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1. Conclusioni sulla rettifica di sesso; - 2. …(segue) la posizione dei figli nella negoziazione assistita; - 3. …(segue) sul divorzio in generale.

Nel corso di questo lavoro, abbiamo potuto verificare che il termine famiglia ha subito nel corso degli anni, dal '42 ad oggi, notevoli mutamenti, non intendendosi per famiglia un unico modello di formazione sociale che nasce dall'unione di un uomo e una donna attraverso il vincolo matrimoniale ma, al contrario, quello appena descritto rappresenta solo un tipo di unione famigliare potendosi riscontrare nella società, modelli famigliari differenti.

A tal proposito, possiamo sicuramente rilevare che il legislatore italiano non è stato pronto a recepire i mutamenti che sono sviluppati nella realtà sociale. Oggi infatti, possiamo delineare modelli famigliari che non si basano su un matrimonio, ovvero unioni tra persone dello stesso sesso che non trovano regolamentazione nell'ordinamento giuridico italiano. Tuttavia è opportuno affermare che anche se in altri Paesi si è avuta una recezione immediata delle esigenze della realtà sociale, l'Italia, anche se con qualche ritardo, non è rimasta indifferente ai mutamenti, ovvero richieste della comunità.

1 … (segue) sulla rettifica di sesso

Nella prima parte di questo lavoro abbiamo visto come, nel cercare ostinatamente di proteggere la famiglia formata da uomo e donna, il legislatore, inserendo tra le cause di divorzio il mutamento di genere, previsto dalla l. 164/1982, crea delle enormi difficoltà interpretative le quali si sono palesate anche nelle recenti pronunce della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale sul caso di Alessandro,

divenuta Alessandra, e di sua moglie Alessandra. A quanto detto sul caso di specie, si aggiunge poi anche la sentenza del Consiglio di Stato dell' 8 ottobre 2015, la quale ha stabilito che le trascrizioni negli archivi di stato civile dei comuni italiani degli atti di matrimonio tra persone del medesimo sesso contratte all'estero sono nulle. Per i giudici il matrimonio omosessuale è privo “dell'indefettibile condizione della diversità di sesso tra nubendi”322.

Al tempo in cui la rettifica di sesso fu inserita tra le cause di divorzio, il legislatore cercava in tutti i modi di affermare e tutelare quell'unico modello di famiglia che la Costituzione riconosce. Tuttavia, come abbiamo visto, questo ha creato problemi interpretativi

322Nell'ottobre del 2014, il sindaco di Roma – oltre ai sindaci di Milano e Bologna – aveva trascritto nei registri di stato civile, l'atto di matrimonio contratto all'estero di 16 coppie omosessuali sulla base del principio di reciprocità, vale a dire che se due soggetti sono coniugati in Spagna o nel Regno Unito, sono sposate anche in Italia. In seguito alla decisione del sindaco di Roma – e degli altri sindaci citati – il Ministro dell'interno emana una circolare nella quale sosteneva che i matrimoni omosessuali sono contrari alla legge italiana e che, per tal motivo, le trascrizioni effettuate non avevano nessuna validità giuridica. Il Ministro invitava quindi i Prefetti ad annullare d'ufficio eventuali trascrizioni di matrimoni omosessuali celebrati all'estero ribadendo che la materia in questione, ovvero l'equiparazione del matrimonio omosessuale a quello eterosessuale, spetta esclusivamente al legislatore nazionale. Alla luce della suddetta circolare, il Prefetto di Roma - seguito dai Prefetti di Milano e Bologna - provvedeva ad annullare le trascrizioni e, a seguito di tale annullamento, due coppie omosessuali residenti a Roma, in seguito all'annullamento della trascrizione dell'atto di matrimonio, e lo stesso Comune di Roma presentavano ricorso al Tar del Lazio. Sulla base del ricorso presentato, il Tar stabiliva che l'annullamento dei matrimoni tra persone dello stesso sesso poteva avvenire solo ad opera dell'autorità giudiziaria ordinaria, ovvero dal tribunale civile, e non da parte del Ministro dell'interno giudicando illegittima la circolare. A sua volta, il Ministro, insieme al Prefetto di Roma, ricorre al Consiglio di Stato. I giudici del Consiglio di Stato, accolgono il ricorso ribaltando quella che era stata la decisione del Tar affermando che i matrimoni omosessuali in Italia non possono essere trascritti per lo stesso motivo per il quale non possono essere celebrati – vale a dire la mancanza di una previsione legislativa che equipara i matrimoni tra soggetti del medesimo sesso a quelli tra soggetti eterosessuali – e continua dicendo che i prefetti possono procedere ad annullare la trascrizione di quegli atti matrimoniali in quanto titolari del “potere di autotutela sugli atti adottati contra legem dell'organo subordinato”. I giudici poi sottolineano che non esiste negli atti europei e nei trattati internazionali “un diritto fondamentale al matrimonio omosessuale” che possa risultare vincolante per le autorità italiane (in questo senso la sentenza richiama la pronuncia della Corte Costituzionale: sentenza 170/2014). - Consiglio di Stato, Sez. III, 8 ottobre 2015, n. 04899/2015 Reg. Prov. Coll., in

