• Non ci sono risultati.

PARTE SECONDA

DVA103_F04_ARC_PL_100_R

7.2 Confronto con la normativa 1 Confronto con il D.M 560/

Nel Decreto Ministeriale varato il 01 dicembre 2017, è all’articolo 4, al comma 1 che si introduce il concetto di interoperabilità, affermando che:

“Le stazioni appaltanti utilizzano piattaforme interoperabili a mezzo di formati aperti non proprietari. I dati sono connessi a modelli multidimensionali orientati ad oggetti secondo le modalità indicate nei requisiti informativi di cui all’articolo 7 e devono essere richiamabili in qualunque fase e da ogni attore durante il processo di progettazione, costruzione e gestione dell’intervento secondo formati digitali aperti e non proprietari, normati, fatto salvo quanto previsto all’articolo 68 del codice dei contratti pubblici, a livello nazionale o internazionale e controllati nella loro evoluzione tecnica da organismi indipendenti. Le informazioni prodotte e condivise fra tutti i partecipanti al progetto, alla costruzione e alla gestione dell’intervento, sono fruibili senza che

ciò comporti l’utilizzo esclusivo di applicazioni tecnologiche individuali specifiche”.

Nel BIM Execution Plan redatto per l’opera analizzata viene esplicitamente richiesto che siano utilizzati formati digitali aperti e non proprietari, nello specifico, l’IFC.

Il Decreto Ministeriale richiede oltre a questa caratteristica, che il formato sia normato e controllato da organismi indipendenti; l’IFC risponde di nuovo a questo requisito in quanto è normato dalla BS ISO 16739 e la sua evoluzione tecnica è controllata da BuildingSmart International che è un organismo internazionale indipendente.

Ecco allora che l’utilizzo di questo formato assolve pienamente quanto richiesto dal D.M. 560/2017, anche se non viene specificatamente indicato proprio perché l’evoluzione tecnica non vieta che se ne sviluppino altri ugualmente validi, come peraltro è già avvenuto. L’IFC anche in questo caso è risultata la decisione più ovvia, essendo il formato che in questi anni ha preso più

Fig. 7.2 - Fonte: National Institute of Building Sciences

ART. 68 CODICE CONTRATTI PUBBLICI l’art. 68 d.lgs. n. 50/2016 prevede che: salvo che sia- no giustificate dall’oggetto dell’appalto, le specifiche tecniche non possono men- zionare una fabbricazione o provenienza determinata o un procedimento par- ticolare caratteristico dei prodotti o dei servizi forniti da un operatore economico specifico, né far riferimento a un marchio, a un brevetto o a un tipo, che avrebbero come effetto di favorire o eliminare talune imprese o taluni prodotti. Tale men- zione o riferimento sono tuttavia consentiti, in via eccezionale se accompag- nati dall’espressione “o equivalente”

studiato. Nella struttura infatti vi è una preponderanza di elementi impiantistici ad alta tecnologia (impiantistica SPA, piscine etc.) che necessitano di una manutenzione regolare e ben pianificata.

7.2.2 Confronto con la norma UNI 11337-5

Il tema dell’interoperabilità è uno degli aspetti inseriti nella struttura del

Capitolato Informativo (CI) proposto

nella norma UNI 11337-5 e nel caso studio, nel BIM Execution Plan (BEP). Il Capitolato Informativo, assimilabile all’ EIR britannico (Employer’s information Requirements) è un documento che redige la committenza nel quale sono illustrate le esigenze e i requisiti di gestione informativa richiesti, ai quali le imprese in gara dovranno rispondere attraverso un’offerta di

Gestione Informativa (oGI) alla

quale fa seguito, per l’aggiudicatario, un piano di Gestione Informativa (pGI) che dettaglia quanto già presente nell’offerta fatta.

Nello specifico, è nella “Sezione Tecnica”, una delle tre sezioni di cui si compone il Capitolato Informativo insieme a quella gestionale e alle premesse, che vengono specificati i formati da utilizzare (punto 2.5.1) insieme alle specifiche aggiuntive per garantire l’interoperabilità (punto 2.5.2). piede, venendo riconosciuto a livello

internazionale.

