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3.4 “Indirizzi di Politica Militare” Lelio Lagorio (1980)

3.4.2. Il ruolo italiano: l’orizzonte allargato della politica di difesa

La seconda premessa degli intenti di Lagorio era la necessità, per l’Italia, di essere dotata di un dispositivo militare quanto più possibile auto-sufficiente. Non era possibile «far dipendere la nostra sicurezza esclusivamente da elementi esterni alla sovranità nazionale» , come era stato fintanto che “l’ombrello atomico” 367

statunitense garantiva l’assoluta superiorità rispetto a qualsiasi tipo di minaccia esterna. Nel 1980, nel quadro sempre più deteriorato delle relazioni Est-Ovest,

La dimostrazione di una chiara, coerente e autonoma assunzione dei propri doveri [militari], oltre che conferire prestigio al nostro Paese, darà peso ed autorevolezza alle nostre iniziative verso il disarmo e la distensione .368

Al di fuori della cornice bipolare, l’Italia aveva anche un altro ruolo geopolitico ben preciso da svolgere: l’obiettivo - costantemente ricordato dai vari esponenti governativi nel corso degli anni precedenti - di una definitiva stabilizzazione della regione mediterranea. A tale proposito, le parole del Ministro esprimevano con chiarezza la sua intenzione di porre il Ministero della Difesa al servizio di questa “missione”:

L. Lagorio, Indirizzi di politica militare cit., p. 26

365 Ivi, p. 27 366 Ivi, p. 81 367 Ivi, p. 14 368

Il Ministero della Difesa è intenzionato a dare il massimo contributo perché il nostro Paese acquisisca e sviluppi un ruolo catalizzante degli interessi regionali per contribuire con gli altri Paesi mediterranei […] alla realizzazione di un più stabile equilibrio nell’area al fine di una garantita sicurezza comune .369

D’altronde, lo status dell’Italia appariva mutato ai suoi occhi. Rispondendo ai commenti dei membri della Commissione Difesa della Camera, il 25 giugno 1980, Lagorio affermò che i presupposti oggettivi per un maggiore assunzione di responsabilità nella regione c’erano tutti: l’Italia infatti era «la 6a potenza industriale del mondo, una potenza ad alto livello tecnico-economico senza vincoli o appesantimenti da grande potenza o da potenza egemonica o sub-imperialista» , 370

a cui si sommava la dimostrata capacità di poter interloquire con tutti gli attori regionali, al di fuori di pregiudizi ideologici . 371

In aggiunta, l’autosufficienza delle Forze Armate doveva esprimere una linea di «rifiuto della subalternità come della neutralità» , al servizio dell’interesse 372

nazionale. Quello che Lagorio rivendicava dunque era un «un nostro impegno e un nostro ruolo (politico innanzi tutto e poi anche militare) nel Mediterraneo» , in 373

risposta alle affermazioni del Capo di Stato Maggiore degli Stati Uniti riguardo all’Italia come “portaerei del Mediterraneo”. Una visione decisamente in controtendenza con quella espressa da Giorgio Galli appena tre anni prima, quando questi parlava di un contributo militare alla NATO ridotto ai minimi termini, di stampo puramente logistico e difensivo . La stessa retorica dell’interessa nazionale, per 374

anni sostanzialmente esclusa dal dibattito politico, poiché largamente identificata con il passato Ventennio fascista , veniva ora rivendicata da Lagorio a sostegno 375

del rinnovato ruolo che l’Italia doveva assumere nel bacino mediterraneo.

L’indipendenza delle Forze Armate non passava soltanto dalle strategie operative, o dal loro utilizzo in chiave “nazionale” piuttosto che esclusivamente multilaterale. Un aspetto fondamentale era costituito anche dal retroterra logistico del comparto militare: rifornimenti, riparazioni, ricerca e sviluppo. Che ci fosse una compenetrazione tra sviluppo industriale e ristrutturazione militare era già stato chiarito con le leggi promozionali del 1975 e 1976, tutte a firma congiunta dei

Ivi, p. 17

369

Ivi, p. 88

370

Come descritto nel capitolo precedente, a proposito dell’incarico, assegnato all’Italia dal

371

presidente egiziano Sadat e il omologo americano Carter, di avviare una serie di incontri diplomatici con le nazioni arabe riunite nel “Fronte del Rifiuto”.

