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CAPITOLO 1 S APERE E SERVIZIO SOCIALE

1.1 L’importanza della conoscenza nel servizio sociale

1.1.4 Conoscenza e formazione in servizio sociale

Abbiamo quindi visto in precedenza che l’oggetto principale del servi-zio sociale soprattutto nell’aspetto dell’aservi-zione concreta d’intervento, se-condo la nostra prospettiva di ricerca qui presentata, è l’aspetto relazionle professionarelazionle di aiuto alla persona, inteso non come puro scambio a-simmetrico tra chi è in condizione di bisogno o disagio e chi è detentore di mezzi, risorse, strumenti e abilità professionali ma come processo d’intervento per il raggiungimento di una diversa qualità di vita della per-sona o della comunità.

L’attenzione posta alla conoscenza del servizio sociale riguarda sia l’interesse per gli aspetti disciplinari (il servizio sociale come disciplina scientifica) sia gli aspetti di trasmissibilità delle acquisizioni nei contesti concreti dell’agire professionale (interistituzionale, organizzativo, di ser-vizio) (Bartolomei, Passera, 2005).

La conoscenza in servizio sociale non ha quindi dei fini puramente spe-culativi ma è orientata a un’azione convergente su tre aspetti dell’intervento: la persona, il suo contesto di vita e comunitario, l’organizzazione dei servizi territoriali profit e non profit, pubblici e priva-ti ove opera l’assistente sociale (Gui, 2004; Gui, 2005; Lazzari, 2008).

Altri fattori che contribuiscono alla definizione del sapere di servizio sociale sono derivabili dalla molteplicità delle funzioni svolte dall’assistente sociale, che possono essere sintetizzate come funzioni pre-ventivopromozionali, organizzativegestionali e d’intervento con la per-sona. Tali funzioni raccolgono il mandato professionale, quello sociale e istituzionale (Bartolomei, Passera, 2005).

In tali funzioni le conoscenze professionali si manifestano in esplicite e implicite, in conoscenze riferibili a saperi teorici ed anche a saperi pratici non direttamente verbalizzabili, orientati a un intervento (di servizio so-ciale) sul mondo della sofferenza umana e sulla prevenzione del disagio.

Le funzioni dinamiche nel lavoro dell’assistente sociale implicano an-che aspetti di coordinamento di servizi e operatori, d’indagine progettuale per la società e per il singolo, in funzione di un maggior benessere collet-tivo e individuale (Neve, 2000; Marzotto, 2002), attraverso l’impiego di modelli applicativi7 espliciti o di fatto generati dall’agire professionale.

La conoscenza è pertanto indispensabile per supportare la professionali-tà in un oggetto conoscitivo complesso come quello che attraversa il ser-vizio sociale, vincolato o rinforzato da più mandati, che a loro volta rinvia a molteplici funzioni dell’assistente sociale in diversi contesti organizzati-vi professionali.

La formazione è quindi un aspetto rilevante per la trasmissione della conoscenza degli assistenti sociali.

Da poco più di un decennio si è giunti in Italia alla Laurea in servizio sociale8 e ai Dottorati di ricerca.

Il Diploma di specializzazione postlauream invece, anche se teorica-mente previsto nell’attuale normativa9, non è ancora stato istituito nell’ambiente accademico.

Tale ingresso formativo nelle Università10 è stato annunciato da normative risalenti agli anni Ottanta e Novanta11.

Già nell’anno accademico 1998/1999, l’Università degli Studi Trieste12 aveva istituito direttamente un quarto anno della laurea sperimentale in

servizio sociale. Vi potevano accedere tutti gli assistenti sociali che fosse-ro stati in possesso di un titolo triennale pfosse-rofessionale abilitante (scuola diretta a fini speciali per assistenti sociali, diploma universitario in servi-zio sociale, diplomi di assistenti sociali post scuola secondaria di secondo grado).

Tale attivazione sperimentale accademica ha visto l’iscrizione di quasi 6.000 assistenti sociali provenienti da tutte le regioni d’Italia, su circa 27.000 professionisti iscritti agli albi regionali di quel periodo (Campani-ni, 2001).

In effetti, con il Decreto del Ministero della Pubblica Istruzione del 30 aprile 1985, Ordinamento delle Scuole universitarie Dirette a Fini Specia-li per Assistenti SociaSpecia-li, il servizio sociale inizia ad affacciarsi come di-sciplina universitaria, insegnata dapprima nelle scuole dirette a fini spe-ciali, in seguito nei diplomi universitari e oggi nei corsi di laurea (Marzot-to, 2002) attraverso le riforme universitarie succedutesi fino all’anno 201013.

Tuttavia gli insegnamenti caratterizzanti la professione dal 199314 a oggi, non hanno trovato un proprio statuto autonomo disciplinare nell’ordinamento didattico accademico e sono ancora accorpati prevalen-temente nel settore scientifico disciplinare Sps 07 (“Sociologia

genera-Con la formazione accademica della professione dell’assistente sociale, pur nella mancanza di un settore scientifico disciplinare autonomo di ser-vizio sociale, si realizza comunque un processo che permette una prepara-zione scientifica accademica ancor prima che tecnicopratica (Giraldo, Riefolo, 1996).

Allo stato attuale l’implementazione formativa richiede un corpo do-centi e un progetto didattico organico in grado di integrare corsi d’insegnamento generali, professionali e di base, attraverso percorsi e processi interdisciplinari ancora poco diffusi e sperimentati.