sull'applicazione, ai casi di cui alla lettera g) dell'art. 3, della stessa legge del divorzio: divorzio automatico o su domanda di parte? Interrogativo addirittura a cui rispondono differentemente le due corti sopra citate: per la Corte Costituzionale il matrimonio deve sciogliersi in base alla disposizione dell'art. 29 Cost. il quale prevede un matrimonio che si deve basare sulla differenza di sesso dei coniugi; per la Corte di Cassazione Alessandra ed Alessandra restano coniugate ma sottoposte quasi a condizione risolutiva, vale a dire fino a quando dalle aule parlamentari non intervenga una nuova disciplina che regoli le unioni omosessuali. In relazione a ciò il silenzio del legislatore è imbarazzante anche alla luce della condanna che il nostro Paese ha subìto da parte della Corte di Strasburgo per il mancato riconoscimento delle unioni tra persone dello stesso sesso323.

Come già sostenuto in questo elaborato, il legislatore non dovrebbe proporre un modello di famiglia ed imporlo alla società ma, al contrario, dovrebbe rispondere alle esigenze sociali attraverso l'emanazione di norme giuridiche a tutela di situazioni che sono già esistenti. A questo punto è evidente, alla luce della presa di coscienza dell'esistenza di famiglie diverse da quelle delineate dall'art. 29 Cost., e soprattutto alla condanna dell'Italia da parte della Corte di Strasburgo, l'intervento del legislatore per disciplinare le unioni di soggetti del medesimo sesso appare doveroso. Tuttavia, proprio per la presenza del disposto costituzionale dell'art. 29, la materia dovrebbe essere disciplinata differenziando l'unione omosessuale dalle unioni che trovano fondamento nella forma matrimoniale.

Con l'intervento legislativo volto a tutelare le “nuove famiglie”, troverebbe sicuramente risposta la prima problematica sollevata da Alessandra ed Alessandra: continuare ad essere titolari di quei diritti che derivano dal matrimonio e che, a seguito della rettifica di sesso di

Alessandro non trovano fondamento in altro istituto diverso dal matrimonio. Infatti è da ricordare che la coppia intendeva rimanere coniugata anche in seguito a tale cambiamento avvenuto nella vita di Alessandro ma è pur vero che l'istituto del matrimonio si basa sull'eterosessualità. È soprattutto alla luce del sopravvenuto cambio di sesso derivante dall'omosessualità di Alessandro – sopravvenuta alla celebrazione delle nozze - che le posizioni di entrambi i coniugi devono trovare tutela nell'ordinamento giuridico, caso contrario rimarrebbero privi di quei diritti che avevano acquisito in virtù del matrimonio. È dovere del legislatore ormai prendere atto che il termine matrimonio è destinato a perdere il ruolo di termine esclusivo e necessario al concetto di famiglia. Un nuovo intervento che segua la strada appena suggerita, risolverebbe anche un'ulteriore questione, cioè capire se il divorzio opera o meno in maniera automatica. Se il legislatore intervenisse - e pare sia solo una questione di tempo e di accordi politici - con l'eventuale nuovo istituto che disciplini i rapporti tra soggetti del medesimo sesso, potrebbero beneficiarne oltre che le coppie omosessuali tali sin dal principio della relazione, anche quelle coppie, come nel caso esaminato, divenute omosessuali in una fase successiva. In tale caso appunto, la cessazione degli effetti civili del matrimonio opererebbe in maniera automatica, salvando i principi sui quali si basa il matrimonio delineato dall'art. 29, il quale rappresenta il vero punto problematico della questione essendo principalmente tale disposto costituzionale ad impedire la possibilità di equiparare il matrimonio omosessuale a quello eterosessuale.

