fermezza», composto da Siria, Iraq, Algeria e Libia . 207

Dal canto suo, l’Italia intratteneva ottimi rapporti con l’Egitto sin dal tempo della rivoluzione nasseriana. I due paesi ebbero modo di riconfermare la stima reciproca durante una visita del presidente egiziano in Italia, nell’aprile del 1976. Durante i colloqui con il Presidente della Repubblica Leone, questi ebbe modo di ricordare come «nel 1952, [l’Italia] fosse stato il primo paese occidentale ad avviare col nuovo Egitto repubblicano consistenti rapporti di cooperazione finanziaria ». Il 208

rapporto con gli egiziani si era poi mantenuto costante nel tempo, al punto che Sadat indicò nell’Italia «il solo paese europeo dopo la Guerra dei Sei Giorni a non abbandonare l’Egitto ». Nel 1977, dieci giorni dopo il discorso alla Knesset di 209

Sadat, Forlani aveva grandi parole di elogio per il presidente egiziano:

Con la sua missione di pace a Gerusalemme, il presidente Sadat ha preso l'iniziativa per superare il fossato della reciproca diffidenza, avendo cura di non discostarsi dalle posizioni più largamente condivise dal mondo arabo. Egli ha confermato la consapevolezza che la pace, in Medio Oriente ancor più che altrove, è indivisibile e non può non comprendere il riconoscimento dei diritti del Testi e Documenti della Politica estera italiana, “EGITTO - Visita del Presidente della

205

Repubblica Araba d'Egitto Mohamed Sadat (Roma, 13 febbraio)”, Ministero degli Affari Esteri - Servizio Storico e Documentazione, 1978, p. 178

M. Emiliani, Medio Oriente cit., p. 220

206

Ivi, p. 222

207

Testi e Documenti della Politica estera italiana, “Visita ufficiale in Italia del Presidente

208

Sadat (5-8 aprile)”, Ministero degli Affari Esteri - Servizio Storico e Documentazione, 1976, p. 164

Ivi, p. 168

popolo palestinese. È indubbio altresì che il presidente egiziano, indicando con fermezza l'obiettivo di una «pace autentica», idonea a garantire l'esistenza di Israele in condizioni di sicurezza ed armonia con i suoi vicini, abbia saputo rendersi interprete di una esigenza storica e di una aspirazione profonda che non possono più essere contestate . 210

Il passo di Sadat avrebbe in effetti dato l’avvio ad una stagione di maggior sicurezza, da parte israeliana, della propria esistenza. La contropartita fu il ritiro delle truppe israeliane dalla penisola del Sinai, nei confini precedenti alla Guerra del 1967. Mancava però nell’accordo una risoluzione del problema palestinese: pure se ne venivano riconosciute da entrambi le parti «le legittime esigenze», non si andò oltre ad un generale richiamo alla loro autonomia . Il trattato di pace non prevedeva il 211

ritiro di Israele dai Territori Occupati, ed il Primo Ministro israeliano Begin non aveva alcuna intenzione di concedere loro altro che quel minimo di autonomia amministrativa già concessa dalla politica «dei ponti aperti» .212

L’Italia coltivava buoni rapporti anche con il resto dei paesi del Medio Oriente arabo. Esponendo alla Camera l’azione diplomatica del suo governo, Andreotti elencava gli incontri diplomatici avvenuti nel corso del 1977: le visite in Italia dei primi ministri siriano e libico, e quelle compiute da esponenti del Governo in Siria, Egitto, Libano, Arabia Saudita, Libia, Iran, Tunisia ed Iraq. Un’attività diplomatica particolarmente intensa, tesa a consolidare le «già ottime relazioni bilaterali» che il paese aveva intessuto nel corso degli anni .213

Obiettivo non secondario di questo attivismo era la risoluzione definitiva del conflitto arabo-israeliano che - per l’Italia - non poteva prescindere da una sistemazione della questione palestinese. Il Presidente del Consiglio si era espresso in proposito, esattamente un anno dopo la visita di Sadat a Gerusalemme. La posizione dell’Italia non era sostanzialmente mai cambiata, una volta tracciate le linee guida da Aldo Moro nel 1974: appoggio alle aspirazioni del popolo palestinese di avere una propria terra e, contestualmente, riconoscimento da parte araba del diritto all’esistenza di Israele. I suoi successori in politica estera - Rumor e Forlani - evitarono con cura di uscire dal solco dell’equilibrio tra i contendenti.

Da una parte, il refrain del concetto, ripetuto in ogni frangente in cui la questione mediorientale fosse al centro delle discussioni, finiva per costituire una