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Diritti della donna e discriminazioni su base sessuale

3.2 Stato, diritto, società civile e democrazia nel mondo arabo musulmano

3.3.2. Diritti della donna e discriminazioni su base sessuale

Per il Corano la donna è fatta della stessa essenza dell’uomo, essa non è nata da una delle sue costole, come nella rivelazione cristiana, ma ne rappresenta la sua “metà gemella”. Il Profeta Maometto disse, infatti che “le donne sono sorelle degli uomini”.311 Tale testo

306Cfr. The flourishing business of slavery, in The Economist del 21 settembre 1996; NHIAL BOL, Sudan

Human Rights: Khartoum accused of selling slaves for arms, in Inter Press Service del 12 luglio 1996.

307MAMUD ‘ABD-AL-WAHHAB FAYID, Al-riq fil-islam, Dar al-i’ tissam, Le Caire 1989.

308SALAH ABU-ISMA’IL, Al-shahadah, Dar al-i’ tissam, Le Caire 1984.

309ABU-AL.’ALA’ AL-MAWDUDI, Al-islam fi muwagahat al-taddiyat al-mu’assirah, Dar al-qalam, Koweit, 1979.

310HAMAD AHMAD AHMAD, Nahwa qanun muwahhad ili-giyush al-islamiyyah, Makta-bat al Malik Faysal al-islaiyyah, 1988.

311Memorandum del governo del Regno d’Arabia Saudita concernente la dottrina dei diritti dell’uomo nell’Islam e la sua applicazione nel territorio del Regno Arabo saudita indirizzato alla segreteria generale della Lega degli stati arabi, Ministero saudita degli Affari Esteri.

sacro, inoltre, accorda il dono delle perfezione a due donne: Asiya, donna del Faraone e

Marie, figlia di Imran. Ad esse la tradizione profetica aggiunge Khadiga e Fatma: sposa e

figlia di Maometto.

La Shari’a ordina di trattare la sposa con giustizia, bontà e benevolenza ed accorda ad essa diritti sacri quali l’uguaglianza davanti la legge, la proprietà privata personale e il diritto di eredità. In forza dei precetti shiaritici la donna possiede il diritto indipendente di contrarre matrimonio attraverso un contratto civile che legalizza le sue relazioni sessuali e la procreazione.

In quanto credente essa è, allo stesso momento, uguale agli uomini su un piano spirituale ed intellettuale ma differente su un piano fisico-giuridico. L’uomo, come sancito nel versetto coranico II,228, possiede un certo spazio di “preminenza”. Esso afferma, infatti, che “le donne hanno diritti equivalenti ai loro obblighi e conformemente agli usi. Gli

uomini tuttavia predominano su di esse”:312 in altre parole si rileva un’uguale dignità ma

con diritti differenti.

Come detto sopra, lo standard islamico originario di protezione dei diritti della donna è oltremodo inferiore a quelli occidentali.

A prova di ciò basti citare le riserve apposte da molteplici Paesi arabo-musulmani alle principali Convenzioni internazionali in materia. In particolare l’art. 16 della Convenzione ONU sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione delle donne, che impegna gli Stati ad assicurare “gli stessi diritti e le stesse responsabilità durante il matrimonio e al momento del suo scioglimento (…) sulla base dell’uguaglianza dell’uomo e della

donna”,313 ha registrato le riserve di Egitto, Iraq, Giordania, Libia e Tunisia e non è stato

mai firmato da Brunei, Iran, Somalia e Sudan.

Inoltre il Protocollo opzionale al trattato in questione, che riconosceva la competenza di un organismo ONU ad hoc nel ricevere ricorsi individuali circa fattispecie di discriminazioni di genere, è stato rifiutato da Albania, Azerbaijan, Bangladesh, Benin, Burkina Faso, Gabon, Guinea Bissau, Indonesia, Kazakhstan, Kyrgyzstan, Libia, Maldive, Mali, Niger, Senegal, Sierra Leone, Tajikistan, Tunisia, Turchia e Turkmenistan. 314

312Corsivo aggiunto.

313Corsivo aggunto.

