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Somiglianze e differenze tra il diritto musulmano e il diritto canonico

Il primo passo da compiere nel lavoro di comparazione consiste nel considerare la posizione riconosciuta al diritto all’interno di ciascuna religione, perché l’esatta comprensione del ruolo ad esso attribuito permette una migliore messa a fuoco delle proprie caratteristiche, facilitando quindi l’individuazione degli elementi comuni e di quelli che tali non sono.

Partendo dal significato che il diritto assume nel percorso che conduce alla salvezza eterna del fedele secondo quanto previsto dalle due religioni, si deve evidenziare come mentre in quella islamica esso è di fondamentale importanza in considerazione del fatto che il diritto si sostanzia nella volontà di Dio e conseguentemente la sua osservanza deve essere assoluta, in quella cristiana tale significato non è altrettanto basilare; la minore centralità del diritto si spiega considerando che per il cristianesimo ciò che veramente conta è la fede in Dio da parte dei suoi membri. E’ proprio la fede, che è contemporaneamente dono di Dio e forza del fedele, a costituire il segno evidente ed essenziale della religione, e non invece il suo diritto. Come è stato osservato “l’apparato giuridico è soltanto un aspetto della Chiesa e soprattutto non ne costituisce l’essenza”146. Anche tenendo conto di quella corrente di pensiero che invece individua ed esalta la dimensione giuridica della Parola di Dio, si deve convenire sul fatto che il diritto nella prospettiva cristiana ha comunque una valenza diversa, inferiore per l’appunto, rispetto al fiqh islamico, perché, diversamente da quest’ultimo che ha come fine precipuo quello di esplicitare i comandi Dio, esso ha invece piuttosto quello di regolare la natura sociale della Chiesa, e quindi, la sua concreta funzione nel disegno di salvezza dell’uomo è molto modesta. Come ha evidenziato il Schacht “la cultura islamica tradizionale intende il proprio diritto come un complesso di doveri religiosi che regolano ogni aspetto della vita dei

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fedeli”147 e questo perché il messaggio che il diritto musulmano intende trasmettere è la sottomissione completa dell’uomo a Dio.

Da questo differente grado d’importanza che si riconosce al diritto, rispettivamente nell’ambito dell’Islām e del cristianesimo, discendono diverse conseguenze che ora si esporranno.

Innanzitutto esso incide sulla stessa ampiezza del diritto, nel senso cioè che laddove questo è considerato decisivo nel guidare la vita del credente regola una molteplicità di attività umane che non lo sono invece laddove al diritto è assegnato un ruolo più marginale; così si può constatare come il diritto musulmano disciplini settori come quello successorio, commerciale, della responsabilità civile, che il diritto canonico trascura.

Per converso però si deve registrare come il diritto canonico dedichi all’organizzazione e all’attività della Chiesa uno spazio che non ha corrispondenza con quello dato dal diritto musulmano e questo per il fatto che nell’Islām non è mai esistito un clero.

Ma tornando al discorso della differente disciplina delle materie per così dire secolari, va detto che il diritto canonico si affida per lo più alla regolamentazione data loro dallo Stato mantenendo su di esse solo “un certo controllo ratione spirituali, che dopo il Concilio di Trento coinvolse sempre meno il diritto canonico e sempre più la teologia morale”148. “La Chiesa tende a trasferire tutta la propria giurisdizione sul foro interno, sul foro della coscienza, costruendo, con lo sviluppo della confessione e con il rafforzamento del suo carattere di tribunale, con la teologia pratica e morale, con le elaborazioni della casistica, un sistema completo di norme alternativo a quello statuale, ma anche a quello canonico, a cui resta soltanto la disciplina della vita matrimoniale”149.

Il riferimento testé fatto alla elaborazione casistica, più precisamente al metodo casistico attraverso cui i diritti religiosi che si stanno considerando affrontano e risolvono le questioni che il vivere sociale pone, offre l’occasione per porre in luce quella che è una ulteriore conseguenza della diversità d’importanza riconosciuta al diritto nell’ambito delle due religioni: ci si riferisce alla corrispondente diversità d’importanza riconosciuta ai giuristi, cioè fuqahā’ e canonisti. Il fatto che il diritto

147 Joseph Schacht, Introduzione al diritto islamico, cit. p. 1. 148 Silvio Ferrari, Lo spirito dei diritti religiosi, cit., p. 78.

149 Paolo Prodi, Una storia della giustizia. Dal pluralismo dei fori al moderno dualismo tra coscienza e diritto, Bologna, Il Mulino, 2000, p. 276.

musulmano sia un diritto dottrinale, in cui appunto la dottrina con il metodo casistico risolve le controversie nel massimo rispetto degli insegnamenti di Dio, fa sì che l’attività svolta dal faq

h sia percepita come quella attraverso la quale è compiuto il suo volere; dal che discende automaticamente la posizione di eccellenza del giurista. Diverso ciò che accade all’operatore del diritto canonico; poiché per questo diritto l’elaborazione casistica è molto limitata e non è tale da essere determinante per la salvezza dell’anima, ne discende che il compito di guidare la comunità sulla via del Signore non è affidato al giurista in quanto tale ma piuttosto al clero, al teologo e quindi la sua posizione riflette tale sua subordinazione, essendo pertanto di grado inferiore rispetto a questi ultimi.

