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Dallo scioglimento del matrimonio al divorzio breve. L'interesse del minore nella crisi della famiglia.

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Academic year: 2021

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INDICE

INTRODUZIONE...4

PARTE I: IL DIVORZIO Cause di scioglimento del matrimonio: La separazione e la rettifica di sesso di uno dei coniugi. Attenzione al minore quale soggetto di diritto coinvolto nella crisi della famiglia...6

1. Premesse introduttive. Evoluzione del concetto di famiglia: il codice civile del 1942, la Costituzione e la CEDU...6

2. Legge 898/1970: disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio. Natura dell'istituto...15

2.1 Cause Tassative...17

3. La separazione dei coniugi...21

3.1 La separazione giudiziale...22

3.2 La separazione consensuale...25

3.3 La separazione di fatto...26

3.4 … (segue) sulla separazione...26

4. Il Cambio di Sesso del Coniuge...29

4.1 Nozione di identità sessuale, orientamento sessuale e di transessualismo...29

4.2 L'intervento Legislativo per la Rettifica di Sesso: legge 14 aprile 1982, n°164...30

4.3 … (segue) nel matrimonio...31

4.4 … (segue) Il caso giurisprudenziale...33

4.5 … (segue) sentenza Corte Costituzionale n°170/2014...37

4.6 Riflessioni sulla sentenza 170/2014 e la sua applicazione da parte della Cassazione nella sentenza 8097/2015...40

5. La tutela del minore nella crisi della famiglia...44

5.2 … (segue) la legge 151/1975: l'affidamento esclusivo...45 5.3… (segue) la legge 74/1987: l'affidamento congiunto e

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l'affidamento alternato...48

5.4 Legge 54/2006: l'affidamento condiviso...50

5.4.1 l'interesse morale e materiale del minore nell'affido condiviso. Il diritto alla bigenitorialità...51

5.4.2 il rapporto del minore con parenti ed ascendenti nella legge 54/2006...54

5.4.3 l'esercizio della potestà genitoriale...56

5.4.4 L'audizione del minore nella crisi della famiglia alla luce della legge sull'affido condiviso...58

5.4.4.1 Le Convenzioni internazionali...59

5.4.4.2 L'art. 155 sexies ...62

5.5 L'ascolto del minore alla luce della legge 219/2012...68

5.5.1 cenni sul diritto del minore a crescere in famiglia e sul diritto all'amore dei nonni...73

5.5.2 modalità di ascolto del minore alla luce del d.lgs 154/2013...76

PARTE II: IL DIVORZIO BREVE La degiurisdizionalizzazione in materia di famiglia; la posizione dei figli nella negoziazione assistita; la separazione ed il divorzio davanti al sindaco. Il divorzio alla luce della l. 55/2015...88

1. Esigenze di esemplificazione della procedura di divorzio...88

2. Primo intervento: decreto legge 132/14 convertito in legge 162/14: la degiurisdizionalizzazione nel procedimento di divorzio. cenni generali su alcune previsioni di legge...91

2.1 alcuni cenni sul tentativo di conciliazione: divorzio a due velocità...94

3. Art. 6: La Negoziazione Assistita ...98

3.1 … (segue) sul ruolo del PM...100

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3.3 Negoziazione assistita in presenza di figli...109

3.3.1 … (segue) sull'ascolto del minore...113

3.4 … (segue) sui figli maggiorenni non autosufficienti e ancora sui figli maggiorenni con handicap...117

3.5 profili si incostituzionalità della negoziazione assistita...126

4 Separazione e divorzio innanzi all'Ufficiale di Stato Civile...130

5. Secondo intervento: legge 55/2015: “Disposizioni in materia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché di comunione tra i coniugi”...135

5.1 … (segue) il testo definitivo sul divorzio breve...136

5.2 … (segue) alcuni aspetti procedurali...141

PARTE III: CONCLUSIONI...144

1 Conclusioni sulla rettifica di sesso...144

2 …(segue) la posizione dei figli nella negoziazione assistita...149

3 …(segue) sul divorzio in generale...154

BIBLIOGRAFIA...156 SITOGRAFIA...158 RIVISTE...159 CORTE DI STRASBURGO...163 CORTE COSTITUZIONALE...163 CORTE DI CASSAZIONE...163 CONSIGLIO DI STATO...165 TRIBUNALI...165

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INTRODUZIONE

Il presente elaborato è diretto ad analizzare alcune cause che consento la cessazione degli effetti civili del matrimonio e di fare luce sugli interventi legislativi che si sono avuti nel nostro ordinamento rispetto ai soggetti che sono coinvolti, o meglio travolti, nella crisi della famiglia: i figli minori.

Nella prima parte del lavoro di tesi, dopo aver sommariamente indicato le cause di divorzio, verrà analizzata la separazione con particolare attenzione ai tempi che devono intercorrere dalla pronuncia della stessa alla presentazione della domanda di divorzio. In virtù di ciò, nella parte seconda vederemo quali siano state le premesse per addivenire al divorzio breve.

Durante la trattazione verrà analizzata un'ulteriore causa di scioglimento del matrimonio, vale a dire il divorzio per rettifica di sesso di uno dei coniugi. In tale caso lo scopo sarà quello di dimostrare la confusione posta in essere dal legislatore del 1987 quando inserisce la rettifica di sesso tra le cause di divorzio.

Particolare attenzione verrà data poi alla posizione dei figli minori che vengono travolti nella crisi della famiglia. L'attenzione alla prole ha avuto una importante evoluzione legislativa: dal codice del 1942 sino alla riforma della filiazione del 2012 vedremo come è cambiata la posizione dei minori nella famiglia.

Dimostreremo poi, come nuovamente la figura del minore sembri passare in secondo piano, soprattutto nel procedimento di degiurisdizionalizzazione dove i tempi, abbastanza celeri per giungere

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a separazione e divorzio non consentono di verificare in maniera esaustiva quelli che sono gli interessi dei minori coinvolti.

Infine verrà data luce alla nuova riforma sul divorzio, la recente legge 55/2015, dove lo scopo sarà quello di dimostrare che la legge in questione niente modifica in relazione ai presupposti della legge 898/1970 che rimangono invariati: il nuovo intervento attiene esclusivamente all'arco temporale che deve intercorrere tra separazione e divorzio.

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PARTE I: IL DIVORZIO

Cause di scioglimento del matrimonio: La separazione e la rettifica di sesso di uno dei coniugi. Attenzione al minore quale soggetto di diritto coinvolto nella crisi della famiglia.

1. Premesse introduttive. Evoluzione del concetto di famiglia: il codice civile del 1942, la Costituzione e la CEDU; - 2. Legge 898/1970: disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio. Natura dell'istituto; - 2.1 Cause Tassative; - 3. La separazione dei coniugi; - 3.1 La separazione giudiziale; - 3.2 La separazione consensuale; - 3.3 La separazione di fatto; - 3.4 … (segue) sulla separazione; - 4. Il Cambio di Sesso del Coniuge; - 4.1 Nozione di identità sessuale, orientamento sessuale e di transessualismo; - 4.2 L'intervento Legislativo per la Rettifica di Sesso: legge 14 aprile 1982, n°164; - 4.3 … (segue) nel matrimonio; - 4.4 … (segue) Il caso giurisprudenziale; - 4.5 … (segue) sentenza Corte Costituzionale n°170/2014; - 4.6 Riflessioni sulla sentenza 170/2014 e la sua applicazione da parte della Cassazione nella sentenza 8097/2015; - 5. La tutela del minore nella crisi della famiglia; - 5.1 …

(segue) nel codice del 1942; - 5.2 … (segue) la legge 151/1975: l'affidamento

esclusivo; - 5.3 … (segue) la legge 74/1987: l'affidamento congiunto e l'affidamento alternato; - 5.4 Legge 54/2006: l'affidamento condiviso; - 5.4.2 l'interesse morale e materiale del minore nell'affido condiviso. Il diritto alla bigenitorialità; - 5.4.3 il rapporto del minore con parenti ed ascendenti nella legge 54/2006; - 5.4.4 l'esercizio della potestà genitoriale; - 5.4.5 L'audizione del minore nella crisi della famiglia alla luce della legge sull'affido condiviso; 5.4.4.1 Le Convenzioni internazionali; 5.4.4.2 L'art. 155 sexies; 5.5 L'ascolto del minore alla luce della legge 219/2012; -5.5.1 cenni sul diritto del minore a crescere in famiglia e sul diritto all'amore dei nonni; - 5.5.2 modalità di ascolto del minore alla luce del d.lgs 154/2013.

