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Cap II L’opzione mediterranea, tra fedeltà atlantica e integrazione europea

2.2 La politica mediterranea del centro-sinistra

La stagione politica del centro-sinistra durò dal 1963, anno del primo governo repubblicano che includeva il Partito Socialista nella maggioranza dal 1946, al 1976, allorché venne varato il primo governo di “solidarietà nazionale” con l’appoggio esterno del Partito Comunista. Il profondo malessere sociale che scatenò l’esplosione della contestazione operaia e studentesca nel 1968, nonché l’affidamento del Ministero degli Esteri a personaggi meno interessati alle questioni esterne del paese, come Nenni e Saragat, probabilmente concorsero ad una stagione in cui l’azione internazionale dell’Italia risultò meno dinamica.

L’area mediterranea non era comunque stabile: la Guerra dei Sei Giorni del 1967 aveva ulteriormente problematizzato le possibilità di una coesistenza pacifica tra Israele e i vicini Stati arabi, mentre la rivoluzione in Libia del Colonnello Gheddafi del 1969 aveva sicuramente accentuato la distanza tra la sponda Nord e la sponda Sud del bacino. Il disimpegno americano dal teatro mediterraneo per via della concomitante Guerra del Vietnam e l’aumento della presenza navale sovietica dovuta alle tensioni tra Israele e i suoi vicini arabi contribuivano alla destabilizzazione della regione. Con il processo di decolonizzazione ormai nella sua fase conclusiva e la progressiva ritirata delle ex potenze coloniali, si prefigurava un pericoloso vuoto di potere che apriva scenari imprevedibili.

L’assegnazione del Ministero degli Esteri a Saragat nel 1963 segnò una battuta di arresto alla politica mediterranea condotta da Fanfani negli anni precedenti. Il capo del PSDI infatti era un convinto atlantista, al punto di considerare la NATO - rispetto alla Comunità Europea - l’elemento più importante della

P. Ignazi, F. Giacomello, F. Coticchia, Italian Military Operations cit., p. 32

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C. M. Santoro, Il Mediterraneo cit., p. 147

collocazione multilaterale italiana . Anche per questo, declinò la fedeltà atlantica in 111

una direzione di pedissequo allineamento, piuttosto che “ancoraggio”. Piuttosto che sviluppare un’autonomia grazie ad uno stretto rapporto con l’alleato maggiore - il piano di Fanfani almeno dal 1956 in poi - preferì potenziare i vincoli atlantici che legavano Italia e Stati Uniti. Anche dopo la sua elezione a Presidente della Repubblica nel 1964, Saragat si pose come il principale garante della collocazione internazionale dell’Italia. Stante una sua sincera volontà di proteggere l’esperimento del centro-sinistra dalle possibili obiezioni americane, l’ortodossia saragattiana ai dettami atlantici ridusse sicuramente l’elasticità della politica estera italiana. Una linea radicalmente diversa da quella portata avanti dal suo predecessore Giovanni Gronchi, Presidente della Repubblica dal 1955 al 1962 , che invece 112

riteneva che spettasse al Quirinale svolgere un ruolo attivo […] nel definire le direttive della politica estera nazionale. Egli [cercò] di esercitare la sua influenza per svincolare il Paese da una supina sudditanza agli Stati Uniti, sostenendo sul piano interno i progetti di un “apertura a sinistra” ed insistendo, su quello internazionale, per fare di Roma l’interlocutore privilegiato del mondo arabo .113

Il successore di Saragat alla Farnesina fu nuovamente Fanfani, il cui merito decisivo fu nell’imperniare la politica mediterranea degli anni successivi su tre pilastri fondamentali: primo, la politica dell’equilibrio, cioè la capacità di mantenere stretti rapporti con il mondo arabo e al contempo fedeltà al blocco occidentale;

secondo, una politica di rigorosa equidistanza tra le parti coinvolte nel conflitto

arabo-israeliano; terzo, il costante ricorso all’ONU come istituzione multilaterale di riferimento per la risoluzione delle controversie internazionali. Da questi tre pilastri, stabiliti nella seconda metà degli anni Sessanta, non si sarebbero discostati in maniera significativa i successori del politico aretino alla guida del Ministero degli Esteri per lo meno fino al 1974. Su due punti almeno Fanfani si mostrava meno docile di Saragat in quanto ad approvazione della condotta statunitense agli inizi della distensione: il coinvolgimento americano nel conflitto indocinese e il supporto senza compromessi ad Israele nella Guerra dei Sei Giorni.

