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Per il diritto tunisino, le condizioni sostanziali, cioè necessarie per contrarre un valido matrimonio sono costituite dall’età, dal consenso e dall’assenza di alcuni impedimenti.

L’età

Come è stato già sopra accennato il C.S.P. pone un limite di età al di sotto del quale non è possibile sposarsi: venti anni l’uomo e diciassette la donna; al di sotto di questa età solo una autorizzazione del giudice concessa in presenza di gravi motivi e nell’interesse dei futuri sposi, può rendere possibile la conclusione del contratto. La previsione del codice (art.5) è il frutto di una modificazione legislativa del 1964412: la formulazione del 1957 prevedeva che i due soggetti dovevano essere puberi, e tale pubertà era fissata a diciotto anni per l’uomo e quindici per la donna. L’innovazione legislativa fu nelle condizioni di svolgere compiutamente i propri benefici effetti, soprattutto il contrasto ai matrimoni precoci, perché poté contare su un buon funzionamento dello stato civile grazie ad una legge sempre del 1957413: prima di allora in mancanza di dati sicuri sull’età della ragazza, il giudice doveva basarsi sulle dichiarazioni del wal

, e poteva anche da questi essere ingannato. Tra gli altri effetti che legge mirava a realizzare attraverso la misura in esame va ricordata anche la riduzione del numero delle nascite che pesava pesantemente sullo sviluppo economico del Paese. Oggi l’incremento demografico non costituisce più un problema ma rappresenta invece una risorsa.

Il consenso

L’art. 3 del C.S.P. dichiara che il matrimonio si conclude solo con il consenso delle due parti; la disposizione ha certamente un carattere rivoluzionario, ma i matrimoni precoci non potevano essere efficacemente contrastati senza una simile presa di posizione non essendo sufficiente la sola fissazione di un’età minima per la loro contrazione. Si abbandonò così sia la costruzione malikita dell’istituto secondo la quale soggetti erano l’uomo, la donna e il wal

an-nikā

, sia la costruzione sciafiita

secondo la quale erano invece tali solo l’uomo e il wal

an-nikā

; il codice prevede infatti la figura del tutore solo in caso di matrimoni tra minori richiedendone il suo consenso che però non è vincolante, perché è previsto che si possa non tenere conto del suo rifiuto se i due futuri sposi persistono nella loro intenzione e adiscono il giudice per ottenere l’autorizzazione all’unione (art. 6)414.

Attraverso la disposizione che stabilisce che il matrimonio non è formato che dal consenso dei due sposi (art. 3), e attraverso quella che stabilisce che il matrimonio tra uomo e donna che non hanno raggiunto la maggiore età legale è subordinato al consenso del loro tutore (art. 6) , la legislazione tunisina si è uniformata all’art. 16 della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 e alla Convenzione di New- York sulla donna del 10 dicembre 1962415.

L’art. 7 del C.S.P. disciplina invece il matrimonio dell’interdetto per prodigalità; questo è validamente concluso soltanto con il consenso del curatore; tuttavia l’annullamento di una unione conclusa senza tale consenso non può essere richiesto che prima della consumazione perché questa ne comporta la validità.

Il C.S.P. prevede la possibilità che i fidanzati possano concludere il matrimonio oltre che di persona anche tramite mandatario (art. 9); nessuna condizione particolare è prevista per quest’ultimo, essendo sufficiente che sia provvisto di una procura stabilita da atto autentico, comportante espressamente la designazione dei due futuri sposi; questo mandato è personale e non può essere in nessun caso delegato ad un terzo senza l’autorizzazione del mandante (art.10). E’ stato evidenziato416 come il matrimonio per procura rischi di essere molto pericoloso in un Paese dove le tradizioni plurisecolari attribuivano al padre il potere di sposare le figlie quasi sempre senza neppure consultarle; non può stupire quindi che i padri di mentalità tradizionale abbiano male assimilato le nuove idee che eliminano il loro potere e di conseguenza cerchino di

413 Legge n° 3 del 1-08-1957.

414 Va precisato che questo articolo fa riferimento oltre che alla figura del tutore matrimoniale anche alla madre, diversamente da quanto accadeva nel diritto musulmano dove, come noto, essa non era presa in alcuna considerazione. Quindi sia il tutore che la madre del soggetto minore devono esprimere il loro assenso anche se non vincolante perché superabile dalla decisione del giudice adito.

