• Non ci sono risultati.

Conclusioni raggiunte e prospettive di ricerca

Le ricerche condotte sulla tradizione manoscritta della Relatio e le conclusioni raggiunte riguardo alla nuova classificazione dei suoi testimoni e ai legami tra le redazioni individuabili consentono di avanzare alcune ipotesi sulla storia della composizione e della trasmissione dell’opera. Le osservazioni sulla tradizione esposte nel capitolo precedente – sulla sua complicazione, sulla sua variabilità e sulla sua diffusione geografica – e i dati testuali emersi dalle ricerche vanificano qualsiasi tentativo di individuare uno sviluppo lineare della tradizione dell’opera. Al contrario, l’ipotesi che sembra spiegare in maniera più economica ed esaustiva i risultati raggiunti vede l’esistenza di una forma testuale latina dell’opera – se non l’originale stesso dell’opera, riguardo al quale esistono ancora molti dubbi, molto vicina ad esso e archetipo della tradizione manoscritta – conservata probabilmente a Padova dove è stato esemplata, rimaneggiata più volte da diversi redattori, tramite l’aggiunta di annotazioni ai margini della sezione centrale del testo ma soprattutto nelle sue parti iniziale e finale. Da questo archetipo pluriforme sarebbero state poi tratte numerose copie, che rappresentano diversi stadi del suo sviluppo e che tengono più o meno conto di tali annotazioni a seconda dei casi. In particolare si possono individuare tre fasi di modifica dell’archetipo, dalle quali hanno avuto origine le redazioni classificate. Il seguente schema costituisce un primo tentativo di descrizione della storia della trasmissione della Relatio; è necessario però premettere che si tratta pur sempre di un primo tentativo, che non riesce ancora a rendere ragione di tutti i fenomeni osservati, passibile di correzioni, modifiche e integrazioni che emergessero da ricerche future.

91

La fase A

1330 x (A) B A6 A2 E XIVm sec λ1 θ Ur ε A1=Er Ca2 γ Co A4=Gc Ro Ar Me2 XV sec Ba M β Hr An Va MT So Ot Ca1 Man Lu κ A5=Mi Me Me2 XVIsec PV R2

XVII sec Hak

Pa Hn

XVIII sec Go

Il primo stadio della tradizione corrisponde all’originale della Relatio, che risale al 13301, caratterizzato da trentasette capitoli seguiti dalla sottoscrizione di Odorico2.

1 Non vi compare ancora infatti la notizia della morte di Odorico, avvenuta nel 1331.

2 Le parti iniziali e finali dell’opera dovevano presentarsi in questo modo (cfr. Gc):

Prologo (α): Licet multa et varia de ritibus et conditionibus huius seculi enarrentur a multis, tamen sciendum est

quod ego frater Odoricus de Foro Iulii de Portu Nahonis, volens transfretare et ad partes infidelium volens ire ut fructus aliquos lucrifacerem animarum, multa magna et mirabilia audivi atque vidi que possum veraciter enarrare.

Incipit (α): Nam primo transiens mare Maius me transtuli Trapesondam, que Pontus antiquitus vocabatur. Hec terra valde bene est situata, ipsa enim est scala quedam, videlicet Persarum, Medorum et omnium eorum qui sunt ultra mare.

Protestatio Odorici (β): Ego frater Odoricus de Foro Iulii de Portu Nahonis de ordine fratrum minorum testificor et testimonium perhibeo meoque ministro respondeo, cum ab eo requisitus fuerim per obedientiam salutarem, quod hec omnia que scripta sunt aut oculis propriis ego vidi aut audivi ab hominibus fidedignis. Multa etiam alia dimisi que scribi non feci, quia ipsa apud aliquos quasi incredibilia viderentur, nisi illa

92

Da questo primo esemplare, evidentemente per mediazione di qualche testimone perduto, discende il testimone Gc (A4), esemplato alla fine del XIV secolo in area inglese, che trasmette in maniera molto fedele quelli che probabilmente erano la forma e il contenuto di A: A4 è la forma redazionale maggiormente conservativa di questa fase della tradizione dell’opera.

