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CAPITOLO II – DELL’INTERPRETAZIONE CONFORME A COSTITUZIONE PER COME

III- Giudice a quo e interpretazione conforme: alcuni casi giurisprudenziali

2. Due vicende civili emblematiche: il danno non patrimoniale e il caso Englaro

Vediamo dunque adesso come la giurisprudenza comune usi della Costituzione pervenendo a soluzioni interpretative formidabili senza l’ausilio della Consulta. Esa- miniamo cioè come la magistratura, in completa autonomia, attraverso un’interpreta- zione della legge conforme alla Carta, riesca a operare delle correzioni non marginali del dato testuale della normativa primaria, o comunque di quanto è possibile da esso ricavare. Di talché, in coda a una rapida ricapitolazione di due vicende civili a tal pro- posito emblematiche, ci si può chiedere anzitutto come ciò si inserisca in quell’area sopra descritta che la diffusione parrebbe essersi ritagliata, e in secondo luogo in che rapporti questo fenomeno giurisprudenziale si ponga con la funzione legislativa o, me- glio, con l’attività politico-legislativa.

La prima vicenda che trovo interessante richiamare è quella relativa al danno non patrimoniale. Come noto, l’art. 2059 c.c., posto a chiusura del Titolo IX e dell’intero Libro IV del codice, rubricato “danni non patrimoniali”, recita molto laconicamente: “il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge”. Non posso qui soffermarmi su una articolata ricostruzione storica del dibattito dottri- nario e giurisprudenziale a proposito di questo istituto, ma, procedendo per voli pin- darici, occorre chiarire come tale disposizione comportasse una limitatissima risarci- bilità del danno non patrimoniale, la quale comunque dovette essere perlopiù rico- struita dagli interpreti facendo ricorso a particolari soluzioni, perfino relativamente alla stessa misurabilità di questa peculiare lesione90. Finché non si giunse a una più pro- fonda e matura riflessione sul tema, in special modo in considerazione della clamorosa lacuna civilistica frattanto venuta formandosi rispetto alle lesioni arrecabili a diritti costituzionalmente garantiti. In sede civile, infatti, questi potevano essere risarciti fa-

90 Si ricorreva in particolar modo alla c.d. teoria differenziale, che ebbe i suoi natali in area germanica

attorno alla metà del XIX secolo, per opera dell’elaborazione di Friedrich Mommsen. Si tratta di un criterio fondato su una differenza tra patrimoni, quello effettivo del danneggiato dopo aver subito l’il- lecito e quello ipotetico, sempre del danneggiato, qualora l’illecito non si fosse verificato: attraverso un calcolo delle entità del “patrimonio virtuale”, e una sottrazione a questo del “patrimonio reale”, si rite- neva di poter pervenire alla somma dovuta a titolo di risarcimento (meglio, di riparazione, “data l’on- tologica incommensurabilità dell’offesa arrecata alla persona e alla sua inidoneità ad essere tradotta in

una somma di denaro”). Cfr. Poletti D., La responsabilità civile, in AA.VV., Diritto privato – tomo secondo, Torino, Utet, 2009, p. 668.

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cendo leva sull’art. 2059 c.c. soltanto se la lesione fosse discesa da un reato. Ne resta- vano fuori numerose fattispecie, e in particolare quelle che potevano prodursi in rife- rimento al diritto alla salute per come tutelato dall’art. 32 Cost.91: tanto che molte voci

si levarono per chiedere un intervento legislativo o una declaratoria di incostituziona- lità a proposito dell’art. 2059 c.c., sul presupposto di una illegittima discriminazione a seconda che l’offesa presentasse o meno profili penali. Molto si sono pronunciate su questo punto sia la dottrina privatistica, sia la giurisprudenza civile, dando così corpo a un dibattito che culminò poi in un dialogo instauratosi tra giudice di legittimità e Corte costituzionale. Questo dialogo, tuttavia, non condusse all’eliminazione dell’art. 2059 c.c.92, ma al di là delle decisioni sostanziali cui si pervenne in quel momento storico, è proprio il momento storico che qui ci interessa, per poterne ricavare un primo termine di paragone. La Consulta, infatti, attraverso una sentenza interpretativa di ri- getto93, ricondusse la risarcibilità del danno alla salute all’art. 2043 c.c.: lo fece nel 1986, dieci anni prima della sentenza 356. Dopo questa, invece, si noterà come l’in- terpretazione costituzionale della disciplina sulla responsabilità extracontrattuale pas- serà alla Corte di cassazione, prima con un avallo della Consulta, e poi in assoluta autonomia.

