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CAPITOLO II – DELL’INTERPRETAZIONE CONFORME A COSTITUZIONE PER COME

IV- Ulteriori aspetti dell’interpretazione conforme e considerazioni finali sul tema

1. Controversi casi di ipotizzabilità della disapplicazione

In chiusura di questo capitolo dedicato all’interpretazione conforme, ritengo do- veroso riportare sinteticamente alcune ulteriori questioni che questo canone può porre. Credo che esse possano dimostrarsi di limitata portata pratica ma anche speculativa nella ricostruzione di un transito del modello, in questo settore, verso soluzioni diffuse. Tuttavia alcuni spunti sono oggettivamente dovuti per rendere più completa la tratta- zione. Mi fermerò spesso alla mera suggestione, sia perché prenderò in esame solo alcuni fenomeni, ben consapevole che altri ve ne siano e che se ne possano rintracciare addirittura ulteriori prima facie più sfuggenti, sia perché ognuna di queste tematiche richiederebbe un più compiuto svolgimento, ma questo mi condurrebbe troppo lontano dal tema che voglio affrontare.

Un primo caso riguarda la deducibilità, da parte del giudice, dell’incostituzionalità di una norma (o perfino di una disposizione) dall’accertamento operato dalla Corte in ordine all’illegittimità costituzionale di altre norme (o disposizioni). Può essere ad esempio che la Consulta dichiari l’incostituzionalità di una norma esprimente principi generali, i quali vengono recepiti da altre norme, per così dire, più di dettaglio. Di regola, l’incostituzionalità di queste norme può essere rilevata direttamente dalla Corte costituzionale. Essa deve infatti attenersi, in linea di massima, al principio del chiesto

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e pronunciato112; tuttavia l’art. 27, seconda parte, l. 87/1953 attribuisce alla Corte la

facoltà di dichiarare incostituzionali, sulla base della pronuncia di incostituzionalità relativa al caso di specie, altre disposizioni o norme “la cui illegittimità deriva come conseguenza dalla decisione adottata”113. Ma se la Corte centrale non dichiara questa illegittimità costituzionale consequenziale, può farlo il giudice? O meglio: può il giu- dice comune disapplicare una norma che, recependo i principi della norma espunta dall’ordinamento, discende da quest’ultima? La dottrina si è interrogata su questo punto, pervenendo a conclusioni diverse a seconda delle premesse adottate: per chi ritiene che il giudizio di costituzionalità abbia ad oggetto disposizioni, il giudice co- mune non potrebbe disapplicare una disposizione diversa, dal momento che questa manterrebbe la sua autonomia, in quanto dotata di propria individualità e di propria “vita giuridica”114; per chi ritiene invece che il giudizio di costituzionalità verta su

norme, essendo la norma dichiarata incostituzionale la stessa che anima altre disposi- zioni ancora vive nell’ordinamento, la pronuncia di incostituzionalità ne comporte- rebbe la caducazione “dovunque formulata ed a prescindere da espressa e specifica statuizione in sentenza”115, di modo che il giudice, disapplicando, non farebbe che prendere atto di ciò senza dover richiedere un ulteriore intervento della Corte. Prima della svolta sull’interpretazione conforme del ’96, la giurisprudenza di merito e quella di legittimità aderivano alla prima soluzione, ritenendo quindi di non poter disappli- care la legge, ma di dover necessariamente ricorrere alla Corte, evidentemente se lo ritenevano opportuno, considerando anche la legge al loro esame incostituzionale, così

112 Quel principio cioè che pretende che il giudice abbia a pronunciarsi su tutta la domanda e non oltre

i limiti di essa, senza poter pronunciarsi invece su eccezioni che possono essere proposte solo dalle parti (v. in proposito l’art. 112 c.p.c.). Questo principio è stato esteso anche alla Corte costituzionale dall’art. 27, prima parte, della legge 87/1953, operando per essa con le dovute correzioni del caso, trattandosi di un giudice affatto peculiare: la Corte dovrà allora “attenersi nel suo giudizio al thema decidendi ed al petitum, quali risultano dall’ordinanza di rimessione del giudice e non può decidere ultra petita” se- condo le parole di Malfatti, Panizza, Romboli, Giustizia costituzionale, op. cit., p. 141.