Ivi, p. 96

372

Ivi, pp. 91-92

373

G. Galli, Il sistema politico italiano e la politica estera cit.

374

A. Panebianco, Guerrieri democratici cit., pp. 232-250

Ministri della Difesa e dell’Industria. Ma se queste ponevano l’enfasi sui miglioramenti del dato occupazionale, in un’ottica incentrata più sui vantaggi sociali (welfare) che sull’efficienza militare (warfare), il proposito del ministro Lagorio, chiaramente illustrato nella relazione, era di «pervenire ad una vera e completa aerea industriale della Difesa», con il fine di «migliorare la funzionalità e garantire il più prontamente possibile l’assolvimento del compito istituzionale delle Unità combattenti» . In ballo c’era la dipendenza delle Forze Armate da forniture e 376

tecnologie estere, quando è tuttora il campo dell’aggiornamento tecnico a determinare la possibilità, per il dispositivo militare, di essere in grado affrontare efficacemente le diverse tipologie di minaccia.

La strutturazione di un settore industriale statale completamente dedicato alle esigenze di sicurezza nazionali era dunque una tappa fondamentale del percorso che Lagorio intendeva far intraprendere alla politica di difesa nazionale. Questo comportava «il problema se la Difesa [potesse] o no proporsi come istituzione che si prefigge anche funzioni di promozione industriale» : una domanda alla quale il 377

ministro rispondeva affermativamente. Ecco che il comparto della difesa travalicava gli stretti limiti concepiti fino ad allora per allargare il proprio campo d’azione ad altri settori ugualmente cruciali per lo Stato. Il Ministero, nella sua opera di promozione, poteva diventare anche funzionale alla proiezione estera dell’industria nazionale. Poiché circa l’80% della produzione industriale delle aziende fornitrici delle Forze Armate doveva essere collocata all’estero, era necessario che il Governo sostenesse le strategie di penetrazione sui mercati in maniera attiva . Il documento si 378

esprimeva quindi anche sul tema delicato del commercio di materiale militare con l’estero, fissando due principi non negoziabili:

a) la promozione è consentita per materiale che presenta spiccatissimi e prevalenti caratteri difensivi;

b) La promozione non avviene indiscriminatamente nel «vuoto» internazionale, ma tiene conto delle esigenze du politica estera del nostro Paese, ispirata innanzi tutto al mantenimento degli equilibri esistenti e al miglioramento delle relazioni con Paesi amici.

La relazione proposta alle Commissioni stabiliva dunque che esistevano possibili connessioni su diversi livelli tra politica di difesa, politica estera e politica industriale. La politica militare non doveva essere concepita come un campo “chiuso”, ma piuttosto come un’istituzione aperta alle contaminazioni e promotrice di una capacità di intervento a 360º nella vita politica nazionale e internazionale. Gli “Indirizzi di politica militare” di Lagorio riuscivano dunque ad innestarsi sia sul

L. Lagorio, Indirizzi di politica militare cit., p. 35

376

Ibidem

377

Ivi, p. 36

sentiero tracciato dalle istituzioni politiche che da quello afferente alla difesa, compiendo un’effettiva sintesi che avrebbe cambiato l’approccio italiano alle questioni di politica estera e di sicurezza.

L’enfasi posta sul “ruolo” italiano nella regione aveva una filiazione diretta con l’approccio diplomatico della Farnesina fin dal 1973. A supporto di questo ruolo il ministro intendeva dispiegare i mezzi dell’apparato militare, fino ad allora non sufficientemente impiegati, unendo due percorsi che fino ad allora avevano proceduto paralleli, pur puntando allo stesso obiettivo: il Mediterraneo. La «riscoperta» del bacino era infatti avvenuta gradualmente, sia sotto la spinta di dinamiche esterne che per la crescente determinazione mostrata negli anni dalla classe politica di muoversi attivamente nella regione . Se già nel testo 379

“Orientamenti e Prospettive” si evocava la necessità dell’autosufficienza militare del Paese, nel 1980 Lagorio arrivava a indicare questa auto-sufficienza come la conditio

sine qua non della sopravvivenza economica e politica della nazione. Questa

veemenza - nei toni e nelle intenzioni - può essere imputata alla personalità del ministro: in effetti la più marcata differenza di Lagorio rispetto ai suoi predecessori stava nel suo esprimere chiaramente ciò che essi si limitavano a suggerire o lasciare intendere. Questo tratto della sua personalità non lo rendeva comunque un “falco” della compagine governativa, come invece affermavano diversi esponenti delle opposizioni. Egli infatti non mancava di ribadire la «subordinazione» della politica militare a quella estera, ma sottolineava come essa potesse - e dovesse - concorrere a sostenere l’azione della diplomazia nazionale . Il primato del 380

