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L' ACCORDO HITLER-MUSSOLINI E LE OPZIONI. Profilo storico, aspetti e problematiche economiche e sociali nella Ladinia brissino-tirolese. 1939 - 1943

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L’ ACCORDO HITLER – MUSSOLINI

E LE OPZIONI

Profilo storico, aspetti e problematiche economiche e sociali

nella Ladinia brissino – tirolese

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Indice

Introduzione p. 5

PARTE PRIMA: IL QUADRO STORICO – POLITICO

I. Il primo dopoguerra p. 9

1. La cessione: dall’ Austria all' Italia p. 9 2. L’ amministrazione del territorio negli ultimi anni

dell’ Italia liberale p. 11 3. Tentativi di distensione sotto il governo Nitti p. 14 4. Gli ultimi governi liberali, le pressioni dei

sudtirolesi e lo squadrismo fascista p. 16 5. I ladini e la reazione sotto la nuova amministrazione

italiana p. 17

II.

La politica fascista in Sudtirolo p. 23

1. Premessa p. 23 2. I primi provvedimenti amministrativi

dell’ Italia fascista p. 25 3. Ettore Tolomei e i “Provvedimenti per l’ Alto Adige” p. 28 4. I Ladini e il fascismo p. 33

PARTE SECONDA: LE OPZIONI ( 1939 – 1945 )

Breve introduzione alla seconda parte p.

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I. La diplomazia p. 40

1. Il problema dell’ “Anschluß” e il riconoscimento della frontiera al Brennero p. 40 2. Colloqui con Göring ed esponenti diplomatici

tedeschi. Si delinea la soluzione per l’ Alto Adige p. 42 3. La questione sudtirolese nero su bianco: l’ accordo p. 45 4. I ladini nell’ accordo e il problema

dell’ “etnicamente tedesco” p. 48

II. La propaganda p. 52

1. Il ruolo del VKS. “Quanto più una propaganda è primitiva…” p. 52 2. “… tanto più riesce ad essere incisiva” p. 57 3. La reazione delle istituzioni e dei “dableiber” p. 62

III. La liquidazione dei beni p. 72

1. Le norme generali per la stima dei beni p. 72 2. Le condizioni economiche e sociali dei ladini p. 84 3. L’ Ufficio per l’ Alto Adige, l’ Ente Nazionale

Tre Venezie e la DEFI p. 87

IV. Le conseguenze delle Opzioni p. 94

1. Le cifre delle Opzioni p. 94 2. Le zone di insediamento degli optanti p. 99 3. Dopo l’ 8 Settembre 1943 p. 104

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V. La revisione delle Opzioni p. 107

1. La posizione di De Gasperi nei

confronti degli optanti p. 107 2. La posizione di Gruber e le proposte

risolutive del governo italiano p. 109 3. La conclusione dell’ Accordo De Gasperi – Gruber ed il decreto di revisione delle Opzioni p. 111

Conclusioni p. 118

Bibliografia p. 119

Fondi di archivio consultati p. 121

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INTRODUZIONE

Questo lavoro è il frutto di una ricerca effettuata presso l’ Archivio Centrale dello Stato a Roma, l’ Archivio di Stato di Bolzano, l’ Archivio provinciale di Bolzano e presso l’ Istituto culturale

ladino “Micurà de Rü” di San Martino in Badia ( BZ ). L’ argomento oggetto della mia trattazione riguarda l’ accordo

Hitler-Mussolini del 1939, passato alla storia con il nome di “Opzioni”, con particolare riferimento al caso delle valli ladine del Sella. Ci troviamo nel pieno dell’ epoca dei nazionalismi esasperati che, come la storia ci ha mostrato, non tengono in alcuna considerazione le esigenze delle minoranze etniche e linguistiche; da qui i ripetuti tentativi di Mussolini di italianizzare con la forza la popolazione di lingua tedesca della Provincia di Bolzano. Tentativi che però si rivelarono un fallimento. Va da sé che l’ opera di propaganda messa in atto, soprattutto di matrice nazista, fu particolarmente insistente e si contraddistinse per la fallacità degli argomenti addotti per invitare la popolazione locale a lasciare il Sudtirolo. In questa manovra venne inglobata anche la popolazione ladina delle valli dolomitiche, alla quale il mio studio presta particolare attenzione.

Il cuore di questo lavoro sono i documenti di archivio, come ho detto poco sopra: a differenza della storiografia tedesca, generosa nel numero di studi dedicati all’ argomento, basati quasi esclusivamente su documenti provenienti da archivi della Repubblica Federale di Germania, quella italiana ha concesso pochissimo spazio al tema in questione, pur essendo una pagina assolutamente non estranea alla storia italiana del XX secolo. Ecco quindi l’ esigenza ( e la curiosità ) di andare a scavare in alcune fonti di archivio tutte italiane.

Interessante è stata la consultazione delle singole schede degli optanti, conservate in ordine alfabetico per cognome presso l’ Archivio di Stato di Bolzano; per quest’ ultime ho fatto una campionatura, orientandomi principalmente sui cognomi ladini. Dalle cartelle degli optanti è stato possibile estrarre informazioni sulle condizioni economiche e sociali di singole persone o famiglie. Particolare attenzione è stata data alle relazioni dei prefetti, conservate presso l’ Archivio Centrale dello Stato a Roma, inviate

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al Ministero dell’ Interno, testimonianze del clima sociale di quegli anni. Per quanto riguarda il profilo economico, di grande rilievo infine sono stati il rinvenimento del testo integrale delle “Norme per la stima dei beni” e la consultazione dei dati economici dell’ ultima relazione trasmessa dall’ Ente nazionale per le Tre Venezie, vere “miniere” di informazioni utili a delineare un quadro più preciso della situazione patrimoniale e fondiaria complessiva e della sua gestione da un punto di vista legislativo per tutti coloro che scelsero la via dell’ espatrio.

Desidero ringraziare innanzitutto il Prof. Alessandro Polsi e la Dott.ssa Ilaria Pavan, i quali hanno creduto per primi in questo mio lavoro, accogliendo l’ argomento con grande favore e seguendone con professionale attenzione ogni sviluppo.

Infine, ultima ma non meno importante, è stata la consulenza del Prof. Leopold Steurer, al quale va un sentito ringraziamento per il tempo e la disponibilità profusa durante la mia permanenza a Bolzano.

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“La miseria ha accresciuto l’ egoismo, ha inciso nell’ animo dell’ individuo un sentimento malvagio, ha distrutto quello sacro sociale, ha impresso un certo che d’ indifferentismo verso tutto ciò che lo circonda”

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PARTE I

IL QUADRO STORICO –

POLITICO

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I

IL PRIMO DOPOGUERRA

1. La cessione: dall’ Austria all’ Italia

La parte meridionale del Tirolo austriaco, che si estende a Sud del Brennero fino alla cittadina di Salurn (Salorno), comunemente chiamata “Alto Adige” ma per ragioni storiche denominata più correttamente “Sudtirolo”, entra a far parte del Regno d’ Italia nel 1918, al termine della prima guerra mondiale. Il Sudtirolo non era uno dei territori irredenti: ufficialmente, il Regno d’ Italia prese parte al primo conflitto mondiale con lo scopo di completare, in un certo senso, l’ unità del Paese poiché rimanevano ancora nei confini austro-ungarici i territori italofoni del Trentino e della Venezia-Giulia. La guerra mossa dall’ Italia all’ Impero austro-ungarico era dunque per “Trento e Trieste irredente”.

Perché allora annettere anche una fetta di territorio austriaco? Le motivazioni sono molteplici. L’ inserimento di una parte di Tirolo entro i confini nazionali italiani venne discussa ed approvata a Londra. Nel Trattato di Londra del 26 aprile 1915 ( più conosciuto come “Patto di Londra” ) , si prevedeva che, in caso di vittoria, l’ Italia avrebbe ottenuto, oltre al Trentino e alla Venezia-Giulia, anche la parte meridionale del Tirolo austriaco. L’ Italia lo pretendeva ufficialmente come risarcimento dei danni di guerra; in realtà vi erano ulteriori motivazioni ideologiche di matrice risorgimentale, prima fra tutte quella che voleva le Alpi come “confine naturale dell’ Italia”, senza contare chi la considerava come una regione “storicamente facente parte dell’ Impero romano”. Per ottenere l’ uniformità sui confini settentrionali della penisola, era quindi necessario raggiungere quello spartiacque naturale tra due macroculture, quella latina e quella germanica, che è rappresentato dal Brennero.