Detto questo, è opportuno proseguire nell’illustrazione delle differenze esistenti tra i due diritti religiosi ponendosi sempre nell’ottica dell’operatività concreta di essi. Una volta constatata la loro differente ampiezza e le ragioni che ne sono alla base, è importante verificare anche come e perché le norme che li costituiscono operino in modo differente. Ciò implica una riflessione sulle fonti del diritto, ma prima ancora su come sia concepito lo stesso diritto divino e quindi su come esso si esplichi. Se nel mondo cristiano “è costante la tendenza a negare una sua operatività diretta”150, una eguale considerazione non è invece valida per l’Islām per il quale è assolutamente estranea l’idea che l’operatività del diritto divino sia condizionata dalla necessità di una formalizzazione umana. L’intervento dell’autorità umana, appunto per concretizzare il diritto divino canonico, deriva dalla sua ridotta carica precettiva, che invece è ben presente nel testo coranico.

Senza addentrarsi troppo sui caratteri dei diritti divini in esame, a cominciare da quello per cui pur essendo entrambi “rivelati” lo sono però in misura diversa, e precisamente in maniera totale quello musulmano, ovviamente nella componente scaturente dal Corano e dalla Sunna del Profeta151, e in maniera parziale quello canonico nella componente scaturente dalle Scritture, con la precisazione però che per quest’ultimo il diritto divino non è tutto diritto rivelato, tematica questa già sinteticamente affrontata in un precedente paragrafo152, è invece, come accennato, il caso di analizzare, partendo

150 Salvatore Berlingò, L’ultimo diritto. Tensioni escatologiche nell’ordine dei sistemi, Torino, Giappichelli, 1998, p. 14.

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Deve ricordarsi che la Sunna del Profeta fa parte della rivelazione nella misura in cui Maometto era stato ispirato da Dio.

152 In esso si è riportata la distinzione tra ius divinum naturale e ius divinum positivum. Il diritto divino rivelato è «positivamente» posto da Dio attraverso la rivelazione e non è conoscibile all’uomo al di fuori della rivelazione, nel senso che non può essere conosciuto soltanto mediante la ragione. Il diritto

dalle rispettive fonti, come e perché le norme dei due diritti operino in modo differente all’interno delle rispettive società. A tal fine si deve iniziare con l’evidenziare che mentre in quello musulmano la componente divina orale è ampiamente sviluppata, in quello canonico non lo è altrettanto; la funzione che la Sunna ha svolto con riferimento al Corano articolandone e specificandone gli spunti giuridici in esso contenuti, non può essere paragonata a quella svolta dalla Tradizione apostolica come fonte di produzione normativa ulteriore rispetto alla Scrittura153. Tenendo conto di ciò e del fatto che le disposizioni dei testi sacri cristiani non hanno adeguata determinazione e coattività, ne discende che nel diritto canonico le fonti primarie non sono rappresentate da quelle corrispondenti al Corano e alla Sunna del Profeta e cioè la Bibbia e la Tradizione apostolica, quanto invece dalla legge, dalla consuetudine e dagli atti amministrativi. Nell’ambito di quest’ultimo diritto non va però neanche sottovalutato il ruolo svolto dagli studiosi di esso, “in quanto l’opera dei teorici intesa ad interpretare le leggi, a valutare criticamente l’attività legislativa e giudiziaria , a costruire il sistema e a colmare le lacune è un’espressione della vita stessa del diritto che incide in modo sostanziale sulla legislazione e la giurisprudenza”154. Va precisato che il consenso della dottrina, la c.d. “communis opinio doctorum”, oggi è una semplice fonte di produzione del diritto suppletoria. Detto ciò si può proseguire rilevando che il diritto musulmano non annovera la legge tra le sue fonti umane di produzione: esso prevede, come visto, al posto di questa, il consenso (della comunità e dei dottori) e l’analogia. Più esattamente è stato affermato155 che queste ultime sono in realtà fonti attraverso cui il diritto può essere appreso. Ecco quindi una prima spiegazione del diverso atteggiarsi delle norme scaturenti dalle varie fonti nell’ambito dei due diritti; più precisamente si comprende che quelle scaturenti dal Corano e dalla Sunna sono caratterizzate da una rilevanza primaria, assoluta, immediata e tendenzialmente immutabile156, costituendo inoltre la

divino naturale è anch’esso posto da Dio ma attraverso la creazione e quindi non si tratta di diritto

rivelato in senso stretto: esso è inscritto nella natura umana ed è conoscibile attraverso il corretto uso delle facoltà razionali di cui dispone ogni persona. Questa ricostruzione, ripresa dal Ferrari nella sua opera più volte citata, fa comprendere come per il diritto canonico la parte strettamente divina non è tutta rivelata (ovvero positivamente posta da Dio) a differenza di ciò che accade nel diritto musulmano dove le norme divine coincidono con quelle rivelate.