Tuttavia, quanto delineato è una soluzione soltanto suggerita dato che, ad oggi, il legislatore sembra essere abbastanza confuso su come poter delineare gli istituti che regolino le unioni tra soggetti del medesimo sesso. L'intervento normativo dovrà differenziare l'unione tra un uomo e donna basata sul matrimonio da qualsiasi altra forma di unione che

non si fondi sull'atto matrimoniale. D'altro canto ancora non esiste un modello di riferimento al quale il legislatore italiano si sta ispirando tale da farci comprendere, almeno in parte, quale sia il possibile contenuto di una riforma in tal senso: di che tipo di unioni si tratterebbe? Diritti e doveri nascenti da questo atto di unione saranno quindi differenti rispetto a quelli nascenti dal matrimonio? Dal dibattito politico l'unica cosa certa, affermata a più riprese, è quella di vietare le adozioni a coppie omosessuali, poiché il divieto consentirebbe la tutela del corretto sviluppo psicofisico del minore, - tuttavia sul punto negli Stati Uniti sono stati svolti studi, ad opera di psicologi, i quali non hanno evidenziato nessun tipo di deficit di crescita dei minori adottati da famiglie con genitori dello stesso sesso rispetto a minori adottati da genitori eterosessuali324 - ; escluso ciò, è possibile delineare l'istituto delle adozioni da parte di coppie eterosessuali non legate dal vincolo matrimoniale?

Interrogativi questi che sono destinanti a rimanere senza risposta almeno fino all'apertura della discussione parlamentare sul tema dato che, ad oggi un progetto di legge sulle unioni omosessuali, al Senato della Repubblica è stato presentato ma non ancora calendarizzato nei lavori dell'aula.

324Il punto può essere approfondito su A. E. Goldberg, “Omogenitorialità. Famiglie

2 …(segue) la posizione dei figli nelle negoziazione assistita Dall'avvento della Costituzione sino ad oggi, diversi sono stati gli interventi diretti a tutelare la prole minorenne durante la separazione o il divorzio dei genitori: il minore era travolto nella crisi della famiglia e spesso, in mancanza di previsioni legislative puntuali in relazione alla loro posizione, i figli erano più che altro degli oggetti, beni da spartirsi nella lite coniugale, utilizzati per ripicche e vendette tra i coniugi. Come abbiamo visto, in tema di filiazione il diritto di famiglia ha subìto nel tempo diversi interventi che dapprima erano orientati a capire come, nell'interesse morale e materiale del figlio, si poteva disporre l'affidamento: da affidamento esclusivo monogenitoriale si è passati ad una forma di affido congiunto o alternato, forme di affido che erano inserite nella l. del divorzio da affiancare alle forme di affidamento esclusivo; in un secondo momento, recependo anche quelle che sono state le convenzioni internazionali alle quali l'Italia ha aderito325, il legislatore individua il minore come vero è proprio soggetto di diritto il quale, acquisita la capacità di discernimento si trova nella posizione di poter esprimere il suo pensiero sulla vicenda dei genitori e mostrare quelli che sono i suoi interessi che, nella crisi della famiglia, risultano essere primari rispetto a tutti gli altri interessi in gioco. Egli, a differenza di quanto appena detto, non è più oggetto del contendere tra i genitori ma, al contrario, ha diritto alla bigenitorialità e, in questo senso, potremmo dire che il diritto alla bigenitorialità si può configurare anche come diritto del minore a non accettare ingerenze da parte di uno dei genitori sul suo diritto a mantenere rapporti con entrambe le figure genitoriali. Sempre a tutela del minore, è intervenuta la legge 219/2012 che dichiara lo status unico della filiazione eliminando ogni tipo di distinzione tra figli nati

in un matrimonio e figli nati fuori da un matrimonio. Oltre a ciò, di delineano le modalità attraverso le quali il figlio può liberamente esprimere le proprie opinioni in relazione alla vicenda in cui è coinvolto, attraverso quanto stabilito dal d.lgs 134/2013, ciò in funzione della posizione che il minore ha nella famiglia.

