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III- La giurisprudenza costituzionale dalla «prima guerra tra le Corti» alla

1. L’interpretazione della Corte come precedente autorevole

Come anticipato in chiusura al paragrafo precedente, la giurisprudenza della Corte costituzionale, e in special modo quella relativa all’interpretazione della Costituzione, non conoscerà inizialmente un allineamento della magistratura, ma anzi si produrrà un contrasto tra gli orientamenti della Corte e quelli del giudice comune (segnatamente della Corte di cassazione), il quale assumerà dimensioni così notevoli da venire usual- mente descritto in dottrina come “prima guerra tra Corti”. L’oggetto della “guerra” sarà per l’appunto legato agli effetti delle sentenze interpretative di rigetto, o, per me- glio dire, alla portata ermeneutica di queste.

Negli stessi anni, si assiste alla definitiva presa di coscienza, da parte della giuri- sprudenza comune, delle potenzialità applicative della Costituzione, e quindi della possibilità di utilizzare la stessa direttamente come materiale normativo.

93 Non ultimo proprio il ricorso alle sentenze interpretative di rigetto. 94 V. ancora Lamarque, op. ult. cit., p. 9.

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Sono, questi, due movimenti che sembrerebbero aver prodotto risultati opposti, nel senso che, come subito si vedrà, mentre da un lato viene posto un freno a una configurazione vincolante dell’interpretazione della Corte, dall’altro viene dilatata l’incisività del testo costituzionale e della sua interpretazione nei procedimenti giuri- sdizionali. In realtà, questi due momenti sono indicativi degli smottamenti prodottisi nella concezione di giustizia costituzionale a seguito dell’avvio dei lavori della Corte, e dipoi dei successivi, fisiologici assestamenti. Nuovi equilibri, insomma, vanno rea- lizzandosi e, conclusosi questo basilare percorso, ciò che ne uscirà corroborato sarà il riferimento costituzionale nell’applicazione della legge o, in altre parole, la rilettura dell’ordinamento giuridico alla luce dei valori della Carta. O quantomeno una prima, decisiva spinta in tal senso.

Procedendo brevemente a trattare questi episodi, c’è da dire che, relativamente al primo, i termini della questione discendono dalle ricadute delle interpretative di rigetto sul tessuto giurisdizionale. Come si è cercato di mettere in luce, con una tale sentenza la Corte intende salvaguardare il dato positivo immettendovi (o valorizzandone) un nucleo, un’anima, per così dire, costituzionale. La Corte cioè dichiara infondata la questione di costituzionalità relativa a una norma purché a questa sia attribuito il si- gnificato fornito dalla propria interpretazione. Il problema, come si può intuire, risiede nel comprendere cosa possa accadere qualora la giurisprudenza comune si discosti dall’interpretazione offerta dalla Consulta, magari addirittura tornando ad attribuire alla legge significati a suo tempo scartati come contrari a Costituzione. Ebbene, questa eventualità, come non era difficile prevedere, è effettivamente occorsa nel tempo, fino a condurre a un contrasto frontale nel 1965, nell’ambito di quella che, appunto, fu definita “prima guerra tra Corti”. La “guerra” fu combattuta tra la Consulta e la Cas- sazione penale, consumandosi tutto sommato in pochi mesi. Il campo di battaglia fu il diritto di difesa nel processo penale, in particolar modo nella fase che l’allora vigente codice Rocco chiamava istruzione sommaria95. Preso atto della contrarietà dimostrata

95 Fase del procedimento penale, questa, che portò la dottrina processualpenalistica dell’epoca a parlare

di “garantismo inquisitorio”. L’impianto originario del codice Rocco, il cui baricentro era fortemente spostato su prospettive inquisitorie piuttosto che accusatorie, fu progressivamente corretto per effetto di interpretazioni conformi al dettato dell’art. 24 Cost. C’è comunque da dire che, nonostante gli sforzi ermeneutici, per una piena affermazione dei diritti costituzionali, tra cui in particolare proprio il diritto di difesa, occorrerà attendere l’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, nel 1989. Riporto qui in nota questa vicenda perché la ritengo indicativa di quanto finora osservato, ossia della cautela della Corte nell’accogliere seccamente le questioni di costituzionalità, onde evitare di creare vuoti nor- mativi pericolosi, scegliendo piuttosto lo strumento delle interpretative di rigetto e invitando la giuri- sprudenza comune a operare un’interpretazione della legge il più possibile conforme a Costituzione.

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dalla Cassazione ad accogliere l’impostazione interpretativa proposta, la Corte costi- tuzionale utilizza il diverso strumento della sentenza di accoglimento manipolativa96,

con cui dichiara incostituzionale l’art. 392 c.p.p.97 “nella parte in cui, estendendo alla

istruzione sommaria le norme stabilite per l'istruzione formale solo “in quanto sono applicabili”, autorizza ad escludere che anche nell'istruzione sommaria debbano avere applicazione le disposizioni degli artt. 304 bis, ter, quater, poste a garanzia del diritto di difesa” 98. In sostanza, la Corte aveva censurato l’interpretazione della norma per come vivente nella giurisprudenza di legittimità.