1. Premesse introduttive. Evoluzione del concetto di famiglia: il codice civile del 1942, la Costituzione e la CEDU Il diritto di famiglia è il settore del diritto civile che maggiormente ha subìto mutazioni. Prima di analizzare il tessuto normativo della famiglia contemporanea è necessario comprendere l'evoluzione del concetto di famiglia. Essa dev'essere presa in considerazione come

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“attore sociale complesso, immerso nei processi interattivi con la società in cui è inserita: né puramente passiva, né puramente autonoma”1. Necessario è indagare la realtà sociale e, attraverso tale analisi, individuare i valori e gli interessi della collettività, poiché il compito del legislatore non è quello di individuare un modello normativo di famiglia ed imporlo alla società ma tradurre normativamente una realtà che già è esistente2.

Il codice civile del 1942 individua una concezione di famiglia che si ispirava al sentimento sociale del tempo che si aveva sul tema in questione: la famiglia nasceva attraverso un matrimonio ed i suoi componenti erano diversamente considerati in base all'età, al sesso e al legame che li univa al capofamiglia in una struttura gerarchicamente ordinata3.

Gli interessi del gruppo famigliare erano prevalenti sugli interessi dei singoli componenti della famiglia stessa dove i loro ruoli erano già prestabiliti. Una delle caratteristiche peculiari di questo tipo di famiglia era l'interesse a proiettarla nel futuro attraverso il trasferimento del nome, della proprietà e degli strumenti che consentivano a far si che il gruppo potesse vivere oltre la vita biologica dei suoi membri4.

Come si può notare, il codice del '42, individuava una famiglia autoritaria e chiusa, organizzata gerarchicamente intorno alla figura del marito - capofamiglia - e fondata sul matrimonio. Infatti il matrimonio è l'unico atto in grado di conferire dignità e legittimità all'unione stessa e alla prole nata da quella unione5.

La famiglia era così considerata come unico tipo di aggregazione possibile nel contesto sociale e, in conseguenza a ciò, il modello

1 D. Riccio, “La famiglia di fatto”, Cedam, 2007, pag. 34.

2 D. Barillaro, “Società civile e società religiosa”, Giuffrè editore, 1981, pag 13. 3 G. Vettori, “L'unità della famiglia e la nuova disciplina della separazione

giudiziale fra i coniugi”, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1978, p. 711 ss.

4 R. Picaro, “Stato unico della filiazione. Un problema ancora aperto”, Torino 2013, pag. 15.

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matrimoniale era l'unico disciplinato dall'ordinamento6.

Il diritto di famiglia si qualificava su due principi cardine: da un lato sull'indissolubilità del matrimonio e, di conseguenza, sulla discriminazione dei figli nati fuori dallo stesso; dall'altro dalla preminenza del marito sulla moglie spettando ad egli il mantenimento della famiglia e tutte le decisioni economiche inerenti alla vita famigliare e dei suoi componenti7.

Il legame dei coniugi era inscindibile8; da tale principio deriva che la separazione personale dei coniugi poteva avvenire solo nei casi previsti tassativamente dalla legge dove la colpa di uno dei due soggetti nella crisi famigliare, rappresentava l'elemento soggettivo in base al quale ne venivano regolati gli effetti9. Inoltre, come si può facilmente comprendere, i figli nati fuori da un'unione matrimoniale erano illegittimi, addirittura la relazione tra genitore e figli illegittimi era irrilevante quando questi non erano riconosciuti o non riconoscibili. I rapporti personali erano governati dalla potestà maritale e quelli patrimoniali caratterizzati dall'istituto della dote. La famiglia con questa struttura era l'unica possibile, rappresentava il nucleo minimo di formazione sociale cui era devoluto il compito di tutelare il superiore interesse pubblico e la stessa esistenza dell'ordinamento giuridico10. Il declino di questa accezione di famiglia, si ha con l'avvento della Costituzione della Repubblica la quale, anche se accoglie sempre un modello di famiglia legittima fondata sul matrimonio tra uomo e donna, ha introdotto i valori di uguaglianza morale e giuridica dei

6 M. Sesta, “Manuale di diritto di famiglia”, Cedam, 2013, pag. 207.

7 G. Giacobbe, “famiglia: molteplicità di modello o unità categoriale?”, in Dir.

Fam., 2006, fasc. 3, pag. 1219.

8 Art. 149 del c.c. affermava che “il matrimonio non si scioglie che con la morte di uno dei coniugi”.

9 R. Picaro, “Stato unico della filiazione. Un problema ancora aperto”, cit. pag. 16.

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coniugi; il riconoscimento di tutele ai figli anche se nati fuori dal matrimonio, l'autonomia della famiglia, il dovere di mantenere ed istruire la prole e il principio di sostegno pubblico ai compiti educativi della famiglia11.

L'art 29 della costituzione rappresenta il fulcro dell'intero diritto di famiglia nel sistema normativo italiano:

“La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull'uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare”

il dettato individua la famiglia come società naturale. Tale espressione non deve essere equivocata nel suo significato, vale a dire che società naturale non richiama le concezioni giusnaturalistiche della famiglia ma vuole indicare una necessaria preesistenza dell'istituto famigliare rispetto al diritto dello stato12, come a voler significare che la formazione sociale si formerebbe a prescindere e, indipendentemente, dall'esistenza dello Stato.

L'articolo afferma l'uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, individua un modello di famiglia fondato sul matrimonio e ad esso devono essere collegati gli artt. 2 e 3 della costituzione stessa. L'art. 2 Cost. infatti, sancisce il principio personalista, riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, cioè quei diritti che sono propri di ogni individuo a prescindere dall'esistenza dello Stato: infatti, in tal senso, lo Stato non attribuisce diritti ma è il mezzo con il quale i soggetti

11 G. Giacobbe, “Il modello costituzionale della famiglia nell'ordinamento

italiano”, in Riv. dir. Civ., 2006, p. 482.

12 E. Rossi, N. Pignatelli, “La tutela costituzionale delle forme di convivenza

famigliare diverse dalla famiglia”, in L'attuazione della Costituzione, a cura di

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realizzano la propria personalità13.

L'art. 29 richiama, come detto, il principio di uguaglianza dell'art. 3 il quale afferma la pari dignità sociale tra gli individui, l'uguaglianza di tutti di fronte alla legge ed esprime il rispetto e la tutela delle diversità. Tuttavia, dopo l'entrata in vigore della Costituzione, davanti all'art. 29, vi era chi ancora sosteneva che la sostanziale disuguaglianza tra i coniugi era necessaria. Dottrina e giurisprudenza maggioritaria affermavano in un primo momento che la legge ordinaria preesistente era perfettamente compatibile con l'intervenuta Costituzione, ritenendo che il dettato dell'art. 29 era norma programmatica e non immediatamente precettiva e che era lo stesso articolo Cost. ad individuare i limiti per la garanzia dell'unità famigliare come se la Costituzione stessa facesse riferimento a quelle norme del codice civile del '42 sull'autorità del marito, realizzando quindi un modello di famiglia che era diffuso ed accettato all'epoca dell'emanazione della Costituzione14.

Il processo di adattamento ai principi costituzionali fu lento e graduale, la società non si mostrava pronta a recepire un nuovo modello di famiglia rispetto a quello che era già individuato nelle norme previgenti alla Costituzione.

Questa lettura dell'art. 29 inizia a subire una mutazione grazie all'intervento della Corte Costituzionale. Nel 1968 la Corte affermava che “La Costituzione direttamente impone la disciplina giuridica del matrimonio – con il solo limite dell'unità della famiglia – contemplando obblighi e diritti eguali per il marito e per la moglie”15 con la conseguenza che la disparità di trattamento può trovare un

13 E. Rossi, N. Pignatelli, “L tutela costituzionale delle forme di convivenza

famigliare diverse dalla famiglia”, in L'attuazione della Costituzione, cit. pag.

207.

14 G. Oberto, “Gli aspetti della separazione e del divorzio nella famiglia”, Cedam, 2012, pag. 35.

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giustificazione al solo fine di mantenere l'unità famigliare. I ristretti limiti al principio di uguaglianza potevano ravvisarsi nella prevalenza del cognome del marito dell'art. 143 bis del c.c. e nel precedente art. 31616 il quale individuava un potere paterno di urgenza in caso di pregiudizio incombente e grave del figlio17.