113 Si tratta della c.d. illegittimità costituzionale consequenziale, usata dalla Corte anche con una certa

larghezza in alcune occasioni, ben oltre quanto si faceva presente nella relazione Tesauro alla legge 87, in cui si richiedeva che la norma consequenziale costituisse della norma dichiarata incostituzionale “il

necessario presupposto e il fondamento”. Minor rigore sembrerebbe appunto quello talvolta dimostrato

dalla Consulta nell’interpretazione dell’art. 27, l. 87/1953, ad esempio in tema di solve et repete, in materia tributaria.

114 Questa soluzione fu sposata, ad esempio, da Montesano L., Solve et repete tributario e accertamento

della incostituzionalità derivata, in Giurisprudenza costituzionale, 1961, 1193; Bellomia S., Una pro- nuncia singolare: illegittimità derivata ritenuta dal giudice ordinario, in Giurisprudenza italiana, 1974,

I; nonché da Rossi E., Tacchi R., Le dichiarazioni di illegittimità costituzionale conseguenziale nella

più recente giurisprudenza, in Foro italiano, 1987, I.

115 Così Vezio Crisafulli, In tema di questioni conseguenziali alla pronuncia i illegittimità costituzionale

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come quella a suo tempo dichiarata tale116. Con la valorizzazione dell’interpretazione

conforme a Costituzione, indipendentemente dalle concezioni sull’oggetto del giudi- zio di costituzionalità, parrebbe forse doversi superare questa impostazione: il nocciolo del problema non sarebbe più cosa la Corte ha dichiarato incostituzionale (se la dispo- sizione o la norma), bensì la norma ricavabile dalla disposizione ancora viva nell’or- dinamento. Il giudice comune potrebbe aggirarla offrendo, sulla base della precedente giurisprudenza costituzionale, una interpretazione conforme che superasse le criticità in virtù delle quali la Corte si era a suo tempo pronunciata per l’incostituzionalità, ciò che si risolverebbe, sulla base della riflessione di questo capitolo, appunto in una di- sapplicazione di una norma ricavabile dalla disposizione e in una sostituzione di questa con un’altra (sempre ricavabile dalla stessa disposizione) più in linea con la Carta.

Una seconda ipotesi di disapplicazione si potrebbe dare nel caso in cui una dispo- sizione o norma dichiarata incostituzionale dalla Corte venga poi riprodotta in una nuova legge, nell’identico testo ovvero in una formulazione analoga o sostanzialmente similare e affine, dal legislatore. La differenza con l’ipotesi precedente è evidente, e balza agli occhi anche per il fatto che, in questo caso, la nuova norma è sempre neces- sariamente successiva alla dichiarazione di incostituzionalità. Pertanto il giudice, che è soggetto soltanto alla legge a norma dell’art. 101, comma 2, Cost., dovrebbe qui attenersi al nuovo dato legislativo, benché riproduttivo di un analogo o eguale caso a suo tempo dichiarato incostituzionale. Anche in questa ipotesi credo possa valere in linea di principio il medesimo ragionamento sull’interpretazione conforme, nel senso che il giudice comune dovrebbe comunque sforzarsi di superare la norma ricavabile icto oculi dal testo (norma già ritenuta incostituzionale, e per questo un tempo espunta dall’ordinamento), per sostituirvene un’altra più conforme a Costituzione. C’è da dire che in questo caso, a seconda della formulazione letterale della legge, tale attività può divenire molto più difficile da compiere, e di conseguenza trovo che sarebbe senz’altro giustificata, per i trascorsi della normativa, un’ordinanza di rinvio. Né credo che la Consulta, che già aveva dichiarato incostituzionale quella legge, incontrerebbe parti- colari resistenze per un nuovo accoglimento della questione. Ma ovviamente, in questa fattispecie, le variabili da considerare sono troppe, e quindi bisognerebbe rimettersi a

116 Lo riporta bene Giardino Carli nel suo Giudici e Corte costituzionale nel sindacato sulle leggi, op.

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una valutazione caso per caso117. Come già accennato, la trattazione superficiale di

tutte queste ipotesi non può che fermarsi al semplice spunto, per il cui approfondi- mento si rinvia senza dubbio a specifici studi condotti in proposito.