Il 3 novembre 1918, Italia e Austria firmarono l’ armistizio ad Abano Terme, presso Padova; con il successivo trattato di Saint Germain del 2 settembre 1919 veniva ratificato il passaggio del Sudtirolo dalla sovranità austriaca a quella italiana. Il Regno d’ Italia acquisiva una regione che portava in “dote”,da Ovest a

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Est, la Vinschgau ( Val Venosta ), baluardo contro l’ Austria al confine occidentale, le Dolomiti con la Val Gardena, la Val Badia, la Val di Fassa e Fodòm-Livinallongo ( queste ultime due valli al momento della cessione si trovavano ancora entro i confini sudtirolesi ), la Pustertal ( Val Pusteria ) al confine orientale. Da Nord a Sud, divenivano italiani i territori della Eisacktal ( Val d’ Isarco ), il Burggrafenamt ( Burgraviato ) e la Überetsch ( Bassa Atesina ). Dal punto di vista demografico, il numero della popolazione della Provincia di Bolzano era di circa 313.000 abitanti; per quanto riguarda la comunità ladina, la cifra complessiva dei residenti di tutte le valli era intorno a 24.700. La storiografia italiana non si è occupata in modo particolare del Sudtirolo se non per tracciare le linee generali della storia di questa regione nell’ arco del ventesimo secolo; ancora meno numerosi sono gli studi sull’ accordo Hitler – Mussolini del 1939. Il primo lavoro degno di menzione circa il tema delle Opzioni è quello di Renzo De Felice, “Il problema dell’ Alto Adige nei rapporti

italo-tedeschi” ( 1973 ). Seppur presentando la caratteristica di una

sintesi storica, il testo non è deficitario di puntualità sugli aspetti diplomatici della questione. Nel 2011, molti anni dopo lo studio di De Felice ha visto la luce una nuova pubblicazione sul tema: “Tra

Mussolini e Hitler” di Federico Scarano. Rispetto al lavoro che lo

ha preceduto, l’ opera di Scarano amplia la base di documenti, spesso inediti, sulla quale fondare la propria analisi e contribuisce ad illustrare le motivazioni e gli scopi delle parti in gioco.

Osservando la storiografia di lingua tedesca, non si può non mettere in primo piano i contributi di Leopold Steurer, tra i quali si evidenziano il volume “Südtirol zwischen Rom und Berlin” e la pubblicazione sulla rivista “Der fahrende Skolast” del lungo articolo-saggio “Historisches zur Ladinerfrage”. Questi lavori analizzano la questione attraverso l’ apporto di inediti documenti provenienti dagli Archivi tedeschi. Di recente, è da segnalarsi un altro articolo-saggio dello storico Michael Wedekind, autore di vari

studi sulla zona d’ operazione Prealpi (Operationszone Alpenvorland ); questo studio è importante in

quanto è uno dei pochi a dare spazio alla vicenda delle Opzioni nelle valli ladine. In generale, possiamo dire che sono state la storiografia austriaca e tedesca a dedicare un maggior numero di studi all’ accordo Hitler-Mussolini.

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2. L’ amministrazione del territorio negli ultimi anni

dell’ Italia liberale

L’ occupazione italiana del vecchio Tirolo cisalpino o, rectius, Venezia Tridentina, avviata dopo la firma dell’ armistizio ad Abano Terme, prima che le ostilità cessassero ufficialmente ventiquattro ore dopo, fu completata il 19 novembre 1918, quando le truppe italiane giunsero sul nuovo confine, al Passo del Brennero. Nel frattempo, a Trento era già stato insediato un governo militare per il controllo dell’ intera area, sotto la guida del generale Guglielmo Pecori-Giraldi. In questo modo, il governo italiano lasciava intendere che la sua presenza sarebbe stata permanente, seppur motivata soltanto in ragione dell’ armistizio. Alle normali misure che un’ amministrazione militare poteva esercitare su un territorio straniero occupato, si aggiunsero successivamente altri regolamenti che anticipavano, senza lasciare alcuna ombra di dubbio, un’ annessione formale, che tuttavia doveva essere autorizzata solo da una conferenza di pace che ancora non era stata concordata. L’ atteggiamento dell’ Italia, da un punto di vista formale, si rivelava alquanto contestabile.

Le autorità austriache, d’ altro canto, confidavano nell’ applicazione dei punti di Wilson che sarebbero stati discussi a

Parigi, quando fu indetta la conferenza di pace, mentre gli ufficiali italiani erano convinti che una moderata assimilazione amministrativa del nuovo territorio avrebbe rafforzato, piuttosto che indebolito, il caso italiano a Parigi.

Una volta piantata la bandiera italiana al Brennero e assicuratesi il controllo de facto della regione, le autorità italiane dovettero decidere quali atteggiamenti e politiche adottare verso gli abitanti di questa regione, diffidenti nei confronti dei “nuovi padroni” e di lingua diversa: non solo l’ elemento tedesco, ma anche quello ladino si andava ad aggiungere come specificità di questa zona, benché all’ epoca il ladino fosse ben lungi dall’ essere considerato una lingua. Nei quattro anni che intercorsero tra l’ armistizio e la marcia su Roma, il tentativo di trovare una risposta a questo problema divenne il fulcro di una lotta triangolare in cui i protagonisti furono i nazionalisti tedeschi, gli amministratori liberali italiani e i nazionalisti italiani. L’ identità ladina, in quanto ancora in fase embrionale all’ epoca – e di cui tratterò in seguito

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specificamente – non aveva ancora la forza per inserirsi all’ interno del dibattito circa le misure da adottare verso un territorio del tutto peculiare dal punto di vista etnico e linguistico. Fino all’ estate del 1920, il governo perseguì una ferma politica di comprensione e conciliazione; questo da una parte dava qualche bagliore di speranza alla popolazione locale, dall’ altro raffreddava gli impulsi aggressivi dei nazionalisti italiani. Dopo l’ estate del 1920, il governo regionale di Trento avanzò promesse ad entrambe le parti, col risultato di perdere il controllo della situazione. Ciò rifletteva, seppur su piccola scala, l’oramai inarrestabile disintegrazione del regime liberale a Roma e in tutto il regno. La particolarità di quel territorio fu, in un certo senso, un emblema del collasso dell’ Italia liberale.

L’ amministrazione italiana sotto il generale dell’ esercito italiano Guglielmo Pecori-Giraldi durò fino al luglio 1919, quando ormai due bozze del Trattato di Saint Germain avevano consegnato la regione a Sud del Brennero all’ Italia; a Roma si era insediato il primo governo Nitti, impegnato a garantire le autonomie regionali e a cercare di conciliare le minoranze nazionali delle nuove province con l’ ordinamento italiano. In questo frangente, anche le forze politiche locali e nazionali iniziarono a prendere posizione su una questione di fondamentale importanza: come integrare nella nazione italiana il distretto e la sua comunità di lingua tedesca. Sul fronte sudtirolese, l’ ultimo sindaco liberale tedesco di Bolzano, Julius Perathoner, si era già mosso ancor prima che iniziasse l’ occupazione italiana della città, redigendo in data 4 novembre 1918 un manifesto a favore dell’ autodeterminazione per il Sudtirolo. Lo stesso giorno venne organizzata un’ Assemblea provvisoria sudtirolese, composta da 25 membri, che venne tollerata dal governo italiano fino al 19 gennaio 1919. Perathoner arrivò ad assumere le funzioni tipiche di un Bezirkshauptmann ( capitano di distretto ) austriaco, con il tacito consenso delle autorità italiane. Ciò costituiva una chiara trasgressione alla pratica amministrativa consolidata in Italia, dando l’ inizio ad una disputa che avrebbe portato direttamente alla marcia fascista su Bolzano il 1 ottobre 1922, di poco antecedente alla marcia su Roma.

