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LA POLITICA FASCISTA IN SUDTIROLO

4. I Ladini e il fascismo

L’ avvento al potere del PNF rappresentò per i ladini la materializzazione dei loro timori, ovvero l’ assimilazione da parte del gruppo etnico di maggioranza italiano. La conversione all’ italianità dei ladini si dimostrò tuttavia alquanto problematica; essi si rivelarono alquanto tenaci nel voler conservare la propria identità e per questo motivo, il governo italiano, fortemente influenzato dalle tesi di Tolomei, operò, come abbiamo visto, lo smembramento dell’ area ladina e la

ripartizione amministrativa sotto tre diverse province. L’ italianizzazione proseguì poi sul fronte della lingua:

considerato da Tolomei “un interessante idioma italico”, il ladino venne soppresso come materia di insegnamento nelle scuole dalla riforma scolastica del ministro dell’ istruzione Giovanni Gentile, prescrivendo l’ italiano come unica lingua di insegnamento su tutto il territorio nazionale e stabilì il trasferimento coatto dei maestri ladini nelle province che erano italiane già prima della Grande Guerra. Soltanto dopo alcuni anni e dopo aver superato un apposito esame di italiano, si poteva tornare in “patria” a insegnare.

La divisione delle valli ladine venne portata a termine nell’ arco di pochi anni. Secondo i fascisti, l’ unione di Gardena, Badia e Fassa nella sola Provincia di Trento aveva impedito il raggiungimento dei risultati sperati e per questo motivo, l’ area in questione fu divisa in due parti, secondo quanto stabilito dal R.D. del 2 gennaio 1927. Come abbiamo precedentemente visto, in quello stesso anno venne istituita la Provincia di

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Bolzano, alla quale furono assegnate le valli Gardena e Badia, mentre la Val di Fassa rimase inglobata nella Provincia di Trento. Questa sarebbe stata una divisione destinata a rimanere anche dopo la caduta del fascismo e che perdura ancora oggi, nonostante una forma di governo di stampo democratico.

Con le “leggi fascistissime” del 1925/1926, terminò anche la tradizionale autonomia di matrice austriaca dei comuni del Sudtirolo e della Ladinia: i nuovi segretari comunali venivano nominati dal prefetto e dovevano essere di madrelingua e di etnia italiana. I podestà fascisti presero il posto dei

Bürgermeistern e gli Stadträte vennero sciolti. Inoltre, nelle

valli ladine cambiarono il numero e i confini dei comuni, in applicazione del provvedimento che stabiliva l’ aggregazione dei comuni minori a quelli di più grosse dimensioni. Di seguito alcuni esempi. In Val Badia essi furono ridotti da sei a tre: Marebbe ( comprendente le frazioni di Pieve, San Vigilio e Rina ), San Martino in Badia ( con le frazioni di San Martino, Piculin, Longiarù, Antermoia e La Valle ) e Badia – Ladinia ( con le frazioni di Badia, La Villa, San Cassiano, Corvara e Colfosco ). Anche in Val di Fassa il numero dei comuni fu ridotto a tre unità: Moena, Vigo di Fassa ( compresi Soraga e Mazzin ) e Canazei ( con annesso il paese di Campitello di Fassa ). Per quanto riguarda la Val Gardena e Livinallongo, i comuni ladini di Pieve di Livinallongo, Colle Santa Lucia, Castelrotto, Ortisei, Santa Cristina e Selva Gardena conservarono invece i loro precedenti confini.

L’ introduzione del sistema fiscale italiano, a partire dal 1924, determinò negli ex territori tirolesi un’ altissima pressione fiscale. Come scrive il segretario federale del PNF di Trento, Dante Maria Tuninetti26, in una relazione a Mussolini in data 5 settembre 1928, si trattava di una pressione fiscale “attuata sul

100 % del reddito grazie ai meticolosi accertamenti ereditati dall’ amministrazione austriaca, sui quali si imponevano però le ben più alte aliquote dello Stato italiano”27

. Inoltre, con il R.d.l. 4 novembre 1928, n. 2325, venne abolito in tutto il

26 Dante Maria Tuninetti, nato a Valenza ( Alessandria ) il 18 settembre 1899, aderisce ai Fasci di

Combattimento il 27 aprile 1920. Inizialmente commissario straordinario federale di Trento dal 2 marzo al 26 aprile 1928, ricopre la carica di segretario federale di Trento dal 26 aprile al 27 ottobre 1928.

