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I rapporti patrimoniali tra i coniugi anche se delineano un allontanamento del diritto tunisino da quello musulmano di derivazione coranica, in considerazione del fatto che quest’ultimo non pone a carico della sposa alcun obbligo di contribuzione

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alle spese della famiglia mentre il primo prevede la possibilità che tale obbligo possa gravare anche su di essa, tuttavia, non sono tali da poter essere equiparati a quelli vigenti nei Paesi occidentali. Disposizione cardine è sempre l’art. 23 del C.S.P., in cui, come già si è avuta sopra occasione di accennare, per delineare gli obblighi in esame vengono utilizzate formule diverse per ciascuno dei due sposi: il marito deve farsi carico di ogni incombenza economica discendente dal matrimonio, la moglie vi partecipa eventualmente nel caso in cui abbia a disposizione delle risorse. La giurisprudenza vi avrebbe scorto un contributo obbligatorio di quest’ultima proporzionato appunto alle sue capacità; secondo la dottrina432 ciò non sarebbe affatto vero, perché il suo contributo deve essere ritenuto secondario e facoltativo. Il fatto che la moglie abbia un lavoro e percepisca quindi un salario non esenta il marito dal mantenere la propria sposa433.

Il mantenimento comprende il cibo, il vestiario, l’abitazione, l’istruzione e tutto ciò che è considerato necessario secondo gli usi e la consuetudine. Queste due ultime componenti, come si vedrà di seguito, riguardano in modo particolare la prole.

Altre disposizioni che vengono in rilievo sono quelle contenute negli art. 38 e 39; esse stabiliscono rispettivamente che «il marito deve il mantenimento alla consorte dopo la consumazione del matrimonio e durante il periodo di ritiro legale in caso di divorzio», che «se indigente non deve alimenti, ma la trasgressione al suo obbligo può essere causa di divorzio qualora la donna non era a conoscenza della situazione del marito». Secondo Linant de Bellefond434, in piena sintonia con il diritto musulmano, il dovere che lo sposo ha di fornire tale mantenimento è da considerare come il corrispettivo dell’obbligo che la sposa ha di coabitare con lui, intendendo la coabitazione non tanto il vivere sotto lo stesso tetto quanto piuttosto il consentire alle relazioni sessuali. Il diritto della moglie al mantenimento non si prescrive fin tanto che dura il matrimonio (art. 42 C.S.P.). Esso è comunque dovuto anche dopo l’ordinanza che segue alla constatazione di non conciliazione finché il divorzio non sia pronunciato. Quando poi i legami vengono scissi per effetto della sentenza che conclude il procedimento di divorzio, “l’ex marito non è più debitore dell’assegno: la donna da quel momento è da considerarsi estranea al marito”435; però l’obbligo del versamento

432 Kalthoum Meziou, Mariage, filiation en Tnisie, in Législation comparée, 1988/1, p. 13. 433 Cass. Civ. 09-06-1981 n° 5116, in Bulletin des arrets de la Cour de Cassation., 1981, p. 141. 434 Linant de Bellefond, Traité de droit musulman comparé, Tome II, Paris, Lahaye, 1965, p. 23. 435

di questo assegno si mantiene per altri tre mesi, a meno che la donna non sia incinta, perché in tal caso l’assegno le deve essere versato fino al momento del parto.

Oltre alla sanzione civile rappresentata dal divorzio cui il marito incorre se in costanza di matrimonio non onora il suo obbligo di mantenimento, e anche qualora dopo essersi assentato dalla casa coniugale non vi rientri entro il termine di un mese fissato dal giudice, sono previste pure sanzioni penali; una legge 1981 ha abrogato un decreto del 1926 relativo al delitto di abbandono della famiglia ed ha aggiunto un articolo al C.S.P.: il 53bis436. In forza di quest’articolo affinché la fattispecie delittuosa dell’abbandono della famiglia si integri, e scatti la detenzione, è necessario che il marito sia stato condannato al pagamento di un assegno al proprio coniuge e sia volontariamente in ritardo nell’assolverlo da più di un mese. La Corte di Cassazione ha precisato che il delitto non si configura se manca l’elemento intenzionale437, così come se la sentenza di divorzio non ha stabilito nulla in tema di nafaqa438.

Per quanto riguarda il regime matrimoniale va rilevato come il C.S.P. non contiene alcuna teoria generale; il solo principio è che il marito non dispone di alcun potere di amministrazione sui beni propri della moglie (art. 24). Conformemente al diritto musulmano la moglie conserva l’esclusiva proprietà dei suoi beni, gestendoli in modo del tutto indipendente e quindi senza il bisogno di autorizzazione o assistenza maritale439.

Il regime di base sembra essere dunque quello della separazione dei beni; gli sposi possono tuttavia inserire nel contratto di matrimonio ogni clausola relativa a persone o beni (art. 11); il carattere contrattuale di questi accordi appare evidente poiché il divorzio è la sanzione normale dell’inesecuzione della clausola. L’art. 11 del C.S.P., che in realtà non trova una grande applicazione nella pratica, permette di convalidare, per i matrimoni misti, la scelta di un regime diverso da quello della separazione dei beni.

436 Art. 53bis C.S.P. : Chi è condannato al pagamento del mantenimento o della rendita in seguito a divorzio e omette volontariamente per un mese di pagare quanto dovuto è punito con la detenzione per un periodo variabile tra i tre mesi e l’anno e con una multa da cento a mille dinari.

437 Cass. Pen. 28-04-1971 n° 6955, in Bulletin des arrets de la Cour de Cassation., 1971, p. 158 438 Cass. Pen. 01-04-1981 n° 5148, in Revue Jurisprudence Legislation, 1982, p. 94.