Alla luce di quanto detto, non si capisce come, dopo un così lungo percorso legislativo nel quale si è arrivati a guardare alla figura del minore come soggetto di diritto nella vicenda della crisi della famiglia, non più travolto dagli eventi ma chiamato a parteciparvi, nella negoziazione assistita della legge 162/2014, non si individua una pronta e dettagliata disciplina che faccia riferimento alla possibilità di partecipazione del minore alla convenzione e alle modalità con cui, eventualmente, il minore può esprimersi anche in tale caso sulla vicenda dei genitori e di tutta la famiglia.

Infatti, l'art. 6 della citata legge prevede una disciplina differenziata di separazione e divorzio nel caso in cui sia presente prole minorenne limitandosi ad affermare che l'accordo raggiunto dagli avvocati deve essere omologato dal PM che, a sua volta, è chiamato a verificare che l'accordo sia diretto a tutelare l'interesse del minore. Ora, facendo riferimento al fatto che nel silenzio della norma, in dottrina si è arrivati a comprendere in maniera poco esaustiva quale sia effettivamente il controllo che il PM debba fare sulla convenzione, rimane del tutto fuori dall'istituto la possibilità di procedere ad ascolto del minore durante la negoziazione assistita. Infatti, la riforma della filiazione del 2012 e 2013 parla di potere del giudice di procedere ad ascolto del minore ma, nei casi previsti dall'art. 6 della legge sulla negoziazione assistita, il giudice non interviene in prima battuta ma è il PM che per primo interviene a valutare la corrispondenza dell'accordo all'interesse del minore e, come rilevato, è abbastanza problematico capire quale sia il reale interesse del minore se il PM non si trova nella possibilità di

ascoltarlo. Il PM infatti, in base anche a quanto detto nella parte II del presente elaborato, dovrà valutare i presupposti formali dell'accordo ma è anche vero che non ha poteri incisivi e di indagine per comprendere sino in fondo se l'accordo sia rispettoso o meno di quell'interesse.

Da quanto visto, rispetto all'ascolto del minore in negoziazione assistita, una possibile soluzione la fornisce l'art. 56 del codice deontologico forense il quale però, affermando che in materia famigliare l'avvocato mai può entrare in contatto con il minore e il possibile ed eventuale ascolto può essere delegato ad un consulente esperto – psicologo – su consenso dei genitori, non si armonizza con la riforma della filiazione del d.lgs 154/2013 sotto diversi punti di vista. In primo luogo perché contrasta con l'art. 336 bis c.c. il quale attribuisce il potere di ascolto al presidente del tribunale o al giudice delegato; è il presidente del tribunale che procede all'ascolto attraverso delle modalità dirette a non creare danno alla figura del minore, come quelle descritte dall'art. 38 disp. att. c.c; è sempre il giudice che decide se gli avvocati e i genitori possono partecipare ed essere presenti all'ascolto; è sempre il giudice che decide di non procedere all'ascolto nel caso l'ascolto stesso sia lesivo dell'interesse del minore. Nella negoziazione assistita il presidente del tribunale interviene solo nel caso in cui il PM ritenga l'accordo raggiunto dai coniugi non corrispondenti all'interesse del minore. Quindi, in tal senso, al PM è stata attribuita una funzione di controllo la quale non può essere esercitata in maniera soddisfacente dato che non ha poteri istruttori tali da comprendere se l'accordo raggiunto soddisfi effettivamente l'interesse della prole. Ma, in particolare sull'ascolto, se dovesse configurarsi la necessità di precedervi, si capisce bene che seguendo quanto affermato dal codice deontologico, tale strada non è conforme alla disposizione dell'art. 336 bis; anche in relazione al fatto che è

sempre il giudice che decide di disporre o meno l'ascolto stesso.

