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Conclusioni Studio comparativo della concezione dei diritti dell’uomo in

Un’analisi comparata delle due concezioni di diritti umani fin qui brevemente trattati ci riporta, inevitabilmente, al dibattito di fondo con il quale si è aperto il presente capitolo, ovvero la contrapposizione tra relativismo e universalismo. Alla questione, cioè, circa la ammissibilità di un’accettazione globale degli stessi diritti, piuttosto che la “contestualizzazione” degli stessi nel contesto antropologico, storico, culturale e sociale nel quale siano stati formulati.

I documenti presi in considerazione condividono l’affermazione dell’unità del genere umano nel suo complesso. I valori di libertà, uguaglianza, fraternità, l’essenziale diritto alla vita, il divieto della schiavitù, di pene e trattamenti crudeli inumani e degradanti, la protezione della proprietà privata, la libertà di pensiero, la libertà di opinione ed espressione, la personalità giuridica, sono assolutamente condivisi. Rispetto al diritto alla vita la Dichiarazione islamica aggiunge il “diritto alla resistenza”: la legittima facoltà cioè di opporsi contro tutte le violazioni o abrogazioni di tale diritto”.

Allo stesso modo sono condivisi i diritti ad un processo equo, alla presunzione di innocenza e alla libertà religiosa. Rispetto i diritti economici, sociali e culturali tutte tutelano il lavoro, la sicurezza sociale, la salute e l’educazione. Tutti i testi menzionati condividono con i dispositivi occidentali, infine, il diritto di spostarsi e fondare una famiglia anche se nei testi occidentali si afferma con forza il principio di uguaglianza dei coniugi mentre nelle Dichiarazioni islamiche sembra emergere un rapporto piuttosto di “complementarietà”, nella misura in cui, come visto, si afferma più o meno ambiguamente, che “all’interno della famiglia, gli uomini e le donne devono dividersi gli obblighi e le responsabilità, secondo il loro sesso, le loro caratteristiche, talenti ed inclinazioni

naturali”.353

I documenti in analisi condividono anche i doveri verso gli altri individui e verso la comunità alla quale appartengono, nonostante le Dichiarazioni islamiche vi pongano più

enfasi, in particolare la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo in Islam agli art. 8 (riferito al divieto di calunnie, di accuse senza fondamento e ai tentativi deliberati di diffamazione), all’art. 11(sulla condotta e gestione degli affari pubblici), all’art. 12.b e c (sulla ricerca della conoscenza e sul dovere di combattere l’oppressione).

Una chiara divergenza tra i testi è il riferimento ai regimi politici. La Dichiarazione universale del ‘48 (allo stesso modo della CEDU), in tal senso, cita esplicitamente la democrazia come forma di gestione degli affari pubblici da perseguire.

Nelle Dichiarazioni islamiche, al contrario, non è mai citata la forma democratica, preferendosi un compromesso oltremodo offuscato ma definito, ad esempio, nell’alinea 9 del preambolo della Dichiarazione universale islamica.354

E’ possibile concludere, dunque, che la principale divergenza tra le due culture indagate risieda non tanto nel novero o nell’essenza dei diritti tutelati, quanto nell’ispirazione di fondo dei sistemi.

Come si è avuto modo di osservare nelle Dichiarazioni occidentali la religione è riconosciuta come libertà, non come fonte di ispirazione, ed il libero arbitrio dell’uomo è la base per il riconoscimento delle garanzie ad esso poste in essere.

Nei testi islamici, invece, l’elemento meta-storico ed escatologico è onnipresente, il potere primordiale ed universale di Dio è l’origine di tutto il sistema normativo, la rivelazione è la fonte ed il quadro giuridico di tutte le pratiche, tanto da permettere all’osservatore di definire tali strumenti, senza timore di smentita, “confessionali” piuttosto che universali.355

In altre parole, il concetto di diritti umani nell’Islam è differente da quello occidentale per almeno due evidenze.

La prima, e la più profonda, è data dal fatto che la dottrina dei diritti umani islamica si riferisce principalmente a Dio e al suo rapporto con gli uomini; essa contrappone un onnicomprensivo teocentrismo, al tradizionale antropocentrismo illuministico. Tale dottrina non si sviluppa su un’asse orizzontale (tracciata dal rapporto tra un individuo e un suo simile) ma su un’asse verticale (costituita dalla relazione tra un individuo e Dio). A tal proposito, si ritiene pienamente giustificabile chi asserisce che immaginare una relazione dicotomica tra sfera secolare e religiosa sia totalmente fuorviante. Tale relazione

354“Tutti gli affari pubblici sono determinati e condotti, e l’autorità amministrativa esercitata, dopo consultazioni (shura) tra i credenti abilitati a prendere parte ad una decisione compatibile con la legge ed il bene pubblico”.