Il fronte filo-italiano era dominato dalla figura di Ettore Tolomei, fanatico nazionalista e fascista della prima ora. Si erano realizzate le condizioni per coronare il sogno della sua vita: l’ occupazione

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della terra atesina, primo passo verso la completa italianizzazione. Nel pensiero dei neo-irredentisti come Tolomei, si era creata confusione tra la definizione etnica e quella geografica di “Italia”; l’ Italia veniva concepita come uno stato nazionale abitato esclusivamente da italiani. Ne conseguiva che territori come il Sudtirolo ( toponimo sostituito nel vocabolario tolomeiano con l’ inesatto “Alto Adige” ) erano stati invasi dalla conquista straniera e come logica conseguenza dovevano essere “redenti” etnicamente e territorialmente, ovvero bisognava far riscoprire a queste popolazioni la loro italianità perduta.

Fondatore nel 1906 della rivista di studi Archivio per l’ Alto Adige, Tolomei aveva pubblicato nel 1915 il suo programma intitolato “Annessione e Adattamento”, in cui venivano enunciati i principi che successivamente sarebbero finiti nei Trentuno punti adottati dal governo fascista nel 1923. Precedentemente, Tolomei aveva inserito nella sua rivista, con commenti favorevoli, alcune citazioni di Adriano Colocci, che sarebbe diventato il suo collaboratore più stretto a Bolzano a partire dal 1919. L’ articolo è intitolato “Il diritto di epurare la patria” e ritengo che valga la pena riportare alcuni frammenti, in quanto possiamo cogliere non solo lo spirito fanatico e irrazionale che stava dietro il programma tolomeiano, ma anche in nuce quel principio che sarà in seguito una delle basi dell’ Accordo Hitler-Mussolini del 1939:

“[ … ] Da codesto principio scende il diritto italiano di sfrattare e ricacciare oltre il Brennero gli inquinamenti germanici, ormai quasi esclusivamente preponderanti nella regione dell’ Alto Adige [

… ]. Certamente il volere dei cittadini ha gran peso nella

determinazione delle nazionalità, di cui è fattore importante e forse il massimo. Ma non è il solo; né d’ altra parte può ammettersi l’ apostasia della propria nazionalità di tutta una regione in blocco, per le stesse ragioni morali che non fanno ammettere la diserzione nel soldato, né il suicidio nell’ individuo.”1

Benché il governo Orlando in carica avesse tenuto un comportamento ambivalente nei confronti dell’ estremismo nazionalista, tuttavia si era impegnato a rispettare una serie di

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principi che contraddicevano totalmente quelli di Tolomei, ovvero venne perseguita una linea politica più vicina ai principi wilsoniani e comunque coerente con l’ atmosfera dei primi mesi del dopoguerra.

E’ opportuno a questo punto sottoporre all’ attenzione anche il contributo del movimento popolare guidato da Luigi Sturzo e che aveva come suo rappresentante in Trentino Alcide De Gasperi. I popolari trentini non erano interessati ad una italianizzazione del Sudtirolo e appoggiavano le richieste dei politici di Bolzano per un importante motivo: per quanto potessero sentirsi italiani, desideravano tuttavia mantenere la loro autonomia comunale e regionale, caratteristica del regime austriaco, ma mal tollerata dal Regno d’ Italia che aveva un sistema amministrativo di stampo decisamente più accentratore e poco concedeva alle autonomie locali.

Il quadro politico che si presentava nel 1919 era questo: da una parte il regime liberale, appoggiato dai socialisti di Turati, dai popolari di Sturzo e da tutti coloro che erano favorevoli alla concessione di una particolare forma di autonomia locale per le nuove province; dall’ altra c’ era la fazione dei nazionalisti radicali, che avversavano qualunque tipo di concessione ai nuovi territori. Questo costituiva un’ ottima base per il nascente movimento

fascista, antiliberale e antisocialista, poiché si profilava all’ orizzonte la conquista di potenziali masse. L’ alleanza

ideologica fra Tolomei ed il fascismo fu immediata. Si combinò così una pericolosa miscela esplosiva, frutto della fusione letale tra fascismo e nazionalismo.

3. Tentativi di distensione sotto il governo Nitti

Il primo governo Nitti, che fu formato nel giugno 1919, si mosse già dal mese successivo verso una riorganizzazione amministrativa del nuovo territorio istituendo a Roma l’ Ufficio Centrale per le Nuove Province, che rispondeva direttamente al Presidente del Consiglio. A capo dell’ Ufficio, Nitti nominò il senatore Francesco Salata, attivo irredentista dell’ Istria austriaca. Luigi Credaro, diretto subordinato di Salata, fu nominato Commissario generale civile per la Venezia Tridentina. Credaro si trovò in mezzo ad una

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situazione delicata e difficile da gestire: confidò interamente nella pacificazione degli animi attraverso le concessioni, ma contemperare concessioni alla popolazione sudtirolese ed ai nazionalisti italiani fu impossibile e di conseguenza tale politica si rivelò fallimentare.

Per i sudtirolesi tutto questo però fece ben sperare: il confine con l’ Austria fu riaperto, fu tolta la censura alla stampa, comparvero di nuovo i giornali tedeschi; i toponimi tedeschi vennero ripristinati, inclusa la denominazione Deutschsüdtirol ( Tirolo meridionale tedesco ), vennero eliminati quelli italiani dalle principali stazioni ferroviarie. Addirittura sparirono tutti gli inizi di bilinguismo, comprese alcune prime scuole in lingua italiana e furono reintrodotte quelle in lingua tedesca. Scontato dire che tutto ciò avvenne con grande rammarico di Tolomei.

La politica sudtirolese nel frattempo non stava a guardare passiva l’ accadere degli eventi: sempre nel giugno 1919, i due principali partiti tedeschi locali dell’ epoca, il Tiroler Volkspartei ( Partito popolare Tirolese ) ed il Freiheitliche Partei ( Partito liberale ) formalizzarono la loro unione e dettero vita alla Deutscher Verband ( Lega tedesca ). La Lega tedesca ritenne che i tempi erano ormai maturi per una Offensiv Politik, che consisteva nel fare pressione affinché venissero mantenute le promesse che gli italiani avevano fatto in occasione della firma del trattato di pace. Rassicurazioni in questo senso giunsero dal Presidente del Consiglio Nitti, intenzionato a sostenere l’ autonomia per le ex-province austriache. Tutto dunque sembrava volgere a favore delle richieste dei sudtirolesi, come conferma la risposta di Luigi Luzzatti alla delegazione della Lega tedesca a Roma:

“Io sono completamente e unicamente a favore dell’ autonomia del Sud Tirolo! Che necessità hanno i vostri deputati di andare al Parlamento di Roma? Potete rimanere tranquillamente a casa. Dovreste gestire i vostri affari esattamente come gli svizzeri conducono le proprie vite nei loro cantoni. Se l’ umanità non si sarà completamente imbestialita, se lo spirito di unità pacifica verrà instillato attraverso le nazioni europee, arriverà sicuramente il giorno in cui potrete ritornare alla vostra nazione”2

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Anche se questa risposta contiene, a mio avviso, una vena di sarcasmo, i delegati della Lega tedesca la esaltarono come un trionfo. L’ ebbrezza del momento tuttavia annebbiò la percezione chiara di quel che stava accadendo realmente a Roma. L’ ostilità crescente dei popolari nei confronti dell’ esecutivo, le pressioni dei nazionalisti e del movimento fascista non fecero che indebolire ancora di più il governo Nitti, che costituiva l’ unica ( e l’ ultima ) ancora di “salvezza” per il Sudtirolo. Nitti infatti rassegnò le dimissioni nel giugno del 1920.

4. Gli ultimi governi liberali, le pressioni dei sudtirolesi

e lo squadrismo fascista

Nel giugno 1920 l’ ormai anziano Giovanni Giolitti ricevette l’ incarico di formare il suo quinto governo, favorevole all’ autonomia almeno quanto quello del suo predecessore Nitti. Il

21 settembre dello stesso anno, Giolitti ricevette i rappresentanti tedeschi e slavi delle nuove province, facendo loro nuove rassicurazioni, mentre gli italiani della Venezia Tridentina si organizzarono in un fronte unitario che comprendeva nazionalisti, fascisti, repubblicani e popolari, per avversare la Lega tedesca. In risposta all’ accrescersi delle tensioni, il governo, pensando di accontentare entrambe le parti, tirolesi e italiani, decise di operare uno spostamento territoriale: la Bassa Atesina ( zona di confine con il Trentino, a maggioranza di lingua tedesca, ma contesa da tedeschi e italiani ) rimase a Bolzano, ma le valli ladine, in cui si parlava una lingua considerata un dialetto italiano, per affinità linguistica vennero cedute a Trento. In questo modo però nessuna delle due parti fu soddisfatta.

