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Il COnTRASTO Al lAVORO IRReGOlARe

3. lA COnDOTTA Del “CAPORAle”

Il comma 1, n. 1) della legge 199/16 sanziona la condotta del c.d. caporale, ovvero colui il quale recluta la manodopera destinata al lavoro presso terzi.

Il reclutamento si caratterizza per un diverso elemento soggettivo rispetto al passa-to, ora determinato nel dolo specifico: infatti si punisce un reclutamento di mano-dopera particolarmente caratterizzato da un atteggiamento psicologico volto al col-locamento della manodopera presso il suo utilizzatore. In breve occorre che vi sia la consapevolezza e l’intenzione di assumere non in proprio ma per destinare ad altri la manodopera. Tale destinazione delinea il rilievo penale.

Anche sul profilo oggettivo della modalità della condotta significativo appare lo iato fra l’atto del reclutamento e il lavoro in condizioni di sfruttamento.

Se, infatti, prima si sanzionava l’organizzazione di “attività lavorativa caratterizzata da sfruttamento”, ora lo sfruttamento è realizzato dall’utilizzatore, rectius datore di lavoro, a cui la manodopera viene destinata.

La condotta del soggetto agente costituisce peraltro la condizione di approfitta-mento (cioè trarre profitto) dello stato di bisogno del soggetto passivo.

Viene espunta la previsione dello “stato di necessità”, scelta questa che suscita non pochi dubbi in ordine alla funzione generalpreventiva della sanzione e residua il solo

“stato di bisogno”, quale presupposto della condotta di approfittamento.

Il concetto di stato di bisogno non è nuovo nella tutela penale dei soggetti deboli, evoca scenari di disagio sociale particolarmente grave, che non sempre corrispon-dono al reale volto dello sfruttamento di manodopera.

Il dilemma dell’interprete in questi casi verte sempre sulla natura oggettiva o sog-gettiva del bisogno, apparendo chiaro nel primo caso che anche l’autore della con-dotta può e deve accorgersi di tale status; mentre un bisogno (soggettivo ma) non apparente può lasciare l’agente immune da dolo. Si pensi non solo all’evidente indi-genza ma alla più frequente necessità di lavoro da parte di un soggetto disposto ad accettare qualsiasi minima retribuzione anziché patire la disoccupazione: in omag-gio alla tassatività della fattispecie non basta chiedere e accettare lavoro per ritenere il soggetto in stato di bisogno.

4. lA COnDOTTA DI COluI Che “uTIlIzzA, ASSuMe O IMPIeGA MAnODOPeRA”

Il comma 1, n. 2) sanziona la condotta di chi utilizza, assume, o impiega manodo-pera, anche mediante l’attività intermediazione di cui al numero 1).

La criminosità dell’organizzatore, previsto e punito dall’art. 603 bis c.p., si articola ora nelle figure dell’utilizzatore della manodopera, di colui che la impiega e di colui che la assume.

La locuzione “anche mediante l’attività di intermediazione di cui al numero 1)”

indica condotte con duplice sfaccettatura: chi utilizza, impiega o assume i lavorato-ri sottoposti a condizioni di sfruttamento e approfittando del loro stato di bisogno può farlo o in via autonoma o mediante il c.d. caporale, la cui condotta è sanziona-ta, per l’appunto, al n. 1 del comma primo.

Si pone all’attenzione dell’interprete la configurazione di un concorso di persone nel reato, specificamente il tema del ruolo causale di soggetti diversi dall’autore mate-riale che concorrono nella ricezione della prestazione lavorativa illecita.

5. CIRCOSTAnze AGGRAVAnTI. lA nOzIOne DI SfRuTTAMenTO Il comma 2 del nuovo art. 603 bis c.p. prevede una circostanza aggravante di parti-colare severità (reclusione da cinque a otto anni e multa da 1000 a 2000 euro per ciascun lavoratore), imperniata sulla sussistenza di una minaccia o di una violenza quale mezzo nel compimento delle condotte di cui al primo comma.

La nuova fattispecie pur richiamando la nozione di sfruttamento già offerta dall’art.

603 bis c.p., introduce alcune significative modifiche: infatti, i commi 3 n. 1 e n. 2, nel qualificare lo sfruttamento come una condotta di “reiterata corresponsione di retribuzioni […]” e di “reiterata violazione della normativa relativa all’orario di lavoro […]” rideterminano il parametro temporale cui è ancorata la valutazione in termini di aggravamento della condotta costituendo un reato abituale.

Significativa, inoltre, risulta la riformulazione del comma 3 n. 4) il quale, rinuncian-do al requisito dell’irinuncian-doneità della conrinuncian-dotta violativa delle norme in materia di sicurez-za ed igiene sul lavoro ad “esporre il lavoratore a pericolo per la salute, la sicurezsicurez-za o l’incolumità personale”, consente da un lato di alleggerire l’onere della prova in capo alla pubblica accusa e dall’altro, di garantire una tutela più capillare della vittima.