“politico” sul “militare” era dovuto al fatto che fosse «impossibile elaborare indirizzi di politica di difesa senza «mettere bene in chiaro quale [fosse] il quadro complessivo di politica internazionale che il Paese si da[va]» .381

Il carattere di continuità rispetto ai documenti del 1973 e del 1977 nella relazione di Lagorio era dunque forte, per una serie di fattori teorici e pratici individuati negli anni precedenti a partire dai quali desumere le proprie riflessioni: il mutamento della «minaccia» che si trasformava in una pluralità di «rischi»; la necessità di un adeguamento delle Forze Armate rispetto a questo mutamento; il forte legame che esisteva tra ristrutturazione militare ed economia nazionale; la capacità del dispositivo militare di promuovere l’interesse nazionale. La sintesi tra sicurezza, autonomia e proiezione regionale era rivendicata dal ministro stesso, in conclusione alla relazione:

Uno strumento militare non è mai, di per sé, una forza reale; lo diventa - e la forza viene posta al servizio esclusivo del paese - se lo strumento militare è M. Cremasco, La politica militare italiana nel Mediterraneo cit., p. 99

379

http://legislature.camera.it/_dati/leg08/lavori/Bollet/19810414_00_03.pdf, ultimo accesso

380

10.06.2019

L. Lagorio, Indirizzi di politica militare cit., p. 94

sostenuto dall'interesse della Nazione e se è guidato da una volontà politica adeguata. È la volontà politica che trasforma lo strumento militare in un mezzo atto a tutelare gli interessi nazionali e […] soprattutto conferisce credibilità alle capacità dello strumento militare e ne dà una connotazione in chiave operativa, secondo gli indirizzi di politica generale .382

Lagorio, alla luce di queste dichiarate intenzioni, avrebbe poi indirettamente impresso una svolta alla politica estera italiana, mettendo alla prova sul campo la ristrutturazione operativa e strategica delle Forze Armate in corso dalla metà degli anni Settanta.

Ivi, p. 81

IV. Conclusioni

L’interrogativo che è stato posto all’inizio di questa tesi - quali fossero le motivazioni per cui l’Italia scelse di intervenire in Sinai ed in Libano nel 1982 - si intreccia inevitabilmente con altri. Si è dunque verificata, dall’interrogativo principale, una diffusione rizomatica di domande che hanno allargato lo spettro della ricerca. L’obiettivo finale è diventato dunque poter dare una risposta “diffusa”, che tenesse conto dei nuovi elementi suscitati dalla ricerca e dall’analisi documentale. Essa infatti non poteva non includere risposte ad altri interrogativi. Ad esempio, c’è stata coerenza tra l’aspetto intrinsecamente militare delle missioni e le direttrici di politica estera nazionali? Gli obiettivi di politica regionale - per come dichiarati dalla classe di governo - potevano dirsi raggiunti con le scelte compiute a partire dagli inizi degli anni Ottanta? In altre parole, le scelte compiute nel bacino mediterraneo dal 1982 in poi si innestavano su di un congruente percorso politico-strategico, oppure potevano ascriversi semplicemente ad una diversa caratura dei soggetti politici che le misero in atto?

Il primo è relativo alla “compenetrabilità” tra politica estera e politica di difesa. Il secondo alla questione della “continuità”, così spesso ricordata nel corso di questa tesi. Obiettivo di questa tesi è stato infatti dimostrare la rilevanza disia della politica estera sia di quella di difesa per un’analisi della politica mediterranea dell’Italia nel corso degli anni Settanta e Ottanta. Due fattori fino ad ora non sufficientemente considerati nella ricerca storica e politologica, che si è dedicata o all’una o all’altra.Questo studio “parallelo” ha sicuramente prodotto lavori di altissimo valore accademico, ma d’altra parte ha incentivato la compartimentazione. Questa stessa tesi risente, da un certo punto di vista, di questa impostazione: infatti, all’analisi della politica estera e di difesa sono dedicati due diversi capitoli. È intento di questa conclusione operare dunque una “sintesi” in grado di superare definitivamente questo approccio.

L’elemento della “continuità” è invece decisivo per contestualizzare e giustificare le scelte in politica estera e politica militare compiute negli anni Ottanta. Quanto di ciò che è stato compiuto dal 1982 in poi sarebbe stato possibile senza i contributi politici, strategici e operativi compiuti nel decennio precedente? La risposta, che verrà giustificata nel corso di queste pagine sulla base di quanto esaminato nei capitoli precedenti, non può che essere una sola: ben poco sarebbe stato possibile. Ripercorrendo più concisamente quanto esposto in precedenza, si potrà dunque fornire un’interpretazione che integri le scelte di politica regionale e politica militare, dimostrando come esse furono al contempo influenzate sia dalle dinamiche dell’ordine internazionale che da autonome volontà della classe di governo.