La guerra nel Vietnam poneva due problematiche al politico aretino: da una parte, l’avversione che l’opinione pubblica dimostrava nei confronti del conflitto rendeva complesso per il governo di centro-sinistra appoggiare la linea degli Stati Uniti senza offrire il fianco al PCI nella contestazione dell’imperialismo occidentale.

F. Imperato, Tra equidistanza e filoarabismo cit., p. 52

111

Saragat era stato eletto Presidente dopo la breve parentesi di Antonio Segni

112

(1962-1964), dimissionario dopo appena due anni per ragioni di salute.

F. Onelli, L’Italia e la crisi di Suez del luglio 1956: potenzialità e limiti del neo-atlantismo, in

113

M. Pizzigallo (a cura di), Cooperazione e relazioni internazionali: studi e ricerche sulla politica estera italiana nel secondo dopoguerra, FrancoAngeli, Milano, 2008, p. 73

In particolare, la componente socialista della maggioranza era in seria difficoltà al riguardo, poiché si vedeva scavalcare a sinistra dai comunisti senza riuscire ad offrire un’alternativa credibile al comune elettorato di riferimento. D’altro canto, il conflitto nel Sud Est asiatico ormai focalizzava la quasi totalità delle attenzioni dell’amministrazione e la allontanava sempre di più dalle problematiche europee. Le forze più “atlantiste” della società italiana mostravano dunque segni di preoccupazione, in quanto temevano una maggiore vulnerabilità dell’Europa alle strategie di penetrazione del blocco comunista nella regione, Mediterraneo in

primis .114

Allo stesso modo, la diversità di vedute tra Washington e il Ministro degli Esteri italiano si accentuò in seguito allo scoppio del terzo conflitto arabo-israeliano. Il massiccio coinvolgimento delle superpotenze - decisamente superiore a quello avvenuto nel 1956 - ribadì ancora una volta come il Medio Oriente si stesse configurando come rilevante teatro di scontro tra Stati Uniti e Unione Sovietica. Se questa nuova competizione sembrava risparmiare gli europei dalle conseguenze dirette del conflitto bipolare, essi venivano comunque coinvolti in quelle indirette: le tensioni di una regione contigua e cruciale per gli approvvigionamenti energetici e le tratte commerciali colpivano le economie e le società europee, drammaticamente vulnerabili alla destabilizzazione.

La conseguente chiusura del Canale di Suez - la rappresaglia inevitabile dell’Egitto nasseriano - comportava notevoli danni all’economia italiana, e Fanfani si pose quindi in prima linea nel fronte del dialogo con i paesi arabi definiti “radicali” . 115

Con il duplice obiettivo di garantire la libera circolazione nelle vie di accesso al Mediterraneo e di limitare quanto più possibile ogni ulteriore avvicinamento degli avversari di Israele ai sovietici, la sua linea politica puntava a moderare l’acquisizione israeliana di territori e a porsi come mediatore tra le parti, non rifiutando di avere contatti con quelle nazioni arabe che da tempo avevano pessimi rapporti con il blocco occidentale - Algeria ed Egitto tra tutti .116

Le divergenze tra il Ministro degli Esteri e l’amministrazione USA comunque non giunsero mai a rotture insanabili: lo stretto rapporto con gli Stati Uniti rimaneva il cardine della politica estera italiana, poiché era visto dai partiti della maggioranza di governo come la più solida garanzia degli equilibri interni del paese.

A. Varsori, L’Italia nelle relazioni internazionali dal 1943 al 1992, Laterza, Bari, 1998, p.

114

162

Per “radicali” si intende quegli Stati arabi che mostravano profonda avversione per

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l’Occidente - identificato nei paesi europei ex-colonialisti, negli Stati Uniti e in Israele - rispetto agli Stati arabi “moderati”, cioè più propensi al colloquio. Nei primi si può identificare l’Algeria, la Siria e l’Iraq, mentre nei secondi l’Arabia Saudita, il Marocco e l’Egitto dopo gli Accordi di Camp David del 1979.

