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Come già in parte considerato nella parte conclusiva del paragrafo precedente, per la valida costituzione del matrimonio oltre alla capacità di esprimere il consenso esente da vizi, è necessario che sussista anche una sua manifestazione legittima. Il codice disciplina la forma canonica di celebrazione del matrimonio, ma questa rappresenta il punto di arrivo di un processo che ebbe la sua origine con il Concilio di Trento. Tale Concilio, come si è avuto modo di riferire in altri punti del lavoro di ricerca, rappresentò un momento del tutto particolare nella storia del diritto matrimoniale canonico. Fino a quel momento, solo per restare in tema, nella Chiesa occidentale non si era mai arrivati a richiedere per la validità del matrimonio una forma canonica di celebrazione. Originariamente i primi cristiani celebravano il matrimonio secondo i costumi dell’ambiente in cui risiedevano: quindi quelli di cultura romana si adattavano a quanto prescritto dal diritto romano, quelli nordici osservavano il diritto germanico che a differenza di quello romano non conosceva il principio “nuptias non concubitus, sed consensus facit”, per cui l’unione matrimoniale, che segnava il patto tra due famiglie con il quale l’uomo acquistava dal padre della sposa il mundium, cioè il potere su di essa, si concludeva con la consegna della donna all’uomo; solo a partire dal XII secolo, con il venir meno dell’antico istituto del mundium, l’atto dello sposalizio iniziò ad essere stipulato tra lo sposo e la sposa personalmente. Fino a tutto il medio evo nel matrimonio tra cristiani, tanto tra quelli di

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cultura romana che germanica non era richiesta alcuna formalità; anche se vi era quasi sempre la presenza di un sacerdote, questa non incideva sull’essenza dell’istituto. Si potevano registrare tre forme di matrimonio: quello clandestino contratto senza la presenza di testimoni; quello pubblico contratto alla presenza di testimoni; quello c.d. in facie Ecclesiae358 alla presenza di un sacerdote con relative preghiere e benedizioni che però venivano impartite nell’ambito della tradizionale festa di famiglia. Per contrastare i matrimoni segreti causa spesso di divorzi e poligamia, il Concilio di Trento prescrisse una forma sostanziale, la cui inosservanza avrebbe rese nullo il matrimonio stesso. Tale forma consisteva nella necessità delle pubblicazioni da effettuarsi nella chiesa parrocchiale, la presenza del parroco e di due o tre testimoni. Poiché la promulgazione del Decreto Tametsi non avvenne per la Chiesa universale, in molti territori si continuò a seguire la disciplina precedente. Per eliminare le conseguenti incertezze, nel 1907 un nuovo Decreto (Ne temere del 2 agosto) definì più chiaramente la forma giuridica per la celebrazione del matrimonio, e questa volta per tutta la Chiesa cattolica. Si specificò che la competenza del parroco era territoriale, per cui egli poteva assistere validamente ad ogni matrimonio celebrato nel suo territorio. Ancora, l’assistenza richiesta al parroco non era più meramente passiva diventando attiva perché egli doveva liberamente chiedere e ricevere il consenso dei nubendi. Le disposizioni del Decreto confluirono sostanzialmente nel codice del 1917 e poi con qualche ulteriore modifica in quello del 1983.

Senza soffermarsi sui canoni dedicati alla figura dell’assistente cioè il parroco, l’Ordinario o i loro delegati, è opportuno analizzare quei canoni che riguardano la forma ordinaria e straordinaria di matrimonio, nonché quelli che riguardano le c.d. annotazioni, rispettivamente nel registro dei matrimoni ed in quello dei battezzati. La forma canonica ordinaria di celebrazione del matrimonio regolata dal canone 1108 è quella che prevede la presenza del parroco o dell’Ordinario del luogo o di un sacerdote o diacono da essi delegato e di due testimoni, con riferimento ai quali, mentre per quest’ultimi non si esigono qualità speciali se non chiaramente l’uso della ragione affinché possano comprendere e constatare ciò che viene fatto innanzi ai loro occhi e quindi attestare quanto accaduto, per l’assistente si richiede che a nome della Chiesa domandi espressamente e registri la volontà nuziale dei nubendi; egli può essere quindi considerato un testimone qualificato, pubblico, che non esercita un atto

358 L’espressione «facie Ecclesiae» deriva dal fatto che la celebrazione del matrimonio veniva effettuata in Chiesa.

giurisdizionale in senso stretto, né amministra il sacramento, in quanto ministri del matrimonio sono ritenuti gli stessi contraenti.

La forma canonica straordinaria di celebrazione del matrimonio è disciplinata dal canone 1116; vi si ricorre quando non può trovare applicazione l’ordinaria e se sussistono due condizioni: quella oggettiva del grave incomodo per l’assistente qualificato o per i contraenti a raggiungersi reciprocamente, e quella soggettiva di voler contrarre un vero matrimonio. La prima circostanza ricorre ad esempio in caso di pericolo di morte, anche quando sia uno solo dei contraenti a versare in questa situazione. In tali circostanze la celebrazione potrà svolgersi alla presenza dei soli testimoni.

Venendo ora ad esaminare la tematica delle annotazioni dei matrimoni secondo quanto prescritto dai canoni 1121 e 1122, occorre innanzitutto dire che trattasi di adempimenti formali consistenti nella trascrizione dell’avvenuta celebrazione e di altri elementi richiesti dall’ordinamento per provare che effettivamente il matrimonio ha avuto luogo. Tali trascrizioni sono effettuate nel registro dei matrimoni, presente in ogni parrocchia, ed in quello dei battezzati. In quest’ultimo vengono annotate tutte le variazioni dello stato giuridico canonico del fedele. La trascrizione ha efficacia dichiarativa e non costitutiva, pertanto se l’atto è omesso non inficia la validità del matrimonio.

Il canone 1123 stabilisce infine che quando si verificano circostanze successive alla celebrazione che modificano lo status matrimoniale, le variazioni intervenute devono essere annotate nei detti registri.

Va ricordato che esiste un matrimonio che non viene trascritto nei registri parrocchiali di matrimonio e battesimo, bensì in un registro speciale della Curia: trattasi di quello segreto. A questo punto si rende necessaria la disamina dei canoni che regolano questa celebrazione segreta del matrimonio. Essa è tale perché sebbene avviene dinnanzi al parroco, o sacerdote delegato, e due testimoni, è privo di qualsiasi pubblicità, in modo che nessuno, tranne il parroco, il ministro assistente, i due testimoni e l’Ordinario, devono sapere che i due si sono sposati. Pertanto, il segreto copre non solo la celebrazione e la registrazione ma anche le indagini prematrimoniali. Il canone 1130 stabilisce che la competenza ad autorizzare che il matrimonio sia celebrato in segreto spetta all’Ordinario del luogo. Dottrina e giurisprudenza hanno evidenziato che una eventuale celebrazione senza il permesso richiesto, pur essendo illecita, non comporta

la nullità del matrimonio, purché non vi si oppongano altre ragioni, quali ad esempio un impedimento o un vizio del consenso.

“Tale forma speciale può essere permessa per una causa grave e urgente, quale potrebbe essere il rimuovere lo stato di peccato di due concubinari, o il regolare di fronte alla Chiesa la situazione di persone notoriamente ritenute unite in matrimonio, ovvero il consentire il matrimonio fra persone che, per ostacolo della legge civile, non potrebbero utilizzare la forma ordinaria”359.