153 Cfr. Silvio Ferrari, Lo spirito dei diritti religiosi, cit., p. 126. 154

Giorgio Feliciani, Le basi del diritto canonico, cit., p.55.

155 Wael B. Hallaq, A History of Islamic Legal Theories, Cambridge, Cambridge University Press, 1997, p. 1.

156 Nella realtà, il diritto musulmano, come anche quello canonico, ha elaborato tecniche e strumenti che, senza infrangere la continuità formale del diritto divino, ne consentono l’adattamento al mutare

base dello sforzo interpretativo del giurista; per quanto concerne quelle del diritto canonico si comprende invece che poiché la formazione della maggior parte di esse ricade nella disponibilità dell’uomo queste si caratterizzano per la loro modificabilità. L’atto amministrativo poi, se fa parte del diritto canonico non costituisce invece una componente del diritto musulmano che non riconosce dignità di diritto all’attività amministrativa di governo, la c.d. siyāsa šar’iyya.

Passando ora ad esaminare le somiglianze che si possono individuare tra i due diritti in questione, il primo dato che viene in rilievo è quello collegato al loro carattere confessionale e cioè al fatto di essere tutti e due diritti a base personale e non territoriale: il diritto musulmano e quello canonico vincolano musulmani e cattolici ovunque essi si trovino. Va però precisato che l’elemento territoriale non è completamente irrilevante: il musulmano che vive nel dār al-

arb157 non è soggetto a tutti gli obblighi che ricadono sul fedele residente nel dār al-Islām158 ed il non musulmano residente in uno Stato islamico è tenuto al rispetto del diritto islamico in tutte le materie che quest’ultimo non attribuisce all’autonomia giurisdizionale delle singole comunità non musulmane159.

Il diritto canonico invece segue il principio della territorialità per le leggi particolari160.

Altro punto comune ai due diritti è rappresentato dall’utilizzo di uguali strumenti per raggiungere l’importante medesimo obiettivo di evitare che l’applicazione delle varie norme al caso concreto possa condurre a risultati ingiusti. Questi strumenti sono rappresentati dall’aequitas per il diritto canonico e dall’isti

sān per il diritto musulmano.

Elemento di affinità è poi ovviamente quello che per entrambi i diritti la componente divina è conosciuta dall’uomo attraverso la rivelazione; non nel senso che essa raggiunga l’uomo attraverso una sua capacità progressiva di scoperta e di conoscenza (come può accadere in altre esperienze religiose), ma perché essa viene resa nota per iniziativa di Dio, senza il cui intervento l’uomo non avrebbe la capacità di apprenderne il contenuto. Si è visto però come tale componente divina non abbia la medesima

delle condizioni storiche; in tal senso si può affermare che l’immutabilità di questi diritti è più apparente

che reale.

157 E’ il territorio non islamico anche detto territorio di guerra. 158 E’ il territorio islamico.

159 Sul punto si veda, per tutti, Francesco Castro, Diritto musulmano e dei Paesi musulmani, cit., p. 4. 160

funzione all’interno dei due diritti, tuttavia non può neppure negarsi che essa rappresenti un elemento caratterizzante comune, anche se con forza differente.

Per concludere, ritornando alla appena descritta natura personale dei diritti in esame, desidero porre in evidenza un’ultima riflessione del Ferrari161 che trae spunto proprio da essa. Partendo dalla considerazione che tale carattere rappresenta un importante fattore di distinzione tra i diritti religiosi e quelli secolari che in epoca moderna sono venuti acquistando un carattere sempre più marcatamente territoriale, e constatando che il diritto canonico è quello che per così dire “confina più da vicino” con i diritti secolari, per via dell’adozione da parte sua di tutta una serie di istituti giuridici, procedimenti, meccanismi normativi, analoghi a quelli dei diritti secolari, si sarebbe portati a ritenere che il suo baricentro non sia più rappresentato da Dio, quanto dall’uomo; in realtà però così non è perché tutti gli anzidetti elementi continuano ad essere inseriti in un contesto dominato dall’idea che il diritto e la giustizia sono un attributo di Dio e non un prodotto umano. Quest’ultima convinzione unisce in profondità il diritto canonico e quello musulmano, anche se a livello della metodologia giuridica le differenze restano rilevanti.

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CAPITOLO II

IL VINCOLO MATRIMONIALE NELLA PROSPETTIVA