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CAPITOLO II – DELL’INTERPRETAZIONE CONFORME A COSTITUZIONE PER COME

I- Un primo inquadramento del problema: la concretezza del giudizio d

2. La concretezza del giudizio sulle leggi e i suoi rapporti con la “diffusione”

Dobbiamo ora vedere, avendo con decisione escluso l’automaticità consequen- ziale tra concretezza e diffusione, come, se e da quale prospettiva l’interpretazione conforme a Costituzione comunque si leghi a una sfumatura concreta e diffusa del sindacato di costituzionalità.

Facciamo dunque confluire il percorso storico della nostra giurisprudenza costi- tuzionale in una trattazione relativa all’interpretazione conforme. Con essa, abbiamo visto, la Corte in sostanza rimette al giudice comune la ponderazione circa la confor- mità del dato normativo alla Carta, di fatto obbligandolo a rivolgerlesi solamente quando tale attività ermeneutica non sia possibile.

Come avremo modo di vedere, impostare in questi termini il problema non è molto diverso dal richiedere che il giudice, anziché il mero dubbio sulla costituzionalità della fonte che deve applicare, abbia una “quasi certezza” di questo contrasto. Il che, per alcuni, equivarrebbe a dire che in buona sostanza è il giudice comune a operare una valutazione relativa alla legittimità costituzionale della legge, alla Corte restando sem- plicemente da avallare la ricostruzione da questi fornita. E, in questo senso, il ruolo della Corte si tradurrebbe in niente più che la produzione di un effetto, quello della dichiarazione di incostituzionalità. Avrò modo di soffermarmi meglio su tutti questi

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aspetti, ma quel che qui preme mettere in evidenza è che, dal punto di vista del con- trollo sulle leggi, questo certamente perde non poco dell’astrattezza, per tendere deci- samente verso la concretezza.

Tale concretezza, tuttavia, a mio parere non si dimostra tanto nel fatto che il con- trollo di costituzionalità effettuato nel senso or ora precisato dai giudici comuni (o qualche cosa che gli si avvicina molto) viene attuato in quanto lo esige un’applicazione del dato legislativo al caso concreto, quanto piuttosto nella circostanza che è per questo motivo che alla Corte giunge la questione di costituzionalità.

Mi spiego meglio. Come sostenne a suo tempo Calamandrei, quando il Costituente volle forgiare il modello misto, infondendovi così un controllo di tipo diffuso, questa sua sfumatura si risolveva proprio nel valutare il processo costituzionale non come limitato al procedimento dinanzi alla Corte, ma nel suo insieme, comprensivo pure della fase anzi il giudice a quo. Il quale, a monte, decidendo o meno se la questione dovesse giungere alla Consulta, diveniva, secondo una notissima definizione, il “por- tiere della Corte”10. Se questo è vero, e comunque personalmente mi sento di sposare

tale prospettiva, ne discende secondo la mia modesta opinione che, con l’elaborazione del canone dell’interpretazione conforme, la giurisprudenza costituzionale non ha ag- giunto niente alla concretezza del giudizio di costituzionalità: poiché questa è sempre stata presente nel nostro modello. Può forse averne valorizzato il momento della dif- fusione, e su codesto aspetto mi soffermerò quando sarò riuscito a sviluppare uno stu- dio più approfondito sui temi che mi sono proposto di trattare, ma dal lato della con- cretezza assolutamente niente mi pare cambiato da questo punto di vista. Nel senso che il nostro controllo di costituzionalità è sempre stato concreto, in quanto è dal caso di specie che si giunge alla Corte costituzionale, permettendole di svolgere la sua fun- zione11: paradossalmente si potrebbe proprio sostenere che, in un modello puramente diffuso, il sindacato sulle leggi è invece quanto mai astratto, proprio sulla base di quanto ho più su sostenuto. Perché, se è pur vero che il giudice, nei sistemi diffusi, decide della costituzionalità di una norma, se del caso disapplicandola, unicamente quando in essa si imbatte, e cioè di essa deve fare applicazione nel caso sottopostogli, io credo che non si debba mai confondere la causa del controllo con la natura dello

10 Così Calamandrei, La illegittimità costituzionale delle leggi nel processo civile, op. cit., p. 38. 11 La quale peraltro non si è modificata nel tempo: sempre e solo la Corte ha il potere di espungere

formalmente la norma dall’ordinamento, per quanto possa valorizzarsi la diffusione del sindacato sulle leggi.

