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La conclusione dell’ Accordo De Gasperi – Gruber ed il decreto di revisione delle Opzion

LA REVISIONE DELLE OPZION

3. La conclusione dell’ Accordo De Gasperi – Gruber ed il decreto di revisione delle Opzion

La deliberazione, assunta il 24 giugno 1946 dalla Conferenza dei ministri degli esteri, che chiudeva la vertenza dei confini settentrionali assegnando il Sudtirolo all’ Italia, faceva cadere

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la tesi dell’ autodeterminazione. Si rafforzava invece il programma delle misure intese alla reintegrazione dei diritti e alla tutela del gruppo sudtirolese, attuate nel contesto di accordi diretti fra Italia ed Austria per i quali si erano alzate le sollecitazioni delle potenze alleate. Ora più che mai la comunità tirolese della Provincia di Bolzano riteneva necessario rimanere compatta ed aumentare la sua consistenza numerica per avere forza contrattuale nei confronti dell’ Italia. Se il futuro del territorio dipendeva ormai dalla concessione di uno statuto d’ autonomia, quest’ ultima avrebbe potuto assumere un reale significato di tutela e garanzia per il gruppo tedesco solo nel caso che esso consolidasse il suo stato di maggioranza assoluta nell’Alto Adige. Per tali motivi si accentuava l’ urgenza di ripristinare la cittadinanza italiana agli optanti naturalizzati non trasferiti e di rendere possibile il rientro dei residenti in Austria. Da questo momento, il tema delle Opzioni veniva inserito negli argomenti fatti oggetto delle consultazioni, iniziate il 22 agosto 1946 a Parigi fra l’ ambasciatore italiano Nicolò Carandini, al quale era stata affidata la questione dell’ Alto Adige, ed il

ministro degli esteri austriaco, destinate a dare esito all’ accordo De Gasperi – Gruber del 5 settembre 1946.

Alle 17 del giorno 5, avveniva la firma dell’accordo De Gasperi - Gruber, destinato a suscitare molte polemiche a Roma, soprattutto in merito al suo inserimento nel trattato di pace. Se l’accordo di Parigi suscitava perplessità nei confronti dell’ operato del Presidente del consiglio e ministro degli esteri,

nonché dubbi interpretativi e di carattere giuridico, un’ accoglienza ben peggiore fu riservata a Gruber in Austria,

dove la commissione parlamentare affari esteri, pur approvandolo, criticò l’ operato del ministro riaffermando il principio di autodeterminazione come l’ unica forma di soluzione durevole del problema del Sudtirolo.

L’ attuazione dell’ accordo di Parigi del 5 settembre 1946 ebbe però inizio, per quanto riguardava quelle materie che dovevano essere oggetto di consultazione o intesa con l’ Austria, con le discussioni relative al problema delle Opzioni. L’ argomento fu sollevato il 18 gennaio 1947 da Gruber durante un colloquio con il Rappresentante politico italiano Maurilio Coppini, stimolando così la parte italiana a riprendere il dibattito. In seguito, Josef Schöner, capo dell’ ufficio per l’ Alto Adige

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presso il Ministero degli esteri austriaco, dichiarò che l’ Austria sarebbe stata disposta a riconoscere la revisione delle

Opzioni, non attraverso un procedimento individuale, come prevedeva di fare il governo italiano, ma mediante il rimpatrio di intere categorie di persone, lasciando all’ Italia solo la possibilità di esaminare singolarmente alcuni casi. Gli emigrati erano da considerarsi, secondo Schöner, come displaced

persons, ovvero profughi, il cui rientro in Italia doveva essere

facilitato. Dopo questa esposizione, il governo di Vienna era di nuovo tornato alla richiesta originaria di una sanatoria generale per gli optanti e di un rimpatrio in blocco degli emigrati. Quello che più colpisce della proposta di Schöner era l’ impostazione del problema, che richiamava singolarmente l’ impostazione data da Himmler nel 1939, quando il capo delle SS aveva proposto un trasferimento in massa della popolazione di lingua tedesca e ladina.

Dopo le consultazioni ed i memoranda sul perfezionamento dell’ accordo di rimpatrio, il governo italiano approvò, in data 31 gennaio 1948, un decreto legislativo per la revisione delle opzioni. La delegazione austriaca dava formali assicurazioni che il governo di Vienna, non appena varato il decreto legislativo, avrebbe riconosciuta la richiesta italiana di garantire la lealtà dei rientrati in Alto Adige e si sarebbe impegnato a dichiarare che qualsiasi attività o atteggiamento dei sudtirolesi, diretto alla modificazione dello stato delle cose in Provincia di Bolzano, avrebbe provocato pregiudizi all’amicizia fra i due paesi e biasimo da parte del governo austriaco. Il verbale delle conversazioni venne trasmesso il 25 Novembre al nuovo ministro degli esteri Carlo Sforza da Giulio Andreotti, sottosegretario alla presidenza del consiglio. Il testo del progetto di legge sulla revisione delle opzioni, si osservava nella lettera di trasmissione, sarebbe stato esaminato dalla competente commissione dell'Assemblea Costituente, ma con la presenza di un componente della delegazione italiana, in modo da evitare modificazioni che avrebbero potuto avere conseguenze pregiudiziali alle intese già concluse. Il 31 gennaio 1948, subito dopo l’approvazione da parte del consiglio dei ministri del progetto di legge sulla revisione delle opzioni, avvenuta il giorno 28, Karl Gruber rilasciava una dichiarazione in cui esprimeva il proprio compiacimentoper la soluzione della vertenza, auspicavache l’equità e la liberalità

