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La connessione tra jihād e martirio nell'ideologia del Partito di Dio

CAPITOLO II FONDAMENTI IDEOLOGICI E

2.5 Martirio e resistenza

2.5.3 La connessione tra jihād e martirio nell'ideologia del Partito di Dio

Poiché i fondamenti dottrinali del Partito di Dio sono la liberazione territoriale, l'anti- sionismo, l'anti-imperialismo, il panislamismo, la lotta contro la povertà e la lotta degli oppressi contro gli oppressori212, il discorso di Hizbullāh sul sacrificio assume una

posizione centrale.

Sebbene il suicidio sia proibito nell'islam, i membri di Hizbullāh considerano il martirio il più alto e lodevole sacrificio che possa essere messo in atto per difendere la fede e l'esistenza di un popolo. La legittimazione teologico-dottrinaria della pratica del martirio è data dal jihād. Secondo la dottrina islamica «non esiste un martirio senza lotta per la causa di Allah e per la causa della verità»213. Lo shahīd è disposto a

combattere e a dare la vita per la verità (haqq) ed il mezzo attraverso il quale ripristinarla è proprio il jihād. Dunque «martyrdom applies only when it is preceded by

jihad, that jihad is an inclusive struggle for the cause of the truth, that a mujahid dies

the death of a martyr even though he does not fall on the battlefield. He dies as a martyr even though he is not killed, on the condition that he stays loyal to the divine truth and stands ready to fight for the truth and to defend it at all costs, even at the cost of his own life. He is a mujahid while he lives, and a martyr if he dies or is killed for it»214.

Nell'ideologia religiosa di Hizbullāh, il martirio è lo strumento attraverso il quale

211 Ibidem.

212 Campanini M., The Party of God (Hizbullāh): islamic opposition and martyrdom in contemporary

imamite shiism, op.cit.

213 Ezzati A., The Concept Of Martyrdom In Islam, Tehran University, Al-Serat, Vol XII (1986), reperibile al seguente link: http://www.al-islam.org/al-serat/concept-ezzati.htm

esprimere obbedienza a Dio per mezzo del jihād difensivo sancito dal wilāyat al-faqīh. È inoltre una forma di lotta politica che obbedisce alla causa di liberazione nazionale ed il mezzo attraverso il quale combattere l'oppressione e l'ingiustizia.

Secondo tale visione, il martirio inteso come il dovere di difendere e liberare la terra occupata oltrepassa la dimensione materiale poiché «is an embodiment of the concept of obedience to God and it is a religious-legal obligation that leads to eternal life. Hizbullah stresses that the strong desire to martyrdom based on strong religious convictions»215. In base a tale visione il jihād, inteso come jihād militare e difensivo, è

strettamente connesso al concetto di martirio poiché «upbringing on the notion of jihad buttresses the spirit of martyrdom and readiness to die in the way of God»216.

Dunque il jihād difensivo, che è wajib sharī' (obbligo giuridico-religioso), non comporta esclusivamente la volontà di combattere per la causa di Dio, ma anche la volontà di morire (irāda istishhādiyya) per tale causa attraverso l'autosacrificio sul modello dell'imām Husayn, le cui gesta rappresentano il prototipo ideale di jihād difensivo e di autosacrificio217.

Ne consegue che, essendo l'atto del martirio una scelta onerosa che richiede convinzione e interazione con il potenziale martire, dal punto di vista del Partito di Dio al fine di condurre un atto di autosacrificio è necessaria un'educazione religiosa e spirituale poiché il martirio è un alto dovere religioso del credente che è ricompensato attraverso la promessa di una vita nell'aldilà.

In base a tale linea ideologica il Partito considera la resistenza contro Israele come un mezzo per intraprendere il cammino verso Dio e il Paradiso. Questo non significa però che la resistenza perda valore nella vita terrena: «Its this-worldly value lies in its military triumphs over the enemy, whilst its other-worldly value lies in its securement of a place in paradise for its mujahidin. By considering both military and spiritual victory equal, it follows that Hizbu'llah considers both the Resistance fighter's martyrdom and survival as “victories”for the Resistance»218.