Un’altra fattispecie, cui già talvolta si è accennato, riguarda i confini tra abroga- zione tacita e invalidità costituzionale. Qualora si producano l’emanazione di nuove leggi costituzionali o la modificazione di disposizioni costituzionali, infatti, una nor- mativa primaria a queste anteriori potrebbe ritenersi tacitamente abrogata nel caso in cui la disciplina costituzionale sia tanto specifica da confliggervi direttamente. E del resto, questa è una possibilità lasciata aperta dalla giurisprudenza costituzionale fin dalla sent. 1/1956 e poi ancora successivamente (v. a tal proposito retro, Cap. I, § II, 1, in particolare nota 79). Facendo leva sull’interpretazione conforme, un contrasto che abbia le caratteristiche ora ricordate potrebbe essere superato anche dalla giurispru- denza comune attraverso l’abrogazione tacita, in definitiva una forma peculiare di di- sapplicazione che rintraccia anche una propria legittimazione normativa (art. 15 pre- leggi c.c.).

L’ultima suggestione che offro è quella relativa alla disapplicazione giurispruden- ziale dei soli effetti retroattivi di una legge innovativa simulata da legge di interpreta- zione autentica. Si aprirebbe qui un’ampia, doverosa parentesi che renda conto del dibattito sulla natura tecnicamente sempre innovativa di una legge di interpretazione autentica118. Devo però qua arrestarmi, proponendo semplicemente il tema; su cui,

questo è bene dirlo, la Corte costituzionale stessa è intervenuta, fissando, sulla base del principio per cui la legge non dispone che per l’avvenire e non può avere effetto retroattivo, valido soprattutto in materia penale119, alcuni criteri per garantire l’affida- mento del cittadino sul principio della certezza del diritto e della sicurezza giuridica120.

117 È ovvio che molto dipende, tra le altre cose, dal tipo di pronuncia che a suo tempo la Corte aveva

adottato, che potrebbe essere di secco accoglimento, ma anche interpretativa di accoglimento, e già le cose cambierebbero, in questo caso potendo addirittura allargarsi i margini di intervento del giudice comune, tramite un’interpretazione conforme. L’ipotesi in esame involge comunque, obiettivamente, una serie di altri problemi, che variano al variare di ulteriori profili: ad esempio a seconda del tipo di legge di cui si discute (e v. in questo caso, ancora una volta, Giardino Carli, op. cit., pp. 39 ss., che distingue ad esempio tra leggi c.d. confermative e leggi c.d. riproduttive). Sono tutte parentesi che, in questa sede, ahimè non posso aprire. Per un minimo richiamo vedi però infra, Cap. V, § I, 2.

118 V. ad esempio Guastini, Interpretare e argomentare, op. cit., pp. 81 ss., nonché, anche in relazione

allo specifico problema qui affrontato circa la diffusione in rapporto alle leggi di interpretazione auten- tica, Nico, L’accentramento e la diffusione nel giudizio sulle leggi, op. cit., pp. 111 ss., e da ultimo Pugiotto A., La legge interpretativa e i suoi giudici, Milano, Giuffrè, 2003, p. 387, il quale peraltro riprende le tesi di Mezzanotte, Leggi regionali di interpretazione autentica e controlli statali, in Giuri-

sprudenza costituzionale, 1975, pp. 1986 ss.

119 Cfr. art. 11 preleggi c.c., art. 25, comma 2, Cost. e art. 2 c.p. 120 Cfr., ad esempio, Corte cost., sent. 26.07.1995, n. 390.

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Sulla base di ciò, qualora una legge che dissimuli un’interpretazione autentica di una normativa già vigente vada invece a regolare con una disciplina del tutto innova- tiva situazioni e rapporti giuridici passati, il giudice comune potrebbe, attraverso una lettura del dato normativo costituzionalmente conforme, disapplicarne gli effetti re- troattivi. Mi rendo conto comunque che ci si muova su un terreno particolarmente ac- cidentato, e non poter approfondire la questione, offrendone una adeguata contestua- lizzazione, è sicuramente pericoloso, quindi non me la sento, sulla base del poco che si è detto, di prendere una posizione in proposito. Di certo, ad ogni modo, questa pe- culiare ipotesi è un’altra di quelle su cui l’interpretazione conforme, e quindi il settore diffuso della nostra giustizia costituzionale, può avere parte, e una parte anche abba- stanza decisiva. Offro quindi anche questo caso come semplice spunto di riflessione, con l’invito a metterlo meglio a fuoco, approfondendolo in altre più opportune sedi. Allo stesso modo, lo ribadisco, faccio con tutte le succinte indicazioni che ho qui ve- locemente riportato attraverso questi brevissimi cenni.

2. Osservazioni conclusive sull’interpretazione conforme a Co-