314Traités multilatéraux deposés auprès du secrétaire général, Nations Unies, New York, 1992. Pp. 174-175 ss.

Il concetto di legge familiare Islamica include tutte quelle disposizioni shiaritiche che concernono il matrimonio, il divorzio, il mantenimento, la custodia dei figli e la successione. Le discordanze tra Shari’a e moderni standard di diritti umani circa il diritto familiare riguardano, sostanzialmente, la reiterazione della pratica della poligamia, le pene (e le aggressioni) ai danni delle adultere e degli omosessuali, il concetto di Talaq (ripudio), il mantenimento post-divorzio e il rifiuto della pratica dell’adozione.

A tal proposito va subito chiarito che la concezione islamica di matrimonio, divorzio, rapporto coniugale, filiazione e eredità è differente alla base da quella occidentale e ciò concorre a comprendere lo shock di un occidentale che si approccia a pratiche quali la poligamia o il ripudio. A differenza del pensiero occidentale, per il quale il matrimonio è un’unione intima davanti a Dio, una sorta di “alleanza solenne”, o un’“unione mistica di anime”, nel caso islamico esso non è che un atto meramente giuridico, nient’altro che un contratto, soggetto, in quanto tale, a scioglimento in caso di inadempienza di una delle sue clausole, nonostante il Corano incoraggi, in molteplici suoi passaggi, il rispetto coscienzioso degli impegni presi.

Tale interpretazione dipende dalla più generale tendenza della rivelazione shiaritica ad approcciarsi alle tematiche in modo più realista che idealista, ispirato da uno spirito fortemente pragmatico, che tiene conto della vera natura dell’essere umano.315

La Shari’à tradizionale prevede, secondo un’ortodossa interpretazione del versetto coranico II,221, che un uomo musulmano, pur non potendo in nessun caso sposarsi con una politeista, possa comunque contrarre matrimonio con una “donna del Libro”, ovvero con cristiane, ebree e zoroastriane. Contrariamente una donna musulmana non può che sposarsi con un musulmano.

Il matrimonio valido può essere contratto già dall’età della pubertà, in quanto la Shari’a classica identifica la pubertà con la maggior età.

Allo stesso modo la rivelazione permette la poligamia ai soli uomini, autorizzandoli ad unirsi con un massimo di quattro donne, purché sia capace di mantenerle.

Il mantenimento della pratica della poligamia nel diritto familiare islamico pone, principalmente, il problema della propria giustificazione razionale alla luce della contrapposta interdizione sul piano internazionale. A tal proposito va ricordato che, nel contesto nel quale il Corano ha fatto le sue prime apparizioni attraverso le orazioni del profeta Maometto, l’istituto della poligamia si giustificava, sostanzialmente, attraverso una

315MARCEL A. BOISARD, Les Droits de l’Homme en Islam, in Islam et droits de l’Homme, a cura di Marc Agi, Des Idées & des Hommes, pp. 77,78.

logica quasi-paternalistica, secondo la quale tale pratica serviva ad offrire giustizia e sicurezza alle donne che, per l’accanimento del fato, si trovassero in gravi difficoltà perché condannate, abbandonate, ripudiate o orfane. A ben vedere la filosofia coranica, nel campo in esame, ha teso a percepire la relazione monogama come l’ideale forma di associazione e a dissuadere i credenti da tale tipo di pratica attraverso l’inclusione di versetti quali il 4:130 che recita: “non raggiungerai mai un perfetto bilanciamento emozionale tra le tue mogli, per quanto tu lo desideri”.

In secondo luogo, i giuristi islamici, seguendo percorsi interpretativi oltremodo estensivi hanno, negli anni, individuato nella stessa fonte giuridica coranica la base metodologica per apportare significanti limitazioni all’accesso alla pratica della poligamia come nel caso del Pakistan,316 della Syria,317 dell’Iraq318 e della Tunisia 319 (che, come ben noto, è arrivata

a proibirla completamente, prevedendo un anno di detenzione o il pagamento di una ammenda per gli aggressori).

Ci si riferisce, ad esempio, alla dottrina legale del takhayyar (scelta eclettica).