A fronte di una aumento delle violenze fasciste in Toscana, Emilia Romagna e in generale in tutto il Nord Italia, Giovanni Giolitti, incapace di contrastare una situazione che stava diventando rapidamente incontrollabile, pensò di assimilare il movimento fascista all’ interno del sistema democratico liberale. Vennero sciolte le Camere e indette nuove elezioni; il panorama politico non risultò mutato, se non nella figura del Presidente del Consiglio, incarico che venne conferito stavolta ad Ivanoe Bonomi, nel giugno 1921. Il governo Bonomi si distinse soprattutto per una nuova legge sulle scuole, interessante nel caso qui analizzato perché fu di forte impatto sulla realtà locale sudtirolese.

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La nuova legge presentata dal ministro dell’ istruzione Mario Corbino prevedeva che tutti i bambini avrebbero frequentato la scuola nella lingua che si parlava nelle proprie famiglie. Ciò prefigurava dunque un affiancamento della scuola in lingua italiana a quella di lingua tedesca. Si riscontrò la protesta dei portavoce dei ladini, che già avevano assistito ad una graduale e silenziosa italianizzazione della scuola. Il tutto era accompagnato da una esultanza ( parziale ) dei nazionalisti italiani.

Ma quello che ancor di più risultava ingestibile era lo squadrismo fascista che ormai dilagava e imperversava quasi ovunque ed in tutto questo il nuovo esecutivo guidato da Luigi Facta appariva come un mero liquidatore dell’ Italia liberale. Nella primavera del 1922, una Regia Commissione per lo studio delle autonomie raccomandò di proseguire sulla strada dell’ autonomia per le nuove province; un’ autonomia che fosse ricalcata sul vecchio modello austriaco. Tuttavia, in quei mesi i problemi del governo erano ben altri. Facta si pronunciò soltanto a favore di un bilinguismo nella toponomastica e nella corrispondenza della pubblica amministrazione nelle città di Bolzano, Merano, nei paesi di Gries, Salorno e nella Bassa Atesina. Nel frattempo, spedizioni fasciste occupavano le principali città del centro-Nord Italia.

Il 1 ottobre 1922 fu la volta di Bolzano. La marcia sul capoluogo sudtirolese era densa di significati particolare per i fascisti; fu in questo momento che si consumò il matrimonio tra fascismo e nazionalismo. Inoltre, nulla era stato mai tentato prima così su larga scala, con un tale dispiegamento di squadristi. Il resto venne di conseguenza. Luigi Credaro, dimissionario dal ruolo di Commissario generale civile per la Venezia Tridentina, documentò:

“Il fascismo è maturo per assumere il governo del paese”3

.

5. I ladini e la reazione sotto la nuova amministrazione

italiana

La guerra combattuta contro l’ Italia, la delusione di fronte all’ incapacità delle autorità italiane di concorrere in maniera positiva all’ opera di ricostruzione delle zone maggiormente

3

Giudizio di De’ Stefani, p. 618, cit. in D. Rusinow, L’ Italia e l’ eredità austriaca. 1919-1946, Venezia, 2010, p. 100

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coinvolte dalla violenza del conflitto, in particolar modo il Fodòm, con il paese di Plié da Fodòm ( oggi Pieve di Livinallongo ) che fu quasi raso al suolo dai bombardamenti, in quanto si trovò esattamente sulla linea di confine dove si fronteggiavano i due eserciti, quello italiano che premeva da Sud e quello austriaco, arroccato sul Col di Lana; ancora, l’ impatto con un regime diverso sia nella legislazione che nella gestione del potere fecero evidenziare una coscienza di gruppo, presente già prima del conflitto ma tacita, ed ora incline ad identificarsi apertamente nella caratterizzazione etnica ladina affine a quella sudtirolese e contrastante con quella italiana.

Un’ affermazione di ladinità si era diffusa già agli inizi del Novecento, nelle valli dolomitiche intorno al gruppo del Sella:

vennero avanzate proposte per la tutela della lingua, per l’ introduzione del ladino nelle scuole, si invitarono i vari gruppi

ladini ( nello specifico fassani, gardenesi, badioti, fodòmi ) all’ unità, ci fu un rifiuto deciso ad essere accomunati agli italiani e fu chiesto il riconoscimento di gruppo etnico distinto all’ interno della monarchia asburgica. Per raggiungere tali scopi fu fondata ad Innsbruck nel 1905 una “Union Ladina” che si proponeva, oltre l’ organizzazione di manifestazioni, conferenze, “l’ unificazione

nazionale di tutti i Ladini viventi nel Tirolo”4.

Tali iniziative furono probabilmente sollecitate dalla pressione austriaca che operava al fine di aumentare il divario fra queste valli di confine ed il vicino Stato nazionale italiano. Allo stesso modo, sul fronte opposto, già nel 1915 Ettore Tolomei, sulla sua rivista “Archivio per l’ Alto Adige” affermava la necessità di portare il

confine al Brennero e si poneva il problema di dimostrare l’ italianità dei Ladini. Così infatti scriveva in un articolo:

“Chi sono i ladini? […] Tanto è vaga ed elastica questa denominazione che alcuno la serba ai montanari di due valli atesine, Gardena e Badia, nella regione delle Dolomiti, circa 7000 abitanti; altri la estende ad alcune alte valli trentine e venete ( Fassa, Ampezzo, Livinallongo, Comelico ) computando a 18000 il numero dei parlanti <<ladino>>, ed altri ancora, con la mira di

svalutare la compatta italianità del Trentino, comprende nella ladinità le valli trentine del Nos e dell’ Avisio e fa salire la cifra dei ladini nella regione dell’ Alto Adige a 75 o 80 mila”.

4

G. Richebuono, La presa di coscienza dei Ladini. Cenni cronologici, in “Ladinia” VI, S. Martino in Badia, 1982, p. 104

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Prosegue ancora Tolomei, nel tentativo di togliere veridicità alle tesi che attribuivano valore di lingua nazionale al ladino:

“Quanto al dialetto ladino dei monti, l’ Archivio ha dimostrato che non diverge dai suoi confratelli ( dell’ Italia settentrionale ) se non perché conservò caratteri più arcaici, dagli altri dialetti italiani ormai superati, o perché svolse posteriormente […] alcuni propri fonemi, proseguendo sviluppi che negli altri dialetti nostri vennero in progresso del tempo abbandonati”5

E’ pur vero che la lingua ladina è più affine a quella italiana che a quella tedesca; a Fodòm si parlava, per esempio, sia a scuola che in chiesa l’ italiano anche sotto l’ Austria; il tedesco non era conosciuto da tutti con l’ unica eccezione rappresentata dalla Val Gardena. Tuttavia la storia, le usanze, il tipo di economia, le stesse costruzioni avevano molti elementi in comune con il Sudtirolo e pochi in comune con le confinanti zone della provincia di Belluno. A differenza di quanto accadeva nel resto Sudtirolo, nelle valli ladine non si ebbero nell’ immediato dopoguerra vere e proprie tendenze separatiste o movimenti di protesta; piuttosto, le manifestazioni per l’ autodeterminazione furono debolmente sostenute in tutte le valli. Questa posizione poco “combattiva” è spiegabile, soprattutto nel caso di Fodòm, alle difficoltà della ricostruzione, che aveva accentuato la rassegnazione all’ interno del movimento ladino.

Tuttavia gli appuntamenti dei movimenti autonomistici ladini non mancarono e rappresentanti di Fassa, Gardena, Badia, Livinallongo parteciparono alle riunioni a Vipiteno nell’ ottobre del 1918, quando fu redatto un proclama rivolto ai tirolesi di lingua tedesca in cui si legge:

“Come le altre popolazioni dell’ Austria pretendiamo anche noi, quali discendenti delle prime popolazioni stabili del Tirolo, il diritto all’ autodecisione! Noi non siamo italiani, da tempo immemorabile ci rifiutammo di essere considerati dei loro ed anche per l’ avvenire non intendiamo essere italiani. Un popolo a sé che decide da sé del proprio destino […]. Tirolesi siamo e tirolesi vogliamo restare”6

5

E. Tolomei, L’ Alto Adige, Torino, 1915, pp. 64-65

6

G. Richebuono, La presa di coscienza dei Ladini. Cenni cronologici, in “Ladinia” VI, S. Martino in Badia, 1982, p. 108

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20

E’ chiaramente evidente in questo documento la rivendicazione di appartenenza al popolo tirolese. Non solo: al di là dell’ affermata “tirolesità”, dal testo emergono elementi dai toni profondamente influenzati ancora dal pensiero romantico, foriero del mito del volk. Apparteniamo al Tirolo, ma siamo un’ entità distinta dai tirolesi, tanto più dagli italiani: è questa l’ essenza espressa ( si noti quel

“un popolo a sé che decide da sé del proprio destino ). Del resto,

l’ estraneità alla civiltà italiana era emersa già quando l’ Austria il 9 maggio 1915, nel tentativo di evitare l’ ultimatum italiano, propose di rinunciare al Trentino, mantenendo però oltre al Sudtirolo le valli ladine dolomitiche.

