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Logica della resistenza e società della resistenza: obbligo morale,

CAPITOLO II FONDAMENTI IDEOLOGICI E

2.6 Logica della resistenza e società della resistenza: obbligo morale,

«The Resistance is Hizbu'llah and Hizbu'llah is the Resistance»278.

La resistenza (al-muqāwama) armata contro l'occupazione israeliana costituisce la spina dorsale della ideologia di Hizbullāh, «the priority of all priorities»279 e «the only

available solution for confronting the power imbalance between the Israeli occupiers and the rightful owners of the land»280.

Il Partito di Dio considera la liberazione delle terre sottoposte ad occupazione israeliana un dovere religioso281 e ritiene la lotta armata l'unico mezzo possibile per liberare i

territori libanesi dall'occupazione israeliana e un dovere fondamentale di ogni popolo per combattere l'oppressione e riacquistare la dignità: «I call upon any occupied nation as I have in the past that the resistance doesn't wait for consensus. It rather takes up arms and moves on to the duty of liberation, the liberation of land, people and captives...to regain dignity and glory with arms, blood, and heavy sacrifices»282.

La lotta militare contro Israele e contro l'Occidente è stata fin dai primi anni Ottanta una delle principali attività dell'organizzazione. In particolare la lotta contro Israele è

277 Ranstorp M., op. cit., pag. 60

278 Husayn al-Moussawi citato in Saad-Ghorayeb A., op. cit., pag. 116 279 Saad-Ghorayeb A., op. cit., pag. 112

280 Qassem N., op. cit., pag. 73

281 Hassan Nasrallah, intervista del quotidiano egiziano al-Haram (16 febbraio 2000) riportata in Noe N., op. cit., pag. 219

282 Discorso di Hasan Nasrallah sulla Resistenza in occasione della Festa della liberazione del 26 Maggio 2008, consultabile al seguente link: http://www.english.moqawama.org

considerata «an inevitable catalyst to the destruction of the Jewish State and the liberation of al-Quds – the city of Jerusalem – from ʻZionist occupationʼ and the removal from Lebanon of a confessional order that suppressed the people and served only the interests of Western intervention»283.

Secondo Augustus Richard Norton, il punto di svolta nella resistenza popolare all'occupazione israeliana avvenne il già citato incidente di Nabatiyya del 1983, quando un convoglio militare israeliano, imbattutosi in una processione di commemorazione dell'Āshurā, aprì il fuoco per disperdere la folla provocando la morte di due persone e il ferimento di altre.

Da quel momento in poi il ritmo degli attacchi contro i soldati israeliani si intensificò enormemente poiché, «insistendo sul significato religioso della loro battaglia, la Resistenza islamica e il movimento Amal riuscirono a mobilitare le risorse spirituali e simboliche di una popolazione per la quale l'islam sciita è un pilastro della propria identità collettiva»284.

L'incidente acquisì sin da subito un enorme significato simbolico per la popolazione poichè fu considerato un grave sacrilegio e «it has become a rallying cry against the Israeli occupation of Lebanon»285, oltre che una chiamata alle armi di tutti coloro i quali

avevano evitato la resistenza attiva fino a quel momento.

Il 17 ottobre del 1983 l'ayatollāh Muhammad Mahdi Shams al-Din emanò una fatwā nella quale stabilì che tutti gli sciiti avrebbero dovuto condurre una “totale opposizione civile” contro l'esercito israeliano286. L'ayatollāh sosteneva che la violenza politica

armata e le esortazioni alle azioni violente contro un invasore o un occupante straniero sono un legittimo jihād difensivo e un dovere per l'intera nazione a prescindere dalla forma che tale jihad assume287.

Alla fatwā di Shams al-Din seguirono ulteriori appelli all'opposizione civile da parte di altri esponenti religiosi tra i quali quello dello shaykh Abd al-Amir Qalaban il quale dichiarò: «Se noi rivolgiamo tutti i nostri fucili, abilità e potenziale contro il nemico israeliano, saremo vittoriosi […] È obbligatorio per tutti noi rendere il giorno di 283 Sirriyeh H., The emergence of Hizbullah and the beginnings of resistance, 1982-85, in Jones C., Catignani S., Israel and Hizbollah. An asymmetric conflict in historical and comparative perspective, Routledge, London 2010, pag. 46

284 Charara W., Domont F., op. cit., pag. 49

285 Norton A. R., Amal and the shi'a, op. cit., pag. 113 286 Ranstorp M., op. cit., pag. 39

287 Citato in el-Husseini R., “Resistance, jihad ,and martyrdom in contemporary lebanese shi'a discourse”, Middle East Journal Vol. 62, n. 2, reperibile al seguente link:

http://tamu.academia.edu/RolaElHusseini/Papers/193320/Resistance_Jihad_and_Martyrdom_In_Contem porary_Lebanese_Shia_Discourse

Nabatiyya una lezione per tutti i libanesi»288.

