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La Dichiarazione Islamica Universale dei Diritti umani

3.4 Il sistema giuridico internazionale islamico di promozione e protezione

3.4.1 La Dichiarazione Islamica Universale dei Diritti umani

A seguito di numerosi incontri, tenutisi tra il 1974 e il 1976, a Ryad, Roma, Parigi, Ginevra e Strasburgo e, in particolare, al Colloquio sui Diritti dell’uomo, organizzato dalla facoltà di diritto dell’università del Kuwait nel dicembre del 1980, il Consiglio Islamico per l’Europa328, nella figura del suo Segretario generale Salem Azzam, , ha proclamato, nella

326Nel 1979 l’Algeria ha promulgato la Dichiarazione Universale dei Diritti del Popolo (UDPR). Nel 1979 la Conferenza Mondiale Islamica ha elaborato la Dichiarazione dei Diritti Umani in Islam (DHRI). Negli anni ottanta, inoltre, il fenomeno di moltiplicazione di documenti afferenti i diritti umani si sviluppò attraverso l’opera dell’Unione dei Giuristi Arabi in Iraq e la Commissione internazionale di giuristi che pubblicarono una serie di conclusioni e raccomandazioni in merito. Nel 1985 fu emanata la Carta Tunisina sui Diritti Umani, seguita l’anno dopo dalla Carta Araba sui Diritti Umani e la Carta dei Giuristi Arabi, entrambe firmate a Siracusa. Infine anche la Libia ha elaborato una “Great Green Charter of Human Rights” nel 1988, seguita dal Marocco (’90).

327ALI MERAD, Riflessioni sulla Dichiarazione islamica universale dei diritti dell’uomo in Islam e il

dibattito sui diritti dell’uomo, a cura di Andrea Pacini, Edizioni Fondazione Giovanni Agnelli, 1998, p. 126-

124.

328Il Consiglio Islamico per l’Europa è una Organizzazione privata, situata a Londra ed affiliata con la Lega degli Stati Arabi.

sede parigina dell’UNESCO il testo della Dichiarazione Islamica universale dei diritti umani (DIUDU) il 19 settembre 1981. Essa, come ricalca l’introduzione della stessa, è stata elaborata da eminenti eruditi e giuristi musulmani e da rappresentanti dei movimenti e delle correnti del pensiero islamico, con il supporto di autorevoli giuristi europei.

Essa si compone di un preambolo particolarmente corposo nel quale sono elencate le motivazioni profonde che hanno spinto i redattori a redigere tale documento. Questa prima parte risulta infarcita da una moltitudine di principi teologici ed affermazioni ideologiche329

che concorrono a definire un’idea della perfetta “società islamica”.330 Tutto il testo è, in

linea generale, basato sul Corano e la Sunna non come testi ispiratori ma come unica fonte primaria di legittimazione della materia in analisi, in altre parole, ancora una volta, Dio è fonte (diretta) di tutta la legge.

In tal senso risulta oltremodo interessante il VII punto del comma g del preambolo che, nell’intensione di tracciare un idea di potere temporale, ricalca pedissequamente la concezione della sovranità politica di cui sopra, affermando che “tutto il potere terrestre (deve essere) considerato come un deposito sacro, da esercitare nei limiti prescritti dalla Legge”, laddove al comma b del punto 1 delle note d’esplicazione in calce al documento si precisa che “con il termine <<Legge>> si intende la Shari’a”.

In questo senso, la caratterizzazione teocentrica del preambolo si pone come elemento di connessione endogena della compatibilità e continuità tra il diritto rivelato e i diritti umani. Il resto del dispositivo si compone di 23 articoli corrispondenti ad altrettanti diritti secondo una ortodossa classificazione: dal I al XV il così detto “nocciolo duro” dei diritti civili e politici di prima generazione, dal XV al XVIII i diritti economici e sociali di seconda generazione e dal XIIX al XIX i diritti legati alla vita familiare, ai quali vanno aggiunti il

329“Considerando che Allah ha donato all’umanità, attraverso le Sue rivelazioni nel Santo Corano e nella Sunna del Suo Santo Profeta Maometto, un quadro giuridico e morale durevole che permette di stabilire e

regolamentare le istituzioni e i rapporti umani”; i musulmani “che credono in Dio, Benefattore e

Misericordioso, Creatore, Sostenitore, Sovrano, sola Guida dell’umanità e Fonte di tutta la legge, (…) che credono nel Vivcariato (Khilafah) dell’uomo che è stato creato per compiere la volontà di Dio sulla terra; che credono nella saggezza dei precetti divini trasmessi dai Profeti (…), che credono che la razionalità in sé, senza la luce della rivelazione di Dio, non può né costituire una guida infallibile nelle questioni umane, né apportare un arricchimento spirituale dell’animo umano, (…) che credono che, ai termini della nostra Allenaza ancestrale con Dio, i nostri doveri hanno la priorità sui nostri diritti, (…) che credono nel nostro obbligo di stabilire un ordine islamico”. Da SALEM AZZAM, La Déclaration Islamique Universelle des

Droits de l’Homme (1981), in Islam et droits de l’Homme, sous la direction de Marc Agi, La Librairie des

Libertés, p. 195-196. Corsivi aggiunti.

