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CAPITOLO II – DELL’INTERPRETAZIONE CONFORME A COSTITUZIONE PER COME

IV- Ulteriori aspetti dell’interpretazione conforme e considerazioni finali sul tema

2. Osservazioni conclusive sull’interpretazione conforme a Costituzione

In coda alla disamina offerta in questo capitolo sull’interpretazione conforme, vo- glio adesso soffermarmi un poco su alcune considerazioni finali.

L’interpretazione conforme, lo si è pur detto nel corso della complessiva tratta- zione, non è certo un fenomeno germogliato magicamente dalla sentenza 356/1996. Esso sicuramente preesisteva a questa svolta di fine secolo, e anzi per progressive tappe121 è arrivato a maturare fino alla scelta operata dalla Consulta circa la sua valo- rizzazione. Già con la prima sentenza della Corte, nel 1956, sembra iniziato quel cam- mino teso a portare la Costituzione nelle aule di tribunale, favorendo così la circola- zione dei principi e dei valori in essa espressi in tutto il tessuto giuridico. D’altra parte, anche questa è la funzione di una Carta fondamentale, specie di una Carta “lunga” come la nostra, la quale, oltre a regolare il funzionamento dello Stato (meglio, soprat- tutto dopo il 2001, della Repubblica122) attraverso la disciplina delle sue istituzioni, e

in special modo di quelle politiche, ricopre anche l’importante ruolo di enucleare diritti

121 Cfr. retro, Cap. I, § II e § III.

122 È la Repubblica, infatti, a essere costituita da Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato,

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fondamentali. Dovendo questi diritti trovare necessaria applicazione, è logico che tutti i protagonisti della nostra democrazia debbano realizzare, concretizzare il contenuto della Costituzione; questa attività nello stato costituzionale di diritto, cioè, non è più rimessa unicamente al legislatore, ma deve poter essere svolta anche (ma ovviamente non solo) dalla magistratura123. Ciò d’altra parte diviene un prezioso canale attraverso cui garantire i diritti nella prospettiva della certezza del diritto, la quale contiene in sé sia spinte alla conservazione dell’ordinamento giuridico, sia spinte all’innovazione dello stesso124. È proprio questa duplice tensione (connaturale a ogni ordinamento giu- ridico, tanto che, senza di essa, parrebbe, un ordinamento giuridico neppure è pensa- bile) che rende necessaria un’interpretazione conforme a Costituzione, di modo che essa diviene indispensabile per l’ordinamento giuridico nella misura in cui questo si nutre di lei.

Tale interpretazione, occorre non dimenticarlo, è tipica anzitutto della Corte co- stituzionale. È per l’appunto la Consulta che, svolgendo il proprio ruolo all’interno del sistema, opera in prima persona un’interpretazione della Carta, e dipoi un’interpreta- zione della legge alla luce della Carta, così ottemperando al suo ruolo principe, quello di valutare la corrispondenza della normativa primaria alla Costituzione.

Tant’è che la Corte ha più volte tentato di tutelare la conservazione degli atti giu- ridici, e ciò fin dai primi anni del suo funzionamento, ad esempio attraverso le sentenze interpretative di rigetto, che salvano la disposizione ma cassano in qualche modo una delle norme che potevano ricavarvisi (e cioè quella incostituzionale)125, ma anche e soprattutto, allo stesso scopo, attraverso le interpretative di accoglimento126; ma ha pure tentato di innovare l’ordinamento, anzitutto col classico e secco accoglimento della questione di costituzionalità127, e poi, più a fondo, con le sentenze manipolative, additive e sostitutive128. In tutti questi casi la Corte necessariamente interpreta la legge,

123 Sono tutti aspetti già messi in luce nelle pagine precedenti, ad esempio riportando il pensiero di

Romboli o di Zagrebelsky (v. retro, § III, 3), ma cfr. sul punto anche Luciani M., Interpretazione con-

forme a Costituzione, op. cit., pp. 392 ss.