A dimostrazione dell'applicazione del principio di uguaglianza ai componenti del nucleo famigliare, sempre il giudice costituzionale, con sentenza 133/197018, dichiarava l'illegittimo l'art. 145 del c.c. nella parte in cui sanciva l'obbligo di mantenimento della moglie da parte del marito a prescindere dalle sue condizioni economiche. Infatti, l'obbligo del marito di mantenere economicamente la moglie era espressione dell'autorità maritale che, con l'avvento della Costituzione viene meno. Tale obbligo può realizzarsi sulla base di nuovi presupposti, ad esempio lo stato di bisogno di uno dei due coniugi, indipendentemente da quale dei due versi in tale stato.

Gli interventi della Corte Costituzionale anticiparono una radicale riforma del diritto di famiglia nel sistema codicistico che si sarebbe realizzata di lì a poco. Il parlamento italiano infatti, era stato sollecitato in tal senso oltre che dalle pronunce della Consulta, anche dalle preesistenti fonti internazionali.

La Convenzione Europea dei diritti dell'uomo e libertà fondamentali, firmata a Roma nel 1950, è uno dei principali strumenti di salvaguardia dei diritti della persona umana. Essa enuncia una serie di principi che sono costantemente applicati presso la Corte di Strasburgo divenendo così anche stimolo per i legislatori nazionali19. Alla famiglia la CEDU dedica due articoli: l'art. 8 che tutela la vita privata e famigliare e l'art.

16 Oggetto di riforma della L. 219/2012.

17 G. Oberto, “Gli aspetti della separazione e del divorzio nella famiglia”, cit. pag. 37.

18 Citata da R. Picaro, “Stato unico della filiazione. Un problema ancora aperto”, Torino 2013, pag 31.

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12 che sancisce il diritto di ogni uomo e donna di contrarre matrimonio e di avere una famiglia, precisando che ciò avviene con l'osservazione delle leggi nazionali che ne regolano il diritto. Nella CEDU la famiglia non è mai considerata come portatrice di interessi superiori rispetto ai quali, per la loro realizzazione, gli interessi dei singoli componenti possono essere sacrificati. Al contrario, oggetto di tutela sono i diritti delle persone nella famiglia20. Questo è anche il tipo di accezione della famiglia che è stata accolta in Costituzione e confermata anche in tempi non così lontani dalla Cassazione, nel 2005, che sull'argomento ha sentenziato che la famiglia non deve essere “luogo di compressione e di mortificazione di diritti irrinunciabili, ma […] sede di auto-realizzazione e di crescita, […] i singoli componenti conservano le loro essenziali connotazioni, e ricevono riconoscimento e tutela, ancor prima che come coniugi, come persone”21.

Alla luce di tale sistema di fonti che si era venuto a delineare, e quindi davanti alla CEDU e alla Costituzione, ed inoltre al mutamento di esigenze che si avvertivano nella società, nel 1970 si avviava una stagione di riforme che avrebbero scardinato l'antica concezione di famiglia delineata nel codice del 1942.

Uno dei più importanti interventi si realizza con la legge 898/1970 sul divorzio. Il varo della normativa avvenne con non poche difficoltà a causa delle correnti antidivorziste presenti nelle aule parlamentari dell'epoca22 e, a dimostrazione che effettivamente il percorso per la sua

20 G. Ferrando, “Il contributo della CEDU all'evoluzione del diritto di famiglia”, in

Nuova giur. civ. comm., 2005, pag. 281.

21 Sentenza della C. Cassazione, 10 maggio 2005, n. 9801, citata da D. Riccio, “La

famiglia di fatto”, Cedam, 2007, pag. 251.

22 Il dibattito dell'epoca fu particolarmente complesso. Le forze politiche di sinistra, in un primo momento, non riuscivano ad imporsi sulla Democrazia Cristiana la quale era fortemente antidivorzista e teneva frequenti rapporti con le più alte

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emanazione è stato abbastanza complesso, nel 1974 i cittadini italiani venivano chiamati ad esprimersi sulla proposta di abrogazione della suddetta legge attraverso un Referendum. Alla questione referendaria parteciparono l'87,7% degli aventi diritto e di questi il 59,3% diede parere negativo all'abrogazione23. L'obiettivo della legge sul divorzio, che come detto rivoluzionava il concetto di famiglia e i principi che sostenevano quell'accezione, era consentire l'ingresso nella famiglia dei diritti fondamentali della persona per effetto di una rinnovata attenzione verso le prerogative riconducibili al valore dell'individuo e alla sua libertà24.

Nel 1975 vi è poi un intervento di notevole importanza nel diritto di famiglia: la previsione di riconoscere i figli adulterini e l'equiparazione dei figli naturali e di quelli legittimi. La novella del 1975 recepisce una mutata realtà famigliare completamente diversa da quella delineate nel codice del '42, una realtà meno gerarchica non più basata sull'autorità maritale e diretta alla pari dignità dei coniugi e all'abbandono dei vincoli formali e rigidi che caratterizzavano le realtà famigliari25.

cariche ecclesiastiche che “ne rafforzavano il pensiero ideologico”. Il peso della Chiesa era particolarmente presente nelle aule parlamentari tant'è che su alcuni tempi, appunto come quello di cui stiamo discutendo, le aule rimanevano imprigionate, non rispondendo quindi a quelle che erano le necessità della

comunità sociale.

G. Scirè, “Il Divorzio in Italia. Partiti, Chiesa, società civile dalla legge al

referendum (1965-1974)”, Bruno Mondadori, 2009.

23 Si trattò del primo referendum della storia repubblicana che, ad oggi, detiene il primato di affluenza alle urne. Con l'entrata in vigore della legge in oggetto di esame, gli animi delle forze oppositrici nel parlamento di (soprattutto Democrazia Cristiana con il suo segretario Fanfani) non si erano placati. Gli antidivorzisti presentarono la loro posizione contraria in maniera laica, argomentando che il matrimonio è istituto di diritto naturale e non costruito su base sacramentale; i divorzisti argomentavano le loro posizioni sulla base di un ampliamento delle libertà civili. Alla vittoria del “NO” Enrico Berliguer si esprimeva così: “È una grande vittoria della libertà, della ragione e del diritto. Una vittoria dell’Italia che è cambiata e che vuole e può andare avanti”. G. Scirè, “Il Divorzio in Italia. Partiti, Chiesa, società civile dalla legge al

referendum (1965-1974)”, cit. pag. 25.

24 R. Picaro, “Stato unico della filiazione. Un problema ancora aperto”, cit. pag. 29.

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Ed ancora, a conferma dell'avvenuto cambiamento, la riforma del '75 riformulava l'art. 143 del c.c. che apriva il Capo IV del Libro I affermando espressamente il principio di uguaglianza giuridica dei coniugi abrogando il vecchio disposto che prevedeva per i coniugi l'osservazione di “obblighi reciproci” la cui violazione portava a conseguenze giuridiche diverse a seconda del coniuge che avrebbe compiuto la violazione26.

Infine, ulteriore mutamento si ha nella riforma del regime patrimoniale della famiglia del 3° comma dell'art. 143. I coniugi devono contribuire, in relazione alle proprie sostanze e alla loro capacità lavorativa, ai bisogni della famiglia. Da ciò si evince il cambiamento della logica precedente dove il marito aveva l'obbligo di mantenimento della famiglia tutta oltre che della moglie; dopo la riforma si prevede un regime paritario e proporzionale ai bisogni della famiglia, espressione anche questa dell'applicazione del principio di uguaglianza.

Gli interventi legislativi che si sono avuti negli anni avvenire dall'entrata in vigore della Costituzione sono stati tutti diretti ad affermare una sempre maggiore uguaglianza assoluta e morale dei coniugi, nei loro rapporti personali e patrimoniali e nei rapporti personali e patrimoniali con i loro figli.

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2. Legge 898/1970: disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio. Natura dell'istituto.

Il termine “Divorzio” indica lo scioglimento e la cessazione degli effetti civili del matrimonio, quest'ultima con riguardo al matrimonio concordatario, e determina lo scioglimento del matrimonio stesso quando questo è stato celebrato con rito civile, riconosciuto per la prima volta in Italia, dopo una estenuante battaglia parlamentare, con la legge 898/1970. Fino ad allora il vincolo matrimoniale era considerato come “indissolubile27”.

