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CAPITOLO II – DELL’INTERPRETAZIONE CONFORME A COSTITUZIONE PER COME

III- Giudice a quo e interpretazione conforme: alcuni casi giurisprudenziali

1. Una veloce ricognizione dell’esperienza giudiziaria degli ultimi venti anni

Proseguiamo invece in questa sede con un veloce resoconto su alcune vicende giurisprudenziali, le quali possono far capire, credo, quanto questa tendenza alla dif- fusione sia effettiva. Trovo infatti utile saggiare la resistenza della ricostruzione teorica dianzi offerta di fronte all’urto dell’atto pratico.

Prima di dedicarmi più da vicino all’analisi di due specifici casi particolari, però, ritengo necessario concludere il cammino storico intrapreso dalla giurisprudenza (co- mune e costituzionale) che nello scorso capitolo, al fine di introdurre il presente sull’in- terpretazione conforme, si era in sostanza arrestato al 1996. Ci si vuole qui chiedere quale sia stata l’evoluzione dei rapporti tra Corte e giudici comuni in questo ventennio, una volta prodottisi i nuovi equilibri già messi in luce75, anche per facilitare il transito dal tratto giuridico-speculativo finora assunto dal mio ragionamento a quello giuri- dico-pratico cui in questo modo vado indirizzandomi.

Ebbene, questa evoluzione dei rapporti va ancora una volta inquadrata all’interno di un non sempre lineare intreccio di relazioni tra diritto vivente e interpretazione con- forme. Nel decennio successivo alla sent. 356/1996, infatti, cominciano a maturare importanti distinguo in dottrina sul diritto vivente, rifacendosi all’evoluzione di questo canone per come anche da me riportata nel precedente capitolo76. Così, Perini propone ad esempio una sorta di scaletta77, secondo lui indicativa del procedimento che dovrà

75 V. retro, Cap. I, § IV, 3, nonché, in questo capitolo, § II, 4. 76 V. retro, Cap. I § III, 2 e § IV, 3.

77 Nello specifico l’Autore, valutando la prospettiva del giudice comune, sostiene che, qualora ci si trovi

a dover contemperare la teoria dell’interpretazione conforme con quella del diritto vivente: a) “il giudice a quo ha il dovere, prima di sollevare la q.l.c., di vagliare la possibilità di interpretare conformemente

a Costituzione qualunque precetto di legge”, poiché altrimenti sarà pronunciata ordinanza di (manifesta)

inammissibilità; b) “il giudice non è soggetto all’obbligo suddetto quando esista un diritto vivente, in

base al quale la disposizione censurata sia proprio interpretata in senso difforme a Costituzione”; c)

“in presenza di un diritto vivente contrario a Costituzione, il giudice è comunque tenuto (anche se non

giuridicamente obbligato pena l’inammissibilità della q.l.c.) a fornire una diversa interpretazione che sia conforme a Costituzione”; d) “il giudice non è soggetto all’obbligo suddetto quando fornisca una motivazione non implausibile circa le ragioni della mancata interpretazione adeguatrice”. Cfr. su que-

sto punto Perini M., L’interpretazione della legge alla luce della Costituzione fra Corte costituzionale

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seguire il giudice nel valutare se sollevare o meno la questione di costituzionalità, la quale può essere condensata in una formula più sintetica di Anzon, laddove questa Autrice afferma (siamo nel 1998): “il ricorso all’interpretazione adeguatrice sarebbe facoltativo se esiste diritto vivente contrario, mentre diviene obbligatorio soltanto in assenza di tale diritto”78, riferendosi evidentemente ai rapporti col nuovo canone dell’interpretazione conforme per come elaborato negli anni precedenti dalla giuri- sprudenza costituzionale.

Di lì a poco tempo, la Corte costituzionale rende palese il suo orientamento in proposito, dimostrando sia di poter creare essa stessa un diritto vivente, attraverso la sua propria e autorevole interpretazione conforme a Costituzione79, sia di poter deman- dare al giudice, attraverso l’invito a un’interpretazione conforme, questo compito80.