L’implementazione della disciplina del takhayyar nel diritto familiare islamico ha portato alla incorporazione di specifiche clausole inibitorie volontarie, all’interno del contratto di matrimonio, che proibiscono preventivamente al marito di contrarre ulteriori matrimoni o di porre in essere altre azioni lesive degli interessi della moglie.

A ciò va aggiunta la pratica del divorzio al quale il Corano dedica un intero capitolo (LXV), fissandone con particolare minuzia i dettagli della procedura.

La legge islamica predispone quattro tipologie di dissoluzione del matrimonio: il ripudio unilaterale da parte del marito (Talaq), il divorzio su richiesta della moglie (Khul’a), la dissoluzione attraverso un mutuo consenso (mubara ‘ah) e lo scioglimento del contratto in seguito ad un provvedimento giudiziario (faskh).

Il Talaq può essere invocato esclusivamente dal marito, la Khul’a esclusivamente dalla moglie (ma sottostà ad una serie particolarmente ristretta di condizioni), il mubara’ah e il

316Muslim Family Law Ordinance (1961).

317Law of Personal Status 1953, art. 17 (Decree No. 59 of 1953).

318Law of Personal Status, 1959, art.3.

faskh da entrambi i coniugi.

Nonostante venga considerata una piaga sociale, l’autorizzazione a tale pratica è espressamente concessa, seppur limitata.

Come detto, la moglie può chiedere il divorzio solo a precise condizioni e, nonostante la sua posizione giuridica risulti svantaggiata per molti aspetti, essa ha comunque diritto ad un compensazione materiale. In aggiunta va evidenziato che, nonostante sia pacifica la facoltà delle mogli divorziate di risposarsi, gli uomini, in molti stati musulmani, considerano ancora un taboo tali unioni condannando de facto spesso tali donne alla miseria e all’emarginazione.

In caso di scioglimento del matrimonio, inoltre, l’attribuzione della custodia dei figli raramente consta dell’interesse dei minori, privilegiando il diritto di educazione paterno. Un’altra questione particolarmente controversa è data dall’utilizzo della pratica del Talaq, osteggiata, seppur prevista, dal Corano e dalla Sunna (versetto LXVI:1), ma riconosciuta da tutte le scuole islamiche.

In forza di tale istituto un uomo musulmano gode del diritto assoluto ed extragiudiziario di divorziare legalmente dalla moglie senza avere, né dovere citare, alcun motivo per giustificare tale azione e senza dovere chiedere, tanto meno ottenere, il consenso della moglie . Inoltre il Talaq può essere pronunciato anche in assenza, o comunque senza il coinvolgimento, della moglie.

Rispetto alla disciplina islamica di dissoluzione del matrimonio è stato affermato che “il Corano garantisce all’uomo una completa libertà di divorzio non chiedendogli alcuna giustificazione per tale atto. Per cui esso può divorziare dalla moglie anche solo per capriccio, non essendo ugualmente predisposta una tale facoltà in capo alla moglie”.320

Pur tuttavia si rileva, in alcuni paesi e negli ultimi anni, un graduale processo di modifica o abrogazione delle tradizionali regole islamiche di dissoluzione del matrimonio ( in particolare in riferimento al Talaq), come nel caso dell’art.30 del Codice Tunisino dello Status Personale del 1956, nel quale si statuisce che “il divorzio al di fuori di una Corte non ha effetto legale” e dell’art.49 del Codice Algerino dello Status Personale del 1984 che recita “il divorzio non può essere stabilito che da un giudice successivamente ad un periodo di riconciliazione del giudice stesso”, entrambi facenti leva sul versetto coranico IV,35 che statuisce: “se temi una frattura tra i due (coniugi) appellati a due arbitri”.

I tentativi dei Paesi arabi più “illuminati” in favore di un bilanciamento dei diritti delle

320ARTHUR JEFFERY, The Family in Islam, R.N. (ed.), The Family: Its Future and Destiny, 1949, p.39 e 60.

donne, rispetto al Talaq e alla Khul’a, hanno dimostrato dunque come sia possibile, per il legislatore, bypassare i dogmi delle scuole giuridiche islamiche, facendo appello direttamente alle fonti primarie della Shari’a.