L’ unione ideale con il mondo tirolese, senza dubbio coniugata a fini politici, si può cogliere inoltre nel fatto che nel marzo 1920 i sudtirolesi, nelle trattative con il governo italiano per la formazione di una provincia autonoma di tutti i comuni tedeschi, inclusero anche i ladini delle valli di Ampezzo, Fodòm, Gardena e Badia. Seguirono altre manifestazioni di solidarietà da parte del Sudtirolo, quasi si trattasse di un’ unica stirpe: infatti, quando nel 1923 il governo di Mussolini aggregò i comuni di Cortina d’ Ampezzo, Colle S. Lucia e Livinallongo del Col di Lana alla Provincia di Belluno, i quotidiani di lingua tedesca del Sudtirolo la definirono una “mutilazione del Tirolo”. Il quotidiano “Der Tiroler” il 7 febbraio 1923 scriveva ( riporto il testo originale con traduzione sottostante ):

“Die Ladiner von Ampezzo, die Aussagten Italiener schlossen die festen Reihen des tirolisches Volkes, das einmütig den Ruf erhob: Autonomie für Südtirol ungeteilt von Salurn bis zum Brenner! Erhöhung des tiroles Volkstumes!”7

( I ladini di Ampezzo, i cosiddetti italiani, chiudevano le solide fila del popolo tirolese, che concorde alzò il grido: Autonomia per il Sudtirolo indiviso da Salorno al Brennero! Vittoria alla nazione tirolese! )

Ancora, nel 1925 la comunanza fra i due popoli era sottolineata da un proclama della Tiroler Volksbund ( Lega popolare tirolese ):

“ I tirolesi ladini e tedeschi combattono un’ ardua battaglia per mantenere intatta la loro nazionalità ed il prestigio del loro paese, famoso nella storia di tutti i secoli”8

7

Op. cit. in L. Palla, I ladini fra tedeschi e italiani, Venezia, 1986, p. 70

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21

Nel corso del 1919 varie furono le manifestazioni in base ai 14 punti di Wilson; nel febbraio 1919, i comuni delle valli del Sella si unirono ai comuni di lingua tedesca sottoscrivendo un memorandum da inviare a Wilson, dichiarando di voler rimanere uniti all’ Austria. Con un certo stupore, essi ricevettero pure il sostegno del cantone ladino ( romancio ) svizzero dei Grigioni ( Graubünden ). I ladini della Svizzera inviarono alla conferenza di pace di Parigi un documento di solidarietà in cui si affermava che i reto-romani delle Dolomiti, la più antica popolazione del Tirolo, abitavano le valli alpine di Fassa, Fodòm, Ampezzo, Badia e Gardena. In quanto popolo a sé stante, avevano il diritto che non si

decidesse il loro destino contro il principio dell’ autodeterminazione. Anche i retoromani dei Grigioni

esprimevano dunque una definizione di Tirolo comprendente non solo il gruppo etnico tedesco ma, secondo i confini antecedenti al 1918, anche i ladini. Questi, mentre accettavano di far parte della minoranza sudtirolese, cercavano di crearsi all’ interno di essa un margine di autonomia.

Come sappiamo, il trattato di Saint Germain nel settembre 1919 sancì la spartizione del Tirolo fra Italia e Austria e per di più senza menzionare minimamente l’ esistenza dei ladini. Nonostante questo, i ladini non desistettero dal crearsi un’ entità a sé stante, tuttavia senza risultati. Perciò, nelle loro manifestazioni del 1920-1921 contro il mancato riconoscimento del diritto di autodeterminazione, i sostenitori accaniti dell’ italianità delle valli dolomitiche videro in queste rivendicazioni semplicemente un altro campo in cui si propagava l’ influenza dei partiti autonomistici sudtirolesi unitisi, come precedentemente detto, nella Deutscher Verband.

Ritengo opportuno riportare un estratto dalla rivista “Archivio per l’ Alto Adige”, scritto da Tolomei il 5 maggio 1920 in occasione di un raduno dei rappresentanti delle valli ladine al Passo Gardena, occasione tra l’ altro in cui apparve per la prima volta la bandiera ladina azzurra, bianca e verde. L’ articolo esprime bene il pensiero dei nazionalisti italiani:

“ […] Si chiede che i ladini siano ufficialmente riconosciuti come popolo a parte, , con annessi relativi diritti politici. Si manda un telegramma poi un telegramma ai ladini svizzeri per averne l’ appoggio. Notisi che, delle cinque valli, due sole possono, a rigor di termini, chiamarsi ladine e cioè quella di Badia e quella di Gardena; persino l’ Austria riconosceva che le altre erano affatto italiane, e vi manteneva scuole esclusivamente italiane. […]

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22

Questa pretesa questione ladina in realtà non è che una gonfiatura creata e sostenuta dai pangermanisti. […] Un miglioramento della situazione non può aversi che da un diverso indirizzo di governo che liberi le vallate ladine dalla servitù del Deutcher Verband e faccia sentire loro prima l’ interesse economico d’ essere italiani, e poi ( seppur sarà ancora necessario ) dimostri false e vane tutte le teorie fabbricate dai tedeschi”9

Il fatto che la lingua ladina si avvicinasse a quella italiana poteva permettere molte strumentalizzazioni ( come di fatto avveniva ) politiche, ma impediva una più ampia comprensione dei fenomeni storici. In nome della lingua unicamente italiana, si dichiarava, per esempio, che anche Cortina d’ Ampezzo dovesse considerarsi parte integrante del popolo tirolese e solidale con esso. Risultò dunque difficile ai governi italiani, liberali prima, fascisti poi, riconoscere che l’ unione secolare fra ladini e tirolesi aveva generato fra le due popolazioni delle affinità che si evidenziavano ora nella comune contrapposizione all’ elemento italiano.

Tale fu l’ incomprensione dello stato italiano che, in occasione del censimento del 1 dicembre 1921, l’ alto numero di cognomi nelle valli ladine che suonavano perfettamente italiani ( es. Vallazza, Valentini, Costa.. ) offrì il motivo sia per la revisione dei risultati

del censimento ( a favore del gruppo italiano ) sia per l’ introduzione della scuola italiana. Non solo l’ affinità dell’

idioma ladino all’ italiano fece diventare automaticamente italiane le popolazioni delle valli del Sella, ma addirittura il cognome (!) di origine italiana fu sufficiente per renderli italiani.

9

Cronaca e notiziario degli anni 1920 e 1921. La questione ladina, in “Archivio per l’ Alto Adige”, XVI, 1921, pp. 324-325

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23

II

LA POLITICA FASCISTA IN

SUDTIROLO

1. Premessa

Storici ed intellettuali come Norberto Bobbio, Ruggero Zangrandi, Alberto Asor Rosa, Guido Quazza10 hanno sostenuto che il fascismo italiano sia stato, nella sua essenza, un movimento privo di ideologia o programma. Altri, come Emilio Gentile11, hanno sostenuto invece come il fascismo fosse connotato da una propria ideologia; a tal proposito è di rilievo l’ assimilazione dell’ ideologia nazionalista e lo scioglimento del Partito nazionalista che confluì nel PNF. In questo modo, le posizioni del nazionalismo radicale italiano divennero un elemento caratterizzante del fascismo. L’ elemento nazionalista si manifestò nel dibattito sulle questioni dell’ autonomia e delle minoranze etniche nelle nuove province ereditate dall’ Impero Austro-ungarico; in tutto questo è scontato dire che giocò un ruolo di primo piano Ettore Tolomei, vero ideologo delle politiche di assimilazione operato dal regime fascista. La “soluzione fascista” a questi problemi, adottata dopo l’ avvento del governo di Mussolini, rappresentò il punto di incontro tra il

modus operandi del fascismo e l’ ideologia nazionalista: ne

scaturì una soluzione centralizzatrice, oppressiva e interamente dedita all’ italianizzazione forzata delle minoranze. Tutto questo prima che il regime annichilisse la funzione del Parlamento e imponesse una forma di potere autoritaria in Italia.