Testimone di A è anche Er (A1), codice della seconda metà del XIV sec. Esso mantiene a livello generale la stessa struttura di A, con una eccezione, in quanto è privo della sottoscrizione di Odorico; l’assenza in Er della dichiarazione del nome dell’autore potrebbe essere però solo una conseguenza del lavoro di revisione al quale è stato sottoposto il testo della Relatio in questo testimone3.

Tra i discendenti di A si annoverano anche: A2, redazione inglese molto precoce, innovativa soprattutto dal punto di vista stilistico e linguistico; A5, che costituisce una versione compendiata della Relatio, esemplata in area francese ante 1478 (la data di realizzazione Mi, testimone unico della redazione); A6, forma in volgare italiano realizzata in area veneta ante 1368 (data di Ur), che ebbe grande successo nella penisola italiana, soprattutto in area toscana.

Tutte queste redazioni, seppur con alcune differenze, anche profonde, riflettono la stessa fase del testo della Relatio. Tuttavia, risulta difficile dimostrare l’esistenza e la conformazione degli eventuali legami che uniscono i discendenti di A all’interno dell’intera tradizione dell’opera, in quanto si dispone unicamente di prove negative: i discendenti di questa fase dell’opera infatti non possiedono innovazioni comuni4

. A oggi però quella esposta in questa sede sembra l’ipotesi che in maniera più convincente rende ragione dei fenomeni testuali

propriis oculis vidissent. Ego autem de die in diem me preparo ad illas contratas accedere, in quibus me mori dispono et vivere, ut illi placeat qui sine fine vivit et regnat.

3

Lo stesso sarebbe accaduto in A5, un’altra redazione dell’opera dipendente da A, nella quale il testo ha subito delle profonde modifiche, tra le quali si annovera la stessa omissione della sottoscrizione di Odorico.

4 Si segnalano però due passi, nei quali Er e Gc sembrano congiunti da una innovazione:

1. Er et Gc: Hec folia producunt [...], ut uvarum racemi producuntur; in tanta autem producunt quantitate, quod quasi videntur frangi (Cap. IX,6) [A2 et cett.: producunt fructum sicut; A6: e queste foglie fanno frutto a modo di racemi];

2. Er: sunt flumina in quibus sunt multe male cocholdrige, idest multi mali serpentes; Gc: In hoc etiam nemore sunt [...] multe male cocolorice, idest multi mali serpentes (Cap. IX,8) [A2: nemore sunt flumina multa

in quibus sunt cocodrilli multi; A6: sono fiumi ne’ quali sono molti cocodrilli, i quali sono molto rei serpenti; W et cett.: nemore sunt flumina, in quibus sunt multe male cocodrie, idest].

93

riscontrabili: se A1, A2, A4, A5 e A6 non possiedono le caratteristiche innovative che distinguono le fasi del testo successive, essi dovranno risalire alla fase originale dell’opera5.

La fase B

1330 (?) x(B) C ζ B4 = Fi2 XIVm B2 π B3 = Ny ξ Le D Bu B1 = Me2 α β Bs2 γ δ ε ζ XV Ve2 Pr2, Ut Pr4 Mu3 μ π Wb1 σ Be2 Pr1 Mu1 Vo Be1 Ad2(s.XIV) Wi1 Wi3

XVI Wr1

Fi1

XVII Wr2

XVIII

XIX Ud2

Ai margini di A, in un secondo momento e forse a più riprese, sono state inserite alcune annotazioni di due diverse tipologie.

Da una parte si tratta di osservazioni tratte da altre opere letterarie relative all’Estremo Oriente (sono riconoscibili come fonti le Etymologiae di Isidoro e il Milione di Marco Polo) che integrano il testo dell’opera nella sua sezione centrale.