Il dovere religioso di portare avanti la resistenza non ha limiti territoriali. Nella visione del Partito di Dio la resistenza islamica contro “il nuovo idolo pagano”289 deve essere

posta in essere in tutti i territori sotto occupazione israeliana e con qualsiasi mezzo e capacità disponibili. Questo è, come sottolinea Qassem, un passo verso il raggiungimento di ciò che lui definisce un “movimento di resistenza completo e onnicomprensivo” che preservi le terre arabe e che combatta lo sfruttamento delle debolezze del mondo arabo e della Palestina da parte del nemico290.

I cosiddetti campi di addestramento istituiti nella Valle della Beqa'a dalle Guardie della Rivoluzione iraniana hanno costituito «the primary source of resistance fighters – or

mujahideen – for the ʻIslamic Resistanceʼ[...] Many Hizbullah members partecipated in

such training irrespective of their functional posts in the Party or their assigned tasks, as training is a pre-requisite for Party membership»291.

Qassem sottolinea che il lavoro di resistenza nei campi di addestramento non era limitato esclusivamente a coloro i quali vi si dedicavano completamente ma venne esteso, tramite arruolamento, ai volontari per periodi di tempo limitati: «participants conducted their daily lives in a normal manner, at work or university, in any private sector field be it engineering, office employment or otherwise»292.

Il numero degli associati crebbe con il tempo e attraverso la presenza di un numero sempre maggiore di membri colti ed istruiti divenne possibile sfruttare ai massimi livelli possibili i potenziali e i benefici derivanti dall'uso del computer, dei sistemi di comunicazione e di altre tecnologie ingegneristiche.

I miglioramenti in campo militare e strategico, sottolinea Qassem, non possono prescindere da altri fattori fondamentali quali la fede nella causa, la cultura dei combattenti, il coraggio e l'audacia del martirio. Questa è la reale essenza del successo della Resistenza Islamica293.

Lo shaykh sottolinea come l'esperienza abbia dimostrato che la mobilitazione spirituale conferisca ulteriore potere ai combattenti a prescindere dalla modestia o meno dell'attrezzatura militare a disposizione.

Qassem aggiunge che la personalità dell'individuo è l'anima della resistenza e per tale

288 Norton A. R., op. cit., pag. 114 289 Cfr. Appendice A

290 Qassem N., op. cit., pag. 67 291 Ibidem.

292 Ivi, pag. 68 293 Ivi, pag. 69

motivo la scheda personale del candidato veniva esaminata in modo approfondito prima di stabilirne l'accettazione o meno all'interno del movimento di resistenza. In particolare venivano presi in considerazione il suo credo in Hizbullāh, il suo essere predisposto a rafforzare tale credo e le sue capacità culturali e militari. L'individuo era soggetto a stretto controllo e continua valutazione durante il suo addestramento in modo tale da poter determinare ed individuare gli eventuali benefici che avrebbe potuto apportare al Partito294.

Qassem dichiara che la segretezza era un fattore determinante per la riuscita del jihād nel campo di battaglia. Poichè il nemico, attraverso esplorazioni aeree, mezzi militari di sorveglianza, utilizzo di spie e di agenti, lavorava per scoprire obbiettivi e operazioni, la segretezza delle operazioni di resistenza era fondamentale poichè rendeva inutili le strategie nemiche.

A tal fine, solo un limitato cerchio di persone selezionate con estrema accuratezza, ossia coloro che erano direttamente coinvolti nella pianificazione ed esecuzione delle operazioni, era a conoscenza delle azioni belliche che sarebbero state poste in essere. L'insieme di tali elementi portava al successo delle operazioni.

La Resistenza agiva all'interno di circoli segreti anche sul campo di battaglia e «this allowed for flexibility and permitted members to resume their normal daily lives across the various towns and villages, whether these were situated on the front or back lines»295.

La segretezza era fondamentale in quanto un'eventuale dimostrazione militare sarebbe stata una inutile manifestazione di forza che avrebbe messo a rischio le postazioni della Resistenza permettendo al nemico di individuare gli obbiettivi strategici.

Vi era estremo riserbo anche per quanto riguardava le postazioni che non avevano un'ubicazione fissa, ad eccezione di aree montagnose e con fitta vegetazione, data la loro particolare topografia e posizione strategica. La presenza di una serie di postazioni di lancio missilistiche era fondamentale ma nessuna di queste era posizionata lungo i villaggi che si trovavano nelle vicinanze della linea del fronte, nonostante il territorio fosse geograficamente favorevole296.