In secondo luogo si potrebbe affermare che, essendo la negoziazione assistita istituto che si basa su accordi tra i coniugi che cooperano in buona fede, in una situazione dove la conflittualità è di basso rilievo, non si procede ad ascolto, riconducendo tali casi alla prescrizione dell'art. 337 octies del c.c. Tuttavia tale soluzione non è condivisibile dato che, in tali casi ben potrebbe accadere che i coniugi si accordino tra di loro facendo passare in secondo piano l'interesse del minore il quale, alla lettura della convenzione da parte del PM, potrebbe non emergere, soprattutto alla luce del fatto che il PM ha un potere di indagine più formale che sostanziale. A questo punto è da sostenere la tesi che, anche in caso di bassa conflittualità tra i coniugi i quali decidono di procedere alla convenzione di negoziazione assistita, non deve escludersi a priori la necessità di ascoltare il minore326.

In terzo luogo, le procedure sull'ascolto del minore delineate con la riforma della filiazione del 2012/2013, potrebbero trovare una giusta collocazione nella fase in cui la convenzione raggiunta dai genitori, in seguito a controllo del PM, è rinviata al presidente del tribunale perché contraria all'interesse del minore. Tuttavia in tale caso, si aprirebbe un secondo ordine di problemi, ovvero che il giudice non ha poteri istruttori di indagine poiché, se così fosse snaturerebbe la ratio della negoziazione assistita e sopratutto il ruolo del PM il quale avrebbe sicuramente accettato un accordo se questo fosse stato corrispondente alle critiche sollevate. Non può ipotizzarsi infatti, un potere del presidente del tribunale di modifica sostanziale e consistente dell'accordo che è stato presentato al PM. Tuttavia è pur vero che sembra delinearsi in dottrina l'orientamento secondo il quale, il presidente del tribunale oltre che a controllare la convenzione in sé,

326In tal senso F. Danovi. “I nuovi modelli di separazione e divorzio:un intricata

controlla anche l'operato del PM327.

Infine, a dimostrazione del fatto che la negoziazione assistita non è coordinata con la riforma della filiazione, a quanto appena detto si aggiunge che, continuando a concentrarsi sul modello di famiglia fondato sul matrimonio, il legislatore lascia fuori la possibilità per i conviventi more uxorio di regolare i loro rapporti in base all'art. 6 della legge 162/2014 escludendo la possibilità che i genitori non sposati possano accordarsi sull'esercizio della potestà genitoriale attraverso la negoziazione assistita. Tutto ciò risulta palesemente in contrasto con la riforma dello status unico della filiazione poiché i diritti del minore nato fuori da un matrimonio passano in secondo piano rispetto alla vicenda dei suoi genitori i quali non sono stati coniugati e che, per tale ragione non integrano il presupposto per accedere all'istituto peculiare dell'art. 6

327M. Crescenzi, “La degiurisdizionalizazione nei procedimenti di famiglia”, cit. par. 8.

3 … (segue) sul divorzio breve

Alla viglia dell'entrata in vigore del decreto sulla degiurisdizionalizzazione, si era parlato di riforma del divorzio. In realtà da come si evince nei paragrafi della parte II del presente elaborato, sia l'art. 6 sulla negoziazione assistita sia l'art. 12 che fa riferimento alla separazione e divorzio davanti al sindaco, non apportano nessuna modifica alla legge sul divorzio ma rappresentano, in caso di accordo, la possibilità per i coniugi, di beneficiare di una procedura più veloce per arrivare ad una pronuncia di separazione e divorzio evitando le lungaggini processuali. Tuttavia, rimane il fatto che per avere una pronuncia di divorzio è necessario il passaggio dalla separazione e, dopo averla ottenuta, tra separazione e divorzio devono comunque intercorrere i tre anni previsti all'art. 3, comma 2, lett. b) dalla legge 898/1970.

I nuovi interventi che si sono avuti alla fine del 2014 hanno comunque avuto dei risvolti positivi dato che le due procedure, in particolare quella dell'art. 12, consentono il raggiungimento di un livello di autonomia privata nel diritto di famiglia che fino ad ora non si era mai verificato328.

L'ultimo intervento legislativo sul divorzio, la l. 55/2015 denominata “divorzio breve”, è l'ultimo passaggio di una riforma che da tempo era