Sebbene la sopravvivenza e il martirio siano considerati entrambi una vittoria della resistenza del mujāhid, «they are not deemed equal victories. Although defeating Israel on the batterfield is a great victory, defeating it in the afterlife is deeemed an even

215 Alagha J., op. cit., pag. 106 216 Ivi, pag. 105

217 Saad-Ghorayeb A., op. cit., pag. 127. Secondo l'autore, l'utilizzo, da parte del Partito di Dio, di termini quali “desiderio”, “passione”, “brama” e “amore”, evidenziano la preferenza del combattente per il martirio piuttosto che per la sopravvivenza del combattente.

greater victory. The ultimate end of resistance and martyrdom therefore emerges as personal salvation rather than liberation»219.

La glorificazione della resistenza e del martirio deriva dal fatto che rappresentano il percorso verso il Paradiso e l'adempimento del dovere religioso di prendere parte al

jihād contro l'occupazione israeliana del Libano. Anche se il territorio libanese non

verrà liberato, l'adempimento di tale dovere religioso è considerato una grande vittoria per l'islam, per l'umanità e per il martire che verrà ricompensato con la benedizione eterna da parte di Dio.

Infine, sebbene il mujāhid che muore in battaglia e il mujāhid che sopravvive siano considerati uguali agli occhi di Dio, il mujāhid la cui morte non è premeditata è considerato di rango inferiore rispetto al mujāhid la cui morte è intenzionale poichè la morte di quest'ultimo rappresenta il più alto livello di auto-sacrificio220.

Secondo una classificazione stabilita dal Partito di Dio, i martiri sono suddivisi in categorie decrescenti che partono da coloro che hanno cercato la morte sull'esempio dell'imām Husayn. In base a tale classificazione, Joseph Alagha sottolinea che Hizbullāh riconosce i cosiddetti quattro “significati” o “sensi” del martirio, i quali sono

thawābit, un insieme immutabile di valori e principi che costituiscono un fondamentale

pilastro della sua visione ideologica221.

I più venerati tra i martiri sono i già citati al-istishhādi al-mujāhidin, ossia i combattenti del jihād che aspirano al martirio, in altre parole i credenti che intenzionalmente e spontaneamente si gettano nel campo di battaglia o che continuano a combattere fino al sacrificio estremo con lo scopo di cagionare la morte o infliggere il maggior danno al nemico. Per questa categoria di shuhadā non è prevista la sepoltura classica che prevede il lavaggio e l'avvolgimento in un sudario poiché il loro sangue è sacro. Secondo il Partito di Dio, tale martire compie un atto di totale abnegazione.

Appena dopo gli al-istishhādi al-mujāhidin ci sono gli al-shahīd al-mujāhidin, ossia i combattenti martiri del jihād caduti in battaglia affrontando il nemico. È il caso di tutti i martiri caduti durante i combattimenti contro il nemico israeliano. Anche per questa categoria non è prevista la sepoltura classica poiché «the angels wash him»222.

La terza categoria è rappresentata dagli al-shuhadā, ossia i civili musulmani uccisi da

219 Saad-Ghorayeb A., op. cit., pp. 130-131

220 Ivi, pag. 132. Secondo l'autore, sebbene questa posizione non sia stata esplicitamente dichiarata, può essere comunque dedotta dalla dichiarazione di Hasan Nasrallah secondo il quale “even the Karbala martyrs do not all belong to the same rank; not all martyrs Karbala were like Husayn”.

221 Alagha J., op. cit., pag. 108 222 Ibidem.

Israele senza che avessero preso parte ai combattimenti. A differenza delle prime due categorie, per questo tipo di martiri è prevista la sepoltura classica poiché essi sono morti fuori dal campo di battaglia.