Infatti, la vicenda del danno non patrimoniale proseguirà con una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. offerta proprio dal giudice di legittimità con due pronunce gemelle del 200394. Seguirà come detto l’avallo della Corte costitu-

zionale, che lo affiderà nuovamente a una sentenza interpretativa di rigetto95. Siamo in

91 Il quale, nello specifico, al primo comma recita: “la Repubblica tutela la salute come fondamentale

diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”.

92 Si pensava in questo modo di superare il carattere “binario” o “bipolare” del danno per come delineato

dal sistema italiano, riconducendo ogni possibile fattispecie di responsabilità civile a un’unica norma sul danno risarcibile, come avveniva in altri ordinamenti, ad esempio in quello francese. Ancora su questo punto v. Poletti D., op. ult. cit., p. 669.

93 Corte cost., sent. 14.07.1986, n. 184.

94 Si tratta di Cass. civ., III sez., sentt. 31 maggio 2003, nn. 8827 e 8828. Le sentenze prospettano una

più ampia accezione di danno non patrimoniale, affermando che “una lettura della norma costituzio-

nalmente orientata impone di ritenere inoperante il detto limite [quello del reato, n.d.r.] se la lesione ha riguardato valori della persona costituzionalmente garantiti”. Dunque la Cassazione afferma che,

se vengono in gioco diritti inviolabili della persona tutelati dalla Carta, l’operatività dell’art. 2059 c.c. non è più indissolubilmente legata al reato.

95 È la sent. 233/2003, con cui la Corte sposa l’innovativa e più ampia interpretazione di danno non

patrimoniale offerta dalla Cassazione. Nel considerato in diritto si dice che “può dirsi ormai superata

la tradizionale affermazione secondo la quale il danno non patrimoniale riguardato dall'art. 2059 cod. civ. si identificherebbe con il cosiddetto danno morale soggettivo. In due recentissime pronunce (Cass., 31 maggio 2003, nn. 8827 e 8828), che hanno l'indubbio pregio di ricondurre a razionalità e coerenza il tormentato capitolo della tutela risarcitoria del danno alla persona, viene, infatti, prospettata, con ricchezza di argomentazioni - nel quadro di un sistema bipolare del danno patrimoniale e di quello non

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una fase in cui ancora i nuovi equilibri prodottisi all’indomani della sent. 356/1996 stanno stabilizzandosi: già in questo momento, però, possiamo notare quale ruolo ven- gano a giocare le sentenze della Corte diverse dall’accoglimento in ordine alla forma- zione di un diritto vivente. Il diritto vivente, infatti, sembra a questo punto cominciare a formarsi, iniziando a disapplicare la norma incostituzionale ricavabile dall’art. 2059 c.c. per sostituirla con una norma costituzionalmente conforme. La Corte, in questa vicenda, si schiera con il giudice comune (qui la Cassazione), e dà il suo contributo nel processo di formazione del diritto vivente, che corrobora, calandosi nel meccani- smo diffuso. Se avesse scelto di dare un’interpretazione opposta, avrebbe viceversa incrinato il diritto vivente, ma non avrebbe potuto superarlo, se non recuperando una logica accentrata, emettendo cioè una sentenza di accoglimento che lo espungesse.

Proseguiamo con la vicenda: in un momento che si colloca storicamente dopo la seconda guerra tra le Corti, la Cassazione approda, si potrebbe dire, a un consolida- mento del diritto vivente formatosi. Lo fa stavolta a Sezioni Unite, con quattro sen- tenze gemelle del 200896: da esse si ricava che, fuori dai casi determinati dalla legge, affinché possa concedersi tutela risarcitoria al danno non patrimoniale, occorre la sus- sistenza di una “ingiustizia costituzionalmente qualificata”, di una ingiustizia cioè che leda interessi protetti dalla Carta fondamentale97.