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Sudtirolo e nei territori ladini il plurisecolare “Geschlossener

Hof” o “Vila” ( il “maso chiuso”, un istituto giuridico peculiare

dell’ area tirolese, volto a preservare l’ indivisibilità della proprietà agricola ), per estendere anche nelle nuove province la legislazione italiana in materia di proprietà fondiaria.

Sul piano del pubblico impiego, quasi tutti gli impiegati di lingua ladina vennero licenziati o trasferiti in altre province. Esclusi dalla vita pubblica, furono costretti ad assistere impotenti all’ azione fascista volta ad eliminare la lingua, la cultura, le tradizioni. Nel suo lavoro, Mauro Scroccaro scrive a riguardo delle nuove autorità locali, le quali riferivano al governo che “se ne traggono conseguenze e conclusioni

purtroppo tutt’ altro che favorevoli al nuovo stato di cose28

. E’ scontato dire che la politica fascista mirava a far perdere al più presto l’ identità nazionale anche all’ intera area ladina, oltre che a tutto il Sudtirolo; per questo motivo venne vietato l’ uso del ladino e del tedesco nelle aree pubbliche. Addirittura, anche semplicemente indossare l’ abito tradizionale era considerato un comportamento sospetto agli occhi delle forze dell’ ordine.

Tuttavia la maggioranza dei ladini accettava con meno resistenza, rispetto ai sudtirolesi di lingua tedesca, le imposizioni del regime fascista e le ragioni sono da ricercarsi principalmente nella necessità di avere un lavoro. Per vivere in tranquillità, alcuni accettarono di iscrivere i propri figli nei gruppi dei Balilla o delle Piccole Italiane, di italianizzare il proprio cognome e di partecipare alle manifestazioni e alle festività fasciste. Il fascismo andava dunque affermandosi nelle valli ladine, ma solo nelle sue manifestazioni esteriori. Complessivamente, ci fu solo qualche manifestazione isolata e individuale di antifascismo, caratterizzata in genere da atteggiamenti di provocazione ed irrisione verso le autorità, subito severamente puniti, piuttosto che un’ attività organizzata clandestina. L’ ostilità al fascismo, inoltre, si concretizzava nell’ insofferenza verso l’ “italiano”, inteso come individuo: l’ italiano era definito dai sudtirolesi “Welsch”, un termine che portava con sé un’ accezione dispregiativa. I tirolesi di lingua tedesca, così come i ladini, si riferivano al Welsch

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sottolineandone l’ inefficienza, la boria nell’ occupare posizioni di comando che non corrispondevano alla capacità di affrontare le situazioni in modo adeguato. Tutto ciò emerge dalle testimonianze orali: Luciana Palla ha notato, nelle interviste raccolte tra Colle Santa Lucia e Livinallongo29, una contrapposizione continua tra l’ ordine austriaco ( visto come razionalizzazione della gestione politica ) e l’ ordine fascista ( visto come pura imposizione spesso accompagnata da corruzione ed ignoranza, intesa come non conoscenza della specificità del territorio ).

Chi aveva infatti conosciuto il sistema di amministrazione asburgico - e aveva combattuto per difenderlo - aveva subito come un’ imposizione il cambiamento di nazionalità e non poteva avere simpatia ( salvo rare eccezioni ) per il regime fascista, al quale venne opposta una ostinata passività fino al momento in cui, offerta la possibilità di emigrare con l’ accordo italo – tedesco sulle opzioni del 1939. Il numero di coloro che scelsero la via che conduceva nel Reich varia da valle a valle, come vedremo in seguito, ma in generale la scelta in massa per l’ espatrio rappresentò un netto fallimento per il regime fascista e per le politiche di italianizzazione in Sudtirolo e nelle zone ladine.

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PARTE II

LE OPZIONI

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