La Corte quindi, lo si vede in questi casi, mostra di poter scegliere, a seconda della concreta fattispecie, se utilizzare la classica sentenza di rigetto o l’ordinanza di mani- festa inammissibilità. O anche la sentenza interpretativa di rigetto, che viene ora usata (generalmente, ma non se ne può trarre con assoluta certezza una regola) o quando non c’è diritto vivente, o se questo contrasta con la Costituzione. E proprio su tale delicato aspetto scoppierà e si consumerà, giusto in quegli anni, la c.d. seconda guerra tra le Corti. Una guerra che ancora una volta, sembra, la Consulta perderà81.

78 Cfr. Anzon, Il giudice a quo e la Corte costituzionale tra dottrina dell’interpretazione conforme e

dottrina del diritto vivente, op. cit., p. 1086.

79 V. ad esempio Corte cost., sent. 27.01.2004, n. 44, con cui la Consulta, dichiarando l’eccezione di

costituzionalità infondata, crea appunto un diritto vivente in una particolare materia (il caso sottopostole riguardava il trattamento pensionistico privilegiato per il cittadino reso invalido a causa di ordigni esplo- sivi bellici in tempo di pace).

80 Si veda in questo senso l’ordinanza del 2006 con cui la Corte dichiara la manifesta inammissibilità

per un caso in materia di espropriazioni per pubblica utilità. Qui il Tribunale di Napoli, giudice a quo, aveva sposato un “diritto vivente” che per parte sua non condivideva e che giudicava incostituzionale: la Corte rileva come il giudice a quo abbia omesso, riferendosi per di più a un caso isolato ricavato da un’unica pronuncia del Consiglio di Stato (V sez., sent. 28 dicembre 2001, n. 6435), di valutare “altri

orientamenti della giurisprudenza di legittimità e della stessa giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, sez. V, 11 aprile 2002, n. 1986; Cons. Stato, sez. IV, 19 gennaio 2000, n. 248), che gli avrebbero consentito di interpretare la disciplina censurata alla luce della ratio che la sorregge, così omettendo di esplorare la possibilità di pervenire, in via interpretativa, alla soluzione che egli ritiene conforme a Costituzione”. La Corte cioè invita la giurisprudenza comune a creare un nuovo diritto vivente capace

di scalzare isolate pronunce che, attraverso loro interpretazioni, abbiano sollevato dubbi di costituzio- nalità riguardo a una disposizione legislativa. Cfr. Corte cost., ord. 16.02.2006, n. 64.

81 Come messo in luce da Romboli R., Qualcosa di nuovo… anzi d’antico: la contesa sull’interpreta-

zione conforme della legge, op. cit., con la sentenza Pezzella, di cui a breve parlerò, la Cassazione fissa

almeno tre punti fondamentali, che nel corso della trattazione verranno comunque accennati, ma che qui riporto per giustificare la mia affermazione sulla “sconfitta” della Corte costituzionale. Dice Rom- boli che tale sentenza “afferma l’esistenza, per il giudice a quo, di un mero vincolo negativo, richie-

dendo ogni altra interpretazione della disposizione oggetto della questione di costituzionalità l’auto- noma adesione da parte dell’autorità giudiziaria rimettente, mentre per quanto concerne tutti gli altri giudici […] la pronuncia interpretativa della Corte costituzionale non avrebbe alcun effetto vincolante,