5 Un dubbio riguarda il rapporto tra la redazione A6 e le fasi B e C: il volgarizzamento italiano presenta alcune caratteristiche tipiche di forme testuali che discendono dalle fasi successive; tuttavia, non è ancora chiaro se intercorra un rapporto con esse, o se in A6 tali aggiunte fossero già presenti in A sotto forma di annotazioni e siano penetrate nel testo di A6 e in quello di altre redazioni B o C, ma non nelle altre forme testuali A. Si tratta dell’indicazione della partenza da Venezia e della durata in anni del viaggio (in A6 come in B2 e B3) e della notizia della predizione e della malattia di Odorico (in A6 come in B e in E); infine in A6 si trova anche il passo XXIX,3, assente nelle altre forme A, ma tipico di B e C.

94

1. Ab hac recedens, veni ad quoddam flumen magnum nomine Thanay. Hic est ille fluvius de quo scripsit Ysidorus XIII libro Etymologiarum a Thano primo rege Scitharum denominatus, qui ex Ripheis silvis descendens determinavit Europam ab Asia; et est inter duas mundi partes medius currens atque in Pontum fluens (Cap. XXIV,7) [W et cett.: Ab hac recedens, veni ad quoddam flumen magnum quod vocatur Doltalay];

La fonte del passo è dichiarata esplicitamente nel brano; si tratta delle Etymologiae di Isidoro di Siviglia, XIII, XXI, 246.

2. Un’altra innovazione che risale allo snodo x consiste nell’omissione nel seguente passo: Hoc flumen per mediam terram [...] Biduinorum transit (Cap. XXIV,10) [W et cett.: terram Pigmeorum, id est Biduinorum, transit].

3. Cum nichil aliud pro moneta in toto suo imperio expendatur quam carte confecte ex corticibus morariorum, quas pro moneta reputantur ibidem. Unde sicut dixi quinque carte constituunt unum balis, qui valet unum florenum cum dimidio. Infinitus etiam thesaurus ad suas manus concurrit. Cum autem moritur ille kanis, omnes Tartari adorant ipsum pro deo (Cap. XXX,5) [W et cett.: cum nichil aliud pro moneta expendatur in toto suo regno quam quedam carte quas pro moneta habent ibi, et infinitus thesaurus ad manus suas recurrit];

La prima di queste aggiunte, che riguarda l’uso di cartamoneta ricavata dalla corteccia degli alberi di gelso, si trova nel Milione di Marco Polo (Cap. LXXXI7), anche nella traduzione latina realizzata da Francesco Pipino (Cap. XXI8), da dove probabilmente è tratta9.

La seconda, relativa alla quantità e al prezzo di tali carte, riprende un passo precedente della stessa Relatio (XXIII,12).

Per il terzo passo non si è individuata ancora alcuna fonte; tuttavia esso è molto probabilmente frutto di una aggiunta, dato che non si collega immediatamente con il resto del brano e del capitolo.

6 Tanus fuit rex Scytharum prumus, a quo Tanais fertur fluvius nuncupatus, qui ex Riphaeis silvis veniens,

dirimit Europam ab Asia, inter duas mundi partes medius currens, atque in Pontum fluens (PL 82, col. 493).

7 E’ fa prendere iscorza d’uno albore c’ha nome gelso; e è l’albore le cui foglie mangiano gli vermini che fanno

la seta. E colgono la buccia sottile, ch’è tra la buccia grossa e l’albore, o vogli tu legno dentro, e di quella buccia fa fare carte, come di bambagia, e sono tutte nere (MARCO POLO, Il Milione, cur. D. Ponchiroli, Torino 2005).

8 Moneta regalis magni Kaam hoc modo fit: de tribus corticibus arboris mori accipiunt cortices medianos, qui

conficiuntur et consolidantur ut folia de papiro (J.V.PRÁŠEK, Marka Pavlova z Benátek. Milion, Praha 1902, p. 97).

9 Una informazione simile riguardante lo stesso oggetto, pure se in forma diversa e più sintetica, si trova aggiunta anche in A5, al Cap. XXIII,12: Ibi enim est mirabilis pecunia, non auri, non argenti, sed eorum

pecunia est de carta bombacis sive de papiro, habens signum magni Canis. Si trattava quindi di una

informazione ritenuta interessante e degna di essere aggiunta al testo dai lettori della Relatio: così come essa venne aggiunta in A5, allo stesso modo può essere accaduto in B.