415 La Tunisia ha aderito anche alla Convenzione di Copenaghen sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione riguardante le donne. Il governo tunisino ha però dichiarato che non adotterà alcun atto legislativo o regolamentare in applicazione delle disposizioni delle citate convenzioni che vada contro il dettato dell’art.1 della Costituzione, il quale proclama l’Islām come religione di stato.

416 Mohammed Charfi, Les conditions de forme du mariage en droit tunisien, in Revue Tunisienne de Droit, 1969, p. 22.

aggirare la legge forzando la volontà dei loro figli attraverso l’istituto in questione che ben si presta a costrizioni417.

Gli impedimenti

L’art. 5 comma primo del C.S.P. afferma che i due futuri sposi non devono trovarsi in uno dei casi d’impedimento al matrimonio previsti dalla legge: questi impedimenti possono essere definitivi o provvisori.

Gli impedimenti definitivi sono quelli che risultano dal legame di parentela, di affinità, dall’allattamento e dal triplice divorzio.

Per quanto concerne il divieto di matrimonio derivante da parentela, questo sussiste tra ascendenti e discendenti, tra fratelli e sorelle e tra una persona e i discendenti all’infinito dei propri fratelli e sorelle.

Allo stesso modo è vietato il matrimonio tra un figlio adottato e i membri della propria famiglia di origine se questa è conosciuta. La legge sull’adozione418 non prevede espressamente alcun impedimento fondato su una parentela adottiva, tuttavia tale legge stabilisce che tra colui che adotta e l’adottato intercorrono rapporti analoghi a quelli della filiazione legittima e si evince quindi l’esistenza degli stessi impedimenti. Con riferimento all’adozione va ricordato che essa è vietata dall’Islām in quanto il nasab deve necessariamente collegarsi alla filiazione biologica, quindi il suo accoglimento nell’ambito dell’ordinamento giuridico tunisino rappresenta un’eccezione nel panorama dei Paesi arabi419.

Per quanto riguarda l’affinità la sola celebrazione fa sorgere il divieto del matrimonio tra l’uomo e le ascendenti della propria sposa ovvero le spose degli ascendenti e le mogli dei discendenti; quando il matrimonio è stato consumato, il divieto si estende alle discendenti della sposa. La giustificazione degli impedimenti è intuitiva: alla base vi sono ragioni eugenetiche, morali e di convenienza sociale.

417 Va ricordato che anche nell’ordinamento italiano è consentito, in casi eccezionali e tassativamente indicati, il matrimonio per procura (art. 111 c.c.), ma il procuratore non è un rappresentante in senso tecnico, ma un semplice nuncius, dato che si limita alla mera trasmissione della dichiarazione della volontà matrimoniale di chi sia impedito a renderla personalmente.

418 Si tratta della legge 4-3-1958 n° 27.

419 Il divieto dell’adozione che caratterizza il diritto musulmano si rinviene direttamente nel Corano, sura XXXIII, versetti 4 e 5: «Dio non ha posto nelle viscere dell’uomo due cuori, né ha fatto delle mogli vostre che voi ripudiate col ẓihār, delle madri, né dei vostri figli adottivi dei veri figli…… Chiamate i vostri figli adottivi dal nome dei loro padri: questo è più equo agli occhi di Dio. E se non conoscete i loro padri, siano essi vostri fratelli nella religione e vostri protetti».