L’approccio italiano al Mediterraneo subì una svolta decisiva a partire dal 1973. A livello internazionale, lo scoppio della Guerra del Kippur comportò una profonda destrutturazione degli equilibri regionali. A questo concorsero altri fattori di

natura esterna allo scenario politico domestico, in primis il processo di distensione tra le due superpotenze allora in corso. Con l’inizio della CSCE e la cristallizzazione delle sfere di influenza nell’Europa continentale, Stati Uniti e Unione Sovietica spostarono la propria competizione per l’egemonia nel Mediterraneo. Nel 1980, questa competizione poteva dirsi sostanzialmente vinta dagli statunitensi, poiché il dispiegamento navale sovietico nella regione era in costante riflusso, parallelamente ad un riorientamento strategico dell’URSS sul Fronte Centrale. Agli inizi del nuovo decennio dunque, le sfide alla sicurezza dei paesi rivieraschi non erano più dovute alla “minaccia” da Est, ma all’emergere di una serie di “rischi” riconducibili alle sponde orientale e meridionali del mar Mediterraneo: terrorismo, pirateria, embargo energetico, sky e sea denial, conflitti aperti e instabilità latenti. Fu proprio Lelio Lagorio a sottolineare senza mezzi termini i cambiamenti in corso, in audizione davanti alla Commissione Difesa della Camera dei Deputati il 13 ottobre 1982:

L’Alleanza non esaurisce e non può esaurire la politica italiana. Il nostro paese, come ogni altro paese libero e sovrano, persegue infatti una «sua» politica che, se in buona misura coincide con quella atlantica, non necessariamente collima con quest’ultima in tutte le azioni reali, e soprattutto è indipendente e autonoma da essa per quanto riguarda tutti i territori non coperti dal Patto Nord-Atlantico. A differenza di quanto avveniva fino alla metà degli anni ’70, inoltre, per i mutamenti di situazioni nel frattempo avvenuti, l’Alleanza non offre più una totale garanzia di difesa al nostro paese .383

L’Italia, al pari degli altri paesi euro-mediterranei, manifestava apertamente la preoccupazione dei paesi rivieraschi verso la recrudescenza del conflitto bipolare, che veniva indicato come concausa dell’aggravarsi delle instabilità regionali . 384

Contro questa instabilità, le cui manifestazioni in larga parte si situavano al di fuori dell’area di intervento stabilita dai Trattati dell’Alleanza Atlantica - e di conseguenza al di fuori della cornice dello scontro bipolare - era necessaria un’intensificazione della concertazione politica e militare dei paesi europei, i più direttamente esposti ai “rischi” provenienti dalla sponda meridionale .385

La politica mediterranea italiana dunque doveva inserirsi - negli intenti dei suoi protagonisti - all’interno di un più vasto approccio coreografico condotto dai Nove membri della Comunità Europea. A livello regionale, il processo di integrazione europea veniva visto dall’Italia come la migliore carta da giocare per un’azione

http://legislature.camera.it/_dati/leg08/lavori/Bollet/19821013_00_08.pdf, p. 79. Ultimo

383

accesso del 21 giugno 2019.

Testi e Documenti della Politica Estera Italiana, “Intervento del ministro della Difesa on.

384

Lagorio alla seconda riunione della XXVII Assemblea Parlamentare dell’UEO (Parigi, 1-3 dicembre)”, Ministero degli Affari Esteri - Servizio Storico e Documentazione, 1981, pp. 493-497

Ivi, p. 497.

quanto più autonoma possibile nel proprio contesto geopolitico di competenza. A metà degli anni Settanta, quando, per via del processo di distensione, la possibilità dell’Europa di porsi come quarto polo dell’ordine internazionale appariva come una concreta possibilità, il Mediterraneo veniva considerato come il naturale luogo d’elezione per una politica “di potenza” da parte dell’Europa comunitaria. L’Italia fu tra i membri più entusiasti della politica mediterranea condotta dalla CEE, che al contrario incontrò costantemente una ferma opposizione da parte del leader del blocco occidentale: gli Stati Uniti d’America. Nel corso del decennio furono diversi i motivi di frizione tra gli alleati “atlantici”, per lo più ascrivibili alle diverse opinioni sulle strategie da adottare per neutralizzare l’instabilità della regione mediterranea. Se infatti persisteva una tendenza teorica che accreditava la responsabilità della regione ai paesi europei , questa veniva puntualmente contraddetta nella pratica 386

dalla ripetuta indipendenza con cui gli Stati Uniti decidevano le proprie strategie nell’area. Perciò l’Europa, come soggetto politico unitario, si ritrova nella condizione di poter unicamente «reagire alle evoluzioni del bacino, che lei stessa non aveva contribuito ad alimentare» , invariabilmente frustrando le proprie velleità di 387

proiezione regionale. Nel 1981, quando i vari tentativi di approccio multilaterale comunitario nell’area potevano dirsi sostanzialmente falliti, veniva descritta in questo modo la desolante condizione della politica mediterranea della CEE:

I paesi europei occidentali, nonostante la loro potenzialità economica, hanno visto ridursi il loro ruolo di protagonisti sullo scacchiere mondiale. La recrudescenza del confronto Est-Ovest e la crisi della distensione, hanno influito in modo negativo sui nostri paesi. Una delle conseguenze più gravi di questa situazione è rappresentata dal ripiegamento degli europei su loro stessi e dalla loro disattenzione nei confronti di situazioni regionali esterne. Accade così che i paesi europei spesso cercano di intervenire in situazioni irreversibili a posteriori e solo quando avvenimenti decisivi pongono in modo del tutto evidente problemi di sicurezza . 388

In questo scenario di pesanti condizionamenti - e di notevoli opportunità - nello scenario internazionale e regionale, come giocava l’Italia la propria partita nel Mediterraneo? Per rispondere a questa domanda, mi baserò su quanto rilevato nei capitoli concernenti la politica estera e la politica di difesa nazionali. Utilizzerò però un approccio differente, in linea con l’obiettivo dichiarato di superare l’impostazione “parallela” per adottarne una “diacronica”. Comincerò impostando una

In parte anche dovuta alla Dottrina Nixon, che delegava il compito di garantire la stabilità

386

regionale agli alleati minori, contestualmente ad un progressivo sganciamento degli Stati Uniti dalle conflittualità periferiche alla propria sfera di influenza.

S. Silvestri, M. Cremasco, Il Fianco Sud cit., p. 55

387

Testi e Documenti “Lagorio - UEO (1-3 dicembre)”, 1981 cit., p. 496. I corsivi sono

388

periodizzazione dell’arco di tempo preso in esame, che ritengo suddivisibile in tre distinte fasi. Ognuna di queste tre fasi è stata contrassegnata da specifiche direttrici nell’azione internazionale e contributi teorici di natura strategico-militare. Questa periodizzazione permetterà di confrontare direttamente le evoluzioni e i mutamenti incorsi sia in politica estera che in politica militare, raggiungendo così lo scopo prefissato di verificare l’effettiva “compenetrabilità” tra le due. La prima fase va dal 1973 al 1976, e fu caratterizzata dall’impostazione che Aldo Moro diede alla politica mediterranea dell’Italia, mentre sulla «Rivista Marittima» veniva dato alle stampe, nel dicembre 1973, l’articolo “Prospettive e Orientamenti”, a firma del Capo di Stato Maggiore della Marina. La seconda fase, che coincide con la stagione dei governi di solidarietà nazionale, si pose nel solco della continuità rispetto al sentiero tracciato dallo statista pugliese in politica estera, mentre sul piano della riflessione strategica vide l’avvento del primo documento prodotto in ambito ministeriale con il proposito di sistematizzare la situazione globale delle Forze Armate: il Libro Bianco della Difesa del 1977. La terza e ultima fase, compresa tra il primo governo Cossiga del 1979 e la nomina di Giovanni Spadolini nel 1981, può essere definita come quella 389

della “capitalizzazione” dei propositi e degli obiettivi di politica estera stabiliti nel corso degli anni Settanta. Anche sul piano militare, questo fu il periodo in cui i risultati della “ristrutturazione” avviata nel 1975 vennero messi alla prova , proprio 390

con le missioni militari compiute in Sinai e in Libano . Vi furono dunque una prima 391

fase di impostazione, una seconda fase di cerniera ed una terza fase di verifica, per quanto riguarda l’interrelazione tra azione internazionale e strategia militare dell’Italia a cavallo tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta.

Nella prima fase, a livello politico si consolidò la direttrice del consolidamento della coesistenza pacifica come soluzione per il superamento del bipolarismo, con l’obiettivo a lungo termine dell’autonomia. Questo obiettivo era al centro delle riflessioni del “Libro Bianco della Marina”: un’autonomia che doveva puntare al massimo grado possibile di stabilizzazione della regione mediterranea. Sia il mondo politico che quello militare concordavano inoltre su di una interpretazione