La facoltà di sciogliere il vincolo è data sulla consapevolezza che la famiglia, essendo formazione sociale alla luce dell'art. 29 e dei principi espressi dagli artt. 2 e 3 Cost., dev'essere il luogo dove si forma la personalità degli individui e quando tale luogo non è più sede di sviluppo ed accrescimento anche spirituale per i membri che la compongono, ma anzi di degrado, è necessario riconoscere la possibilità di sciogliere il matrimonio.

Il divorzio realizza un bilanciamento di valori: da un lato tutela la libertà personale di un qualsiasi soggetto che non è più costretto, dopo la contrazione del matrimonio, a rimanere legato ad un vincolo divenuto insostenibile; dall'altro si tutela la famiglia fondata sul matrimonio in quanto la legge Baslini - Fortuna sancisce che il rapporto matrimoniale non può sciogliersi se non nei casi tassativi espressi nella stessa legge28.

Per capire la natura che l'istituto assume in Italia, occorre fare una veloce comparazione della disciplina del divorzio con altri Paesi

27 Fino ad allora il codice civile individuava, all'articolo 149, un unica causa di scioglimento: “il matrimonio non si scioglie che con la morte di uno dei coniugi” che di fatto inseriva nel nostro ordinamento l'indissolubilità del vincolo.

28 R. Giovagnoli, “Separazione e Divorzio. Percorsi Giurisprudenziali”, Giuffrè, 2009, pag. 226.

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Europei; così facendo possiamo delineare tre modelli di divorzio:

divorzio come sanzione, il quale è intrapreso dal coniuge

incolpevole e si collega allo scioglimento del matrimonio per violazione dei doveri da esso nascenti;

divorzio consensuale, che ha una accezione prettamente

privatistica e rappresenta la volontà unilaterale dei coniugi di “liberarsi” dal vincolo;

divorzio come rimedio, che si fonda sulla costatazione di un

fallimento definitivo del rapporto coniugale29.

È attraverso la giurisprudenza della Corte di Cassazione che riusciamo a capire qual è l'interpretazione che viene data alla normativa sul divorzio. Infatti la Suprema Corte più volte si è pronuncia sul tema nel corso degli anni novanta, citando il divorzio come “rimedio” costatando che nella nostra carta costituzionale non esiste un principio di “indissolubilità” del vincolo matrimoniale e che spetta al legislatore individuare quelle che sono le condizioni autorizzative allo scioglimento del matrimonio come, appunto, “rimedio al definitivo fallimento del rapporto”30; nel '95 ancora afferma che la separazione personale dei coniugi non deriva più dalla cosciente violazione degli obblighi matrimoniali ma “dal dato oggettivo della intollerabilità della convivenza o dal grave pregiudizio dei figli”31; infine in una ulteriore sentenza definisce la separazione personale non come sanzione basata sulla colpa, ma come “rimedio ad una situazione di intollerabilità della convivenza”32.

29 R. Giovagnoli, “Separazione e Divorzio. Percorsi Giurisprudenziali”, Giuffrè, 2009, pag. 226.

30 Cassazione Civile, Sez. I, 13 luglio 1992, n 8475, Foro it., Repertorio: 1992, matrimonio (4130), n. 143

31 Cassazione Civile, Sez I, 17 marzo 1995, n 3098, Foro It., Massime Ufficiali, dir. Famiglia, 1995, 1405.

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Possiamo quindi dire che il legislatore italiano ha inteso dare al divorzio la connotazione di natura rimediale; rimedio che è preso in considerazione quando la convivenza diventa intollerabile, quando viene meno la comunione di vita e questa non possa più avere delle possibilità di essere ricostituita. Tale tipo di impostazione è quella che maggiormente si trova in armonia con il dettato costituzionale.

2.1 Cause Tassative

La legge “Baslini – Fortuna” elenca in maniera tassativa quelle che sono le cause in cui è consentito lo scioglimento del vincolo matrimoniale. Tuttavia, ad una prima analisi del disposto, troviamo delle incoerenze: da un lato aver considerato l'insanabile frattura coniugale quale fondamento per la causa di divorzio, dall'altro individuare tassativamente quelle che sono le cause specifiche del divorzio che svuoterebbero di contenuto la stessa funzione rimediale dell'istituto33. Nel divorzio rimedio si potrebbe affermare che l'unica causa dovrebbe consistere in una clausola generale di impossibilità di ricostruzione della comunione di vita e intollerabilità della convivenza. In mancanza di tale clausola generale, si pretende invece di inserire all'interno di definizioni legislative le infinite possibilità che fanno cessare, quindi fallire, un rapporto coniugale34. Vero è che tale tipo di clausola può essere individuata in maniera implicita, dato che la giurisprudenza prevalente non ha mai visto nella legge sul divorzio la contraddizione teorica appena espressa riconnettendo l'ipotesi centrale di divorzio alla separazione protratta senza interruzioni per tre anni. È su questa ipotesi che si misura la natura rimediale dell'istituto35.

Mass., 1997; nel Repertorio: 1997, Separazione di coniugi (6130), n. 48.

33 G. Oberto, “Gli aspetti della separazione e del divorzio nella famiglia”, cit. pag. 636.

34 R. Giovagnoli “Separazione e Divorzio, percorsi giurisprudenziali”, op. loc. cit. 35 G. Oberto, “Gli aspetti della separazione e del divorzio nella famiglia”, op. loc.

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In seguito alle modifiche che si sono succedute negli anni, escludendo le modifiche apportate dalla recente legge 55/2015, all'art. 3, l. 898/1970 sono elencate le cause tassative che legittimano il coniuge ad avanzare una domanda di divorzio. In maniera esemplificativa elenchiamo tutte le cause che portano al divorzio e, nei paragrafi successivi, ci soffermeremo all'analisi di alcune di queste.

Al punto 1 prevede36:

(a) condanna all'ergastolo ovvero ad una pena superiore ad anni quindici, anche con più sentenze, per uno o più delitti non colposi, esclusi i reati politici e quelli commessi per motivi di particolare valore morale e sociale37;

(b) condanna qualsiasi pena detentiva per incesto, delitti sessuali commessi a danno di discendenti, istigazione o costrizione della moglie o della prole alla prostituzione nonché per sfruttamento o favoreggiamento della prostituzione della prole; (c) A qualsiasi pena per omicidio volontario in danno del discendente o figlio adottivo ovvero per tentato omicidio in danno del coniuge o di un discendente o figlio adottivo;

(d) A qualsiasi pena detentiva, con due o più condanne, per i delitti di cui all'art. 582, quando ricorra la circostanza aggravante di cui al secondo comma dell'art. 583 e agli articoli 570, 572 e

cit.

36 Per l'approfondimento delle singole cause di divorzio si rimanda: R. Giovagnoli

“Separazione e Divorzio, percorsi giurisprudenziali” Giuffrè 2009, pag. 223 ss.;

M. Marino “Separazione e Divorzio, normativa e giurisprudenza a confronto” Gruppo 24 ore 2012, pag 191 ss.; M. Bruno, “Separazione e Divorzio”, Giuffrè, 2014, pag. 175 ss.

37 Anche per reati commessi prima della celebrazione del matrimonio con sentenza che è passata in giudicato dopo la contrazione delle nozze.

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643 del codice penale, in danno del coniuge o di un figlio anche adottivo38;

Al punto 2, l'art. 3 prosegue con ulteriori cause di scioglimento del matrimonio:

(a) quando l'altro coniuge è stato assolto per vizio totale di mente da uno dei delitti previsti nelle lettere b) e c) del comma 1 dell'art. 3 quando il giudice competente a pronunciare lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio accerta l'inidoneità del convenuto a mantenere o ricostituire la convivenza famigliare;

(b) È stata pronunciata con sentenza passata in giudicato la

separazione giudiziale tra i coniugi, ovvero è stata omologata la separazione consensuale ovvero è intervenuta la separazione di fatto quando la separazione di fatto stessa è iniziata almeno due anni prima del 18 dicembre 1970. (infra paragrafo 3) (c) il procedimento penale promosso per i delitti previsti dalla lettera b) e c) del numero 1 del presente articolo si è concluso con sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato, quando il giudice competente a giudicare lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio ritiene che nei fatti commessi sussistano elementi costitutivi e le condizioni di punibilità dei delitti stessi;

(d) Il procedimento penale per incesto si è concluso con sentenza

38 Art. 582 c.p. Lesione personale; Art. 583 c. 2 [lesione personale] se il fatto produce l'indebolimento permanente di un senso o di un organo; Art. 570 Violazione degli obblighi di assistenza famigliare; Art. 572 maltrattamenti contro famigliari conviventi; Art. 643Cirvonvenzione di persone incapaci.