10

Per approfondimenti cfr. N. Bobbio, La cultura e il fascismo in AA.VV., “Fascismo e società italiana”, Torino, 1973; R. Zangrandi, Il lungo viaggio dentro il fascismo, Milano, 1962; A. Asor Rosa, La cultura, in

“Storia d’ Italia. Dall’ unità ad oggi” , Torino, 1975; G. Quazza, Antifascismo e fascismo nel nodo delle origini

in AA.VV “Fascismo e capitalismo”, Milano, 1976.

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24

Il programma fascista verso le nuove province è ben sintetizzato in una lettera circolare a tutti i ministeri, di cui riporto di seguito un estratto:

“[…] Il governo nazionale pose a base del suo programma verso le popolazioni allogene delle nuove province il fatto che per la geografia e per la storia ( che sono gli elementi costitutivi dello stato nazionale ) tutte le terre che in seguito alla guerra sono state annesse all’ Italia fanno parte d’ Italia, e che soltanto per una arbitraria e violenta azione di governi stranieri ad una parte di tali terre venne in vari modi tolto il carattere di italianità, il quale, ora che lo stato italiano ha acquistato la forza del suo diritto, deve essere pienamente reintegrato. In base a tale programma, che è imposto dai principi dello stato unitario nazionale, il governo provvide sollecitamente a parificare gli ordinamenti delle nuove province a quelli delle altre province del regno, e quindi diede inizio all’ opera di reintegrazione dell’ italianità con una serie di provvedimenti principalmente per l’ uso della lingua e per l’ insegnamento nelle scuole elementari.”12

Nell’ applicazione, questi provvedimenti incontrarono la resistenza delle stesse minoranze e l’ ostilità di Germania, Austria e Jugoslavia, da cui esse cercavano un sostegno, e per questo motivo coinvolsero le relazioni estere italiane con questi Stati. Come vedremo di seguito, i primi dieci anni dell’ era fascista videro un successo dal punto di vista legislativo ed un fallimento da un punto di vista pratico: le minoranze rimasero non italiane e non si riconciliarono con l’ ordinamento italiano. In Sudtirolo, le misure imposte dal fascismo ebbero l’ effetto di portare l’ opinione delle popolazioni tedesca e ladina verso il nazismo.

Fu in questa condizione di precarietà che l’ Italia dovette affrontare la sfida posta dalla risurrezione della Germania hitleriana a partire dal 1934, sfida che portava un equilibrio precario alla frontiera del Brennero.

12

Lettera del Presidente del Consiglio dei Ministri, n. 3730/1.1.12, del 1° Novembre 1925, Archivi riječke

prefekture, Rijeka ( Fiume ), busta 2209, cit. in D. Rusinow, L’ Italia e l’ eredità austriaca. 1919-1946,

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2. I primi provvedimenti amministrativi dell’ Italia

fascista

La stampa di lingua tedesca accolse il nuovo governo Mussolini con parole di limitato e cauto benvenuto, lodando soprattutto il fatto che il nuovo governo rappresentava l’ ordine ed aveva agito rapidamente per eliminare lo squadrismo fascista dalle strade. Dall’ altra parte però, il governo liquidò ciò che restava delle istituzioni autonome concesse dal governo Nitti nei territori annessi; lo scopo era realizzare l’ integrazione istituzionale della Venezia Tridentina e della Venezia Giulia nel regno come normali province dell’ Italia unita. Venne istituita la provincia di Trento con R.D. n. 93 del 21 gennaio 192313, a lungo richiesta da Ettore Tolomei e dai seguaci nazionalisti, della quale venne nominato prefetto Giuseppe Guadagnini14. Da notare che il decreto costituiva una provincia unica con capoluogo Trento; sostanzialmente questo privava Bolzano di ogni competenza amministrativa. La Provincia di Bolzano, intesa come non più come circoscrizione territoriale ma come ente istituzionale, sarebbe stata istituita solo successivamente con il R.D. n. 1 del 2 gennaio 1927, come vedremo in seguito. Il R.D. 93 è importante ai nostri fini perché ci permette di osservare la suddivisione distrettuale delle aree di lingua ladina: l’ art. 1, al 7° comma, stabilisce l’ affidamento della Val di Fassa al circondario di Cavalese, sottraendola di fatto alla provincia di Bolzano e recidendo dunque i suoi legami storici con l’ area tirolese di lingua tedesca. La stessa sorte venne inflitta al Livinallongo-Fodòm e ad Ampezzo: l’ art. 2 del regio decreto sanciva che “il territorio dei distretti giudiziari di

Ampezzo e Livinallongo passa a far parte del territorio del circondario di Belluno”. Separare queste valli, considerate dai

nazionalisti puramente italiane, come abbiamo visto, e meritevoli di nessun riconoscimento in quanto la loro lingua non era altro che un dialetto italiano, significava minare alle basi l’ unità della Ladinia.

13

Gazzetta Ufficiale del Regno d’ Italia n. 24 del 30 gennaio 1923. Per approfondimento, cfr. “Archivio per l’ Alto Adige”, XVII, 1922, pp 262-265, 316-325, 344 e segg. Per la tripartizione geografica, vedi cartina p. 23

14

Giuseppe Guadagnini, nato a Bologna il 9 giugno 1876, venne nominato prefetto di II classe il 25 agosto 1919 e di I classe il 5 marzo 1926. Senatore del Regno dal novembre 1933. Ricopre l’ incarico di prefetto di Trento dal 3 novembre 1922 al 16 dicembre 1926, data in cui venne trasferito alla prefettura di Bologna.

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Da parte loro i fascisti, in un protocollo di intesa stilato nel 1923 con la Lega tedesca, promisero di non fare alcun tentativo di denazionalizzazione. L’ italiano, quale lingua ufficiale di stato, sarebbe stato utilizzato in tutte le iscrizioni pubbliche, ma i cittadini di lingua tedesca avrebbero mantenuto il diritto di comunicare con le autorità dell’ Alto Adige nella propria lingua. Fu garantita libertà delle scuole tedesche purché fosse accettato il principio che i bambini avrebbero dovuto imparare l’ italiano.

I funzionari di lingua tedesca della pubblica amministrazione avrebbero dovuto imparare l’ italiano, ma la mancata padronanza della lingua ufficiale non avrebbe costituito un motivo sufficiente per il licenziamento. Anche in un documento15 scritto da Mussolini quattro anni dopo, nel 1927, indirizzato al prefetto di Bolzano Umberto Ricci16, troviamo ancora questa impostazione. Sebbene sia più volte affermato l’ intento di procedere ad una graduale ma progressiva italianizzazione della provincia, Mussolini non accenna mai, nemmeno lontanamente, ad una estinzione della lingua tedesca, anzi, è quasi sorprendente leggere nel comunicato che “non si

tratta quindi di tramutare gli attuali tedeschi in tanti italiani: si tratta invece: a) di aumentare fino al massimo il numero degli italiano b) di dare una impronta italiana alle nuove generazioni.”

Almeno negli intenti, sembrava che l’ italianizzazione del territorio altoatesino dovesse avvenire senza azioni violente. Sempre seguendo gli intenti dichiarati da Mussolini al prefetto Ricci, con l’ istituzione della Provincia di Bolzano ci si prefiggeva lo scopo di favorire il processo di italianizzazione con metodo. Le parole espresse dal capo di governo rendono ben chiare le sue intenzioni; leggiamo infatti che:

“Colla costituzione della Provincia mi riprometto di ottenere: a) una azione più intensa, perché più immediata, dell’ autorità politica diretta da Roma; b) di utilizzare ai fini della tranquillità e della conciliazione, il senso di soddisfazione che

15 Lettera al prefetto di Bolzano Ricci, ACS, SPD - CO, fasc. 24/R, b. 2 16

Umberto Ricci, nato a Capurso ( Bari ) il 13 novembre 1878, nominato prefetto di II classe il 1 aprile 1922 e di I classe il 1 agosto 1928, ricopre l’ incarico di prefetto di Bolzano dal 16 dicembre 1926 al 15 settembre 1928

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l’ istituzione della Provincia ha sollevato nella popolazione tedesca; c) di continuare il processo di italianizzazione con più metodo e senza eccessi che invece di favorire ritardino detto processo.”