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stesso. E la causa è certo scaturita da una vicenda pratica, un caso della vita. Ma, una volta individuata la norma da applicare, il confronto della stessa con la Carta fonda- mentale, la natura del controllo appunto, avviene pur sempre in termini astratti, av- viene cioè confrontando il contenuto sostanziale della legge (che è generale e astratto) con il dato costituzionale12. Non c’è quindi soluzione di continuità nel controllo, nel senso che questo è immediato e diretto: il giudice incappa in una legge che crede in- costituzionale, lui stesso ne valuta l’incostituzionalità, eventualmente disapplicandola. Invece nel sistema italiano la concretezza del controllo è valorizzata nella misura in cui c’è uno stacco netto tra questi due momenti. Il giudice si trova di fronte un caso cui deve applicare una legge sospettata di incostituzionalità (anzi, dopo la sent. 356/1996, fortemente, quasi certamente sospettata di incostituzionalità): ma per quanto il giudice possa esserne sicuro, spetterà comunque sempre alla Corte dichiarare tale incostituzionalità. La concretezza emerge qui dal fatto che alla Corte ciò sarà possibile solo a partire dal caso di specie, poiché soltanto se un caso della vita darà adito alla formulazione dell’ordinanza di rinvio (ciò in cui si sostanzia il momento concreto) l’organo centrale potrà svolgere tutte le considerazioni ritenute più opportune e la com- parazione della legge sospettata di illegittimità costituzionale con la Carta (ciò in cui si sostanzia, invece, il momento astratto). Tutto ciò senza che si possa ancora dire una singola parola sulla diffusione del sistema.

E cartina di tornasole di questo ragionamento è, almeno così ritengo, che il profilo della concretezza si appunta sul requisito della rilevanza, non su quello della non ma- nifesta infondatezza, su cui invece si appunta il profilo della diffusione. Infatti, prati- camente ovunque in dottrina, si ritiene che la concretezza del nostro modello risulti dal

12 Può essere qui utile riportare anche la nota distinzione proposta da Guastini circa astrattezza e con-

cretezza, secondo cui “l’interpretazione “in astratto” (“orientata ai testi”) […] consiste nell’identifi-

care il contenuto di senso – cioè il contenuto normativo (la norma o, più spesso, le norme) – espresso da, e/o logicamente implicito in, un testo normativo (una fonte del diritto) senza riferimento ad alcuna fattispecie concreta”, mentre “l’interpretazione “in concreto” (“orientata ai fatti”) […] consiste nel sussumere una fattispecie concreta nel campo di applicazione di una norma previamente definita “in astratto””. Cfr. Guastini R., Interpretare e argomentare, op. cit., pp. 15 ss. È evidente che, secondo

quanto qui si sostiene, mentre nella ricerca della norma da applicare al caso di specie che gli si presenta il giudice opera un’interpretazione “in concreto” della legge, nel momento in cui invece egli valuta la conformità della norma così ricavata con la Costituzione torna inevitabilmente a operare un’interpreta- zione “orientata ai testi”, cioè appunto astratta. Questa prospettiva di teoria generale credo debba essere calata nel discorso giuridico tanto caro a Pizzorusso su astrattezza e concretezza del controllo, di cui qui si discute.

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fatto che la questione di costituzionalità debba essere sollevata “nel corso di un giudi- zio”13 se questo “non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione”14 di

tale questione. Insomma, la questione di legittimità costituzionale deve essere in un rapporto di pregiudizialità logica rispetto alla decisione che il giudice dovrà assumere in ordine alla fattispecie alla sua attenzione, in sede di giudizio comune15.

Invece, l’elemento della diffusione si attaglia piuttosto sul requisito della non ma- nifesta infondatezza, dal momento che il giudice valuta se la legge possa sembrargli costituzionalmente inopportuna proprio a partire da un dubbio sulla costituzionalità della stessa16, una volta che si assuma rilevante la normativa per la risoluzione del caso. Tant’è che alcuni in dottrina ritengono che il canone dell’interpretazione con- forme dovrebbe iscriversi completamente nel requisito della non manifesta infonda- tezza, senza che con esso possa essere venuto a profilarsi un nuovo, ulteriore criterio per la rimessione17; ma anche chi ritiene che l’interpretazione conforme faccia parte a sé, fondando un terzo requisito dell’ordinanza di rinvio, proprio per questo fatto non fa discendere quest’ultimo dalla rilevanza18. E dunque, a me sembra, il profilo della

concretezza viene valorizzato a partire dalla necessità che della legge sospettata di in- costituzionalità si debba dare pratica applicazione; quello della diffusione, invece, a partire dalla considerazione del giudice a quo circa l’incostituzionalità della legge, sia