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di proscioglimento o assoluzione che dichiari non punibile il fatto per mancanza di pubblico scandalo;

(e) l'altro coniuge, cittadino straniero, ha ottenuto all'estero l'annullamento o lo scioglimento del matrimonio o ha contratto all'estero nuovo matrimonio;

(f) Il matrimonio non è stato consumato;

(g) È passata in giudicato sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso a norma della legge 14 aprile 1982, n.164;

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3. La separazione dei coniugi

Con il termine separazione si intende la sospensione degli effetti che derivano dal matrimonio. Tale fase serve ai coniugi come periodo di riflessione al termine del quale potranno riconciliarsi oppure, se vorranno, potranno proseguire per ottenere la cessazione definitiva del vincolo matrimoniale, cioè il divorzio39.

La separazione costituisce ad oggi la causa di maggiore importanza per lo scioglimento del vincolo matrimoniale. La legge 898/1970 prevede alcune cause di divorzio che possono definirsi immediate non essendo la separazione presupposto per la dichiarazione di scioglimento del matrimonio. Al contrario, nel 99% dei casi, il divorzio si fonda su un periodo protratto di separazione che comunque offre ai coniugi un risultato legale certo dato che questi, qualora lo vogliano, possono fermarsi in qualsiasi momento40. Essa costituisce il necessario passaggio giudiziale della crisi coniugale, il primo regolamento post-coniugale dei rapporti di coppia e anche tra genitori e figli41.

Essendo la causa maggiormente ricorrente nella richiesta di scioglimento del vincolo matrimoniale, la separazione è stata individuata come clausola generale, la quale funge da contenitore di tutte quelle situazioni che si possono verificare all'interno della vita matrimoniale, che legittimano la richiesta di scioglimento del matrimonio, che non possono trovare allocazione in nessuna delle altre cause “particolari” elencate all'art 342. Infatti la giurisprudenza afferma che l'unica vera causa di separazione è l'intollerabilità nella prosecuzione della convivenza da valutarsi in senso soggettivo e non

39 R. Giovagnoli, “Separazione e Divorzio. Percorsi Giurisprudenziali”, Giuffrè, 2009, pag. 230.

40 G. Ferrando, L. Lenti, “La separazione dei coniugi”, Cedam, 2011, pag. xvii premesse.

41 G. Ferrando, L. Lenti, “La separazione dei coniugi”, op. loc. cit.

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più oggettivo43.

L'art. 3 della legge 898/1970 al punto 2 lettera b) contempla la separazione giudiziale, consensuale e di fatto (qust'ultima è presa in considerazione quando è iniziata almeno due anni prima del 18 dicembre 1970).

3.1 La separazione giudiziale

In base all'art. 151, 1° comma, del c.c., la separazione giudiziale può essere pronunciata quando sussistano “fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio alla educazione della prole”. La norma parla di grave pregiudizio, ciò sembra essere superfluo perché cerca di specificare inutilmente il criterio della intollerabile convivenza44.

Si può ravvisare un diritto potestativo in capo a ciascun coniuge a chiedere la separazione: il diritto è intrasmissibile e imprescrittibile45. Ciò fa concludere che può presentare domanda di separazione anche il coniuge che si è reso responsabile della causa per la quale la convivenza è divenuta intollerabile.

A differenza di quanto ha fatto per il divorzio, il legislatore non ha tipizzato quali possono essere le cause che portano ad una separazione. Ciò consente una applicazione concreta dell'istituto46, e alla base di tale scelta vi è il principio, ormai consolidato, che la famiglia è la formazione sociale nella quale si sviluppa la personalità degli individui in maniera piena nel rispetto del vincolo coniugale; quando la continuazione del rapporto entra in contrasto con la personalità di uno

43 G. Ferrando, L. Lenti, “La separazione dei coniugi”, cit. pag. 76.

44 Morace Pinelli, “La crisi coniugale tra separazione e divorzio”, Milano, 2001, pag 158.

45 R. Calvo, A. Ciatti, G. De Cristofaro, I. Riva, “Famiglia e minori”, a cura di A. Ciatti, Giappichelli, 2010, pag. 221.

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dei coniugi o della prole, diventa immeritevole far proseguire il vincolo47, poiché ciò implicherebbe considerare la famiglia nella sua vecchia accezione pubblicistica e gerarchicamente organizzata come visto nei paragrafi precedenti48.

La domanda di separazione va proposta al presidente del tribunale del luogo dell'ultima residenza comune dei coniugi, in mancanza di ciò, nel luogo in cui il coniuge convenuto ha residenza o domicilio. Il ricorso deve contenere l'esposizione dei fatti sui quali si fonda la domanda49. Il presidente del tribunale tenta la conciliazione dei coniugi ascoltandoli prima separatamente e poi congiuntamente50. Se la conciliazione non riesce, il presidente del tribunale, sentiti i coniugi ed i loro difensori, dà con ordinanza i provvedimenti temporanei ed urgenti che reputa necessari nell'interesse della prole e dei coniugi, nomina il giudice istruttore e fissa l'udienza di comparizione e trattazione davanti alle parti. Se richiesto il tribunale dichiara a quale coniuge la separazione debba essere addebitata, quando ne ricorrono le circostanze, vale a dire si è reso responsabile di quei comportamenti che hanno reso intollerabile la convivenza come maltrattamenti all'altro coniuge o alla prole, aver violato l'obbligo di assistenza morale e materiale, infedeltà coniugale, ecc..., in tali casi il coniuge a cui è stata addebitata la separazione perde il diritto al mantenimento secondo l'art. 156 del c.c.; è ulteriormente possibile un addebito congiunto51. L'intollerabilità della convivenza deve essere intesa in senso soggettivo e non oggettivo poiché non è richiesto al giudice di pronunciarsi sulla base di uno standard etico di valutazione e stabilire quindi a prescindere quali siano i comportamenti che rendono una convivenza intollerabile, ma semplicemente verificare che sia venuto meno il

47 R. Calvo, A. Ciatti, G. De Cristofaro, I. Riva, “Famiglia e minori”, cit. pag. 222, 48 Vedi paragrafo 1, parte I.

49 Art. 706, 1° comma, c.p.c. 50 Art. 708, 1° comma, c.p.c.

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presupposto del vivere insieme52. Infatti, per l'accoglimento della domanda, non è necessario che vengano allegati fatti che siano socialmente allarmanti “essendo sufficiente il mero revirement radicato nel profondo della coscienza umana”53. In questo senso, alla separazione giudiziale la Corte di Cassazione, con sentenza n 1164, del 21 gennaio 201454, da un nuovo indirizzo giurisprudenziale che ci fa comprendere il mutamento del significato di unità famigliare che passa da primario a secondario rispetto agli interessi privati e personali del coniuge che decide di separarsi.

La sentenza citata consolida l'interpretazione dell'art. 151 del c.c. che, come già detto, prescrive che la separazione può essere pronunciata quando si verificano fatti tali da "rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza" rilevando che la stessa può cessare anche quando uno solo dei coniugi abbia manifestato la volontà di separarsi facendo quindi prevalere l'interesse personale del coniuge, o dei coniugi, rispetto all'interesse di mantenere la famiglia unita. La Corte ha affermato che la presentazione della domanda di parte e il conseguente fallimento del tentativo di conciliazione, sono già un espressione di disaffezione e distacco e del venir meno della comunione materiale e spirituale: da ciò deriva che “la crisi del rapporto coniugale, rilevante ai fini della separazione giudiziale, non deve necessariamente essere causata da specifici fatti che rendano intollerabile la convivenza, ma è sufficiente che la frattura dipenda dalla condizione di disaffezione e distacco spirituale di una sola delle parti, una condizione psicologica difficilmente misurabile in base a parametri oggettivi”55.