Anche l’allattamento è un impedimento dirimente, alla stregua della parentela e dell’affinità ed ha origine dal Corano (sura IV, 22); il bambino allattato è equiparato al figlio legittimo (sura IV, 23), ma l’impedimento a contrarre matrimonio con lui non si estende ai suoi fratelli e sorelle; ancora, è richiesto, affinché tale allattamento divenga un impedimento, che abbia avuto luogo nel corso dei primi due anni di vita del lattante. La Corte di Cassazione tunisina420 ha affermato che per essere causa di annullamento di un matrimonio, l’allattamento deve essere notoriamente conosciuto prima della sua celebrazione; con la stessa sentenza la Corte ha stabilito che questo impedimento interessa l’ordine pubblico e quindi il pubblico ministero ha la facoltà di chiedere l’annullamento del matrimonio concluso malgrado il verificarsi appunto di un precedente allattamento.

L’ultimo impedimento permanente è costituito poi dall’esistenza di un triplice divorzio; questo impedimento sostanziandosi nell’esistenza in un triplice scioglimento del vincolo ricorda quello tradizionale musulmano del triplice ripudio, ma se ne differenzia perché ciò che viene considerato è appunto il divorzio e non il ripudio che è stato escluso dall’ordinamento giuridico tunisino, e poi perché è stato trasformato da provvisorio in definitivo.

Venendo ora all’esame degli impedimenti temporanei previsti nel C.S.P. (art. 14 secondo comma) si può affermare che anche questi derivano dal diritto musulmano ma non coincidono con quelli previsti da questo: la legislazione tunisina non menziona infatti, né la disparità di condizioni sociali, né il fatto di essere in pellegrinaggio o in ritiro religioso, né tantomeno la grave malattia, ma si limita a considerare tali, una serie di ostacoli che scaturiscono dall’esistenza di un matrimonio non sciolto e dalla non scadenza del lutto vedovile; deve però aggiungersi anche la diversità di culto421. Il C.S.P. vieta la poligamia nonché il matrimonio dell’uomo con la donna che si trovi nel periodo di ritiro legale conseguente allo scioglimento del suo precedente matrimonio, ma mentre nel primo caso prevede l’azione penale nei confronti del bigamo e del suo complice, nel secondo caso non la prevede.

L’art. 18 del codice prescrive infatti la pena della reclusione della durata di un anno e il pagamento di una ammenda pari a duecentoquaranta dinari, ovvero una sola delle due pene, per chiunque, essendo già sposato, contragga un altro matrimonio prima dello scioglimento del precedente, mentre l’art. 20 con riferimento all’ipotesi della

420 Cass. Civ. 17-01-1961 n° 319, in Revue Tunisienne de Droit, 1963-1965, p. 44. 421

donna che ha contemporaneamente più mariti, ne prevede semplicemente la proibizione. La Corte di Cassazione applica tuttavia l’art. 18 tanto alla poligamia quanto alla poliandria422.

Il delitto si configura nel momento in cui è provata l’esistenza di un secondo matrimonio e il primo risulti valido. Tale è il caso di un matrimonio orf423, contratto non alla presenza di notai o dell’ufficiale di stato civile prima della promulgazione del C.S.P.424. Per l’art. 18 terzo comma non ha alcuna importanza che il secondo matrimonio sia stato posto in essere al di fuori delle forme previste dalla legge n° 3 del 1-08-1957 che regolamenta lo stato civile.

Come visto l’ordinamento giuridico tunisino è il solo tra tutti quelli dei Paesi islamici a vietare in modo assoluto la poligamia e a specificare che il matrimonio contratto in violazione di tale divieto è da considerarsi nullo. Inizialmente il codice non prevedeva in modo espresso questa nullità; ciò aveva dato modo ai conservatori di sostenere che esso pur comportando conseguenze penali restava valido. A chiarire il dettato legislativo intervenne la legge n° 1 del 1964 che aggiunse all’elenco delle cause di nullità del matrimonio la violazione dell’art. 18 del C.S.P. che vieta per l’appunto la poligamia.

L’impedimento provvisorio del ritiro legale, cui sopra si è accennato, differisce a seconda che il precedente matrimonio sia sciolto dal divorzio o dal decesso: per la donna divorziata non incinta, il termine è di tre mesi, per la vedova di quattro mesi e dieci giorni, tuttavia se la donna divorziata o vedova è incinta il ritiro legale termina con l’avvento del parto. L’art. 35 infine precisa che la durata massima della gravidanza è di un anno a partire dal divorzio o dal decesso e l’art. 36 dispone che, per la donna il cui marito è stato dichiarato disperso la durata del ritiro legale è uguale a quella della vedova.

