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musulmano.

Considerazioni generali

Nei paragrafi precedenti si è analizzata l’evoluzione del matrimonio nella prospettiva storica occidentale, ora, prima di giungere al cuore del lavoro di ricerca e quindi alla sua parte conclusiva, consistente rispettivamente nello studio del matrimonio tunisino e marocchino, e nell’analisi dei profili conflittuali tra l’ordinamento giuridico italiano e la disciplina islamica del matrimonio così come questa emerge oggi nell’ambito dei diversi ordinamenti statuali, è opportuno “esplorare” l’istituto in esame nell’Islām, perché la comprensione della concreta regolamentazione ad esso data appunto nei Paesi islamici, in modo particolare in quelli che si sono presi in maggiore considerazione, passa attraverso la conoscenza della sua concezione nell’ambito della Shar

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a, che, come si sa costituisce l’essenza dell’Islām. Fondamentale quindi è l’avere ben chiari quei concetti basilari che costituiscono la sua stessa struttura, e che le riforme portate dalla modernizzazione con lentezza e con difficoltà sono riuscite solo in parte a modificare.

Per fare tale chiarezza si rendono indispensabili alcune considerazioni preliminari. Innanzitutto, ricordando quanto detto a proposito delle ‘ibādāt e mu’amalāt231, va rilevato come dal punto di vista della Shar

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a il matrimonio si trovi a cavallo tra queste due categorie di regole rituali e di negotia; rendendo leciti i rapporti tra uomo e donna esso appartiene alla prima categoria, ma poiché è un contratto civile, allo stesso tempo ricade sotto la seconda categoria, quella appunto delle mu ‘amalāt. Quest’ultimo aspetto dell’istituto sarà di qui a poco ampiamente analizzato, per ora però è il caso di concludere l’analisi del suo aspetto più strettamente legato alla religione e cioè quello inerente la sua considerazione sociale, riflesso di quella religiosa.

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Per l’Islām il matrimonio è un atto lodevole, tuttavia, nella suddivisione delle azioni umane in cinque categorie esso è far

, cioè obbligatorio, per l’uomo che dispone di beni sufficienti per mantenere la moglie o le mogli dato il suo carattere poligamico, divenendo invece makrūh, sconsigliato, o addirittura

arām, proibito, quando costui dubiti o sia addirittura certo di rendere infelice la moglie o sappia di essere impotente a generare, o ancora, in caso di soggetti legati da una precisa serie di legami di sangue o anche di latte (Corano IV, 23)232.

Il Corano233 raccomanda dunque con insistenza il matrimonio, in arabo nikā

, perché è considerato come il mezzo per assicurare la moralità privata e la pace sociale, per moltiplicare il numero dei credenti e distinguere quindi l’Islām dalle religioni che privilegiano il celibato.

Se come si è visto il matrimonio romano era un consortium omnis vitae, caratterizzato dal fatto di essere una divini atque humani iuris communicatio, e quello cristiano un sacramento avente come fine il perpetuare la specie, unione mistica e fisica allo stesso tempo, il matrimonio musulmano è invece un atto giuridico che rende leciti i rapporti sessuali tra uomo e donna. Non è quindi in sé un atto religioso, un sacramento234, “anche se di regola la celebrazione assume forma religiosa con l’invocazione di Allāh e la lettura di versetti del Corano”235. Come il matrimonio cristiano anche quello musulmano ha per scopo il costituire un rapporto di convivenza, tuttavia non ha la medesima natura indissolubile, vista la libertà di ripudio concessa al marito, e come si vedrà tra poco, l’ammissibilità di un tipo particolare di unione che si caratterizza per il fatto di essere a tempo determinato.