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La vicenda ha inizio nel 1998, per l’appunto con una sentenza interpretativa di rigetto82 con cui la Corte suggerisce di abbandonare una certa interpretazione delle

disposizioni del c.p.p. molto seguita in giurisprudenza (relativa ai termini di durata massima della custodia cautelare) per abbracciarne una più costituzionalmente con- forme. Il giudice comune non si mostrò convinto di questa nuova impostazione, e ri- sollevò più volte la questione di costituzionalità alla Corte. La Consulta rimase invece molto salda sulle proprie posizioni, dichiarando sempre la manifesta inammissibilità e indicando anzi la propria soluzione come “costituzionalmente obbligata”83 con un’or-

dinanza del 2000. Intervenne allora la c.d. sentenza Musitano84 della Corte di cassa- zione, che, dichiarandosi ossequiosa nei confronti della giurisprudenza costituzionale, virò però verso una soluzione con essa confliggente. Nella già citata ordinanza 529/2000, la Consulta stigmatizzò questo atteggiamento della Cassazione, per così dire affilando le armi. Come riporta Lamarque, infatti, “a questo punto sono proprio le sezioni unite a risollevare la questione, e questa volta la Corte costituzionale risponde con un’ordinanza di manifesta inammissibilità di inusitata durezza”85: in tale ordi-

nanza 15 luglio 2003, n. 243, in effetti, si afferma fuori dai denti che assolutamente non “può essere ritenuto ammissibile un simile approccio alla giustizia costituzionale, se si considera che l’ordinanza delle sezioni unite, oltre ad apparire perplessa […], si chiude con l’esplicito invito al “rispetto delle reciproche attribuzioni”, come se a que- sta Corte fosse consentito affermare i principi costituzionali soltanto attraverso sen- tenze caducatorie e le fosse negato, in altri tipi di pronunce, interpretare le leggi alla luce della Costituzione”. Seguono altre ordinanze in cui i toni si mantengono aspri,

mantenendo il giudice il potere-dovere di interpretare autonomamente la legge, secondo quanto può ricavarsi dall’art. 101, 2° comma, Cost., purché segua una lettura costituzionalmente orientata, ancor- ché diversa da quella del Giudice costituzionale, in quanto, in caso contrario, quest’ultimo risulterebbe investito di poteri di interpretazione autentica. La Cassazione quindi contesta che l’interpretazione della Corte costituzionale abbia effetti assolutamente vincolanti per il giudice, al quale non spetterebbe altro compito che quello di adeguarsi, sostenendo che il valore di precedente opera solamente se sor- retto da argomentazioni persuasive, tali da indurre i giudici a condividerle ed a farle proprie”. Romboli

continua riportando che la sentenza Pezzella precisa anche “come divergenze ed interferenze tra le due

Corti possono sussistere, in quanto la Costituzione riconosce e legittima il potere di interpretare la legge, nelle rispettive sfere di attribuzione, della Corte costituzionale e della Corte di cassazione e l’interpretazione conforme suggerita dalla prima è lecita fintanto che si è di fronte a testi di legge polisenso, a fronte dei quali i differenti significati possono essere derivati dal giudice utilizzando i poteri interpretativi ad esso riconosciuti dall’ordinamento”. Nello stesso modo si esprime più sinteti-

camente anche Lamarque, come dirò subito.

82 V. Corte cost., 18.07.1998, n. 292. 83 Così Corte cost., ord. 22.11.2000, n. 529. 84 Cfr. Cass. pen., SS.UU., sent. 29.02.2000, n. 4.

85 Cfr. Lamarque E., La fabbrica delle interpretazioni conformi a Costituzione tra Corte costituzionale

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tanto da determinare una spaccatura nella giurisprudenza della Cassazione, con alcune sezioni in linea con la sentenza Musitano, altre schierate dalla parte della Consulta. Diviene quindi necessario ricorrere alle Sezioni Unite, che con sent. 23016/2004 (c.d. sentenza Pezzella) ripropongono gli esiti della Musitano, ritenendoli corretti. Non es- sendo stata sollevata questione di costituzionalità alcuna, la Corte costituzionale prende atto del diritto vivente creatosi e, giudicatolo non armonioso con la Carta fon- damentale, lo dichiara costituzionalmente illegittimo, adottando una sentenza di acco- glimento manipolativa che, per la verità, era già stata richiesta a gran voce dall’autorità giurisdizionale fin dall’inizio della guerra, ben sette anni prima, attraverso le varie or- dinanze di rinvio pervenute all’indirizzo della Consulta.