Vediamo dunque cosa è accaduto incrociando la prospettiva processualcostituzio- nale con quella del diritto sostanziale. Ebbene, è accaduto che la norma ricavabile dall’art. 2059 c.c., nella parte in cui fa riferimento ai “casi determinati dalla legge”, la quale interpretava la disposizione nel senso di una risarcibilità del danno non patrimo- niale solo se la lesione fosse discesa dalla violazione della legge penale, dunque dalla commissione di un reato, è stata disapplicata. Progressivamente ad essa si è andato

patrimoniale - un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 cod. civ., tesa a ricom- prendere nell'astratta previsione della norma ogni danno di natura non patrimoniale derivante da le- sione di valori inerenti alla persona: e dunque sia il danno morale soggettivo, inteso come transeunte turbamento dello stato d'animo della vittima; sia il danno biologico in senso stretto, inteso come lesione dell'interesse, costituzionalmente garantito, all'integrità psichica e fisica della persona, conseguente ad un accertamento medico (art. 32 Cost.); sia infine il danno (spesso definito in dottrina ed in giuri- sprudenza come esistenziale) derivante dalla lesione di (altri) interessi di rango costituzionale inerenti alla persona”.

96 Sono le sentt. 11 novembre 2008, nn. 26972, 26973, 26974 e 26975, pronunciate dalle Sezioni Uniti

civili.

97 Ovviamente le SS.UU. non forniscono un catalogo preciso degli interessi in questione, anche se ven-

gono citati comunque il diritto inviolabile alla salute ex art. 32 Cost., il diritto inviolabile della famiglia

ex artt. 2, 29 e 30 Cost., il diritto alla reputazione, all’immagine, al nome e alla riservatezza, nonché in

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sostituendo un diritto vivente che, invece, ha via via consolidato l’interpretazione del dato normativo che ammetteva la risarcibilità del danno non patrimoniale anche in riferimento alla lesione di diritti costituzionalmente previsti, senza che il caso fosse determinato dalla legge. Questa nuova interpretazione (questa nuova norma) configu- rava cioè il danno non patrimoniale sempre come tutelato dall’art. 2059 c.c., senza ricorrere all’art. 2043 c.c., ma ne superava una ristretta concezione letterale, in quanto perdite o privazioni di valori personali, non misurabili esattamente in termini econo- mici98 dovevano e devono poter essere tutelate anche se si producono con riguardo a diritti protetti a livello costituzionale, pur se nessuna fonte primaria fa discendere da una loro lesione una formale risarcibilità. Pertanto il nostro modello di giustizia costi- tuzionale, giocando questa partita, si direbbe, esclusivamente sul piano dell’interpre- tazione conforme, quindi nel campo della giurisprudenza comune, ha di fatto espunto una norma incostituzionale dall’ordinamento, sostituendovene una costituzionalmente compatibile. Su questo profilo, la Corte costituzionale, in quanto organo centrale e accentrato del sistema, non è mai intervenuta, se non avallando il diritto vivente. Ma mai con una sentenza che cassasse il dato normativo dispiegando i suoi effetti erga omnes. La Corte non ha cioè svolto altro ruolo che quello di contribuire all’assesta- mento di un diritto vivente. È invece il diritto vivente, e cioè in sostanza la giurispru- denza comune, che ha, per così dire, effettuato una tacita dichiarazione di incostituzio- nalità di una norma, espungendola dall’ordinamento. Un risultato cui si addiviene per gradi, ma in modo non dissimile a quanto accade col judicial review: prima con singole disapplicazioni (pronunce della giurisprudenza isolate, poi sporadiche, poi più fre- quenti), e infine con un orientamento ormai pacifico, magari sposato dal giudice di legittimità, magari a Sezioni Unite (il diritto vivente appunto), il quale svolge una fun- zione analoga a quella del precedente vincolante, pur con tutte le diversità che si pos- sono dare tra i due fenomeni.

La vicenda del danno non patrimoniale ci dà così la dimensione dell’effettivo ope- rare di un sindacato di legittimità costituzionale diffuso che, come si è cercato di dire, appare certo limitato al caso in cui ci si muova all’interno dell’interpretazione con- forme e non si pervenga mai alla Corte, o almeno questa non pronunci una decisione

98 È questa una formula utilizzata di frequente dalla dottrina; v. Navarretta E., Il danno non patrimoniale

– Principi, regole e tabelle per la liquidazione, Milano, Giuffrè, 2010, p. 355, o ancora Poletti, op. cit.,

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di accoglimento. Ignorare o minimizzare questo peculiare settore della giustizia costi- tuzionale sarebbe però sbagliato. Esso è solo un settore, poiché al suo fianco ve ne sono altri che certamente mantengono più saldi i connotati accentrati del modello: ma questo settore esiste, ed è decisamente, oggettivamente e realmente un settore diffuso tout court.

