In questo capitolo, sulla base di quanto espresso in quelli precedenti, si evidenzieranno, sempre in modo sintetico, le somiglianze e le differenze tra i concetti, gli aspetti, i termini dell’istituto matrimonio all’interno dei differenti sistemi, innanzitutto socio-culturali e quindi giuridici, in cui esso si colloca.
I punti di riferimento saranno rispettivamente, per quello canonico il Codice, e per quello islamico il Corano e la Sunna del Profeta.
Come già analizzato, nel Codice di diritto canonico la struttura dell’istituto è tale da configurarlo come società naturale. “Naturale non significa però libero, cioè solvibile a piacimento, tanto che affermando il codice che il matrimoniale foedus è ordinato per sua stessa indole naturale al bene dei coniugi e alla generazione ed educazione della prole, dà per scontato che l’uomo e la donna lo costituiscono come consortium totius vitae. Allora il matrimonio è società naturale quando l’uomo e la donna lo costituiscono per tutta la vita, perché se uno dei due lo intendesse e volesse costituirlo come un contratto a termine, il matrimonio società naturale non sorgerebbe, cioè non verrebbe posto in essere alcun patto degno di essere chiamato matrimonio”399.
Tra i battezzati tale società assurge a dignità di sacramento e quindi è istituzione naturale di indole divina. L’Islām non conosce sacramenti e quindi il matrimonio non solo non è un sacramento, ma di per sé non è neppure un contratto religioso, anche se durante la sua celebrazione viene invocata la benedizione di Dio e vengono letti passi del Corano. Ciò non toglie però che esso abbia una grande rilevanza sociale e religiosa, anzi è così pregnante che si può ritenere che le nozze vengano concepite come durature, possibilmente per tutta la vita; dunque gli istituti del ripudio e della poligamia possono essere visti in un’ottica differente rispetto a quella consueta, per la quale essi si pongono come istituti che minano l’unità e l’indissolubilità dell’unione
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Sul punto cfr. Paolo Moneta, Le nuove norme per lo scioglimento in favore della fede, in Diritto Ecclesiastico, 2002/1, pp. 1331-1346.
399 Sebastiano Villegiante, Matrimonio cattolico e matrimonio musulmano: due mondi a confronto nel matrimonio dispari, in Commentarii pro seminariis, vocationibus ecclesiasticis, universitatibus, 1985, pp. 198-199.
coniugale. Ci s’intende riferire al fatto che il Corano, pur prevedendo i detti istituti, non per questo non auspica e difende la stabilità del matrimonio in quanto tale. Appare chiaro che il Testo rivelato nella varietà dei rapporti possibili (concubinaggio, prostituzione, fornicazione) privilegia il matrimonio dal quale nasce la famiglia legittima. Matrimonio e famiglia sono ritenuti così importanti che è previsto un concreto tentativo di conciliazione dei coniugi quando si prospetta una loro separazione400; ancora, cerca di contrastare il facile ripudio401, il mantenimento della cui presenza si spiega tenendo conto del contesto sociale in cui l’Islām vide la luce. Anche la poligamia può essere spiegata avendo riguardo alla società dell’epoca, caratterizzata da una grandissima povertà: ecco quindi che il prendere fino a quattro mogli, più che un diritto dell’uomo integrava un suo obbligo morale, che consentiva di salvare dalla miseria e molto probabilmente dalla morte, delle vite umane. Le mogli dovevano, essere trattate comunque equamente402.
Sempre con riferimento alla concezione del matrimonio nei due ambiti di riferimento, la sfera cristiana e quella musulmana, è stato osservato che in entrambi l’istituto ha anche la funzione di “legittimare i rapporti sessuali tra uomo e donna, assicurare la procreazione, l’educazione della prole e la solidarietà tra i membri della famiglia; tutti lo intendono come l’unione tra due persone di sesso diverso, escludendo la possibilità di matrimoni omosessuali”403.
Dal matrimonio sorgono diritti ed obblighi che devono essere soddisfatti per dovere di giustizia. Sia nel diritto canonico che in quello islamico è possibile individuare una medesima tendenza a muoversi da una immagine “maschilista” dei rapporti tra coniugi ad una che invece valorizza la solidarietà tra essi. Non bisogna infatti dimenticare che
400 Sura IV, 35: «Se temete una rottura tra marito e moglie nominate un arbitro della parte di lui e uno della parte di lei: se i due coniugi desiderano riconciliarsi, Dio metterà armonia tra loro, poiché Dio è sapiente e di tutti ha notizia».
401I versetti 226 e 227 della Sura II affermano: «A coloro che giurano di separarsi dalle loro donne è imposta una attesa di quattro mesi. Se ritornano sul loro proposito, ebbene Dio è indulgente e perdona, e se poi saran confermati nella loro decisione di divorziarle, Iddio ascolta e conosce».
