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Come già precedentemente ricordato, il Protocollo n. 14, entrato definitivamente in vigore il 1° giugno 2010 a seguito della deposizione dello strumento di ratifica della Russia a margine della Conferenza di Interlaken,95 ha radicalmente modificato la disciplina del

sistema di controllo dei diritti enunciati nella Convenzione, superando la antecedente situazione bicefala attraverso la soppressione della Commissione e la creazione di una Corte unica permanente. E’ a questo nuovo sistema che ci si intende riferirsi.

La struttura e le funzioni della Corte sono disciplinati dal Titolo II della Convenzione. La Corte si compone da un numero di giudici pari a quello delle Parti contraenti, quindi attualmente 47. I giudici che siedono in Essa devono godere di un’alta considerazione morale, devono esercitare le proprie funzioni a titolo meramente individuale ed evitare ogni eventuale “conflitto di interesse” che confligga con le esigenze di indipendenza, imparzialità e disponibilità. Essi sono eletti dall’Assemblea parlamentare che vota a maggioranza dei voti espressi su una lista di tre candidati presentata da ogni Paese membro. I giudici sono eletti per un periodo non prorogabile di nove anni, anche se continuano a trattare le cause di cui sono stati investiti fino alla loro sostituzione effettiva. La Corte è strutturata in una Assemblea plenaria, composta da tutti i giudici, una Grande Camera, più Camere composte ognuna da 7 giudici (riducibili a cinque dal Comitato dei

94Commissione, Chiesa di Scientology e 128 suoi membri c. Svezia, DR 21, pp. 109-115; Commissione, A.R.M. Chappel c. Regno Unito, DR 53, pp. 241-253; Commissione, Finska Foramlingen di Stoccolma e Hautaniemi c. Svezia, DR 85-A, p. 94 ss.

Ministri, su richiesta dell’Assemblea plenaria con votazione unanime e per un periodo limitato), più Camere composte ognuna da 7 giudici e i Comitati in cui siedono 3 giudici. L’art. 27 del Protocollo n. 14 ha istituito una nuova figura allo scopo di snellire ulteriormente le procedure: quella del Giudice unico che ha la funzione di dichiarare irricevibile e cancellare dal ruolo, a determinate condizioni, un ricorso individuale.

In virtù dell’art. 32 “la competenza della Corte si estende a tutte le questioni concernenti l’interpretazione e l’applicazione della Convenzione e dei suoi Protocolli che siano sottoposte ad essa (…)” . Oltre alle citate funzioni interpretativa ed applicativa l’Organo giudiziario della Convenzione è dotato anche di una funzione consultiva enunciata nell’art. 31 e disciplinata negli art. 47, 48 e 49 relativi alla richiesta dei pareri, alla legittimità degli stessi e alla loro motivazione.

La procedura di controllo si sostanzia in due specifiche opzioni: i ricorsi interstatali ed i ricorsi interindividuali. Riguardo i primi, l’art. 33, prevedendo che “ogni Alta Parte contraente può deferire alla Corte qualunque inosservanza delle disposizioni della Convenzione e dei suoi Protocolli che essa ritenga possa essere imputata ad un’altra Parte contraente”, produce di fatto una distinzione tra il ricorso interstatale e il classico strumento della protezione diplomatica, non richiedendo alcun collegamento tra lo Stato deferente e il cittadino leso nei propri diritti. Tale articolo va interpretato, dunque, non nell’ottica di creare un diritto all’azione positiva degli Stati ma nella prospettiva di un comune interesse al rispetto degli organi assunti per denunciare “an alleged violation of the public order of Europe”.96 E’, tuttavia, quasi universalmente riconosciuta la scarsa efficacia

di tale metodo, in quanto gli Stati, posto l’impegno condiviso al rispetto dei diritti sanciti nella Convenzione, inevitabilmente sottopongono l’adozione di tale strumento ai rapporti generali che hanno con le altre Parti contraenti, limitandone l’effettività.

Il secondo sistema, molto più incisivo per le ragioni anzidette, è il ricorso individuale, disciplinato dall’ art. 34 ss. In forza di tale dispositivo la facoltà di ricorrere è attribuita alla persone fisiche, alle organizzazioni non governative o a un gruppo di privati. A questo proposito, la prima condizione che viene posta è che questi si ritengano vittime di una violazione. Tale enunciato, evidentemente, esclude ricorsi avanzati da terze persone o da organizzazioni che non sono state direttamente colpite da una lesione conseguente ad un inadempimento della Parte in causa. Una actio popularis, ad esempio, sarebbe

inammissibile.97 I ricorsi, infatti, devono essere basati su casi concreti che producano, o

abbiano prodotto, ripercussioni dirette sulla situazione personale del soggetto in causa e, generalmente, questo accade quando una norma o un azione si sono applicate de facto al ricorrente.98 L’entrata in vigore del Protocollo n. 14, segnatamente dell’art. 27 dello stesso,

ha modificato le competenze alla ricezione dei ricorsi istituendo, come visto, la figura del giudice unico che di fatto sostituisce l’ex giudice relatore, incaricato dell’esame del fascicolo. La prima valutazione richiesta alla Corte, propedeutica all’analisi del merito della controversia, è la valutazione della legittimità del ricorso stesso. Affinché possa essere discusso, infatti, esso deve avere esaurito tutte le vie di ricorso interno, deve essere presentato entro un termine non superiore ai sei mesi dalla data della decisione interna definitiva, non deve essere anonimo, non deve riguardare casi già passati in giudicato dalla Corte stessa o in altre istanze internazionali (ne bis in idem), non deve essere incompatibile con le disposizioni della Convenzione, né manifestamente infondato e non deve essere presentato attraverso un abuso manifesto del diritto al ricorso. Un ulteriore condizione, che ha comportato non pochi problemi interpretativi è quella prevista nel comma b del paragrafo 3 dell’art. 35, per il quale il ricorrente debba avere subito un “préjudice

important”. Tale ipotesi si giustifica con la necessità di ridurre il carico di lavoro della