Qassem sottolinea inoltre il fatto che non era previsto concentrare le risorse e gli equipaggiamenti sulla linea del fronte, intraprendendo in tal modo una guerra classica con il nemico, dato che questo ruolo spettava all'esercito e richiedeva un alto numero di 294 Ibidem.

295 Ivi, pag. 70 296 Ibidem.

combattenti, equipaggiamento e grandi capacità militari.

La strategia militare della Resistenza, soprannominata dall'autore “toccata e fuga”297 e

che si basò principalmente sull'uso di razzi Katyusha e di mujāhidīn pronti al martirio, ha permesso di confondere il nemico e costringerlo ad uno stato di costante allerta; diffondere il panico e la paura tra le truppe nemiche in modo tale da turbarne lo stato d'animo e di conseguenza comprometterne le prestazioni; impedire la realizzazione di ulteriori traguardi espansionistici, data la pressione esercitata in aree già occupate; liberare le terre quale supremo ed ultimo obiettivo da raggiungere per fasi e attraverso diversi scontri con il nemico.

Secondo Hasan Nasrallah, oltre alla strategia militare un ulteriore fattore chiave della riuscita delle operazioni di resistenza è stata la fedeltà dei combattenti che «does not go to war in order to flex their military muscles, score a publicity coup or achieve material advantages, they fight and do jihad with serious intent and a deep war on the enemy» e «the fact that the resistance cares about the people on the lebanese side of the border has helped them carry out their operations with a greater degree of precision, and has made the people like them and feel the need to protect them»298. Questa cooperazione

reciproca fra i mujāhidīn e gli abitanti locali ha garantito alla Resistenza un ampio margine di manovra.

Infine, dichiara Nasrallah, sono stati fondamentali i miglioramenti e la creatività costanti. I guerriglieri non vedevano loro stessi come meri ricevitori di ordini e «even local resistance commanders consider it part of their responsibilities to sit and think together, study various option, and figure out what the best course of action are, and how to improve the resistance's operations. There is not single group charged whit figuring out how to improve our operations – it is everybody's responsibility to do so»299.

Nonostante l'insieme di tali fattori sia stato fondamentale per la Resistenza, Nasrallah sostiene che il fattore più importante è ciò che rende i combattenti seri, leali e fedeli: il martirio.

Il sayyid elenca due categorie di combattenti del Sud300: i combattenti il cui obiettivo è

alla fine riuscire a tornare a casa e i combattenti il cui obiettivo è il martirio. La fede di questi ultimi li rende forti e incrollabili e permette loro di dare un duro colpo al nemico 297 Ivi, pag. 71

298 Hasan Nasrallah, intervista al quotidiano siriano Teshreen (21 giugno 1999) riportata in Noe N., op.

cit.,pag. 201

299 Ivi, pag. 202 300 Ibidem.

a prescindere dalle armi date loro in dotazione.

La priorità accordata alla Resistenza fa sì che l'ala militare e politica del Partito si identifichino a vicenda: così come tutti i membri delle istituzioni politiche e sociali del Partito sono considerati parte della Resistenza, tutti i combattenti della Resistenza sono considerati parte del corpo di Hizbullāh301.

Ghorayeb sottolinea che il Partito di Dio «n’est pas un parti avec une aile militaire, c’est la résistance avec une aile politique»302 e si spinge fino a sostenere che Hizbullāh è

molto più simile ad un esercito dotato di un apparato amministrativo e di uno combattivo, piuttosto che un partito dotato di due ali interconnesse tra loro. Tale analogia deriva dal fatto che ciascun affiliato di sesso maschile è considerato un potenziale combattente della Resistenza. Per tale motivo tutti i membri maschi sono soggetti ad un addestramento militare e dunque si stabilisce la loro partecipazione se e quando dovesse sorgerne il bisogno303.

Questo non equivale a dire che «Hizbu'llah' s military mind has come to dominate its political mind»304. Infatti, sebbene la leadership politica non interferisca nelle attività

quotidiane della Resistenza, è comunque responsabile della determinazione della strategia militare globale di quest'ultima.

Hizbullāh definisce sé stesso il “Partito della Resistenza” la cui raison d'être, come più volte sottolineato, è la liberazione delle terre sotto occupazione israeliana attraverso la resistenza armata. Quest'ultima ha un ulteriore scopo: la prevenzione di ulteriori espansioni israeliane in territorio libanese, in particolare nel sud del Libano. Secondo il Partito, la storia ha dimostrato che tale strategia di deterrenza è pienamente efficace perché ha indotto l'esercito israeliano a ritirarsi dal sud occupato nel giugno del 2000. La logica della resistenza ha inoltre dimostrato che l'uso della violenza è il solo mezzo che possa assicurare un ritiro israeliano poiché “Israele capisce solo la logica della forza”305.