Ivi, p. 165

Le varie anime che la componevano tendevano però a declinarlo in politica interna in due diverse linee d’azione: una prima puntava all’allineamento per avere più autonomia - corrente fanfaniana della DC e PSI tra tutti - mentre una seconda intendeva utilizzarlo per limitare l’influenza delle correnti di sinistra interne alla maggioranza parlamentare .117

La contrapposizione della guerra dei Sei Giorni non risparmiò neanche la maggioranza di governo, provocando seri contrasti tra le diverse anime che la componevano. Due fronti si dividevano, ricalcati sugli schieramenti che si fronteggiavano in Medio Oriente: da una parte Fanfani e la sinistra del PSU guidavano la fazione pro-araba del governo, mentre dall’altra i repubblicani sostenevano senza riserve Israele, così come la componente socialdemocratica e i nenniani . Nel tentativo di superare l’impasse - con Nenni che addirittura 118

minacciava un eventuale crisi di governo - Fanfani trovò una formula che sarebbe riuscita a placare gli accesi animi della maggioranza: l’appello alle Nazioni Unite affinché si costituissero come esclusivo foro negoziale per la risoluzione della controversia. Il favore unanime per la cooperazione internazionale costituiva dunque una convergenza tra forze politiche repubblicane, poiché meglio si adattava ad un paese che difettava di una identità geopolitica ben chiara e non aveva ancora la vocazione per una politica estera forte . L’appello costante all’ONU, oltre a 119

ricomporre le divergenze interne alla maggioranza puntava inoltre a neutralizzare la tentazione delle grandi potenze di escludere gli attori minori dai processi decisionali. L’intento però non era destinato a riuscire: l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite si rivelò infatti incapace di concordare una risoluzione condivisa, e dunque l’iniziativa passò al Consiglio di Sicurezza, che elaborò la controversa Risoluzione 242 del 22 novembre 1967. Per Aldo Moro, succeduto a Pietro Nenni alla Farnesina con la formazione del secondo Governo Rumor il 6 agosto 1969, l’impasse dell’Assemblea Generale segnava l’estrema difficoltà per gli attori minori dello scenario internazionale di porsi allo stesso piano delle grandi potenze, le quali dimostravano sempre di più di essere l’arbitro delle controversie internazionali .120

Il persistente vuoto di potere, dovuto al drastico ridimensionamento del ruolo delle ex potenze coloniali nel bacino nel 1956, aveva aperto ad un periodo di incerta egemonia statunitense. Ma il crescente impegno militare nella guerra nel Vietnam aveva sensibilmente diminuito il coinvolgimento americano nella regione

Ivi, p. 166

117

L. Riccardi, Il problema Israele. Diplomazia italiana e PCI di fronte allo stato ebraico

118

(1948-1973), Edizioni Angelo Guerrini, Milano, 2006, p. 212

L. Tosi, La strada stretta. Aspetti della diplomazia multilaterale italiana (1971-1979), in A.

119

Giovagnoli, S. Pons (a cura di), L’Italia repubblicana cit., p. 242 F. Imperato, Tra equidistanza e filoarabismo cit., p. 71

mediterranea per tutti gli anni Sessanta. I sovietici ne avevano approfittato, raddoppiando nel giro del solo 1967 la propria presenza navale nell’area . 121

In questo quadro di instabile ristrutturazione degli equilibri regionali, l’uscita della Francia dal dispositivo integrato NATO nel 1966 rendeva l’Italia l’anello centrale del dispositivo di difesa dell’alleanza nel suo Fianco Sud . 122

Fu dunque durante la guida di Moro alla politica estera nazionale che la proiezione mediterranea dell’Italia si accentuò : tra le principali cause, l’apparente 123

impossibilità di ricomposizione del conflitto arabo-israeliano. Il politico pugliese, alle sue prime esperienze come Ministro degli Esteri, confermò in linea di massima le scelte politiche di Fanfani ed i suoi tre pilastri, imprimendo però una svolta decisiva alla strategia dell’ancoraggio messa in atto dai suoi precursori.