Risulta invece integralmente confermata la portata delle aggravanti speciali previste al comma 4.

6. l’InTRODuzIOne DeGlI ARTICOlI 603 bIS 1 e 603 bIS 2 C.P.:

CIRCOSTAnzA ATTenuAnTe e COnfISCA ObblIGATORIA L’art. 2 della legge 29 ottobre 2016 n. 199 introduce nel codice penale gli art. 603 bis 1 e 603 bis 2 c.p. i quali, rispettivamente, disciplinano una circostanza atte-nuante e una ipotesi di confisca obbligatoria.

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Quanto alla prima (art. 603 bis 1 c.p.), si prevede che la pena sia diminuita da un terzo a due terzi nei confronti del soggetto il quale, chiamato a rendere dichiarazio-ni su quanto di sua conoscenza, si adoperi per “evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori” oppure aiuti “concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta di prove decisive per l’individuazione o la cattu-ra dei concorrenti o per il sequestro delle somme o altre utilità tcattu-rasferite”.

La disposizione ricalca in parte la circostanza attenuante prevista dall’art. 630 c.p.

in relazione al reato di sequestro di persona a scopo di estorsione. In via di prima interpretazione, possiamo ritenere che ne condivida anche la ratio e i presupposti applicativi: così, ai fini dell’applicazione della circostanza, il contributo offerto deve risultare concreto e causalmente determinante ai fini del raggiungimento dei risul-tati previsti dalla disposizione.

Quanto alla seconda (art. 603 bis 2 c.p.), il legislatore prevede la confisca obbliga-toria, anche per equivalente, delle “cose che servirono o furono destinate a com-mettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto o il profitto”, salvo che esse appartengano a persona estranea al reato ed impregiudicato il diritto della per-sona offesa alle restituzione al risarcimento del danno.

Si tratta di una misura che conferisce effettività alla sanzione e ne assicura una fun-zione deflattiva.

7. Il “COnTROllO GIuDIzIARIO Dell’AzIenDA e RIMOzIOne Delle COnDIzIOnI DI SfRuTTAMenTO”

Quando ricorrono i presupposti di cui al comma 1 dell’art. 321 c.p.p., ovvero quan-do vi è pericolo che la “libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso, ovvero agevolare la commissione di altri reati” il giudice dispone, in luogo dell’ordinario provvedimento di sequestro,

“il controllo giudiziario dell’azienda presso cui è stato commesso il reato”.

L’art. 3 della legge introduce il “controllo giudiziario dell’azienda e rimozione delle condizioni di sfruttamento”, istituto processuale di intervento diretto amministra-tivo nella realtà aziendale che ha beneficiato del lavoro irregolare.

Si tratta di una misura irrogata con le modalità procedimentali di cui all’art. 321 c.p.p. e volta a scongiurare che l’interruzione dell’attività imprenditoriale possa inci-dere negativamente sui livelli occupazionali o sul valore economico dell’azienda.

Il carattere innovativo del provvedimento risiede nella nomina, da parte del giudi-ce, di uno o più amministratori, scelti da un apposito albo, il quale o i quali affian-cano “l’imprenditore nella gestione dell’azienda” e autorizzano “lo svolgimento degli atti di amministrazione utili all’impresa”, con l’onere di riferire al giudice, ogni tre mesi o ogni qualvolta emergano irregolarità.

Una nuova figura di amministratore che si giustappone (e non si sostituisce) al dato-re di lavoro, lo affianca nella conduzione dell’impdato-resa e lo autorizza al compimento delle attività, in modo non dissimile al modus operandi di un curatore ad acta.

Il ruolo dell’amministratore si arricchisce peraltro di un vero e proprio obbligo

impeditivo in ordine a situazioni di grave sfruttamento lavorativo, da adempiersi attraverso il capillare controllo del “rispetto delle norme e delle condizioni lavorati-ve la cui violazione costituisce, ai sensi dell’articolo 603 bis c.p indice di sfrutta-mento lavorativo”. In pratica il “controllore giudiziario” cogestisce l’azienda per risanare e regolarizzare.

Qualora riscontri delle difformità, l’amministratore procede alla regolarizzazione dei lavoratori privi di contratto e adotta misure volte a scongiurare il reiterarsi delle situazioni di illiceità, ancorché il datore di lavoro vi dissenta.

Il dies ad quem dell’attività del controllore giudiziario è la regolarizzazione del lavo-ro illecito e quindi l’interruzione della condotta criminosa e dei suoi effetti.

Tale sistema sostanziale e processuale trova anche nella responsabilità amministrati-va da reato dell’ente, quindi dell’azienda non individuale, ai sensi del d.lgs 231/01, la norma di completo rafforzamento della capacità deterrente e dissuasiva.

L’entità delle misure cautelari e delle sanzioni infatti dovrebbe spingere all’adozio-ne dei modelli di gestioall’adozio-ne e organizzazioall’adozio-ne che unitamente al codice etico dovreb-be effettivamente prevenire i reati de quibus.

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