Lo dimostra bene anche la seconda vicenda che adesso illustrerò, quella relativa al c.d. caso Englaro99. Esso riguardava, dal punto di vista strettamente giuridico, la possibilità di sospendere il trattamento sanitario cui la giovane Eluana era stata sotto- posta dopo aver riportato lesioni cerebrali talmente estese e irreversibili da costringerla in stato vegetativo. Il padre della ragazza, Beppino Englaro, giudicando tale tratta- mento degradante e ritenendolo risolversi in un accanimento terapeutico, fin dal 1999 aveva richiesto la sospensione dell’alimentazione artificiale e delle altre terapie: a sup- porto di tale richiesta, che avrebbe determinato il decesso della figlia, questi portava numerose testimonianze di amici, conoscenti e parenti tese a dimostrare che le convin- zioni sull’etica, sulla vita e sulla dignità umana di Eluana fossero incompatibili con lo stato in cui questa versava.

Molto articolato fu l’iter giudiziario che Beppino Englaro dovette seguire100. La

vicenda arrivò a una svolta quando la Cassazione individuò due circostanze in cui il

99 Il caso Englaro è certamente arcinoto, anche per la risonanza giornalistica e politica che ha avuto, la

quale è riuscita a coinvolgere, in un dibattito non sempre condotto in modo razionale o obiettivo, nu- merosi aspetti, direi, della vita democratica (dall’etica alla dimensione sociale, dalla scienza politica alla prospettiva medico-sanitaria, fino alle espressioni letterario-artistiche e ad ancora molti altri campi del sapere e dell’agire umano, non ultimo quello giuridico), come già avevano fatto altre vicende simili a questa, ad esempio il caso di Piergiorgio Welby. Volendo qui ricapitolare in due parole il fatto, la giovane Eluana Englaro, a seguito di un incidente stradale, si trova in uno stato vegetativo irreversibile in cui sarà mantenuta attraverso il ricorso a particolari trattamenti medici che implicheranno in sostanza la nutrizione artificiale al fine di tenere in vita la ragazza. Questa verserà in tale stato vegetativo per ben 17 anni prima del sopraggiungere della morte, il 9 febbraio del 2009. Durante tutto questo periodo, il padre di Eluana, giudicando il trattamento un inutile e straziante accanimento terapeutico, intraprende un lungo iter giudiziario per ottenere la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione artificiali. Proprio su questo iter, che qui cercherò di riepilogare, si fonda il secondo episodio da cui credo emergere una giustizia costituzionale di stampo diffuso. Sulla vicenda e sulle sue implicazioni giuridiche di varia natura v., tra gli altri, Checcoli T., Il conflitto di fronte alla Corte costituzionale originato dal «caso

Englaro», in Temi e questioni di attualità costituzionale, a cura di Saulle Panizza e Roberto Romboli,

Padova, Cedam, 2009, Romboli R., Il controllo della decretazione d’urgenza da parte della Corte co-

stituzionale: dal biennio 1995-96 a quello 2007-08 e una postilla sull’utilizzo del decreto legge nella vicenda Englaro, in Temi e questioni di attualità costituzionale, op. cit., nonché, dello stesso Autore, Il conflitto tra poteri dello Stato sulla vicenda Englaro: un caso di evidente inammissibilità, in Foro ita- liano, 2009.

100 In particolare, una volta che il caso giunse in Cassazione, questa respinse le richieste della famiglia

Englaro sulla base di un vizio del procedimento, dal momento che il ricorso non era stato notificato ad alcuna controparte portatrice di un interesse contrario a quello dei ricorrenti, ma solo sulla base dell’art. 32 Cost. Quindi Beppino Englaro provvide a sanare questo vizio: a questo punto la Corte di cassazione

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giudice del rinvio (in questo caso la Corte di Appello di Milano) avrebbe potuto auto- rizzare l’interruzione dell’idratazione e dell’alimentazione artificiali di un soggetto in stato vegetativo. I “casi estremi” rintracciati dalla Cassazione si danno “quando la condizione di stato vegetativo sia, in base ad un rigoroso apprezzamento clinico, irre- versibile e non vi sia alcun fondamento medico, secondo gli standard scientifici rico- nosciuti a livello internazionale, che lasci supporre che la persona abbia la benché minima possibilità di un qualche, sia pure flebile, recupero della coscienza e di ritorno ad una vita fatta anche di percezione del mondo esterno; e sempre che tale condizione – tenendo conto della volontà espressa dall’interessato prima di cadere in tale stato ovvero dei valori di riferimento e delle convinzioni dello stesso – sia incompatibile con la rappresentazione di sé sulla quale egli aveva costruito la sua vita fino a quel momento e sia contraria al di lui modo di intendere la dignità della persona”101. Quindi la Corte di cassazione ammette che nel caso di irreversibilità scientificamente fondata della condizione vegetativa e di accertamento univoco della volontà del pa- ziente, anche desunta nei modi or ora ricordati, sia possibile per il giudice autorizzare l’interruzione del trattamento sanitario. Il nodo giuridico che a noi preme rilevare ri- siede nel fatto che tutto ciò, secondo la Cassazione, deve avvenire indipendentemente dalle conseguenze che tale interruzione può produrre: ai sensi dell’art. 32 Cost., infatti, “neanche il rischio di morte o la sua certezza possono, nel nostro ordinamento, ren- dere obbligatorio un trattamento medico in assenza di una specifica previsione legi- slativa”102. Una interpretazione della legge, si potrebbe dire, costituzionalmente con- forme.