13 Cfr. art. 1, l. cost. 1/1948. 14 Cfr. art. 23, comma 2, l. 87/1953.

15 Questo indipendentemente dal dibattito sul requisito della rilevanza, si risolva essa in una mera ap-

plicabilità o in una necessaria influenza (ipotesi sulla cui prevalenza, attualmente, comunque pochi di- scutono). Cfr. a mero titolo d’esempio Guzzetta G., Marini F.S., Diritto pubblico italiano ed europeo, Torino, Giappichelli, 2008, pp. 533 ss., Malfati, Panizza, Romboli, Giustizia costituzionale, op. cit., pp. 104 ss., o Romboli R., La giustizia costituzionale, in Manuale di diritto costituzionale italiano ed euro-

peo. Volume III – Le fonti del diritto e gli organi di garanzia giurisdizionale, a cura di Roberto Romboli,

Torino, Giappicchelli, 2009, pp. 332 ss.

16 È questa, ad esempio, la ricostruzione offerta da Modugno, per citare un esplicito riferimento a questa

impostazione, il quale ritiene come l’interpretazione conforme e tutte le implicazioni di questa non si leghino tanto alla rilevanza, quanto piuttosto alla non manifesta infondatezza. Cfr. Modugno F., Sull’in-

terpretazione costituzionalmente conforme, in AA.VV., Il diritto tra interpretazione e storia, Liber ami- corum in onore di Angel Antonio Cervati, III, Roma, Aracne, 2011, pp. 320 ss.

17 Vedi ad esempio il già menzionato Rauti A., L’interpretazione adeguatrice come metacriterio erme-

neutico e l’inversione logica dei criteri di rilevanza e non manifesta infondatezza, op. cit.

18 Ed è forse questa la posizione maggioritaria: cfr., tra i molti, Amoroso G., L’interpretazione «ade-

guatrice» nella giurisprudenza costituzionale tra canone ermeneutico e tecnica di sindacato di costitu- zionalità, in Foro italiano, 1998, V, 93;Bignami M., Il doppio volto dell’interpretazione adeguatrice, in www.forumcostituzionale.it, 2008; Malfatti, Panizza, Romboli, op. ult. cit.; Lamarque E., La fabbrica

delle interpretazioni conformi a Costituzione, op. cit.; Romboli R., La Corte costituzionale del futuro (verso una maggiore valorizzazione dei caratteri «diffusi» del controllo di costituzionalità?), op. cit., e

infine, dello stesso Autore, Il giudizio di costituzionalità delle leggi in via incidentale, in Aggiornamenti

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questa considerazione formulata in termini meramente dubitativi (non manifesta in- fondatezza), sia questa posta in termini di quasi certezza (interpretazione conforme). Ancora usando una proporzione, mi verrebbe da dire che concretezza : rilevanza = diffusione : x, con x incognita riferibile a quella particolare attività ermeneutica del giudice relativa alla legittimità costituzionale, debba essa configurarsi come dubbio o come estrema probabilità.

Posto tutto ciò, aggiungo quanto segue. In qualche modo, nel nostro giudizio sulle leggi è come se vi fossero due differenti momenti della concretezza. Il primo è l’ap- prodo di un caso concreto nelle aule di tribunale. È a partire da questo fatto che viene in considerazione una data legge, di cui occorre dare applicazione. Il secondo però non risiede nella comparazione tra tale legge e la Carta (una comparazione che viene a prodursi, dopotutto, tra fonti generali e astratte), quanto piuttosto nel fatto che è da quel particolare (concreto) giudizio che la questione di costituzionalità arriva poi alla Corte per il verdetto decisivo.

Ora, il primo momento della concretezza è quello che il nostro modello ha in co- mune con i sistemi diffusi, i quali però, pur salpando da questo porto concreto, si tro- vano a navigare nel mare dell’astrattezza, poiché in fondo i giudici attuano, il più delle volte almeno, un confronto astratto tra legge e Costituzione per decidere della legitti- mità della prima alla luce della seconda. Nel nostro modello per come originariamente pensato dal Costituente, invece, a un primo momento concreto (“nel corso di un giu- dizio”…), se ne aggiunge un altro nell’istante in cui dal giudizio, e solo dal giudizio19, si approda alla Consulta, l’organo centrale che poi attuerà quel confronto astratto tra legge e Carta.