Agli impedimenti provvisori, espressamente previsti dall’art. 14 del C.S.P., si deve aggiungere, come sopra accennato, la diversità di culto. L’art. 5 del codice prevede nel suo primo comma «che i due futuri sposi non devono trovarsi in uno dei casi d’impedimento previsti dalla legge»; la norma è suscettibile di una doppia interpretazione a seconda del significato che s’intenda attribuire al termine

422

Si veda per es. quanto affermato nella sentenza della Cassazione Penale. n° 4428 del 30-03-1966, in Revue Jurisprudence Legislation, 1966, p. 400.

423 Tale era quello che prevedeva una sola formalità: la presenza di testimoni per attribuire una certa pubblicità.

424

“impedimento”: se gli si attribuisce quello di impedimento sciaraitico lo si può intendere come ostacolo previsto dalla legge religiosa islamica, con la conseguenza che una musulmana non può sposare un non musulmano al contrario di un musulmano che può sposare una cristiana o una ebrea, mentre se non gli si attribuisce tale significato lo si deve intendere semplicemente come un ostacolo di diritto positivo e quindi considerare solo quegli impedimenti previsti dagli articoli 14 e 20 del C.S.P.. Secondo lo studioso Yadh Ben Achour il ricorso alla Costituzione non è di nessun aiuto per dissipare i dubbi di interpretazione della questione, perché se il preambolo proclama solennemente la volontà del popolo di rimanere fedele agli insegnamenti dell’Islām, e ancora, l’art. 1, che la religione della Tunisia è l’Islām, lo stesso articolo dichiara però anche che il Paese è uno Stato libero, indipendente e sovrano: tali principi si contraddicono, perché i primi due affermano la sottomissione dell’ordine giuridico positivo a un ordine trascendente, il terzo afferma la priorità del primo ordine rispetto al secondo. La Corte di Cassazione, deliberando in materia successoria, ha dichiarato nullo il matrimonio di una musulmana con un non musulmano, allineandosi così al diritto musulmano. Si è già rilevato come la differenza di religione costituisce per il diritto musulmano un impedimento assoluto al matrimonio tra musulmani e idolatri, ora va aggiunto che una simile prescrizione, come anche la non reciprocità della possibilità concessa al musulmano di sposare una appartenente alla “gente del libro”, si spiegano con la preoccupazione della purezza e del mantenimento dell’integrità della società musulmana; poiché nella concezione islamica i figli seguono la religione del padre, il matrimonio di una musulmana con un non musulmano farebbe uscire la famiglia dall’orbita dell’Islām. In pratica quindi il matrimonio tra una musulmana e un non musulmano non può essere celebrato, l’ufficiale dello stato civile deve rifiutare siffatta celebrazione; naturalmente l’impedimento scompare se il soggetto si converte all’Islām.

Sempre con riferimento alla formazione del legame matrimoniale e in modo particolare alle appena viste condizioni sostanziali, occorre fare riferimento all’obbligo previsto dall’art. 3 comma secondo del C.S.P. e cioè quello di determinare il mahr della sposa. Tale previsione sembra farne una condizione di validità dell’istituto. L’art. 21 però, enumerando i casi di nullità non vi include l’art. 3 comma secondo, e ciò vuol dire che l’atto di matrimonio nel quale non vi è alcuna menzione del mahr non è nullo. E’ plausibile ritenere in tal caso un intervento del giudice che stabilisca un mahr c.d. di equivalenza cioè rapportato alle condizioni socio-economiche della donna cui è

diretto. Se poi ci si sofferma sull’art. 13 si può notare come questo faccia del mahr un vero e proprio diritto della sposa: il marito non può, fino a quando non abbia provveduto a versarlo, pretendere la consumazione del matrimonio. Dopo quest’ultima il mahr è considerato un semplice debito del marito: la moglie può semplicemente richiederne il pagamento, senza che dall’inadempimento derivi il divorzio.