95

4. Cum autem iuvenem alicuius valoris ipse videbat, in hoc suo paradiso poni faciebat per hunc modum. Nam nullus erat in curia sua preter paucos secretarios suos qui veritatem delusionis scirent de hoc suo paradiso. Unde accipi faciebat iuvenes fortes corpore et ipsos poni faciebat in stallis, ubi equi morantur; et ibidem miserrime eos vivere faciebat et faciebat eos despectu habitu indui. Et numquam de illis stallis exibant, ita quod quasi nesciebant quid essent mundi blanditie et quasi desperabantur. Cum autem sic essent afflicti, faciebat eis unam potationem dari que eos fortissime sopirabat et tunc ponebat illos in hoc paradiso inter illas puellas. Per quosdam autem conductus vinum et lac illuc descendere faciebat. Et cum volebat facere sicari, id est assasinare, regem aliquem vel baronem, illum qui illi preerat paradiso petere faciebat, ut aliquem inveniret qui in hoc suo paradiso commorari magis delectaretur (Cap. XXXV,7-10)10 [W et cett.: Cum autem iuvenem valoris alicuius ipse videret, in isto suo paradiso ipsum poni faciebat. Per quosdam autem conductus vinum et lac illuc descendere faciebat. Et cum volebat facere sicare, id est assasinari, aliquem regem vel baronem, illum qui preerat illi paradiso petere faciebat, ut aliquem inveniret qui esset aptus magis delectari in isto suo paradiso].

Fonte di questo passo potrebbe essere ancora una volta Il Milione di Marco Polo. Anche in questa opera si trova il racconto del cosiddetto Veglio della Montagna, a cui Polo attribuisce il nome di Alaodin11. Rispetto a quella che si trova negli altri testimoni della Relatio, la versione del racconto proposta dal mercante veneziano e quella di B (forma aucta) sono affini dal punto di vista del contenuto: vi si narra che i giovani dei quali si serve il Veglio, inviandoli come sicari per uccidere i suoi nemici, crescono al di fuori delle mura del suo palazzo, e solo in un secondo momento vengono addormentati con una bevanda soporifera e introdotti nel “paradiso”, nel quale godono a tal punto dei piaceri che vi sono offerti che, quando per la seconda volta vengono addormentati e allontanati da esso, sono disposti a qualunque azione, anche a commettere un omicidio, pur di esservi reintrodotti. Dunque ne Il Milione come in B si parla per due volte della assunzione della bevanda soporifera e di un triplo passaggio tra l’esterno e l’interno, mentre nelle altre redazioni odoriciane la bevanda è una sola e il passaggio è doppio. In B però si trovano delle informazioni che non compaiono nelle versioni de Il Milione consultate (il riferimento ai secretarios, la descrizione della vita condotta prima dell’ingresso nel palazzo); si lascia dunque aperta la possibilità che venga individuata un’altra fonte per l’aggiunta. Anche in questo caso si deve trattare di una annotazione non originale; essa si trova collocata subito prima di una frase (per quosdam autem conductus vinum et lac illuc descendere faciebat) che in questo modo sembra interrompere la narrazione. Effettivamente, in tutte le forme testuali della Relatio il racconto del Veglio della Montagna non è mai lineare, ed è spesso oggetto di modifiche da parte dei redattori

10

Il passo non si trova in Bu.

96

che tentano di ristabilire un ordine e una consequenzialità alla narrazione (ad esempio spostando la frase sulle fonti di vino e latte). Un altro segnale della non originalità del passo in esame è la sua struttura sintattica; in esso si può notare uno modulo stilistico che compare altrove nell’opera, anche in sedi attigue, ma mai con la frequenza che caratterizza questo brano; si tratta della frequente ripetizione di una stessa struttura, caratterizzata dalla presenza del verbo causativo faciebat accostato a un secondo verbo all’infinito (faciebat accipi [...] poni faciebat [...] vivere faciebat [...] faciebat indui [...] faciebat dari). Dunque, la modifica sintattica può costituire un ulteriore indizio di una differente origine per il passo in esame rispetto al contesto nel quale è inserito.