124 Come riportato ancora, giustamente, da Luciani, op. ult. cit., 447 ss.

125 È ovvio che se la Consulta rigetta una questione di costituzionalità purché la disposizione che ne era

oggetto sia interpretata in un certo modo, quello che intende fare, anche se formalmente non lo fa, è espungere la norma incostituzionale da essa ricavabile.

126 Qui il risultato che si è descritto nella nota precedente opera immediatamente, dal momento che la

Corte dichiara direttamente illegittima un’interpretazione ricavabile dalla disposizione (cioè una norma), pur senza toccare, anche in questo caso, il testo della legge, che resta in vigore.

127 Anche se con esso ci si limita a innovare l’ordinamento eliminando, sottraendo. 128 E qui, invece, l’ordinamento si innova aggiungendo o sostituendo.

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e addirittura (tranne per l’ipotesi della sentenza di accoglimento “totale”) tenta di in- terpretarla in modo conforme a Costituzione. Ove vi riesce pronuncia una interpreta- tiva di rigetto, ove non vi riesce pronuncia una interpretativa di accoglimento, ovvero una decisione additiva o magari sostitutiva.

D’altra parte, tutta questa complessiva attività si intreccia in varia misura, lo si è talvolta sottolineato, con l’elaborazione del canone dell’interpretazione conforme nel senso di una sua trasferibilità anche al giudice comune, e, dipoi, con l’obbligo, sanzio- nabile per il tramite di un’ordinanza di manifesta inammissibilità, di praticare tale er- meneutica: un obbligo imposto alla magistratura a partire dalla sent. 356/1996 e riba- dito poi nel corso di questi venti anni con varie sentenze e, soprattutto, ordinanze.

Abbiamo visto che tutto ciò ha generato nuovi equilibri all’interno del nostro mo- dello di giustizia costituzionale, potenziando l’utilizzazione diffusa della Costituzione, da un lato129, e addirittura portandolo verso una netta diffusione, dall’altro130, pur non facendogli perdere, in altri settori, un carattere anche accentrato.

Ora, come avrò modo di sostenere in chiusura di questo mio lavoro, io trovo che il risultato raggiunto attraverso il canone dell’interpretazione conforme, e cioè la ri- modulazione del nostro modello di giustizia costituzionale, in questo suo ramo, nel senso della diffusione, abbia comunque la necessità di un riferimento centrale (se non proprio apicale) e primariamente competente a formulare indirizzi e interpretazioni autorevoli del testo costituzionale e della legge alla luce di questo. Anche la “branca diffusa” del sistema ha cioè bisogno di un punto di fuga, diciamo così, verso il quale tutte le linee dovrebbero, almeno tendenzialmente, convergere, pur muovendosi poi autonomamente nel disegnare una prospettiva. Ma il punto di fuga è necessario perché tale prospettiva non appaia distorta, schiacciata, deformata, ma si mantenga uniforme- mente calibrata e armoniosa. Insomma, la giustizia costituzionale ha bisogno, ferma l’interpretazione conforme, e anzi ritendo questo canone fondamentale per una più ca- pillare diffusione dei diritti costituzionalmente garantiti all’interno del sistema, di un

129 Si è detto, è il caso in cui un’interpretazione conforme non riesca al giudice comune, e si debba

rinviare quindi la questione alla Consulta, operando però una valutazione sulla costituzionalità della legge che è già andata molto in profondità.

130 Questo è invece il caso, abbondantemente commentato, in cui sia possibile operare un’interpreta-

zione conforme, talvolta spingendosi addirittura verso un’interpretazione, più propriamente, adegua- trice.

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ordine prospettico tipico dei grandi maestri italiani del Rinascimento e del pre-Rina- scimento. La giustizia costituzionale deve essere disegnata da Giotto, o da Leon Bat- tista Alberti131.