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italiana avrebbero improntato anche la fase esecutiva della legge, si impegnava a influire sugli optanti reintegrati nella cittadinanza italiana perché conservassero un atteggiamento sincero e leale, riconoscendo i gravi pregiudizi che ogni attività rivolta a modificare lo status del Sudtirol avrebbe arrecato all’amicizia fra Austria ed Italia.

Il decreto legislativo n. 23, Revisione delle opzioni degli

altoatesini, veniva promulgato il 2 febbraio 194893, prima della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 5, Statuto speciale per il Trentino – Alto Adige, che istituiva la Regione autonoma. Il decreto, suddiviso in 27 articoli, distingueva gli optanti in tre gruppi: i non naturalizzati, i naturalizzati non trasferiti ed i naturalizzati emigrati. I primi potevano revocare l’opzione con un semplice atto dichiarativo nel quale chiedevano la conservazione della cittadinanza italiana. I secondi potevano compiere un atto di revoca dell’opzione, di rinuncia alla cittadinanza germanica e di richiesta di riacquisto di quella italiana; la loro eventuale esclusione dal riacquisto, in base ai motivi elencati all’art. 5, doveva essere pronunciata con decreto del ministero dell’interno, sentito il parere di una commissione con sede in Bolzano composta da un magistrato e da quattro membri, due di lingua italiana e due di lingua tedesca; contro il decreto era ammesso il ricorso di legittimità al Consiglio di Stato. Per questa categoria, salvi gli esclusi, l’appartenenza alla cittadinanza italiana sarebbe stata considerata senza soluzione di continuità, vale a dire ex tunc. I naturalizzati emigrati erano ammessi a chiedere la revoca dell’opzione, la rinuncia alla cittadinanza germanica ed il riacquisto di quella italiana. Ma costoro, purché non esclusi in base all’art. 5, attraverso le procedure previste avrebbero ottenuto il conferimento della cittadinanza italiana solo al momento del rilascio del decreto di concessione, ossia ex nunc. L’applicazione della legge, per la quale intervennero altre intese italo – austriache, decreti legislativi e leggi da parte italiana, non conobbe particolari momenti di conflittualità e fu ispirata a criteri di larghezza nella concessione della cittadinanza italiana, tanto da portare – come preciseremo – ad una larga reintegrazione della comunità altoatesina di lingua tedesca. Diversi problemi sorsero invece per gli optanti emigrati in Austria che, se in un primo momento

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avevano premuto in massa per l’ immediato rientro in Alto Adige, avevano poi manifestato, in diversi casi, la volontà di rimanere nel paese dove ormai si erano inseriti anche dal punto di vista dell’attività lavorativa. A tale ripensamento contribuiva il miglioramento delle condizioni economiche dell’Austria che

si stavano riassestando dopo la disastrosa situazione dell’ immediato dopoguerra. Il governo di Vienna, poco

propenso ad accogliere definitivamente un nucleo considerevole di persone, aveva posto in atto una politica coercitiva al rimpatrio in Sudtirolo, dichiarando la decadenza della parità di fatto con i cittadini austriaci a coloro che non avessero, entro i tempi previsti, esercitato il diritto di riopzione, e di condizionare l’eventuale concessione della cittadinanza austriaca al presupposto di avere esercitato prima tale diritto. Se ciò non fosse avvenuto, gli emigrati sarebbero diventati apolidi. Queste prese di posizione rallentarono l’iter dei lavori per l’esame delle domande degli optanti trasferiti e misero in atto un contenzioso fra Roma e Vienna risolto con l’accordo di Roma del 28 marzo 1950 nel quale il governo austriaco si impegnava a concedere la cittadinanza ad una percentuale di almeno il 25% degli optanti residenti in Austria e l’Italia a non precludere l’acquisto della cittadinanza ex novo, in base alla legge del 1912, agli optanti già esclusi ai sensi del decreto legislativo del 1948 sulla revisione delle opzioni. I risultati raggiunti al termine della revisione delle opzioni rappresentavano una testimonianza a favore della liberalità italiana. Al 31 dicembre 1953 risultavano reintegrati nella cittadinanza, oltre ai 115.813 optanti non naturalizzati, 40.704 naturalizzati non emigrati ( gli esclusi furono 661) e 44.442 emigrati ( gli esclusi furono 3.401 ) per un totale, fra i naturalizzati, di 85.151 e di 4.062 esclusi. Le domande degli esclusi che avevano chiesto la cittadinanza in base alla legge del 1912, alla stessa data erano 141 delle quali accolte 62, respinte 15 in fase istruttoria. Successivamente altri naturalizzati residenti in Alto Adige avevano ottenuto ex novo la cittadinanza raggiungendo la cifra complessiva di 362. In concomitanza con l’attività di revisione, negli anni successivi veniva presa una serie di provvedimenti legislativi riguardanti i trasferimenti patrimoniali, la riammissione all’esercizio professionale, negli impieghi pubblici e nel godimento delle pensioni, il riconoscimento dei titoli di studio e dell'abilitazione

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all’attività professionale.