Già dal 1971, le divergenze di vedute con l’amministrazione USA si erano rivelate più profonde che quelle dei predecessori : Moro si risolse quindi di puntare sulla 124

Comunità Economica Europea - possibile quarto polo dell’ordine internazionale 125

che sembrava profilarsi in seguito alla distensione - per garantire la necessaria copertura multilaterale alla politica estera nazionale, e ad un rafforzamento della cooperazione italo-araba . Negli anni seguenti, ancoraggio alla CEE e rapporti 126

bilaterali con gli stati arabi avrebbero costituito i principali binari della politica mediterranea italiana. D’altronde, la fusione tra processo di integrazione europea e collaborazione con gli stati rivieraschi era alla base dell’allora nascente politica mediterranea comunitaria - di cui Moro fu deciso supporter durante la sua intera permanenza alla Farnesina.

Volendo tracciare un bilancio della politica estera del centro-sinistra, l’opinione degli storici negli anni successivi è stata piuttosto severa . Ai governi di 127

quella stagione si imputava infatti di aver tentato costantemente di utilizzare le dinamiche internazionali per risolvere le problematiche interne al paese. La stessa accettazione del PSI della collocazione internazionale dell’Italia - e di conseguenza della partecipazione al dispositivo militare della NATO - si accompagnava ad un’interpretazione strettamente difensiva dell’Alleanza Atlantica. Timorosi di sbilanciarsi eccessivamente in senso filo-occidentale, ma bisognosi

S. Silvestri, M. Cremasco, Il Fianco Sud cit., p. 81

121

F. Imperato, Tra equidistanza e filoarabismo cit., pp. 72-75

122

Ibidem

123

A. Varsori, L’Italia cit., p. 181

124

Oltre all’Alleanza Atlantica, al Patto di Varsavia e al Movimento dei Non-Allineati.

125

F. Imperato, Tra equidistanza e filoarabismo cit., p. 75

126

E. Di Nolfo, Dieci anni di politica estera italiana in N. Ronzitti (a cura di), La politica estera

127

italiana. Autonomia, Interdipendenza, Integrazione e Sicurezza, Edizioni di Comunità, Roma, 1977, pp. 109-112

dell’approvazione statunitense per la partecipazione alla maggioranza, i socialisti guidati da Nenni ritenevano di aver tenuto una posizione non condizionata. Ma in verità questa interpretazione era invece «l’espressione naturale dell’affermarsi della politica di distensione succeduta alla crisi cubana, allorché [...] la Guerra Fredda era finita e incominciava l’epoca del condominio bipolare » e quindi una dinamica 128

storica del tutto indipendente dalla volontà italiana. Essendo il processo di distensione a rilassare le tensioni ideologiche tra gli schieramenti, era esso stesso a permettere una partecipazione delle forze di sinistra moderate ai governi del blocco occidentale. Ecco quindi come la “moderazione” fosse in definitiva un vincolo esterno, piuttosto che una sincera volontà interna, con il risultato che la permeabilità delle coalizioni di governo finì per l’aumentare anziché diminuire. In questa ragnatela di vincoli e limitazioni, che probabilmente dà ragione alla valutazione di Antonio Varsori quando scrive di «una politica estera in tono minore », l’Italia doveva 129

affrontare le conseguenze devastanti del terzo conflitto in Medio Oriente.

All’affacciarsi degli anni Settanta il Mediterraneo e il processo di integrazione europea avrebbero concentrato su di sé le maggiori attenzioni del mondo politico, conscio che la CEE costituiva probabilmente la migliore carta da giocare per l’autonomia regionale, nel mondo multipolare della distensione. Se quindi «fino alla fine degli anni Sessanta l’Italia non fece nulla per integrare politica mediterranea e politica europea », la distensione e il multipolarismo sembrarono offrire la 130

possibilità di un’agognata sintesi. Si può concordare dunque con Leopoldo Nuti quando afferma che

alla fine degli anni Sessanta si era affievolita la tendenza a cercare le soluzioni per i problemi di politica estera dell’Italia mediante il quasi istintivo affiancamento agli Stati Uniti che aveva caratterizzato i periodi precedenti […] L’Italia si trovava [quasi] costretta a seguire una linea più indipendente e vagamente più improntata alla difesa del interessi nazionali .131

Ivi, p. 109

128

A. Varsori, L’Italia cit., p. 156

129

E. Calandri, Europa e Mediterraneo, tra giustapposizione e integrazione in M. De

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Leonardis (a cura di), Il Mediterraneo cit., p. 53

L. Nuti, Le relazioni tra Italia e Stati Uniti agli inizi della distensione, in A. Giovagnoli, S.

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