Infine ci sono gli shuhadā al-watan (martire della patria) o shuhadā al-qadiyya(martire di una causa) ossia tutti i non musulmani che sono stati uccisi durante i combattimenti per il proprio Paese o per una causa in cui credevano. Secondo Hizbullāh anche questo martirio è un atto supererogatorio e di totale abnegazione poiché non è un dovere per ogni cittadino combattere il nemico nel campo di battaglia.

Come già sottolineato in precedenza, l'impegno del credente nel jihād difensivo presuppone, in base alla visione ideologica di Hizbullāh, una predisposizione al sacrificio sul modello dell'imām Husayn che scelse il martirio come morte volontaria «in order to uproot the tyrannical, oppressor ruler»223.

Attraverso l'imitazione delle gesta dell'imām Husayn, in particolare della pratica della

ta‘bi’a224 che è «a militant practice in Shi‘ism, as in other Muslim sects, although its

implementation varies among different sects in accordance with their ideological background. In the specific Shi‘ite case, ta‘bi’a is defined as an act of mobilization whereby the Shi‘as – emulating Imam Husayn’s revolution – rebel, mobilize, and endeavour to seize power and take control of government in order to establish the rule of God or Islamic shari‘a, in other words, an Islamic order»225, i combattenti di

Hizbullāh compiono, come lo definisce Campanini, un gesto di carattere politico226.

Secondo la definizione di Naim Qassem, il martirio è un atto volontario posto in essere da un soggetto che ha tutte le ragioni per vivere ed amare la vita, che possiede i mezzi per vivere e che quindi sia privo di sofferenze che possano indurlo a commettere suicidio.

È un atto compiuto da un uomo giovane e pieno di vitalità e di speranza per il futuro, ma è anche un atto posto in essere da coloro i quali sono «attached to a religious and spiritual cultivation based on altruism and manifested through preferring the hereafter to life, the nation to the individual, and sacrifice to small, contemptible gains […] 223 Cfr.“The Martyrdom of Husayn”, in Jafri S., Husain M., Origins and Early Development of Shi‘a

Islam, Longman Group Ltd., London 1979, pag. 174-221.

224 Il Partito di Dio considera la pratica della ta‘bi’a «the most authentic and efficient way among the Islamists since it safeguards Muslim cultural authenticity from the materialism, consumerism, moral decadence, and cultural invasion of the East and West. As an Islamic jihadi movement, Hizbullah calls for mobilizing all resources in fighting the enemy as a doctrinal and practical necessity, while at the same time exercising balance in this confrontation», Alagha J., op. cit. pag. 98

225Alagha J., op. cit., pag. 77

226 Campanini M., The Party of God (Hizbullāh): islamic opposition and Martyrdom in contemporary

Martyrdom is thus the supreme manifestation of self-giving, a form of confrontation with the enemy within clear, legitimate Shari'a guidelines»227.

In base a tale visione, il martirio, essendo la “suprema manifestazione di sé” in uno scontro con il nemico sulla base di legittime regole shariatiche, è differente dal suicidio che, secondo Qassem, è invece espressione di frustrazione e disperazione le quali possono condurre un individuo a porre fine alla sua vita. Secondo lo shaykh è un dovere religioso di ogni musulmano prendere parte al jihād e apportarvi il massimo sacrificio. Inoltre, poichè il momento della morte di ciascun uomo si trova nelle mani di Dio ed è determinata da quest'ultimo, tutto ciò che il singolo può fare si riduce alla scelta del modo in cui morire. Il martirio è dunque una scelta che viene compiuta dal credente, il quale stabilisce in che modo morire ma non il momento in cui farlo che è invece prefissato da Dio228.

Il sacrificio dei martiri della resistenza non può essere considerato un suicidio che, come nelle altre religioni, è proibito nell'islam. Infatti, come dichiarato dal sayyid Husayn Nasrallah: «Martyrdom is not suicide. Like a fighter who is surrounded by enemy, it is required of him to fight until death. Martyrdom [as suicide] is the same concept»229.