Il malikita Ibn ‘Arafa definisce il nikā

come “il contratto che ha per oggetto il semplice godimento fisico della donna”236. Il diritto dell’uomo ad avere rapporti sessuali con la donna, che divengono così legittimi, rappresenta la controprestazione di quest’ultima rispetto all’impegno del marito di darle una dote (mahr) e di mantenerla. Come s’intuisce la componente sinallagmatica è molto forte, ma il complesso di

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Cfr. Giorgio Vercellin, Istituzioni del mondo musulmano, Torino, Einaudi editore, 1996, p. 138. 233

L’ingiunzione divina esplicita è quella contenuta nella sura XXIV, versetto 32 dove è detto: «E unite in matrimonio quelli fra voi che sono celibi e gli onesti fra i vostri servi e le vostre serve; e se saran poveri certo Dio li arricchirà della Sua grazia, perché Dio è ampio e sapiente».

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Va ricordato che il Profeta Muhammad non istituì sacramenti, né ministri di culto, giacché alle pratiche religiose ogni musulmano può attendere direttamente una volta che le abbia apprese.

235 Joseph Prader, Il matrimonio nel mondo: celebrazione, nullità e scioglimento del vincolo, cit., pp. 17-18. 236 Cfr. Linant De Bellefond, Trattato sul matrimonio nell’età contemporanea, Tomo II, p. 23. Si veda anche Emilio Bussi, Principi di diritto musulmano, Milano, Ispi, 1943, p. 93.

prestazioni e di controprestazioni che sono alla base del contratto risulta essere assolutamente non eguale per i coniugi e questo perché esso ha scopi differenti per essi: per il marito sono quelli di fargli acquistare oltre al detto godimento sessuale anche una generale autorità sulla moglie; per questa il diritto al marh237 e il soddisfacimento dei bisogni materiali e affettivi238.

Gli elementi costitutivi del nikā

indispensabili per la sua validità sono rappresentati oltre che dalla costituzione del citato mahr, dalla capacità giuridica delle parti che si raggiunge con la pubertà, dal consenso dei futuri coniugi, dall’intervento del tutore (wal

)239, rappresentato dal parente maschio più prossimo alla donna in ordine di successione; tutto il resto fa parte del rituale.

Va evidenziato che seppure il matrimonio e le istituzioni ad esse correlate trovano un preciso riferimento nella Legge divina, la loro completa definizione è stata effettuata dalle scuole giuridiche, pertanto in merito ad essi numerose sono le diversità se non addirittura le posizioni inconciliabili che si registrano. In questa ottica si comprende come ad esempio l’assenza del wal

al momento della stipulazione del contratto per taluni sia causa di nullità (scuola sciafiita), per altri solo causa di annullabilità (scuola malikita); ancora, in tema di capacità matrimoniale, anche se questa è collegata al raggiungimento della pubertà, le soluzioni accolte dai giuristi sono comunque differenti, tanto da considerare addirittura valido il matrimonio anche in età infantile. Questo proliferare di scuole giuridiche e la conseguente elaborazione di regole divergenti tra loro, rende difficile una trattazione unitaria delle caratteristiche e delle proprietà essenziali dell’istituto del matrimonio nell’ambito del diritto musulmano, quindi si è deciso di fare riferimento all’elaborazione del diritto matrimoniale effettuata dalla scuola malikita, illustrando però anche qualche particolarità delle altre maggiori scuole, soprattutto di quella sciafiita.

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Insieme e accanto al mahr divenne consuetudine che i padri particolarmente facoltosi, offrissero alle figlie una serie di doni che la giovane portava con se nella nuova casa; questi donativi costituivano delle vere e proprie «doti» come quelle europee. Si può ricordare che nel diritto romano figura diversa dalla dote era la c.d. donatio propter nuptias, cioè quella donazione che veniva conferita alla moglie dal marito in corrispondenza del matrimonio.

238 Cfr. Nicola Fiorita, Dispense di diritto islamico, cit., p. 23.

239 Sulle qualità richieste per l’esercizio della wilāya si veda Yagi Viviane Amina, Droit musulman, Paris, Publisud, 2004, pp. 74-75.