Credo che in definitiva solo in questo modo l’interpretazione, e si badi, anche l’interpretazione più creativa, potrà non sfuggire di mano. Infatti, è pur vero che l’evo- luzione storico-filosofica del concetto di diritto ha condotto la norma giuridica degli ordinamenti costituzionali contemporanei a essere modellata da più operatori, con dot- trina e giurisprudenza ormai decisamente al fianco del legislatore, anche se su piani diversi, e quindi se non nella produzione, almeno appunto nella definizione del diritto. È altrettanto vero, comunque, che il sistema così delineato si regge su equilibri molto delicati, che possono trovare nuovi bilanciamenti, certo, ma dovrebbero cercare di non cadere del tutto, posandosi su punti d’appoggio pericolosi, che troppo da vicino po- trebbero ricordare epoche buie della storia del diritto. E se dal lato del legislatore gli eccessi possono portare al totalitarismo e al fanatismo, non meno penose potrebbero appunto risultare le storture dal lato della giurisprudenza. Mi piace concludere questo capitolo ricordando le parole di Cesare Beccaria, che, nel IV paragrafo del suo Dei delitti e delle pene, intitolato appunto Interpretazioni delle leggi, così scriveva: “[…] ciascun uomo ha il suo punto di vista, ciascun uomo in differenti tempi ne ha un di- verso. Lo spirito della legge sarebbe dunque il risultato di una buona o cattiva logica di un giudice, di una facile o malsana digestione, dipenderebbe dalla violenza delle sue passioni, dalla debolezza di chi soffre, dalle relazioni del giudice coll'offeso e da tutte quelle minime forze che cangiano le apparenze di ogni oggetto nell'animo flut- tuante dell'uomo. Quindi veggiamo la sorte di un cittadino cambiarsi spesse volte nel passaggio che fa a diversi tribunali, e le vite de’ miserabili essere la vittima dei falsi raziocini o dell'attuale fermento degli umori d’un giudice, che prende per legittima interpretazione il vago risultato di tutta quella confusa serie di nozioni che gli muove la mente. Quindi veggiamo gli stessi delitti dallo stesso tribunale puniti diversamente

131 Il De pictura, opera di questo magistrale architetto, è il primo trattato a occuparsi con puntuale co-

gnizione scientifica della prospettiva. Soluzioni prospettiche meno precise e più intuitive erano comun- que già state elaborate da Giotto di Bondone, la cui opera anticipò e promosse senz’altro la riflessione su queste tematiche. Per un approfondimento di questi aspetti, non posso che rimandare qui alla mas- sima autorità in materia e alla più diretta fonte possibile: cfr. Vasari G., Le vite de’ più eccellenti pittori,

scultori e architetti di Giorgio Vasari secondo le migliori stampe, a cura di Antonio Racheli, Trieste,

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in diversi tempi, per aver consultato non la costante e fissa voce della legge, ma l'er- rante instabilità delle interpretazioni […]132”.

Ora, contestualizzando questa presa di posizione in un clima illuministico che vo- leva sostituire all’antica e medievale immagine di giudice una moderna costruzione del “governo delle leggi”, c’è da dire che non si può che essere d’accordo con Beccaria, pur avendo il nostro ordinamento ormai superato la maggior parte delle storture ascri- vibili all’arbitrio della giurisdizione, e pur avendo noi una concezione già diversa e, forse, più articolata di diritto rispetto a quella settecentesca, quando egli sostiene che occorre sempre rifuggire “i disordini che nascono dalla interpretazione”. Voglio dire che niente può essere portato all’accesso. E se, l’abbiamo visto, il nostro modello di giustizia costituzionale e il nostro complessivo ordinamento giuridico hanno elaborato empiricamente dei meccanismi che consentono a un sindacato diffuso sulle leggi di operare tutto sommato con efficacia e senza produrre disarmonie, ma anzi unifor- mando una legislazione spesso incoerente e incongrua ai valori della Costituzione, è bene non smarrire mai questi meccanismi fisiologicamente formatisi nella prassi pro- cessualcostituzionale, pena l’assoluto capriccio dell’interpretazione. Uno di questi meccanismi, e credo, forse, il più importante, rimane pur sempre la presenza di una Corte costituzionale forte con una propria, particolare competenza nel campo del con- trollo di costituzionalità delle leggi.

132 Cfr. Beccaria C., Dei delitti e delle pene, a cura di Gianni Francioni, con Le edizioni italiane del

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