Ebbene, questa vicenda parrebbe emblematica di un tentativo della Corte, attra- verso una sentenza interpretativa di rigetto, di indicare una qualche interpretazione conforme a Costituzione. Il giudice comune, tuttavia, le oppone una propria ricostru- zione, impuntandosi sulla necessità di richiederle un’assunzione di responsabilità, si direbbe, circa la scelta tra due ipotesi alternative: o la giurisprudenza comune da sola non è in grado di operare una reale lettura costituzionale dell’atto legislativo e l’unico soggetto competente a ciò resta la Corte costituzionale; o la giurisprudenza comune è capace di interpretare autonomamente la legge alla luce della Costituzione, costruendo magari su questa interpretazione prima un orientamento e poi un vero e proprio diritto vivente, e di conseguenza la Consulta, se ritiene questa interpretazione incompatibile con la Carta, deve scendere nel merito della questione ed espungere il diritto vivente incostituzionale dall’ordinamento. Che è poi quello che la Corte, da ultimo, farà.

A seguito della seconda guerra tra le Corti, cioè, si afferma che le sentenze inter- pretative di rigetto non possono in alcun modo vincolare la giurisprudenza comune, e che quindi, come ancora sostenuto da Lamarque, l’interpretazione offerta dalla Corte non vale di più né di meno di quella del giudice comune, specie se giudice di legitti- mità86. Il che mi pare un elemento che avvalora, in qualche misura, una tensione verso formule di sindacato diffuso del nostro modello di giustizia costituzionale, perlomeno nel senso messo in luce nei precedenti paragrafi di questo capitolo. Voglio dire in ef- fetti che da questa vicenda emergono i seguenti punti:

a) la Costituzione è definitivamente nella piena disponibilità applicativa ed er- meneutica dei giudici comuni;

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b) la Corte costituzionale, quando interpreta la Carta, non produce né un prece- dente vincolante, né una sorta di interpretazione autentica, ma solo un prece- dente autorevole (purché sia “sorretto da argomentazioni persuasive”, per dirla con la sentenza Pezzella), sempreché, ovviamente, la Corte non incida sul sistema delle fonti attraverso una sentenza di accoglimento, eventualmente declinata nelle sue varie forme (interpretativa, manipolativa etc.);

c) rimettendo l’interpretazione conforme ai giudici comuni, e anzi obbligandoli a questa attività ermeneutica, la Corte quindi non istituisce altro elemento di chiusura del sistema che la creazione di un diritto vivente87, alla quale essa certo può contribuire attraverso suoi autorevoli precedenti, ma allo stesso modo di altri prestigiosi giudici dell’ordinamento, senza poter pretendere di superare un diritto vivente che ritiene incostituzionale con sue pronunce che non dispieghino effetti erga omnes.

Sulla base di ciò, se le assunzioni cui nel precedente paragrafo sono approdato si danno per vere, ammettendo che attraverso un’interpretazione conforme generalmente condivisa dalla giurisprudenza comune si venga a istituire, limitatamente a questa si- tuazione, un sindacato di tipo diffuso, la funzione che normalmente nei modelli che lo prevedono viene svolta dal precedente vincolante, viene nel nostro modello a essere assunta invece dal diritto vivente consolidato. E ciò si è già avuto occasione di dirlo. Si è detto altresì di come, almeno secondo la mia personale visione, questo settore diffuso della nostra giustizia costituzionale si trovi a essere solo un ingranaggio nel complesso meccanismo che forma l’intero modello o, se più piace, a dover abitare solo un piano del grande palazzo misto-accentrato. E, d’altra parte, è stata proprio la Corte, l’organo centrale del modello, diciamo qui, il proprietario del palazzo, a concedere in locazione (o sublocazione) una sua ala, proprio attraverso la dottrina dell’interpreta- zione conforme. Ora, per come costruita questa dottrina, e per quelle che sono le sue implicazioni, si deve ammettere che, finché la palla è in mano ai giudici comuni e