L’articolo 4 sopraccitato, specifica però anche che le informazioni condivise, fruibili senza l’utilizzo esclusivo di applicazioni tecnologiche individuali specifiche (software di bim authoring) debbano riguardare il progetto, la costruzione e la gestione dell’intervento. E proprio riguardo a quest’ultima potrebbe nascere l’interrogativo riguardante il formato di scambio aperto e non proprietario più adatto. In tema di Facility Management infatti, si è diffuso sempre di più in tempi recenti il formato COBie (Construction Operation Building information exchange), che nel 2011 è stato inserito dal NIBS (National Institute of Building Sciences) all’interno del National BIM Standard (NBIMS-US). Questo è un formato adatto per lo scambio di informazioni non grafiche che, come dice il nome stesso, sono necessarie alla fase di gestione del patrimonio immobiliare costruito. Chiaramente è logico che per effettuare le operazioni domandate dalla committenza, il fatto di non esser grafico lo rende inadatto, ma avrebbe di certo potuto contenere informazioni utili per la gestione avanzata della struttura alberghiera, la quale sicuramente necessiterà di un piano di manutenzione ben

Questi ultimi due punti, compresi nel Bim Execution Plan, potrebbero esser dati per scontati, ma in particolare il secondo relativo alle specifiche aggiuntive necessarie a garantire l’interoperabilità è molto significativo in quanto nuovamente, fa capire che il formato di scambio non funge da “bacchetta magica”, ma necessita di un traduttore opportuno per evitare perdite di dati nel passaggio dal formato proprietario a quello aperto.

Proprio come tra due lingue diverse, se il traduttore è mal funzionante, la corretta comprensione non avverrà e ci sarà una distorsione del significato della parola o frase nella lingua sconosciuta.

Quindi si può affermare che con l’approccio Open BIM è possibile comunicare con colleghi e partner che usano altri software il proprio progetto e tutti i dati in esso presenti se e solo se viene eseguita una loro corretta traduzione (Fig. 7.3). Come

indica la norma UNI 11337-5 “è opportuno dunque che il committente specifichi all’interno del Capitolato Informativo quali dati sia necessario inserire all’interno del file IFC in modo che la fase di traduzione possa essere ottimizzata in tal senso”.

Il contenuto informativo minimo dei file in formato .IFC nel caso analizzato è contenuto anch’esso nel BIM Execution Plan (BEP), in particolare nella parte 03 in cui vengono illustrati i Level of Detail (LOD) che oltre a specificare gli elementi da includere nella modellazione, illustra le proprietà .ifc da attribuire.

Nel caso in esame, essendo questa un’opera privata, con affidamento

diretto dell’incarico, non è stato

necessario da parte dell’impresa scrivere un Capitolato Informativo/ Employer’s Information Requirements e quindi, nemmeno dall’altra parte, formulare un’offerta di Gestione Informativa, passando invece in

Fig. 7.3 - Elaborazione personale

TRADUTTORE FORMATO NATIVO FORMATO APERTO .pln .rvt ... .ifc ...

incentrata su domanda/offerta è rovesciata, il soggetto esecutore (aggiudicatario e affidatario) definisce il generico BIM Project Execution Plan (PXP) che è uno strumento unico, che non è costruito su un dei requisiti richiesti, tanto che uno dei modelli più adottati, quello della Penn State University, non è susseguente a un owner PXP.

In parole semplici è come se la risposta fosse preponderante rispetto alla domanda e, per assurdo, venisse prima di essa.

Nel caso esaminato, la situazione sarebbe stata diversa se l’impresa avesse voluto indire una gara per l’affidamento del servizio; in quel caso si sarebbe trovata costretta a richiedere offerte diverse per poterle poi così valutare. Come già illustrato in precedenza dai dati contenuti nel capitolo 1, al giorno d’oggi e anche a causa della natura delle imprese italiane, si fa fatica ad immaginare che, coi livelli di digitalizzazione di queste prossimi allo zero siano in grado di saper formulare richieste di un certo tipo. Ecco quindi che ciò che avviene è più simile ad un’intesa tra impresa e offerente che, se per il privato potrebbe funzionare, per il pubblico infrangerebbe la normativa sugli appalti pubblici.

modo diretto all’adozione del piano di Gestione Informativa (il BEP a tutti gli effetti) elaborato dallo studio DVA-BIM Factory.

È come se le esigenze della committenza, dal punto di vista di requisiti informativi, non fossero state concretizzate. C’è stato sì un incarico finalizzato all’obiettivo di “raggiungere un elevato standard di monitoraggio di tutte le fasi di realizzazione dell’opera”, ma probabilmente senza stendere formalmente un EIR/Capitolato Informativo al quale dare risposta. Ecco allora che il Bim Execution Plan (BEP) in questo modo funge a tutti gli effetti come un piano di Gestione Informativa (pGI) che scavalca l’offerta di Gestione Informativa (oGI), in questo caso non strettamente necessaria. In assenza di Capitolato Informativo/EIR non è possibile in questo modo valutare se le esigenze della committenza (impresa costruttrice) siano state o meno soddisfatte e in quale misura.

Apparentemente in assenza di una precisa richiesta da parte della committenza si potrebbe comparare il sistema adottato con quello statunitense in cui il soggetto di riferimento è più quello esecutore (affidatario), mentre nella visione europea/inglese è il soggetto richiedente (committenza). Nell’ottica statunitense questa struttura

7.3 La certificazione IFC come