Ancora a proposito di beni patrimoniali, bisogna ricordare che l’ operato dell’ Ente nazionale Tre Venezie in Sudtirolo andò incontro, nel decennio 1941-1951, a molti problemi soprattutto di carattere politico: infatti dagli allogeni tedeschi fu visto come un elemento “snazionalizzatore” e un ostacolo al riacquisto delle loro proprietà, mentre tra il gruppo etnico italiano cresceva il malcontento per le lunghe procedure burocratiche, per l’abbandono nel quale venivano lasciati i beni e per l’assenza di nuove iniziative.

Il 1954 fu un anno di cambiamenti: l’ente acquistò dalla DAT ( la “Deutsche Abwicklungstreuhand” ovvero la “Società fiduciaria germanica di liquidazione”, la controparte tedesca della DEFI ) alcune proprietà di provenienza ex allogena e decise di vendere beni che per ubicazione, struttura e qualità non si prestavano ad uno sfruttamento politico ed economico, mentre le restanti proprietà furono restituite e affidate in locazione a elementi di lingua italiana severamente selezionati. La legge n. 641 del 21 ottobre 1978 decretò la soppressione dell’ Ente Nazionale Tre Venezie e tutto il patrimonio immobiliare ancora in sua suo possesso venne trasferito alle tre regioni di riferimento: Trentino – Alto Adige, Veneto, Friuli – Venezia Giulia. La prima regione a ricevere la “dote” dell’ ente fu proprio il Trentino Alto – Adige nel 1972, in occasione dell’ approvazione del secondo statuto di autonomia, entrato in vigore con la legge 118 dell’ 11 marzo 1972. All’ art. 40 leggiamo che:

“Dalla data di entrata in vigore della presente legge l’ Ente Nazionale per le Tre Venezie cessa la propria attività nel territorio della regione Trentino – Alto Adige. Dalla stessa data è fatto divieto all’ ente di compiere nuove operazioni nella suddetta regione, salvo quanto disposto dagli articoli seguenti del presente titolo”.

All’ art. 41 della medesima legge si stabilisce infatti che:

Il patrimonio immobiliare ed i relativi rapporti giuridici dell' Ente nazionale per le Tre Venezie esistenti nella

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regione Trentino-Alto Adige, sono trasferiti, entro un anno dalla entrata in vigore della presente legge, alle province di Trento e Bolzano, per la parte esistente sui rispettivi territori. I consigli delle province di Trento e Bolzano decideranno, con proprie norme, entro sei mesi dall'entrata in possesso, l'ulteriore utilizzo o trasferimento dei beni di cui al precedente comma”94

.

Il trasferimento del patrimonio alle regioni Veneto e Friuli – Venezia Giulia avvenne solo in seguito, nel 1977, un anno prima della definitiva soppressione dell’ ente.

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CONCLUSIONI

Per tutto il dopoguerra e fino alla fine degli anni ‘80, il tema delle Opzioni è stato considerato un tabù da ladini e sudtirolesi, un argomento da relegare nei cassetti bui della storia e da “non

rimestare”, come ripeteva all’ epoca il Presidente della

Provincia di Bolzano, Silvius Magnago. La generazione che ha vissuto in quegli anni ha preferito non riesumare il ricordo di quegli eventi, per motivo che una parte consistente della popolazione non fu semplicemente vittima di due totalitarismi, ma aveva anche collaborato a quello che veniva considerata la “redenzione” del Volk tedesco, distinguendosi come zelanti esecutori degli ordini nazisti durante gli anni dell’occupazione tedesca della Provincia.

Il processo di storicizzazione prende avvio nel 1989, in occasione della mostra storico – fotografica sui cinquanta anni dalle Opzioni, a Bolzano, ed è un processo che perdura tuttora. Questo processo ha subito l’ opposizione di quei politici che hanno vissuto i fatti del 1939 e degli anni seguenti ed è stato osteggiato dal Presidente Magnago, allora in carica, che cercò di impedire la realizzazione della mostra. Il clima è mutato con le elezioni provinciali del 1988, quando si è aperta l’ “era Durnwalder”, che ha condotto al potere la generazione nata negli anni ’40, senza coinvolgimenti personali nei fatti, spesso anche senza memoria diretta. La tendenza odierna è, come ha affermato nel 2009 l’ assessore provinciale alla cultura tedesca Sabina Kasslatter Mur, in occasione dei settanta anni dalle Opzioni, quella di inquadrare il problema all’ interno del contesto europeo e confrontarlo con le altre vicende di migrazione avvenute nel XX secolo, durante la II guerra mondiale ma anche successivamente, in quella che gli storici Antonio Ferrara e Niccolò Pianciola hanno definito proprio come “l’ età delle migrazioni forzate”.

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