330MAURICE BORRMANS, La Déclaration Universelle des Droits de l’Homme del 1948 et les

Déclarations des Droits de l’Homme dans l’Islam, in Islam et droits de l’Homme, sous la direction de Marc

diritto all’educazione (XXI), alla vita privata (XXII) e alla libertà di spostamento e residenza (XXIII).

La dimensione collettiva afferente il diritto delle minoranze (religiose, alcun riferimento è dato per le minoranze linguistiche e culturali, art. X), anticipa un più individualistico diritto alla libertà di religione, pensiero e di parola (art. XII) nel quale, al comma e, si riconosce il rispetto dei sentimenti religiosi altrui come obbligo per tutti i musulmani. Maggiormente ispirato ad una logica prettamente illuministico-occidentale il successivo articolo XIII nel quale si prescrive che “ognuno ha diritto alla libertà di coscienza e di culto conformemente alle sue convinzioni religiose”.

I diritti economici e sociali sembrano accusare l’influenza delle tradizionali rivendicazioni islamiche in merito, quali: la legittimità di alcune nazionalizzazioni nell’interesse pubblico, l’utilizzo dei mezzi di produzione nell’interesse della comunità e la necessità di moralizzare le attività economiche (art. XV). Il diritto al lavoro appare solo attraverso la forma attenuata dello statuto e del rispetto dovuto ai lavoratori. Si può concludere sostenendo che tali disposizioni sono votate alla ricerca di un’armonizzazione tra una concezione liberale del diritto e vaghi principi di islamismo sociale.

Particolarmente rilevante risulta la sezione afferente ai diritti legati al nucleo familiare che disciplina, segnatamente, il diritto di fondare una famiglia e le questioni connesse e il diritto della donna sposata, nella misura in cui riconosce il diritto di ognuno di sposarsi, creare una famiglia ed allevare dei figli, il diritto al rispetto del coniuge, del sostegno materiale, alla condivisione degli obblighi e delle responsabilità, il rispetto della maternità e soprattutto il divieto di matrimonio non consenziente. Riguardo il divorzio, come visto, già ampiamente trattato dal Corano stesso, il documento in esame rimanda alla Legge rivelata concedendo anche alla moglie di domandare ed ottenere la dissoluzione del legame attraverso la Khul’a. L’attenzione rivolta all’istituzione familiare era, d'altronde, anticipata nello stesso preambolo nel quale si ergeva la famiglia a fondamento di tutta la vita sociale (punto g, comma IV).

Rispetto alle più rilevanti discordanze tra il documento in esame e la Dichiarazione Universale onusiana del 1948 vanno citate il diritto al matrimonio e la libertà religiosa. In tal senso l’art.16 della Dichiarazione del ’48, infatti, asserisce che “uomini e donne in maggiore età, senza alcuna limitazione di razza, nazionalità, o religione, hanno il diritto di sposarsi e fondare una famiglia”. Il corrispettivo articolo della Dichiarazione islamica (19.a) statuisce che “ogni persona è legittimata a contrarre matrimonio, fondare una

famiglia, e crescere figli in conformità con la sua religione, tradizione e cultura”.331 La

frase “in conformità con la sua religione” legittima la tradizione shiaritica ad imporre delle restrizioni a tale diritto quali, come visto, il divieto per una donna musulmana di sposare un non musulmano, ecc.

Sullo stesso tono gli articoli afferenti alla libertà religiosa. L’articolo 18 della Dichiarazione onusiana statuisce che “ognuno ha il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e religione; questo diritto include la libertà di cambiare la propria religione o credo e la libertà, sia da soli che in comunità con altri, in pubblico o in privato, di manifestare la propria religione o credo insegnandola, praticandola (…) e osservandola”. L’analogo articolo 12.a della Dichiarazione islamica asserisce, invece, che “ognuno può pensare, credere ed esprimere le proprie idee e credi senza interferenza e opposizione da parte di nessuno, fintanto che obbedisca ai limiti enunciati dalla Shari’a”.332 E’ oltremodo

chiaro che tale riserva al rispetto della Shari’a abroga de facto le libertà garantite dal dispositivo onusiano.333

In altre parole, la Shari’a è considerata come l’unico criterio di definizione dei diritti e delle libertà.

In conclusione si può affermare che questo documento, che chiaramente, non emanando da alcun potere politico o legislativo non ha alcuna efficacia giuridica se non quella derivante da una solenne esigenza morale di definizione di ciò che è bene (né costituisce altresì un punto di riferimento normativo), certamente rinnova il dialogo tra Islam e modernità, sforzandosi di proporre la prima come religione contemporanea, nella quale la tutela dei diritti umani non sia solo una parte della rivelazione, ma sia intrinsecamente ed ontologicamente congenita alla stessa.334

3.4.2. La Dichiarazione del Cairo sui diritti dell’uomo in Islam (Dichiarazione dei