402 L’equità di trattamento deve ovviamente sussistere anche ai nostri giorni. Se attualmente solo la Tunisia ha abolito la poligamia, gli ordinamenti degli altri Stati musulmani la limitano fortemente proprio facendo leva sul versetto del Corano che impone ai mariti di trattare in modo eguale le mogli; e quindi concretamente, il numero dei matrimoni poligamici è piuttosto esiguo. Fortunatamente oggi la condizione umana e sociale della donna in questi Paesi è profondamente cambiata, anche se permangono grosse differenze rispetto a quella della donna occidentale; gli interventi legislativi si muovono proprio nella direzione di far diminuire sempre di più il divario ancora esistente. Si veda quanto riportato nelle ultime pagine del paragrafo dedicato all’analisi dell’influsso della modernizzazione sulla disciplina del matrimonio nei Paesi islamici.
403 Silvio Ferrari, Post-fazione e spunti di comparazione, in Il matrimonio. Diritto ebraico, canonico e islamico: un commento alle fonti, di Roberta Aluffi Beck-Peccoz, Alessandro Ferrari, Alfredo Mordechai Rabello, Torino, Giappichelli, 2006, p. 247.
la rivelazione coranica ha sovvertito l’ordine preesistente nei territori arabi segnando un deciso miglioramento della condizione femminile.
Per quanto riguarda le diversità di fondo che è possibile individuare, a parte le specificazioni appena fatte a proposito della poligamia, viene in rilievo un dato che ha a che fare in modo diretto con la religione: per quella islamica il considerare il matrimonio come un obbligo che grava su ogni uomo, per quella cattolica invece il considerare più meritorio consacrarsi a Dio piuttosto che sposarsi.
“Il celibato non è apprezzato nell’Islām: come stabilito da un
ḥ
adῑṯ
«non c’è celibato nell’Islām»; anche il monachesimo è condannato dal Corano. Il Profeta invita i credenti a evitare ogni eccesso nella devozione e in particolare l’astinenza nei rapporti sessuali: «Io certo temo Iddio più di voi! Però, vedete, digiuno e interrompo il digiuno, prego, ma mi faccio le mie belle dormite, e sposo le donne…e posso proprio dire che chi agisce diversamente da questa mia Sunna non è uno dei miei»404.Un altro elemento di differenziazione riguarda sempre i soggetti destinati al matrimonio. L’esame condotto nei capitoli dedicati rispettivamente a quello canonico e a quello musulmano ha mostrato che vi sono profonde differenze in ordine all’età e al sesso degli sposi, nel senso cioè dell’ influenza che esercitano sulla possibilità di unirsi in matrimonio.
Un’altra differenza concerne l’atto costitutivo dell’unione: il consenso; per il diritto canonico deve essere rigorosamente espresso liberamente da entrambe i nubendi, mentre per quello musulmano il consenso della donna deve essere manifestato dal tutore matrimoniale.
Anche la tematica degli impedimenti evidenzia regimi di regolamentazione piuttosto distanti. Nel matrimonio canonico l’impostazione è quella di distinguere tra impedimenti di diritto divino e impedimenti di diritto umano, mentre nel diritto musulmano la differenza è solo tra impedimenti permanenti e temporanei.
Per concludere è opportuno ritornare a quanto si diceva poco sopra a proposito del ripudio, perché questo offre la possibilità di fare qualche altra considerazione in merito alle differenze esistenti nell’altro importante settore della disciplina matrimoniale all’interno dei due diritti: lo scioglimento del vincolo. Si è detto che il ripudio costituisce un portato della cultura araba preislamica, e si è visto pure che ha resistito al processo di acculturazione giuridica che ha caratterizzato gli ordinamenti
404 Cfr. Roberta Aluffi Beck-Peccoz, Il matrimonio nel diritto islamico, in Il matrimonio. Diritto ebraico, canonico e islamico: un commento alle fonti, cit. p. 183.
giuridici dei vari Stati musulmani, essendo stato abolito solo in quello tunisino; ebbene, la sua presenza negli altri ordinamenti fa aumentare le ipotesi di scioglimento del matrimonio, che il diritto canonico pure conosce, ma in misura assai limitata; il diritto islamico fa invece un uso limitato delle dichiarazioni di nullità matrimoniale privilegiando l’uso del divorzio405, a dire il vero anche rispetto a quello del ripudio che è disincentivato attraverso la previsione di procedure giudiziarie originariamente sconosciute.
Infine si desidera ricordare il diverso atteggiarsi dei due diritti di fronte alla questione degli effetti dell’apostasia di un coniuge rispetto all’unione: il diritto musulmano prevede che il matrimonio sia sciolto, il diritto canonico al contrario non prevede questa possibilità.
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