La prosecuzione della convivenza non può essere obbligata con un atto

52 G. Ferrando, L. Lenti, “La separazione dei coniugi”, op. loc. cit.; L. Lenti,

“Recenti cambiamenti nel diritto giurispreudenziale della separazione e del divorzio. Prospettive di riforma”, in Fam., 2002, pag. 418.

53 R. Calvo, A. Ciatti, G. De Cristofaro, I. Riva, “Famiglia e minori”, op. loc. cit. 54 Cass. Civ., Sez. I, 21 gennaio 2014, n. 1164, in Foro It,, 2014, I, 463 ss.

55 F. Tommaseo, “La separazione giudiziale: basta volerla per ottenerla”, in Fam.

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di imperio, né può, in eventuale simile atto, essere ravvisato un interesse pubblico a mantenere il vincolo famigliare.

3.2 La separazione consensuale

La separazione consensuale è il tipo di separazione che può essere concordata dai coniugi, secondo quanto dispone l'art 158, 1° comma del c.c.. Il tribunale in tale caso, ha il compito di omologare l'accordo che i coniugi hanno raggiunto in autonomia. Tuttavia l'omologazione può essere rifiutata dal giudice nel caso in cui questo sia in contrasto con l'interesse dei figli56; in mancanza di figli il controllo che il giudice svolge è di mera legittimità non potendo sindacare nel merito le scelte compiute dai coniugi57.

Quando l'accordo è in contrasto con l'interesse dei figli il collegio “riconvoca i coniugi indicando ad essi le modificazioni che devono adottare nell'interesse dei figli e, in caso di inidonea soluzione, può rifiutare allo stato l'omologazione”58.

Il tribunale non ha nessun potere di modificare l'intesa raggiunta dai coniugi la quale, una volta avutasi l'omologazione, diventa la fonte dei reciproci obblighi oggetto di negoziato59.

Nella separazione consensuale, l'intervento giudiziale serve solo ad emanare un provvedimento sullo status del coniuge e di controllo del patto con gli interessi della prole60.

56 M. Sesta, “Manuale di diritto di famiglia”, cit. pag. 126. 57 M. Sesta, “Manuale di diritto di famiglia”, cit. pag. 127. 58 Art. 158, 2° comma, c.c..

59 R. Calvo, A. Ciatti, G. De Cristofaro, I. Riva, “Famiglia e minori”, cit. pag 230. 60 L. Lenti, “Recenti cambiamenti nel diritto giurispreudenziale della separazione e

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3.3 La separazione di fatto

La separazione di fatto rappresenta il modo più rapido per manifestare l'esistenza di una crisi. Consiste nell'interruzione da parte del coniuge, o di entrambi i coniugi, del proprio apporto morale e patrimoniale alla famiglia61.

Il modo più comune con la quale viene posta in essere è la dichiarazione di abbandono del tetto coniugale da parte di uno dei due coniugi e l'accordo di sostegno economico alla parte che subisce tale separazione62.

La separazione di fatto non costituisce il presupposto per far decorrere il termine di tre anni63 previsto per la preposizione della domanda di divorzio, tranne nel caso in cui si tratti di separazione di fatto che si è protratta per almeno due anni antecedentemente all'entrata in vigore della legge Fortuna - Baslini, come la stessa legge prevede; essa non produce alcun effetto giuridico - tranne nei casi in cui la legge la cita espressamente nelle normative settoriali64 - poiché il nostro codice civile non la disciplina65.

3.4 … (segue) sulla separazione

L'articolo 3, individua, come detto all'inizio di questo paragrafo, un ulteriore presupposto per la presentazione della domanda, vale a dire un lasso di tempo che deve intercorrere tra il momento di passaggio in

61 O. Luciano, “La separazione di fatto dei coniugi”, Giuffrè, 2006, pag. 11. 62 O. Luciano, “La separazione di fatto dei coniugi”, cit. pag. 36.

63 Termine modificato dalla legge 55/2015: 6 mesi per le separazioni consensuali, 12 per le separazioni giudiziali. Approfondimento nella parte II del presente elaborato.

64 Si pensi in tal senso all'art. 6, comma 1, della legge 184/1983 “Diritto del minore ad una famiglia” il quale afferma che: “l'adozione è consentita a coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni. Tra i coniugi non deve sussistere e non deve avere avuto luogo negli ultimi tre anni separazione personale neppure di fatto”. 65 O. Luciano, “La separazione di fatto dei coniugi”, cit. pag. 41.

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giudicato della sentenza di separazione, ovvero omologazione dell'accordo, e la presentazione della domanda di divorzio. Il termine previsto è di tre anni66.

Il legislatore ha voluto individuare questo lasso di tempo, per molti ritenuto troppo lungo, per consentire alle parti di riconciliarsi. Gli artt. 154 e 157 del c.c., fanno riferimento alla riconciliazione in due ipotesi differente: il primo individua una conciliazione che interviene durante un processo di separazione il quale non è ancora arrivato a sentenza, il secondo invece prende in esame il caso in cui la sentenza di separazione è stata emessa ma le parti dichiarano espressamente di volersi riconciliare, ovvero pongono in essere taluni comportamenti incompatibili con lo stato di separati, con i quali fanno cessare gli effetti della sentenza senza l'intervento del giudice67. Questo arco temporale servirebbe quindi alle parti per ponderare meglio quella che è stata la decisione in relazione alla separazione, se esistono margini per ricostituire il nucleo famigliare e la comunione di vita68. La riconciliazione è individuata dalla Cassazione come “il completo ripristino della convivenza, caratterizzata anche dal ripristino della comunione spirituale”. Nel caso in cui ciò avvenga non si può procedere ad una domanda di divorzio e, nel caso di nuova crisi coniugale, i tempi devono essere calcolati dalla nuova separazione69. Al contrario, se passati i tre anni la crisi coniugale non rientra, è integrato il presupposto per procedere alla domanda di divorzio.

Vero è che se nel 1970 la separazione era maggiormente funzionale alla ricostituzione del vincolo famigliare, sono rari i casi in cui questa è

66 Termine riformato dall'art. 5 della legge 74/1987 il quale prevede che il termine deve essere decorso all'atto del deposito del ricorso introduttivo in cancelleria. 67 R. Giovagnoli, “Separazione e Divorzio. Percorsi Giurisprudenziali”, cit.

pag.183.

68 R. Giovagnoli, “Separazione e Divorzio. Percorsi Giurisprudenziali”, cit. pag. 185.

69 L. Lenti, “Recenti cambiamenti nel diritto giurispreudenziale della separazione e

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identificata come pausa di riflessione in vista della ripresa della vita comune70. Nella maggioranza dei casi rappresenta il momento iniziale con il quale si può arrivare al provvedimento definitivo del divorzio e, solo in casi residui, rappresenta lo strumento alternativo al divorzio per quelle coppie che non intendano mettere fine al matrimonio per motivi religiosi o di altra natura71.

Nel nostro ordinamento la modifica dello status coniugale successivo alla separazione, presuppone sempre una pronuncia del giudice, infatti la separazione sulla base del mero consenso dei coniugi non produce effetti legali. Si nota come non trova accoglimento in Italia, a differenza di altri Paesi europei, l'ipotesi di separazione per atto notarile72. Infatti, ancora oggi, si nota come lo Stato riservi a sé il controllo delle ragioni della crisi, disciplina le regole attraverso le quali il vincolo si può allentare o sciogliere cercando di trovare un bilanciamento di interessi tra il singolo componente della famiglia e lo stesso nucleo famigliare nel suo insieme73.

Alla separazione legale è dato un ruolo fondamentale nella vicenda divorzile: da un lato perché il procedimento, attraverso la separazione, inizia in un momento in cui la lite tra le parti è al massimo livello; dall'altro in questa fase hanno luogo le scelte che riguardano i figli e, soprattutto se sono in tenera età, tali scelte sono destinate a rimanere invariate74.

70 G. Ferrando, L. Lenti, “La separazione dei coniugi”, cit. pag. xvii premesse. 71 G. Ferrando, L. Lenti, “La separazione dei coniugi”, op. loc. cit.

72 L. Lenti, “Recenti cambiamenti nel diritto giurispreudenziale della separazione e

del divorzio. Prospettive di riforma”, op. loc. cit.