D’altra parte, in coda all’opera vengono aggiunti anche due nuovi episodi (il De reverentia in una forma breve e il De potentia), riportati, a quanto si dice, da un frate minore di nome Marchesino da Bassano, che ne avrebbe sentito il racconto direttamente dalla bocca di Odorico. Vi si aggiunge anche la notizia della malattia che Odorico avrebbe contratto a Pisa, mentre era diretto alla corte papale di Avignone probabilmente per chiedere al pontefice di inviare altri missionari in Oriente, e della sua morte, avvenuta a Udine nel gennaio del 1331, data dopo la quale sarebbe nata l’esigenza di aggiornare il testo della Relatio con ulteriori notizie relative al suo protagonista12. Questa seconda categoria di aggiunte si trova in

12 In B tali aggiunte dovevano presentarsi nel seguente modo:

Sottoscrizione di Marchesino (α): Notandum est quod ego frater Marchesinus de Basiano de ordine minorum

ista audivi a fratre Odorico predicto ipso adhuc vivente. Nam plura audivi que ipse non scripsit.

De reverentia (α): Inter alia que locutus est hoc quoque dixit. Nam dixit quod semel dum kanis magnus Tartarorum iret de Cambalec Sandum, ipse frater Odoricus erat cum quatuor fratribus minoribus sub una arbore, que plantata erat iuxta viam per quam ipsum kanem transitum facere oportebat. Unus autem istorum fratrum erat episcopus. Cum autem ille kanis incepit appropinquare, ille episcopus induit se habitu episcopali et accepit crucem et posuit eam in fuste. Et tunc isti quatuor fratres inceperunt alta voce cantare ymnum “Veni creator Spiritus”. Et tunc kanis magnus hoc audito rumore interrogavit, quid hoc esset. Tunc illi quatuor barones qui erant iuxta eum dixerunt sibi quod ipsi erant quatuor raban franchi. Tunc ipse kanis fecit eos ad se accedere. Ille autem episcopus, accepta cruce de fuste, tradidit eam osculandam ipsi magno kani. Ipse vero kanis iacebat et statim visa cruce erexit se in sedendo et, deposito galerio de capite, crucem fuit devote ac humiliter osculatus. Iste autem dominus unam consuetudinem habet: nam nullus audet in conspectu suo vacuus apparere. Unde ipse frater Odoricus, habens unum parvum calatum plenum pomis, ipsi kani fecit exenium. Ipse autem kanis accepit duo poma, unum quorum medietatem comedit, aliud vero in manibus ipse portabat; et sic inde recessit. Ex quo satis apparet quod ipse kanis aliquid habuit de fide nostra propter fratres Minores qui continue in sua curia commorantur, cum deposuerit galerium et fecerit tam devote ac humiliter reverentiam ipsi cruci; quod galerium, secundum quod audivi a fratre Odorico, plus valet quam tota marchia Tervisina propter perlas que sunt ibi ac lapides pretiosos.

De potentia (α): Preterea unum aliud audivi ab eo. Nam dixit quod semel in anno magnus kanis mittit unum de Tartaris suis ad soldanum Babilonie, quem Tartarorum soldanus recipit cum magno timore. Et die constituta soldanus stat super unius parvi rivuli ripam, et Tartarus stat in alia ripa cum arcu in manu tenso, et cum sagitta fortissime venenata; soldanus autem stat in alia ripa ut dixi genibus flexis et manibus cancellatis, nichil breviter habens in capite nec in dorso preter interulam. Quem iste Tartarus crudeliter multum alloquens ter interrogans

97

B3 e ζ, uno snodo dal quale dipendono B2 e π, che a sua volta raggruppa D e B1. Infine, al livello di D è stata aggiunta la sottoscrizione di Enrico di Glatz.