Il Partito dichiara, infatti, la sua perplessità sull'efficacia dei compromessi politici volti al raggiungimento di un negoziato con il nemico, poiché ciò permette a quest'ultimo un

301 Saad-Ghorayeb A., op. cit., pag. 116

302 Saad-Ghorayeb A., Sueur E., “Le Hezbollah : résistance, idéologie et politique”, in Confluences Méditerranée, 2007/2 N°61, p. 41-47, reperibile al seguente link: http://www.cairn.info/resume.php? ID_ARTICLE=COME_061_0041

303 Saad-Ghorayeb A., op. cit., pag. 117 304 Ibidem.

305 Hasan Nasrallah citato in Meier D., “The Intimacy of Enmity: the Hizbullah-Israel Relation”, Inter-

disciplinari.net, reperibile al seguente link: http://www.inter-disciplinary.net/ptb/hhv/vcce/vch7/Meier %20paper.pdf ; e in Saad-Ghorayeb, op. cit., pag. 119

maggior margine di manovra e impedisce ai partiti contrari ai negoziati qualsiasi ruolo visto lo squilibrio di potere esistente e il piccolo margine di negoziazione disponibile a livello politico. L'unica soluzione sono le operazioni di resistenza che portano al ritiro del nemico, alla riconsiderazione dell'agenda e dei metodi politici, ristabiliscono i diritti, rifiutano gli standard imposti e raggiungono risultati politici sulla strada verso la libertà306.

La resistenza armata posta in essere dal Partito di Dio, reputata quale potenziale paradigma per altri movimenti di resistenza, è dunque l'unico mezzo per costringere Israele al ritiro poichè i negoziati e la diplomazia portano inevitabilmente all'insuccesso: «We want to make peace for our umma with our blood, rifles, and severed limbs... this is the peace we believe in»307.

Husayn al-Moussawi sosteneva che «ogni persona razionale che pensa oggettivamente arriverà ad una conclusione: questa forza è la sola opzione quando l'attività politica e i negoziati non sono possibili. Noi annunciamo che questa resistenza è la nostra sola scelta e che il nostro discorso è basato sulla logica»308.

Il rifiuto dei negoziati deriva non solo dal non riconoscimento di Israele e dalla insistenza da parte del Partito sul ritiro incondizionato dell'esercito occupante, basata sul principio che “l'oppressione non può essere ricompensata”, ma anche dalla convinzione che un eventuale riconoscimento dello Stato israeliano non comporterà necessariamente l'abbandono dei territori occupati da parte di quest'ultimo309.

L'importanza della resistenza all'invasione sionista e il principio del rifiuto dei negoziati sono presenti nei programmi elettorali del Partito di Dio. Il Programma elettorale del 1996 ad esempio presenta la resistenza come la sua prima priorità politica:

«We will work on the strong and efficient continuation of the Resistance until our occupied land is completely liberated and restored to the national sovereignty, until our people in the occupied strip are released and able to secure a free honorable decent living away from any direct or indirect presence of the usurping Zionists. We will also work on confronting the logic of the theatrical negotiations that seek to establish Israel's position at the expense of the people of the land»310.

Nella visione del Partito di Dio gli obiettivi della Resistenza possono essere raggiunti

306 Ibidem.

307 Estratto di un colloquio con Muhammad Fnaysh, citato in Saad-Ghorayeb, op.cit., pag. 119 308 Citato in Saad-Ghorayeb A., op. cit. pag. 120

309 Ivi, pp. 119-120

310“The electoral Program of Hizbullah”, 1996, reperibile al seguente link:

esclusivamente attraverso quella che viene chiamata la “società della resistenza” (mujtama‘ al-muqāwama), in altre parole attraverso la formazione di una coscienza collettiva atta a raggiungerli.

In un articolo pubblicato nel giugno del 2007 su an-Nahar311, il vice Segretario

Generale di Hizbullāh definisce ciò che per il partito è la cosiddetta società resistente, ossia una visione totalitaria che contempli ogni livello della società. Egli afferma: «La resistenza è per noi una visione totale della società in tutte le sue dimensioni, poichè è una resistenza militare, culturale, politica e dei media. É la resistenza del popolo e dei

mujāhidīn, è la resistenza dei governanti e della umma […] Noi abbiamo sempre fatto

appello per la costruzione di una società della resistenza e non ci siamo mai accontentati di essere un gruppo della resistenza».

Ed ancora: «La Resistenza non è un gruppo armato che vuole liberare un pezzo di terra, né è un'impresa temporanea che finirà quando il pretesto scomparirà. Piuttosto, la Resistenza è una visione e un metodo, e non soltanto una reazione militare […] La costruzione della società della resistenza fornisce forza al Libano e accresce la sua indipendenza e sovranità nel modo che noi vogliamo, non nel modo che ci vogliono imporre»312.

2.7 Antisionismo, antigiudaismo e antisemitismo nell'ideologia del Partito