Corte ai soli casi in cui il ricorrente abbia subito un effettivo pregiudizio, annullando i ricorsi minori in virtù del principio de minimis non curat praetor.99

Verificata ognuna di queste cause di ricevibilità, la Corte procede all’esame nel merito, procedura che, in virtù dell’art. 36 può prevedere l’intervento di terzi, ovvero del Paese di cui è cittadino il ricorrente, di una qualsiasi altra Parte contraente o del Commissario per i diritti dell’uomo del Consiglio d’Europa. L’ art. 39 del regolamento interno della Corte, poi, ovviando ad una lacuna del testo originario della Convenzione, ha predisposto una serie di misure cautelari, a carattere provvisorio, da ingiungere alla Parte in esame, nel caso in cui il comportamento delle autorità pubbliche infierisca sulla posizione del ricorrente in attesa della pronuncia della Corte. L’esame può interrompersi, ancor prima della sentenza

97Cfr. Application n. 7045/75, 19/12/1976, DR 7, p. 87.

98Cfr. X and Y v. Netherlands, judgment (26/3/1985(, Series A, n. 91; James and others judgment (21/2/1986), Series A, n. 98, p. 9, par. 36-36; Mellacher and others judgment (19/12/1989), Series A, n. 169, p. 24, par. 41.

99L’efficacité à long terme de la Cour Européenne des droits de l’homme, Rapporto del Comitato direttore dei diritti dell’uomo al Comitato dei ministri, , CM (2003)55 del 8 aprile 2003, p. 8.

sia a causa della sopravvenuta cancellazione dal ruolo (nel caso in cui il ricorrente non intende più mantenerlo, o la controversia sia stata risolta o per qualsiasi altro motivo per cui la prosecuzione dell’esame del ricorso non si giustifichi più) sia per l’intervento di una composizione amichevole, purché essa stessa si fondi sul rispetto dei diritti dell’uomo. Rispetto, poi, alla conclusione della procedura dell’esame nel merito, il combinato disposto degli art. 42, 44 e 46 dispone che le sentenze delle Camere divengono definitive quando le Parti dichiarano di non richiedere il rinvio alla Grande Camera, oppure automaticamente tre mesi dopo la data della sentenza, se le Parti non hanno richiesto il rinvio dinnanzi alla Grande Camera, oppure se il collegio della Grande Camera respinge il rinvio formulatogli dal Paese in questione. Le sentenze sono giuridicamente vincolanti ex art. 46.

La Grande Camera può intervenire in due momenti distinti: prima o dopo la pronuncia della sentenza da parte della Camera. Nel primo caso la Camera può operare un rinvio alla Grande Camera, a meno che una delle Parti non si opponga, quando la questione oggetto del ricorso dell’esame solleva grandi problemi di interpretazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, o se la soluzione rischi di dar luogo ad un contrasto con una sentenza pronunciata anteriormente dalla Corte. Nella seconda ipotesi, in virtù dell’art. 43, entro un termine di tre mesi dalla data di sentenza di una Camera, ogni Parte della controversia può richiedere, in situazioni eccezionali (ovvero allorquando il caso sollevi una questione grave relativa alla interpretazione o all’applicazione della Convenzione), il rinvio alla Grande Camera. Dall’analisi della prassi della Grande Camera emerge, in tal senso, che potendo essa rivalutare la validità dei requisiti di ricevibilità e riesaminare integralmente il caso, fino a rovesciare le conclusioni della precedente sentenza, si sia de facto cristallizzato un doppio grado di giudizio.100 Posteriormente alla pronuncia della sentenza da parte di una

Camera o della Grande Camera o dell’intervento di una composizione amichevole, sta al Consiglio dei Ministri del Consiglio d’Europa verificarne l’adempimento da parte dello Stato coinvolto, secondo le specifiche procedure disposte all’art. 46. Quando proposto dal ricorrente e se ne sussistono le ragioni, la Corte, infatti, può riconoscere al ricorrente una equa soddisfazione per la violazione accertata ex art. 41, le cui condizioni sono esposte negli art. 60 e 75 del Regolamento della Corte. La “equa soddisfazione” intesa nell’art. 41 comprende sia i danni materiali che i danno morali eventualmente subiti dal ricorrente per effetto della violazione del diritto.

100CLAUDIO ZANGHì, La Protezione Internazionale dei Diritti dell’Uomo, Giappichelli, 2006, pp. 234- 236.

1.4 La tutela dei diritti dell’uomo nell’Unione Europea