73 G. Ferrando, L. Lenti, “La separazione dei coniugi”, cit. pag. xviii premesse. 74 G. Ferrando, L. Lenti, “La separazione dei coniugi”, op. loc. cit.; B. De filippis,

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4. Il Cambio di Sesso del Coniuge

La lettera g) del punto 2 dell'art. 3 della legge sul divorzio, così come riformato dalla legge 74/1987, prevede come causa di scioglimento del matrimonio il passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione di sesso a norma della legge 14 aprile 1982, n° 164.

La norma non è particolarmente chiara anzi, è ambigua definita anche superflua in quanto crea dubbi interpretativi particolarmente complessi e di non facile soluzione.

4.1 Nozione di identità sessuale, orientamento sessuale e di transessualismo

Prima di procedere all'analisi del punto controverso è comunque necessario far luce su cosa si intende per “cambio di sesso” e, in via molto più generale, comprendere l'identità sessuale dato che il tema in questione è abbastanza multiforme ed essenziale risulta fare qualche precisazione terminologica, anche in considerazione del fatto che sia il legislatore che i giuristi rimangono silenti sul tema.

Al momento della nascita, al soggetto viene attribuito un genere, la persona infatti sarà maschio o femmina in base alla presenza di organi riproduttivi maschili o femminili. Questa attribuzione di sesso è chiamata documentale75, ed è una attribuzione biologica del sesso che

non sempre si rispecchia nell'individuo su base soggettiva e psicologica in quanto il soggetto potrebbe appartenere biologicamente al sesso maschile e invece avere una percezione di se come femminile, o viceversa76. L'identità sessuale ha sopratutto un risvolto sociale in quanto l'individuo si esprime nella vita di relazione, ancora differente è

75 F. Bartolini, “Divorzio del transessuale e conversione del matrimonio

eterosessuale: un nuova inizio?”, in Dir. Civ. Cont., Fasc 2, 2014, pag. 237.

76 L. Trucco, “Introduzione allo studio dell'identità individuale nell'ordinamento

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l'orientamento sessuale, che spinge un soggetto ad avere relazioni affettive con persone dello stesso sesso pur volendo mantenere l'identità biologica – documentale77.

Il transessualismo è la condizione che vive una persona la quale abita un corpo che sente di non appartenergli, ovvero vive in disarmonia il rapporto tra sesso biologico e l'aspetto soggettivo – psicologico78. Sentirsi appartenente ad un sesso differente rispetto a quello che ci è stato attribuito in senso documentale ha una sua, importante, rilevanza giuridica, dato che l'individuo in questione tiene rapporti con altri consociati79.

4.2 L'intervento Legislativo per la Rettifica di Sesso: legge 14 aprile 1982, n°164

Il legislatore Italiano non poteva più rimanere inerte su una questione che ormai di fatto esisteva nel Paese e che necessitava, anche con particolare rapidità, di un intervento normativo per il riconoscimento del mutamento di genere.

Il suddetto riconoscimento è avvenuto con la legge 164/1982 “rettifica

di attribuzione di sesso”. La norma mira a far ottenere la rettificazione

del proprio sesso da annotarsi nei registri dello stato civile presentando la sentenza “del tribunale passata in giudicato che attribuisca ad una persona di sesso diverso da quello enunciato nell'atto di nascita a seguito di intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali80”. La sentenza non ha effetto retroattivo e contiene l'ordine all'ufficiale di stato civile del comune dove è stato compilato l'atto di nascita di

77 F. Bartolini, “Divorzio del transessuale e conversione del matrimonio

eterosessuale: un nuova inizio?”,op. loc. cit.

78 P. Perlingeri, “Note introduttive ai problemi giuridici del mutamento di sesso”, in

Dir. e giurispr., 1970, pag. 830.

79 A maggior ragione quando si parla di un rapporto matrimoniale. 80 Art. 1, legge 164/1982

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modificare con annotazione il registro81 e, secondo l'articolo 4, “provoca lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio celebrato con rito religioso”. Uno degli aspetti più rilevanti della norma è che il legislatore consente il cambio delle generalità solo davanti ad un mutamento chirurgico. Sul punto però è intervenuta una nuova interpretazione giurisprudenziale della Cassazione la quale ha precisato che per essere riconosciuto il mutamento sessuale e dei conseguenti dati anagrafici, non occorre un mutamento di genere attraverso un trattamento chirurgico dei carattere sessuali primari, vale a dire amputare gli organi riproduttivi biologici per la ricostruzione di quelli corrispondenti al sentire psichico, ma è sufficiente un mutamento dei caratteri secondari, intendendosi il mutamento di altre caratteristiche fisiche diverse dai genitali (trattamenti ormonali per la voce ad esempio, o anche estetici come la mastoplastica, rinoplastica, ecc...), per essere considerati appartenenti ad un genere sessuale differente rispetto a quello biologico82.

4.3 … (segue) nel matrimonio

Emanata la legge sulla rettifica di sesso, davanti all'articolo 4 emerse una immediata perplessità: il divorzio, dinnanzi ad una sentenza di mutamento di genere, deve considerarsi automatico in virtù di quella sentenza oppure in base alle disposizioni del 1970 (a cui la legge 164 fa rinvio83) debba aprirsi comunque un procedimento di divorzio innescato dalla domanda dei coniugi o di uno di essi?

81 Art. 2, legge 164/1982

82 Cass. Civ., Sez I, 20 luglio 2015, n. 15138, “Per cambiar sesso all’anagrafe non

sarà più obbligatorio operarsi”, in Quest. Dir. Fam., Magglioli Editore,

www.questionididirittodifamiglia.it

83 Art. 4, legge 164/1982 nella parte conclusiva afferma: “si applicano le disposizioni del codice civile e della legge 1 dicembre 1970, n° 898, e successive modificazioni.

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In un primo momento si preferiva una automaticità dello scioglimento ritenendo che il giudice del divorzio, investito comunque della questione, avrebbe dovuto soltanto regolare i rapporti patrimoniali e personali sopratutto davanti alla presenza di figli84.

In un secondo momento invece, il legislatore sentì l'esigenza di chiarirsi sul punto e, con la legge 74/1987, modifica la legge sul divorzio aggiungendovi una ulteriore causa di scioglimento del vincolo matrimoniale: lettera g) al secondo punto dell'art. 3.

La modifica legislativa, anziché essere chiarificatrice accese una nuova discussione: alcuni ritenevano che il secondo intervento fosse da considerarsi una abrogazione della disciplina precedente85 affermando che il divorzio poteva realizzarsi solo davanti ad una domanda dei coniugi e una sentenza di rettifica di sesso non produceva lo scioglimento del matrimonio in automatico86; in tale maniera il coniuge del transessuale non rimaneva in una condizione di passività, non era subordinato quindi alla volontà del coniuge transessuale e soprattutto davanti al giudice del divorzio i figli, a soprattutto quelli minori, ricevevano maggiore attenzione in quanto il giudice poteva adottare tutti i provvedimenti che riteneva idonei per la loro tutela87.

Anche questa soluzione tuttavia, presenta delle importanti conseguenze: una volta che si è formato il giudicato, quindi abbiamo sentenza di rettifica di sesso, che non produce automatica cessazione del vincolo matrimoniale, la soluzione, appunto, ha come conseguenza che è possibile che possa trascorre un lasso di tempo, non quantificabile, in cui le parti, ormai appartenenti allo stesso sesso,

84 La Torre, “La rettificazione di attribuzione di sesso. Il dato normativo e i

problemi ermeneutica”, in Tratt. Dir. Fam., Giuffrè, Milano, 2011, pag. 1588.

85 Secondo il criterio cronologico di successione delle norme nel tempo.

86 A. M. Benedetti, “Le cause di divorzio”, in Il nuovo dir. Fam., Zanichelli, Bologna, fasc. 3, 2007, pag. 778.

Si ritiene che la sentenza di rettifica di sesso è solo presupposto per la proposizione della domanda di divorzio.

87 F. Bartolini, “Divorzio del transessuale e conversione del matrimonio

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rimangono coniugate fino alla preposizione di domanda di divorzio semmai questa verrà presentata.

Dall'altra parte si riteneva che in tale caso, lasciare la presentazione della domanda alla volontà delle parti significava ammettere la possibilità che, anche in Italia, era possibile contrarre matrimonio tra persone dello stesso sesso, principio che il nostro ordinamento non accoglie in quanto la diversità di genere è presupposto del matrimonio italiano88.