87 Inteso come elemento sostitutivo del precedente vincolante per assicurare la certezza del diritto. È un

concetto che ho evidenziato già più volte, e che subito svolgerò ancora, ma può essere utile riportare qui le parole di Pecora G., La democrazia di Hans Kelsen, Esi, Napoli, 1992, p. 131, quando dice, parlando di un sindacato giudiziario diffuso in un sistema di diritto diverso da quello di common law: “ciò che difetta, invece, è l’uniformità del suo impiego [dell’annullamento, o della disapplicazione, n.d.r.]. Qui, infatti, i giudici non procedono a ranghi serrati; al contrario, operano in ordine sparso

perché l’annullamento della legge incostituzionale interviene solo quando piace alla mutevole valuta- zione di ciascuno di essi”.

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questi la afferrano saldamente senza mai passarla, interpretando la legge in modo con- forme a Costituzione, la stessa Corte è parte del sindacato diffuso che così si viene a creare: e lo è nel momento in cui essa, con la sua giurisprudenza, elabora orientamenti che possono avvalorare o meno il diritto vivente, ma che non sono affatto precedenti vincolanti. Mentre in altri settori del modello (come quello nel quale un’interpreta- zione conforme non riesce o è impossibile, e quindi si deve formulare un’ordinanza di rinvio senza tema di ricevere una risposta di manifesta inammissibilità) è il giudice comune che è parte, col suo processo, di un sindacato più accentrato88, dovendo salire i piani del palazzo per andare a trovare la Corte; nel settore qui preso in esame (quello dell’interpretazione conforme all’interno del processo comune), avviene precisamente il contrario, come visto: è la Corte che scende al piano sottostante, quello della diffu- sione.

Altrimenti, se vuole superare in modo definitivo il diritto vivente consolidato, la Consulta ha come unica possibilità quella di recuperare il suo ruolo accentrato (sempre ben presente nel sistema) attraverso un accoglimento della questione di costituziona- lità, ovviamente se tale questione le perviene; se invece si oppone frontalmente alla giurisprudenza con delle mere ordinanze di manifesta inammissibilità, essa non fa che scalfire il diritto vivente, con il risultato, ben lungi dal superarlo, di creare semplice- mente confusione dal punto di vista della certezza del diritto, in uno spicchio del nostro modello che, nonostante tali sue ordinanze, si mantiene diffuso, perché all’interno di esso queste ordinanze non hanno più valore di un mero indirizzo giurisprudenziale, lo stesso che ha la giurisprudenza comune.

Spetta dunque alla Corte, allora, riaprire la porta per rientrare all’interno dell’ac- centramento, poiché in condizioni di normalità, avendo attribuito ai giudici l’obbligo di interpretazione conforme, essa non fa che soggiornare addirittura fuori dal palazzo, nell’antistante cortile della diffusione, assieme alla giurisprudenza comune89.

Abbiamo così compiuto un ulteriore passo avanti nella definizione del nostro mo- dello di giustizia costituzionale per come riequilibratosi a seguito della sent. 356/1996. Possiamo adesso tentare di trovare conferma di tutto ciò attraverso l’analisi di due casi giurisprudenziali affatto particolari.

88 O misto-accentrato, visto che in questo ambito c’è pur sempre un’iniziativa diffusa e anzi, come visto,

una utilizzazione diffusa della Costituzione (retro, § II, 3).

89 Ci si riferisce, non sarà mai superfluo ribadirlo, solo al giudizio in via incidentale, e solo alla partico-

lare ipotesi descritta sopra (§ II, 4) sulla base dell’analisi condotta circa l’obbligo di interpretazione conforme.

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2. Due vicende civili emblematiche: il danno non patrimoniale