Se è pur vero che, come affermato in dottrina, la “guerra” si conclude siglando un tacito accordo in virtù del quale l’interpretazione offerta dalla Consulta in decisioni diverse dalle sentenze di accoglimento non può avere valore di interpretazione auten- tica99, è altrettanto vero che anche questa vicenda segnerà un’ulteriore tappa verso la costruzione di un atteggiamento maggiormente collaborativo da parte dei giudici co- muni verso le indicazioni interpretative della Corte.

Su questo punto si salda il secondo episodio cui ho fatto cenno in apertura, e cioè l’esplicita asserzione, da parte della giurisprudenza comune, di un più penetrante ruolo della Costituzione all’interno del processo. L’occasione per affermare tutto ciò si ebbe nell’ambito del congresso di Gardone, tenuto dall’Associazione nazionale magistrati tra il 25 e il 28 settembre 1965100, che in una celebre mozione dichiarò a chiare lettere

Cfr. sul punto Di Chiara G., Fiandaca G., Una introduzione al sistema penale. Per una lettura costitu-

zionalmente orientata, Napoli, Jovene, 2003.

96 È questa una ulteriore particolare tipologia, ancora di derivazione giurisprudenziale, con cui la Corte

effettua una modifica e una integrazione delle disposizioni di legge originarie, così da forgiare una disciplina in qualche misura nuova e diversa da quella positivamente prodotta. Cfr. sul punto Malfatti, Panizza, Romboli, Giustizia costituzionale, op. cit., pp. 135 ss.

97 Si tratta dell’allora vigente codice del 1930. 98 Corte cost., sent. 26.06.1965, n. 52.

99 La Corte è infatti costretta a intervenire con una sentenza di accoglimento manipolativa per raggiun-

gere il suo obiettivo, evidentemente non bastando l’interpretativa di rigetto per imporre la propria solu- zione ermeneutica. Sul punto cfr. Lamarque, La fabbrica delle interpretazioni conformi a Costituzione, op. cit., p. 8, in cui l’Autrice riporta correttamente che a questa “prima guerra” ne seguirà una seconda, che raggiunse il suo apice nel 2005, e che ribadì quanto già era stato di fatto acquisito, affermandosi compiutamente, da parte della Sezioni Unite, il mero valore di precedente autorevole dell’interpreta- zione della Corte, almeno “se sorretta da argomentazioni persuasive” (Cass. pen., SS.UU., sent. 17 maggio 2004, n. 23016). Su questi sviluppi vedi anche infra, Cap. II, § III, 1. Lamarque riporta altresì che già il secondo Presidente della Corte costituzionale, Gaetano Azzarriti, a proposito delle neonate interpretative di rigetto, nella seduta inaugurale del secondo anno di attività della Consulta, aveva af- fermato che questa “non ha il potere di interpretare autenticamente le leggi e solo alle sue decisioni

che dichiarano la illegittimità costituzionale di norme legislative è attribuita efficacia erga omnes. La interpretazione che la Corte adotta non ha quindi una generale efficacia vincolante”.

100 Come già accennato retro, Introduzione, IX. È utile qui ricordare che, a quell’epoca, l’Anm era

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la sicura competenza del giudice comune a interpretare la legge orientando il suo si- gnificato alla luce della Carta, nonché a dare diretta applicazione a quest’ultima, quando ovviamente tale soluzione sia praticabile.

Un importantissimo passaggio, se vogliamo, verso il compimento di una sensibi- lizzazione della magistratura, che segnerà l’avvio del cammino di una interpretazione conforme a Costituzione offerta non più solo dalla Corte, ma ricavabile anche dai giu- dici comuni attraverso un approccio diretto alla Carta fondamentale. Ormai preparato a soddisfare le esigenze costituzionali, come dimostrerà anche nella pratica proces- suale, il giudice saprà valorizzare il proprio operato all’interno dei meccanismi del sindacato sulle leggi. Tutto ciò aprirà la strada a rilevanti interrogativi sulla portata del ruolo del giudice a quo; ruolo che sarà ancor più esaltato dal momento in cui anche la Corte sceglierà di virare decisamente nel senso di consentire un maggiore spazio all’in- terpretazione conforme operata dalla magistratura. Sarà a quel punto giocoforza chie- dersi se questa valorizzazione significherà anche una emersione dei tratti più spiccata- mente diffusi del nostro modello. I quali, come noterà la dottrina più attenta, comin- ciano ad affiorare proprio in considerazione “di un giudizio positivo sull’operato dei giudici e sulla dimostrata sensibilità ai valori costituzionali”101. Questo risultato, cui

si addiverrà solo verso la fine del secolo scorso, passerà anzitutto attraverso una pecu- liare attenzione rivolta dalla Corte costituzionale al fenomeno del diritto vivente.

2. La dottrina del diritto vivente come prima valorizzazione del