Le prime misure adottate dal governo fascista conservavano ancora una parvenza liberale e gli esponenti della Lega tedesca accettarono questo primo pacchetto di provvedimenti, pubblicate poi dalla stampa locale nel corso del marzo 1923. A partire dalla fine degli anni venti, la politica fascista iniziò a mutare, assumendo caratteri che negli anni divennero più autoritari. Giunti a questo punto, prima di trattare gli eventi che si susseguirono nel decennio successivo al 1923, correrei il rischio di compiere un torto alla storia di questa regione se non approfondissi l’ operato dell’ autore, figura chiave, di questa svolta: Ettore Tolomei.

3. Ettore Tolomei e i “Provvedimenti per l’ Alto

Adige”

Ettore Tolomei17 nacque a Rovereto nel 1865, in quello che allora era chiamato “Welschtirol” ( Tirolo italiano ). Nel 1906 si stabilì a Gleno di Montagna ( Bolzano ) e qui fondò la rivista di studi “Archivio per l’ Alto Adige”. La rivista è tuttora pubblicata, seppur con nome leggermente variato ( “Archivio per l’ Alto Adige – Rivista di studi alpini” ). Dalle sue pagine Tolomei voleva dimostrare l’ italianità del Sudtirolo e la necessità di porre il confine al Brennero. Irredentista radicale, comprendeva anche l'importanza strategica dell'Alto Adige e l'opportunità di avanzare il confine italiano fino allo spartiacque alpino ed infatti tacciò di “rinunciatarietà” i

17 Per un approfondimento sulla figura di Tolomei si veda: F. Scarano, Tra Mussolini e Hitler. Le opzioni dei

sudtirolesi nella politica estera fascista, Milano, 2011; R. Steininger, Alto Adige/Sudtirolo. 1919-1999,

Innsbruck-Vienna, 1999; G. Framke, Im Kampf um Südtirol. Ettore Tolomei und das Archivio per l’ Alto Adige, Tübingen, 1987

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cosiddetti "salurnisti", ovvero coloro che limitavano le rivendicazioni alla chiusa di Salorno.

Sempre nel 1906 cominciò la stesura del Prontuario dei nomi locali dell'Alto Adige, pubblicato poi dalla Reale Società Geografica Italiana nel 1916. Al contrario di come spesso viene affermato, la toponomastica italiana dell'Alto Adige non è dunque opera fascista;infatti la stesura avvenne diversi anni prima dell'avvento di Mussolini al potere. Nel 1921 aderì al movimento fascista e il 15 luglio 1923, nel Teatro civico di Bolzano, Tolomei presentò il programma, in 32 punti, di italianizzazione dei territori trentini ed altoatesini; tale programma, come vedremo a breve, prevedeva, tra i vari punti, l' ufficializzazione dell' italiano quale lingua per l'insegnamento, la politica e la cultura. Il 3 marzo 1923 fu nominato senatore per i suoi meriti culturali e patriottici.

Per Tolomei, l’ occupazione del Sudtirolo da parte delle truppe italiane significò una svolta fondamentale per il “recupero del territorio”. Ora si trattava di cambiare radicalmente la situazione e far capire a tutti i sudtirolesi che la loro Heimat era un’ acquisizione definitiva ed irreversibile dell’ Italia e niente e nessuno avrebbe potuto modificare i confini al Brennero. Se fino a questo momento l’ influenza di Tolomei fu marginale, la sua ora scoccò il 3 marzo 1923, quando fu nominato senatore. Lo stesso giorno, portò la sua opposizione alle blande politiche fasciste nei confronti dei sudtirolesi direttamente di fronte a Mussolini. L’ evento è riportato anche dalla rivista “Archivio per l’ Alto Adige”:

“Il Senatore Tolomei ricevuto il 3 Marzo a Palazzo Chigi dal Presidente del Consiglio, gli espone lo stato delle cose nell’ Alto Adige, dimostra la necessità di compiere l’ assimilazione il più rapidamente possibile; osserva che la

situazione virtualmente capovolta dal trionfo del fascismo, è in realtà rimasta da cinque mesi stazionaria; espone i principali Provvedimenti da prendere, ed è incaricato di preparare e presentare una relazione sopra di essi.”18

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Il 12 marzo 1923 il Gran Consiglio del Fascismo, accettando una risoluzione scritta da Tolomei e da Giovanni Preziosi, di fatto rifiutò il protocollo di intesa tra fascisti e Lega Tedesca relativo alle misure da adottare per la Provincia di Bolzano. Anche questa notizia non poteva che riecheggiare sulle pagine dell’ “Archivio” di quello stesso anno:

“Sulla base posta dal Governo Fascista - provincia unica di Trento – i tedeschi dell’ Alto Adige devono intendere che il Governo Fascista, pur col rispetto delle coscienze e dei costumi e col proposito della pacifica convivenza delle due stirpi, non intende affatto di dare quelle garanzie di perpetuità del germanesimo nella regione atesina, che sono state richieste, per opera del “Deutscher Verband” ai passati governi, e che si sarebbero pretese anche dal Governo fascista. Anzi spalanca le porte all’ italianità che sale e che s’ afferma naturalmente, e favorisce, con ogni forma di penetrazione, l’ assimilazione di questa terra di frontiera colla grande unità della Nazione. Il governo e i Fasci cureranno con tutta benevolenza il benessere economico e la prosperità della regione atesina, ma ciò per mezzo delle autorità e delle istituzioni locali nella sfera degli interessi loro propri, non già trattando col “Deutscher Verband” organizzato, come tale, in odio e in opposizione all’ italianità.”19

Il 19 marzo Tolomei e Preziosi ricevettero da Giacomo Acerbo l’ incarico di redigere un catalogo delle misure da adottare per l’ italianizzazione del Sudtirolo20

. In quello stesso mese Tolomei ebbe altri due incontri importanti, prima con il ministro della pubblica istruzione Giovanni Gentile ed in seguito con il Re Vittorio Emanuele III, che firmò il decreto per l’ introduzione dei nuovi toponimi italiani. Come corollario di tutto questo, il ministro delle finanze De Stefani metteva a disposizione i mezzi per l’ attuazione del programma. Il 25 maggio le misure per l’ Alto Adige furono sottoposte al consiglio dei ministri, che il 1 luglio approvò la “Relazione Tolomei – Preziosi”. Il 15 luglio 1923, al teatro civico di Bolzano, Tolomei proclamò i famosi

19

Ibid. p. 753

20

Cfr. R. Steininger, Alto Adige/Sudtirolo. 1919-1999, Innsbruck-Vienna, 1999, p.20; S. Morosini, Sulle vette

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“Provvedimenti per l’ Alto Adige”, definiti il giorno seguente dal giornale locale “Der Tiroler” “misure per l’ annientamento del germanesimo nel Sudtirolo.”

Ritengo opportuno riportare di seguito i punti più significativi21 di tale programma ai fini di questo lavoro:

a) imporre l’ italiano come lingua ufficiale;

b) licenziare i funzionari tedeschi o trasferirli nelle vecchie province;

c) proibire il nome “Südtirol” ed altre denominazioni similari; d) italianizzare i cognomi germanizzati;

e) favorire l’ immigrazione di italiani e l’ acquisto da parte loro di terreni ed immobili;

f) esigere assoluto disinteressamento della Germania e dell’ estero circa i “tedeschi sull’ Adige”;

g) promuovere in tutti i modi la lingua e la cultura italiana.