Ci si riferisce, in particolare, alle riforme intervenute negli ultimi decenni, anche in Egitto, dove, già nel lontano 1979, il Presidente Saddat propose una norma che introduceva la registrazione obbligatoria per ogni Talaq e la pretesa che alla moglie fosse fatta notifica dell’intenzione di attivare un Talaq, in modo che esso rimanesse ineffettivo fino all’avvenuta notificazione dello stesso. Il marito aveva, inoltre, l’obbligo di informare la moglie di ogni nuovo matrimonio poligamo, circostanza che avrebbe dato alla congiunta la facoltà di richiedere il divorzio.321

Nel maggio del 1985, tuttavia, la Suprema Corte Egiziana abrogava la normativa di cui sopra in quanto la ritienne ultra vires rispetto alla costituzione.

Un’ulteriore stagione riformista si ha nel 2000, sotto il regno del Presidente Mubarak, che completa la legislazione nel frattempo intercorsa con alcune innovazioni significative, come quella che introduce il principio secondo il quale il consenso del marito al divorzio non sia una condizione necessaria al raggiungimento dello stesso da parte della moglie. 322

In altri Stati musulmani quali Marocco, Siria, Iran, Pakistan viene richiesta una giusta causa per la concessione del Talaq, pena il pagamento di una compensazione alla moglie. Per secoli, insomma, le società musulmane sono state convinte della chiusura ed inflessibilità dell’Ijtihad, tradendo così la vera essenza dell’Islam, basato invece sul cambiamento, la contestualizzazione, la riforma e la reinterpretazione.323

Nonostante vi siano notevoli divergenze tra l’interpretazione sunnita e quella shiita, inoltre, il Corano disciplina il diritto di successione sancendo, ai versetti IV,11 e IV,12, che la successione ereditaria di una figlia femmina sia la metà di quella di un figlio maschio per quanto riguarda la prole di un musulmano dipartito e che, in caso di coniugi sopravvissuti alla morte del consorte, la parte spettante al marito vivente sia il doppio

321Law No.44 of 1979.

322Law No. 2000 on the Re-Organisation of Certain Terms and Procedures of litigation in Personal Status.

323JAVAID REHMAN, The Sharia, Islamic Family Law and International Human Rights Law: Examining

the Theory and Practice of Poligamy and Talaq, in International Journal of Law, Policy and the Family 21,

(metà della successione) rispetto alla parte di una vedova (un quarto della successione).324

Pur tuttavia le sacre scritture riconoscono anche che un padre e una madre ereditano una somma equivalente in caso del decesso di uno dei figli, che i figli (di entrambi i sessi) ereditano in misura equivalente dai genitori e che, nel caso in cui gli eredi dovessero essere un padre e la propria figlia, essi erediterebbero un’uguale somma.325

I giuristi musulmani sostengono, in tal senso, l’asserzione secondo la quale l’originaria disparità di trattamento non rileverebbe una fattispecie discriminatoria dal momento che il dovere di provvedere ai fabbisogni della famiglia grava interamente sull’uomo.

Pur tuttavia non si può, negli ultimi decenni, non registrare una notevole evoluzione positiva della condizione femminile in gran parte degli Stati arabi. Così sono state quasi universalmente abrogate le posizioni intransigentiste relative al ripudio e al diritto al lavoro e si è aperto soprattutto riguardo il diritto di voto, di accedere alle cariche pubbliche, il diritto al lavoro, all’istruzione e all’abbigliamento scevro da una certa mal interpretazione delle norme coraniche che imporrebbero di celare la bellezza (tabarrug) del corpo femminile al fine adempiere al dovere di preservarne l’onore.

D’altronde, in riferimento all’eguaglianza rispetto lo specifico diritto al lavoro, l’Islam concede alla donna di intraprendere attività lecite che siano compatibili con le sue caratteristiche naturali. Nel periodo di vita del Profeta le donne musulmane si dedicavano a molteplici occupazioni anche fuori casa, nella misura in cui, in particolare si impiegavano nel soccorso, sottoforma di trasporto e medicazione, dei feriti di guerra.

3.4 Il sistema giuridico internazionale islamico di promozione e protezione dei diritti