A questo punto sarà chiaro verso quale direzione, ancora una volta, la Cassazione stesse procedendo: avuto riguardo al combinato disposto degli articoli 357103, 414104 e

operò un rinvio a una diversa sezione della Corte d’Appello di Milano, dinanzi alla quale la vicenda processuale arriverà a una conclusione.

101 Cfr. Cass. civ., I sez., sent. 16 ottobre 2007, n. 21748.

102 Così Checcoli, Il conflitto di fronte alla Corte costituzionale originato dal «caso Englaro», op. cit.,

p. 290.

103 Articolo rubricato “funzioni del tutore”, che recita: “il tutore ha cura della persona del minore, lo

rappresenta in tutti gli atti civili e ne amministra i beni”.

104 Articolo rubricato “persone che possono essere interdette”, che recita: “il maggiore di età e il minore

emancipato, i quali si trovano in condizioni di abituale infermità di mente che li rende incapaci di prov- vedere ai propri interessi, sono interdetti quando ciò è necessario per assicurare la loro adeguata pro- tezione”.

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424105 c.c., viene disapplicata una norma da esso risultante, in virtù della quale si

esclude che tra i poteri del tutore rientri quello di disporre della vita del soggetto tute- lato in assenza di manifestazioni scritte e attuali di volontà, per collocare invece al suo posto un’altra norma discendente dal medesimo combinato disposto (il quale coin- volga in tal caso anche l’art. 32 Cost.: ed ecco l’interpretazione conforme), in relazione alla quale, come accennato, tutto ciò viene viceversa ritenuto possibile per non obbli- gare il soggetto tutelato a un trattamento medico, in assenza di una disposizione di legge ad hoc in tal senso.

Questa nuova interpretazione (questa norma) è stata subito fatta propria dal giu- dice del rinvio, che, con decreto 9 luglio 2008, autorizzò Beppino Englaro, in quanto tutore di Eluana, a interrompere il trattamento, attenendosi così alla complessiva rico- struzione operata dal giudice di legittimità.

La vicenda proseguirà ancora, spostandosi su un piano decisamente più politico o politico-istituzionale, visti i soggetti che verranno ad essere coinvolti106, per conclu- dersi poi con l’effettiva interruzione dei trattamenti sanitari e con la morte di Eluana, il 9 febbraio 2009.

Ciò che a noi interessa, ai fini della presente trattazione, è, ancora una volta, il modo in cui si perviene a una soluzione normativa del tutto innovativa. Non è la Corte costituzionale che opera un controllo accentrato sulla legge (ciò che può fare in vario modo, ovviamente, non soltanto con una secca sentenza di accoglimento), ma è piut- tosto la giurisprudenza comune, con il fondamentale avallo della Cassazione, a perve- nire a un risultato simile alla disapplicazione (e dipoi espunzione) di un dato norma- tivo, sostituendovene uno più costituzionalmente conforme. In questo caso la Consulta

105 Articolo rubricato “tutela dell’interdetto e curatela dell’inabilitato”, che recita: “le disposizioni sulla

tutela dei minori e quelle sulla curatela dei minori emancipati si applicano rispettivamente alla tutela degli interdetti e alla curatela degli inabilitati.

Le stesse disposizioni si applicano rispettivamente anche nei casi di nomina del tutore provvisorio dell'interdicendo e del curatore provvisorio dell'inabilitando a norma dell'art. 419. Per l'interdicendo non si nomina il protutore provvisorio.

Nella scelta del tutore dell'interdetto e del curatore dell'inabilitato il giudice tutelare individua di pre- ferenza la persona più idonea all'incarico tra i soggetti, e con i criteri, indicati nell'articolo 408”.