Tutta questa precisazione ci è utile per superare una apparente contraddizione del ragionamento fin qui condotto, ammettendo naturalmente che la ricostruzione offerta possa ritenersi corretta. La contraddizione cui faccio riferimento è quella che si pro- duce laddove dapprima sostengo che il nostro modello avrebbe perso, con il canone dell’interpretazione conforme, qualcosa della sua astrattezza, ma poi arrivo a conclu- dere che, con esso, non si è alla fine aggiunto niente sul versante della concretezza.

Ebbene, debitamente distinguendo, quello che voglio dire è questo: che, se con l’interpretazione conforme né il primo, né il secondo momento della concretezza sem- brano venire accentuati nella situazione in cui il giudice, non riuscendo ad operare tale

19 È bene ricordare che sto analizzando sempre e solo il giudizio in via incidentale, un discorso così

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interpretazione, sollevi la questione di costituzionalità (ed ecco che questo canone non aggiunge niente alla concretezza originaria), nella opposta circostanza in cui il giudice comune riesca invece a rintracciare un’interpretazione conforme, e quindi rimanga giudice comune, senza divenire giudice a quo, non rinviando alcuna questione, il primo momento della concretezza viene di molto ad essere valorizzato. Ed è proprio questo risultato, d’altra parte, quello che il giudice costituzionale voleva raggiungere con la sent. 356/1996. Si pensi infatti al caso in cui, essendo possibile estrapolare più norme da una disposizione, si crei una giurisprudenza consolidata che, interpretando conformemente a Costituzione la disposizione, applichi solo una norma da questa ri- cavabile, rendendo dapprima recessive le altre, e determinandone via via una sostan- ziale disapplicazione. Ed ecco che, a questo punto, ma solo a questo punto, concretezza e diffusione convergono. E questo perché, se da un lato saranno soltanto gli accidenti del caso a portare una fattispecie nelle aule giudiziarie, dando il la per fare applicazione di una legge a tale pratica fattispecie (primo momento della concretezza), dall’altro con una simile attività ermeneutica, silenziosa, poiché tale da non far mai arrivare la questione di costituzionalità alla Consulta, risolvendosi la valutazione sulla legittimità costituzionale tutta all’interno dei tribunali e delle corti, si profila la possibilità di una sostanziale disapplicazione di norme solo ritenute dalla giurisprudenza incostituzio- nali, teoricamente essendo appunto possibile che la Corte non abbia mai a pronunciarsi su di esse (in ciò risolvendosi il momento della diffusione). A questo punto, sarà il giudice comune a ponderare astrattamente la costituzionalità della legge, confrontando la disposizione con il testo costituzionale e portando a caducazione sue certe norme, affermandone invece altre. E questo non consentirebbe di sfociare nel secondo mo- mento della concretezza, appunto quello del passaggio della questione dal giudice a quo alla Corte. Non essendo più il giudice, in questa circostanza, il “portiere della Corte”, il controllo sulle leggi si farà in questo senso, e allo stesso tempo, più concreto (e non già concreto tout court), perché la questione di costituzionalità si risolverà tutta nel recinto del caso di specie, ma altresì più astratto, nella misura in cui sul controllo di legittimità costituzionale deciderà il giudice comune senza dover ricorrere alla Corte per questa (astratta) attività.

Ne esce senz’altro rafforzata la prospettiva di Pizzorusso in ordine alla scindibilità del binomio diffusione-concretezza, perché quello qui delineato è un sistema che va senza dubbio verso soluzioni diffuse, amplificando però sia un particolare profilo della concretezza (quello che qui si è chiamato il suo “primo momento”), sia un particolare

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profilo dell’astrattezza (la comparazione tra fonti e la conseguente valutazione sulla costituzionalità senza passare per la Corte).

E proprio questo inopinato intreccio tra concreto e astratto si lega alla diffusione. Abbiamo visto come tutto ciò trovi giustificazione nel percorso storico della nostra giustizia costituzionale, che, da un iniziale affidamento della Carta fondamentale alla magistratura come materiale normativo direttamente servibile e applicabile, è passata a un’assoluta valorizzazione delle potenzialità ermeneutiche operabili sulla stessa Co- stituzione da parte della giurisprudenza comune. Adesso dobbiamo vedere come e se l’interpretazione conforme conduca effettivamente a una maggiore diffusione del no- stro sistema. Solo a quel punto questa piccola anticipazione di risultanze future, per come offerta in codeste pagine, potrà trovare reale giustificazione, sorreggendosi su spunti più compiutamente sviluppati.