I decreti e gli ordini emanati sulla base di tali provvedimenti rappresentano un catalogo di quelli che Gaetano Salvemini definì, con un’ efficace espressione, “strumenti più raffinati per

tormentare le minoranze nazionali in Italia”22

. E’ interessante

citare qui il caso riportato da Rusinow nel suo lavoro, in relazione a due osservatori inglesi, Robert Dell e C.H. Herford, che, compiendo una visita in Sudtirolo un anno dopo la decisione del Gran Consiglio di adottare il programma tolomeiano, quindi nell’ estate del 1924, riferirono sul progresso dell’ italianizzazione in territorio altoatesino. La loro impressione predominante fu quella di confusione amministrativa: soltanto un quarto circa dei funzionari era in grado di parlare italiano e soltanto a Bolzano e a Merano e né i tedeschi né i fascisti sembravano in grado di districarsi nei odici amministrativi italiani. Nessuno conosceva i nomi italiani dei luoghi, neppure i funzionari delle ferrovie, che continuavano ad utilizzare i nomi tedeschi.

21

Testo integrale su “Archivio per l’ Alto Adige”, XVIII, 1923, pp. 766-800

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Intanto il governo dava un’ accelerazione alla trasformazione in legge dei “Provvedimenti” di Tolomei: la legge n. 2307 del 31 dicembre 1925 interveniva pesantemente sulla stampa, abolendone di fatto la libertà: in Sudtirolo la stampa tirolese fu eliminata finchè non rimase solo un giornale in lingua tedesca, il nuovo Alpenzeitung di Merano fondato dal Partito fascista. Uno dei capisaldi del programma, nonché un sogno di Tolomei, ovvero l’ italianizzazione dei nomi tedeschi dei comuni e delle località del Sudtirolo e i nomi ladini delle località delle valli ladine, fu coronato dal R.D. 29 marzo 1923, n. 800, convertito in legge 17 aprile 1925, n. 473, recante il titolo “Lezione

ufficiale dei nomi dei comuni e di altre località dei territori annessi”. Questa legge dava quindi attuazione a quel “Prontuario dei nomi locali dell’ Alto Adige” che Tolomei

redasse nel 1906 con alacre fanatismo, quando ancora era cittadino dell’ Impero austro-ungarico. L’ elenco conteneva 16.735 toponimi dell’ Alto Adige.

Queste ultime misure furono parte integrante della trasformazione dell’ Italia in uno stato autoritario. All’ inizio del dicembre 1926, il governo annunciò che l’ Alto Adige sarebbe stato separato dal Trentino e costituito in Provincia; ed infatti la Provincia di Bolzano fu istituita con R.D. 2 gennaio 1927, n. 1. All’ art. 1, c. 2 recita: “Provincia di Bolzano con

capoluogo Bolzano, comprendente: i comuni dei circondari di Bolzano, Bressanone e Merano”23

. A capo della nuova

prefettura di Bolzano venne nominato un moderato, Umberto Ricci, inviso ai fascisti più fanatici e aEttore Tolomei; l’ azione moderata di Ricci autorizzò la ripresa delle pubblicazioni del quotidiano di lingua tedesca della provincia di Bolzano, il

Dolomiten e del settimanale, anche esso sudtirolese Volksbote.

Le pressioni di Tolomei contro l’ eccessivo moderatismo di Ricci trovarono rinforzi con l’ arrivo a Bolzano di Alfredo Giarratana24 nelle vesti di segretario federale del PNF. Giarratana fece pesare il suo ruolo ed conferì nuovo slancio allo sforzo di italianizzazione della provincia.

23

Gazzetta Ufficiale del Regno d’ Italia n. 7 dell’ 11 gennaio 1927

24 Alfredo Giarratana, nato a Brescia il 21 aprile 1890, inizialmente di idee liberaldemocratiche, aderisce al

PNF e si iscrive ad esso il 1 gennaio 1922. E’ commissario federale di Bolzano dal 12 maggio 1927 al 28 gennaio 1928; dal 28 gennaio 1928 al 10 novembre 1928 ricopre la carica di segretario federale del PNF nel capoluogo altoatesino. Deplorato dal PNF nel 1942.

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Come Giarratana affermò in una intervista pubblicata nel 1928 sull’ “Archivio per l’ Alto Adige”25

, Italia e Fascismo sarebbero diventati sinonimi; il Fascismo avrebbe dovuto penetrare tutti gli starti della della società italiana e di conseguenza – affermava Giarratana – “desiderare di rimanere tirolesi di

lingua tedesca vuol[eva] dire essere antifascisti”.

4. I Ladini e il fascismo

L’ avvento al potere del PNF rappresentò per i ladini la materializzazione dei loro timori, ovvero l’ assimilazione da parte del gruppo etnico di maggioranza italiano. La conversione all’ italianità dei ladini si dimostrò tuttavia alquanto problematica; essi si rivelarono alquanto tenaci nel voler conservare la propria identità e per questo motivo, il governo italiano, fortemente influenzato dalle tesi di Tolomei, operò, come abbiamo visto, lo smembramento dell’ area ladina e la

ripartizione amministrativa sotto tre diverse province. L’ italianizzazione proseguì poi sul fronte della lingua:

considerato da Tolomei “un interessante idioma italico”, il ladino venne soppresso come materia di insegnamento nelle scuole dalla riforma scolastica del ministro dell’ istruzione Giovanni Gentile, prescrivendo l’ italiano come unica lingua di insegnamento su tutto il territorio nazionale e stabilì il trasferimento coatto dei maestri ladini nelle province che erano italiane già prima della Grande Guerra. Soltanto dopo alcuni anni e dopo aver superato un apposito esame di italiano, si poteva tornare in “patria” a insegnare.

La divisione delle valli ladine venne portata a termine nell’ arco di pochi anni. Secondo i fascisti, l’ unione di Gardena, Badia e Fassa nella sola Provincia di Trento aveva impedito il raggiungimento dei risultati sperati e per questo motivo, l’ area in questione fu divisa in due parti, secondo quanto stabilito dal R.D. del 2 gennaio 1927. Come abbiamo precedentemente visto, in quello stesso anno venne istituita la Provincia di

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Bolzano, alla quale furono assegnate le valli Gardena e Badia, mentre la Val di Fassa rimase inglobata nella Provincia di Trento. Questa sarebbe stata una divisione destinata a rimanere anche dopo la caduta del fascismo e che perdura ancora oggi, nonostante una forma di governo di stampo democratico.

Con le “leggi fascistissime” del 1925/1926, terminò anche la tradizionale autonomia di matrice austriaca dei comuni del Sudtirolo e della Ladinia: i nuovi segretari comunali venivano nominati dal prefetto e dovevano essere di madrelingua e di etnia italiana. I podestà fascisti presero il posto dei

Bürgermeistern e gli Stadträte vennero sciolti. Inoltre, nelle

valli ladine cambiarono il numero e i confini dei comuni, in applicazione del provvedimento che stabiliva l’ aggregazione dei comuni minori a quelli di più grosse dimensioni. Di seguito alcuni esempi. In Val Badia essi furono ridotti da sei a tre: Marebbe ( comprendente le frazioni di Pieve, San Vigilio e Rina ), San Martino in Badia ( con le frazioni di San Martino, Piculin, Longiarù, Antermoia e La Valle ) e Badia – Ladinia ( con le frazioni di Badia, La Villa, San Cassiano, Corvara e Colfosco ). Anche in Val di Fassa il numero dei comuni fu ridotto a tre unità: Moena, Vigo di Fassa ( compresi Soraga e Mazzin ) e Canazei ( con annesso il paese di Campitello di Fassa ). Per quanto riguarda la Val Gardena e Livinallongo, i comuni ladini di Pieve di Livinallongo, Colle Santa Lucia, Castelrotto, Ortisei, Santa Cristina e Selva Gardena conservarono invece i loro precedenti confini.

L’ introduzione del sistema fiscale italiano, a partire dal 1924, determinò negli ex territori tirolesi un’ altissima pressione fiscale. Come scrive il segretario federale del PNF di Trento, Dante Maria Tuninetti26, in una relazione a Mussolini in data 5 settembre 1928, si trattava di una pressione fiscale “attuata sul

100 % del reddito grazie ai meticolosi accertamenti ereditati dall’ amministrazione austriaca, sui quali si imponevano però le ben più alte aliquote dello Stato italiano”27

. Inoltre, con il R.d.l. 4 novembre 1928, n. 2325, venne abolito in tutto il

26 Dante Maria Tuninetti, nato a Valenza ( Alessandria ) il 18 settembre 1899, aderisce ai Fasci di

Combattimento il 27 aprile 1920. Inizialmente commissario straordinario federale di Trento dal 2 marzo al 26 aprile 1928, ricopre la carica di segretario federale di Trento dal 26 aprile al 27 ottobre 1928.

Riferimenti

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