Inoltre il martirio e la morte non sono cercati come meri atti di violenza irrazionali: «it is not intellectually inconsistent for Hizbu'llah to pursue martyrdom as a means of successfully confronting oppression on the one hand, and to pursue the preservation of life in cases where martyrdom is ineffectual or unnecessary, or when there is no oppression to confront, on the other. The apotheosis of the martyrdom operation and the sanctification of martyrdom in general is therefore contingent upon the political and military instrumentality of both»230.

Il martirio «is a choise requiring religious belief, laborious effort and jihad with the soul»231 e costituisce l'arma principale e infallibile di coloro che credono nel sacrificio

di sé e nel jihād: «The enemy only possesses the weapon of inflicting danger on life, and such weapon is only effective with those seek life. It is conseguently futile to combat those believe in martyrdom»232.

Secondo Qassem, attraverso il jihād si ottengono due risultati o due “gloriosi frutti”:

227 Qassem N., op. cit., pag. 47 228 Jaber H., op. cit., pag. 88

229 Citato in Saad-Ghorayeb, op. cit. pag. 132 230 Ivi, pag 133

231 Qassem N., op. cit., pag. 44 232 Ivi, pag. 48

«the martyr wins martyrdom, while the nation and its freedom fighters win victory»233,

poichè solo attraverso il jihād e il martirio si può giungere alla vittoria come benedizione terrena e ricompensa per gli sforzi posti in essere:

«Combattano dunque sul sentiero di Allah, coloro che barattano la vita terrena con

l'altra. A chi combatte per la causa di Allah, sia ucciso o vittorioso, daremo presto ricompensa immensa» (IV, 74)

Mentre tale versetto e altri forniscono la legittimazione teologica per le operazioni di martirio del Partito di Dio, la legittimazione politica è data dalla sproporzione tra i mezzi a disposizione della resistenza e quelli dell'occupante: «when not endowed with equivalent material and military resources, what could those hold a legitimate right do in the face of aggressors? […] The weapon of martyrdom is the main and pivotal weapon on which we can rely, one that has proven its effectiveness and that prompts the enemy to reconsider its objectives»234.

Infine, per quanto riguarda l'uccisione di altri musulmani235 durante le operazioni di

martirio, Hizbullāh asserisce che ogni azione che ostacoli i nemici e sventi i loro piani è lecita nell'islam, ma necessita dell'autorizzazione di uno studioso di fiqh236. Secondo il

Partito di Dio, i fuqahā hanno stabilito che se il nemico utilizza i musulmani come scudi umani, allora i combattenti possono uccidere altri musulmani poichè l'obbiettivo ultimo è quello di eliminare il nemico. Ciò è permesso solamente quando il numero dei nemici da uccidere supera quello delle potenziali vittime musulmane.

Secondo lo studioso americano Martin Kramer, il Partito di Dio ha giustificato le operazioni poste in essere sotto il nome di Jihād Islamico, costruendo quella che l'autore definisce una “logica morale” valida «for the wider public but for themselves and perhaps even for islamic jihad […] And through the strength and resourcefulness of their moral logic, the leaders have created a climate that promotes the kind of operations that have consistently turned back Hizballah's enemies and placed an islamic state within grasp»237. Secondo l'autore, sono state principalmente due le categorie di

azioni che hanno posto delle sfide a tali leader poichè i metodi impiegati sembravano violare alcuni principi islamici. Tali azioni sono state gli attacchi suicidi e i rapimenti

233 Ivi, pag. 44

234 Qassem N., op. cit., pp. 48-49

235 Severamente proibita nel Corano: «Chi uccide intenzionalmente un credente, avrà il compenso

dell'inferno, dove rimarrà in perpetuo. Su di lui la collera e la maledizione di Allah e gli sarà preparato atroce castigo» (IV, 93)

236 Jaber H., op. cit., pag. 89 237 Kramer M., op. cit., pag. 137

degli stranieri.