Poiché la formazione professionale è quindi diventata accademica16, il contesto della ricerca di uno statuto epistemologico disciplinare di servi-zio sociale non si dovrebbe più presentare frammentato e diversificato come nella precedente storia formativa degli assistenti sociali (Grigoletti Butturini, Nervo, 2005).

La frammentarietà della formazione professionale del passato sembra infatti sia derivata da un’aderenza acritica e disomogenea ai testi stranieri, da parte di molte scuole formative17 in servizio sociale presenti in Italia tra gli anni Settanta e i primi anni Ottanta18.

Procedendo ancora a ritroso, ma senza addentrarci in altri excursus sto-rici, non oggetto di trattazione del presente lavoro ma di riguardevoli studi già presenti in letteratura (Bernocchi Nisi, Canevini, Cremoncini,

Ferra-rio, Gazzaniga, Dal Pra Ponticelli, 1984), possiamo cogliere dei significa-tivi avvenimenti precursori all’ingresso della formazione universitaria dell’assistente sociale.

Basti menzionare l’evento di Siena19 del 1983 e i successivi momenti di coordinamento tra i docenti di servizio sociale, spinti dall’esigenza co-mune di giungere a una riflessione condivisa sulle esperienze delle prassi professionali tra i docenti e gli operatori (Bianchi, Dal Pra Ponticelli, 1994). In particolare, il convegno di Siena del 1983 avvia il confronto e l’orientamento teorico finalizzato all’elaborazione di un’unitarietà di me-todi all’interno del processo di aiuto nell’ambito del servizio sociale, di tecniche operative durante il lavoro con la persona e con il suo contesto (Giraldo, Riefolo, 1996).

Tuttavia la necessità di guardare alle esperienze precedenti formative, di formulare originali costrutti teorici e operativi, non era un processo che poteva essere portato avanti da pochi docenti appartenenti a scuole forma-tive diverse.

Gli adempimenti amministrativi, burocratici e organizzativi di piccole scuole, pur permettendo anche sperimentazioni formative originali, hanno in prevalenza limitato fortemente la sistematizzazione delle esperienze di ricerca e l’elaborazione teorica del servizio sociale (Giraldo, Riefolo,

Vi era comunque anche in quegli anni di formazione non accademica, pur con le limitazioni viste, l’esigenza di sistematizzare le numerose ricer-che prodotte, con l’intento ricer-che il grande patrimonio di esperienze sul “campo” fosse visibile alla comunità professionale e potesse in tal modo affacciarsi alla ricerca universitaria (Crespi, Guidicini, La Rosa, 1987).

La riflessione teorica sulla rappresentazione di più realtà operative complesse assumeva i connotati di una teorizzazione non onnicomprensi-va ma caratterizzata da domini esplicativi a medio raggio (De Sandre, 1988).

Conseguentemente si è sviluppato un forte dibattito e un confronto cul-turale esperienziale sul servizio sociale e sulla ricerca di un’unitarietà di uno “statuto epistemologico”.

L’avvio delle Scuole dirette a fini speciali per assistenti sociali (sorte all’interno dell’ambiente accademico intorno agli anni Novanta) e i dibat-titi culturali tra esperti di servizio sociale erano mirati all’elaborazione te-orica di modelli di servizio sociale20 per la loro immediata utilità e fruibi-lità sul piano operativo. Modelli che, nel contesto italiano, si sono pertan-to diversificati per le diverse realtà organizzative e terripertan-toriali (Giraldo, Riefolo, 1996).

Da circa 10 anni si è quindi sviluppata una vivace attività di studio e confronto tra docenti ed esperti di servizio sociale, un’importante spinta

motivazionale per un’elaborazione teorica italiana che possa condurre a un orientamento originale d’indagine sulla disciplina e sui modelli opera-tivi.

Nella molteplicità di modelli di servizio sociale esperienziali, Folghe-raiter (1998) sostiene che la disciplina del servizio sociale si caratterizza per le seguenti specificità:

- sul versante epistemologico21, come disciplina che si colloca in un’applicabilità interposta tra le discipline della psicologia e della sociologia. Discipline queste ultime, il cui grado di teorizzazione risale a una storia di pensiero più consolidata e a un costrutto di maggiore generalizzazione teorica. L’autore ritiene che la discipli-na del servizio sociale pur essendo nell’“intermezzo” tra psicolo-gia e sociolopsicolo-gia, in realtà si manifesti su una base teorica più pret-tamente sociologica, come se il servizio sociale fosse una “specia-lizzazione” pratica di alcune “scuole” di pensiero sociologico; - sul versante euristico22, inteso come l’aspetto di un pensiero

prati-co per ottenere il risultato desiderato rispetto a una situazione pro-blema. Il lavoro dell’assistente sociale si caratterizza per l’individuazione e la conoscenza delle variabili legate al sorgere di un particolare disagio, inteso come difficoltà nel raggiungimento di un’autonoma capacità d’azione da parte della persona. Alla di-sciplina della sociologia spetta semmai il compito dell’analisi e della conoscenza della “patologia” della società, inteso come fe-nomeno complessivo;

- sul versante metodologico23, l’intervento dell’assistente sociale,

rinforzato dal proprio sapere disciplinare, riguarda

l’approfondimento dei metodi e delle tecniche per il fronteggia-mento degli stati di sofferenza. Questi ultimi vanno attribuiti alla limitata autonomia d’azione della persona. Si deve tuttavia attribu-ire un’attenzione particolare anche alla conoscenza delle persone coinvolte nel processo d’intervento.