Un ultimo intervento del legislatore a scopo chiarificatore, si è avuto con il d.lgs. 1 settembre 2011, n° 150 il quale dispone che: “la sentenza di rettificazione di sesso non ha effetto retroattivo. Essa determina lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio celebrato con rito religioso. Si applicano le disposizioni del codice civile e della l. 1 dicembre 1970, n° 898”. Da questa lettura sembrerebbe che la rettifica di sesso non debba essere assimilata ad una causa di divorzio soggetta a domanda di parte e che quindi il divorzio in tale caso debba considerarsi automatico.

Da tutto ciò si comprende come il legislatore non abbia trovato delle soluzioni apprezzabili. Importanti suggerimenti sulla questione ci derivano invece dalla giurisprudenza.

4.4 … (segue) Il caso giurisprudenziale

• Alessandro, sposato con Alessandra, in base alla legge 164/82 domanda al Tribunale di Bologna di dichiarare con sentenza il suo cambiamento di sesso, modificando il suo nome in Alessandra. Il Tribunale, verificato l'effettivo cambio di sesso, con sentenza nel giugno del 2009 rettifica il sesso di

88 La Torre, “La rettificazione di attribuzione di sesso. Il dato normativo e i

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Alessandro ordinando all'ufficiale di stato civile la conseguente annotazione nell'atto di nascita e nulla disponendo per quel che concerne il matrimonio con la moglie.

L'ufficiale di stato civile, pur in mancanza di espressa previsione del giudice, modifica l'atto di matrimonio aggiungendovi questa annotazione:

“la sentenza ha prodotto, ai sensi dell'art. 4 della legge 164 del

1982, la cessazione degli effetti civili del matrimonio di cui all'atto controscritto a far data dal 29 giugno 2009 così come previsto al paragrafo 11.5 del nuovo massimario dello stato civile”.

I coniugi, ormai dello stesso sesso, con ricorso al Tribunale di Modena, chiesero ed ottennero la cancellazione dell'annotazione in quanto il giudice niente aveva disposto per il matrimonio e che l'ufficiale di stato civile non poteva in maniera autonoma modificare l'atto di matrimonio. Tuttavia il Ministero dell'Interno ricorre contro questa decisione alla Corte di Appello di Bologna la quale accoglie il reclamo giustificando, nelle motivazione della sentenza, l'ufficiale di Stato Civile. Il funzionario aveva certamente inserito l'annotazione in virtù dell'art. 4 della legge 164/1982 definendo l'annotazione legittima poiché l'art.4 non è stato oggetto di abrogazione dopo le intervenute riforme sulla legge del divorzio; inoltre – continuavano i giudici – è incompatibile con l'ordinamento italiano lasciare che rimanga valido un vincolo matrimoniale che ormai si instaura su persone appartenenti allo stesso sesso.

(35)

dove la stessa sostiene che in base alla legge sul divorzio, per poter procedere allo scioglimento del vincolo coniugale è necessaria una pronuncia giudiziaria che non può essere sostituita da un sentenza che rettifichi il sesso di una delle due parti; inoltre – continua la coppia – occorre distinguere il caso in cui la legge vieta il matrimonio tra persone dello stesso sesso al caso in cui il matrimonio è contratto tra persone di sesso diverso e che solo in un secondo momento uno dei due soggetti cambia genere e che quindi diventa transessuale, il quale ha già acquisito lo status di coniuge e i diritti e doveri che la stessa legge prevede.

La Cassazione accoglie in parte le domande delle due ricorrenti89 affermando che: in primo luogo, non si può chiarire quale sia stata e debba essere la posizione dell'ufficiale di stato civile che ha svolto la sua funzione in ossequio alle sue mansioni90 e alle prescrizioni del Ministero dell'Interno, ma manca tuttavia una espressa previsione che chiarisca, in maniera preventiva, quale sia l'efficacia della rettifica di sesso di uno dei coniugi su un matrimonio già correttamente celebrato; in secondo luogo, il fatto che alla legge sul divorzio è stata aggiunta la lettera g) non comporta necessariamente che lo scioglimento del vincolo matrimoniale e della cessazione degli effetti civili del matrimonio debbano essere pronunciati da un giudice con sentenza, ritenendosi la legge del 1982, norma speciale che opera automaticamente.

L'ordinanza di remissione, 14329/2013, ha però chiarito diversi punti:

89 Cassazione Civile, Sez. I, 6 giugno 2013, n. 14329, Guida al Dir., 2013, fasc. 33, 14, n. Fiorini.

90 La Corte di Cassazione precisa che anche in mancanza di una espressa previsione giudiziaria di annotazione, l'ufficiale giudiziario ha solo eseguito ciò la legge gli prescrive, ovvero di aggiornare tutti gli atti dello stato civile. La corte non ritiene di individuare una carenza di potere dell'ufficiale di stato civile.

(36)

a) la legge del 1982 non voleva subordinare lo scioglimento del vincolo alla domanda di parte;

b) la modifica intervenuta nel 1987 aveva lo scopo di migliorare il sistema processuale e non intendeva modificare i modelli matrimoniali italiani;

c) il d.lgs 150/2011 conferma che il legislatore ha voluto

disciplinare tale caso in maniera particolare, parlandosi di

“Divorzio Imposto” dinnanzi ad una rettifica di sesso.

La Suprema Corte, condividendo seppur in parte le tesi delle due ricorrenti, aveva sollevato al giudice costituzionale delle eccezioni riguardanti la compatibilità dell'art. 4 della legge 164/82 con:

• Principio di Uguaglianza dell'art. 3 Cost.; • Il Diritto alla Difesa dell'art. 24 Cost.;

• Il Diritto ad un Giusto processo dell'art. 111 Cost.;

• Compatibilità con la

“Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea” sulla

base della discriminazione ingiustificata tra coniugi dello stesso sesso e coniugi divenuti dello stesso sesso.

Dubbio di compatibilità con la “Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo” nella quale si afferma il diritto di

autodeterminarsi, che si riflette sulla libera scelta alla propria identità sessuale.

La Cassazione poneva l'accento poi anche sul danno che questo sistema provocava all'altro coniuge, costretto a subire senza la sua volontà la perdita del suo status di coniuge, privandolo del suo diritto personalissimo allo scioglimento del matrimonio91.

(37)

4.5 … (segue) sentenza Corte Costituzionale n°170/2014 La Corte Costituzionale è quindi chiamata a rispondere delle questioni sollevate in Cassazione sulla reale portata che ha una sentenza di rettifica di sesso nelle relazioni sociali a rilevanza giuridica.

Rispetto alla questione individuata nel paragrafo precedente, la Corte, nel rispondere alle domande poste, richiama un suo precedente orientamento92 sulla “formazione sociale” dove, in tale espressione, deve essere ricompresa anche “l'unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendo il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri, nei modi previsti dalla legge93”.

La Corte Costituzionale mira a stimolare l'intervento del legislatore sulla materia, ma ciò non significa che essa stessa non possa intervenire con dei moniti, effettuando dei controlli di ragionevolezza sulla disciplina.

La Corte sottolinea che sono due gli interessi che devono essere bilanciati: quello dello Stato italiano che non intende modificare il modello del matrimonio eterosessuale; e quello della coppia che deve transessuale e conversione del matrimonio eterosessuale: un nuova inizio?”, cit.

pag. 244 ss.; M. Gattuso, “La vittoria delle due Alessandre: le due donne restano

sposate sino all’entrata in vigore di una legge sulle unioni civili”, in articolo29.it,

2015.

92 Sentenza Costituzionale 138/2010. Il tribunale di Venezia sollevava conflitto di costituzionalità degli artt. 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143 – bis e 156 – bis del c.c. ritenendo che questi, sistematicamente interpretati, “non consentono che le

persone di orientamento omosessuale possano contrarre matrimonio con le persone dello stesso sesso”. La sentenza fu abbastanza originale poiché da un lato

dichiarava che in base all'art. 2 Cost. deve intendersi esistente un diritto delle coppie omosessuali a contrarre matrimonio; dall'altro lato ha invece escluso un conflitto costituzionale con gli artt. 3 e 29 ritenendo che il matrimonio è connaturato alla differenza di sesso dei futuri coniugi. - R. Romboli, “La

legittimità costituzionale del divorzio imposto: quando la corte dialoga con il legislatore, ma dimentica il giudice” in Cons. Online, www.giuricost.org , pag. 2. 93 G.Vassallo; “Marito cambia sesso? No al divorzio imposto senza tutela dei diritti

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