355MUSTAPHA BENCHENANE, Les Droits de l’Homme en Islam et en Occident, in Islam et droits de

dovrebbe svilupparsi su un piano complementare più che dialettico.356

In secondo luogo, come visto, essa enfatizza il concetto del “dovere” (principalmente dinnanzi al Creatore) più che quello di “diritto”.

356SYED JAFAR ALAM, Towards a New Discourse: Human Rights in Islam and Vice Versa, in Indian Journal of International Law, Vol. 47, No. 2, p. 267.

CAPITOLO 4

ANALISI DELLA TUTELA DEI DIRITTI DELL’UOMO NEL DIRITTO INTERNO DEI PAESI DEL MAGHREB

4. Osservazioni preliminari

Il presente studio si propone, nella sua ultima parte, di analizzare la normativa interna ed internazionale sulla materia dei diritti umani nell’area geografica del Maghreb sforzandosi di comparare la situazione giuridica all’uopo predisposta all’implementazione de facto degli impegni assunti, in prospettiva di verifica della applicazione della clausola di condizionalità democratica degli Accordi di associazione euro-mediterranei.

Come visto nel secondo Capitolo della presente ricerca, la costruzione di un dialogo cooperativo strutturato tra le due sponde del Mediterraneo è stato influenzato da notevoli fattori che ne hanno minato profondamente l’efficacia attuativa. Tra questi vanno citati la centralità del conflitto israelo-palestinese, l’influenza degli attori non direttamente coinvolti (USA e URSS prima dell’89, prevalentemente Cina e Iran oggi), l’approvvigionamento energetico come principale posta in gioco, l’incapacità europea di assumere posizioni comuni su temi cruciali, l’eterogeneità del mondo arabo, l’unilateralità delle iniziative europee, il difetto di condizionalità nell’attuazione delle direttive del partenariato (soprattutto riguardo la sfera politico-democratica) e l’assenza fattuale degli attori non governativi ai tavoli negoziali.

A ciò va aggiunta la problematicità di fondo dei rapporti tra i due sistemi, identificabile in un generale senso di incomprensione e diffidenza, oltremodo acuito dallo scenario post 11 settembre nel quale, come giustamente sostiene Mohammed Arkoun “Islam e occidente hanno polarizzato la costruzione dell’immaginario dell’Altro. Alla demonizzazione islamica e arabo-musulmana dell’occidente corrisponde, in una dialettica polemologica, la costruzione immaginaria del nemico islam”, come incastrati in una logica che George Corm definisce di “temporalità regressiva”.357

Ciò sembra giustificare le affermazioni di Stefan Fule, commissario europeo per

l’allargamento e la ENP (Politica Europea di Vicinato), nel momento in cui asserisce che “l’Europa non è stata abbastanza efficace nella difesa dei diritti umani e delle forze democratiche locali. Troppi di noi sono caduti vittima dell’assunto che i regimi autoritari fossero una garanzia di stabilità per la regione. Non è stata neanche Realpolitik: nel migliore dei casi è stato un approccio di breve termine, che rende il lungo termine ancora più difficile da costruire”.

Su questa consapevolezza si è sviluppata, a partire dal discorso di Tangeri dell’ottobre 2007 del presidente francese Nicolas Sarkozy, la così detta Unione del Mediterraneo, un progetto per certi versi sostitutivo dell’ormai datato Partenariato che si sviluppava, sostanzialmente su tre assi: l’allargamento dello spazio di coinvolgimento dal bacino del mediterraneo all’Eurafrica, un’unione “a geometria variabile” (già sperimentata all’intero dell’UE) e progetti di sviluppo che si concentrino soprattutto su energia, trasporti, acqua, cultura, istruzione, sanità, capitale umano, lotta contro le disuguaglianze e giustizia.

Secondo quanto dichiarato dalla vicepresidente della Commissione europea Catherine Ashton, la nuova politica di vicinato sarà realizzata rimodulando uno strumento finanziario già esistente: lo European Neighbourhood and Partnership Instrument (ENPI), che permette l’adozione di molteplici misure di sostegno con una dotazione di 11,2 miliardi di euro per il periodo 2007-2013.358 Anche la Commissione ha altresì confermato di volere

perseguire un approccio differenziato da paese a paese, secondo una disciplinare di investimenti definita more for more: una formula meritocratica secondo la quale i paesi partner che si muoveranno più speditamente sulla strada delle riforme politiche ed economiche potranno accedere ad un maggiore contributo finanziario.359