• Non ci sono risultati.

CAPITOLO 1 S APERE E SERVIZIO SOCIALE

1.3 Saggezza pratica, practice winsdom e fonti del sapere

1.3.1 Una metafora della saggezza pratica

La metafora ha una funzione evocativa attraverso dei termini simboli-coletterari (le parole) nell’intento di rappresentare una realtà figurata (con l’evocazione di immagini analoghe in un gioco di parole in rapporto tra loro per aspetti di similitudine) e volgere nuovi sguardi sulle cose o comunque sull’ “oggetto” del discorso (Contini, 1988).

La metafora permette una nuova lettura delle realtà cristallizzate e fa-miliari per poterle guardare, interrogare, interpretare come fossero anche qualcos’altro e contenessero ulteriori significati, oltre a quelli manifesti.

Per raffigurare il senso della “saggezza pratica” e coglierne il senso fi-gurato Fish (1988) usa la metafora dell’iceberg.

Poiché la densità del ghiaccio puro è inferiore a quella dell’acqua di mare, l’iceberg galleggia e il 70-90% di esso è sotto la superficie

Difficile è immaginare dall’esterno (“aereo”) la dimensione sottostante. Da qui la ormai nota dizione “punta dell’iceberg” quale significato che sta ad indicare che un oggetto, un fenomeno visibile, è solo la parte di una complessità molto più ampia e non del tutto determinabile ad una prima analisi.

Trasportando tale metafora di Fish, all’interno della conoscenza pos-siamo per analogia (metaforica), rinforzare la nostra argomentazione ossia che il sapere (evidente) degli assistenti sociali (come in molte altre profes-sioni) è solo una parte di quello che in realtà è esperito, o reso evidente.

Le conoscenze manifeste esplicite dell’assistente sociale sono una pic-cola parte rispetto a quelle “sommerse”, tacite, implicite, non dichiarate che trovano origine in una molteplicità di variabili, non tutte riferibili all’assunzione diretta delle conoscenze formali.

Conoscenze difficili da descrivere (conosciamo molto di più di quanto raccontiamo) che sottendono idee valoriali, epistemologie personali e pre-giudizi (Osmond, 2006).

La continua riflessione sul fare, qualità e valori personali, professionali, etica, deontologia, capacità di utilizzare criticamente in modo intuitivo, creativo, pratico (Higgs, Titchen, 2001) nonché saper acquisire e saper porre attenzione ai processi di conoscenza anche esplicita, costituiscono

gli “ingredienti” della saggezza pratica (practice winsdom) (Sheppard, 1995, 2003; O’Sullivan, 2005).

La saggezza pratica è riferibile al processo combinato in cui è usata la conoscenza (tacita ed esplicita) all’interno di una dimensione professiona-le unica e che riguarda gli aspetti esperienziali acquisiti, appresi dentro la dimensione personale, intima, riflessiva e creativa dell’assistente sociale (Fish, Coles, 1998).

L’iceberg ad una prima conoscenza è quindi un’immagine fissa.

In realtà esso si presenta in uno scenario dinamico, in cambiamento: galleggia, segue il movimento dell’acqua, influenza l’ambiente e a sua volta è da questo modificato.

Guardandolo in modo ravvicinato si colgono altre dimensioni che lo raffigurano: il volume che si sprofonda nell’immerso acquatico, la presen-za di fessure nel ghiaccio in apparenpresen-za uniforme, il senso di forpresen-za e poten-za che emana nella sua imponenpoten-za (apparente e sommersa).

Ecco la pratica professionale: si manifesta in quanto appare visibile, ma condotta da quanto è sommerso, silente, tacito.

La saggezza pratica è stata definita come un’abilità che conduce a pro-cessi di giudizio ritenuti validi in determinate situazioni (O’Sullivan, 2005).

Secondo tale visione la saggezza pratica si viene a costituire nel tempo attraverso dei processi di pensiero riflessivo e cosciente, tanto da poter anche essere esplicitata dall’assistente sociale nella sua valenza di abilità, credibile e valida.

Il sapere pratico attinge da una fonte “epistemologica” che appartiene ad ogni operatore e orienta i processi di intervento nel lavoro sociale (Har-tman, 1990).

La saggezza pratica può anche essere definita come “sapere esperto” come “conoscenza di alto profilo” (Nigris, 2010: 25) non sottoponibile al vaglio del sapere proposizionale: “l’esperto è il detentore di un sapere e-stremamente sofisticato che ha una componente ineffabile molto forte, la cui esplicitazione è poca cosa se confrontata con la vastità e profondità di risultato della sua applicazione empirica” (id., p. 25).

Nigris (2010) sostiene che vi è una differenziazione tra sapere esperto e sapere dell’esperienza.

Il primo è riferibile ad una conoscenza di alto livello e alla quale si ri-corre in situazioni di eccezionalità.

La confidenza posta nel margine d’errore al suo giudizio è superiore a quella che sarebbe concessa ad un altro professionista portatore dello stes-so sapere.

Superata la situazione di eccezionalità, il sapere dell’esperto è sottopo-sto a criteri standard di prova.

Il sapere dell’esperienza invece, indica le abilità e le conoscenze acqui-site attraverso l’esperienza professionale e l’apprendimento scientifico.

Esse diventano il bagaglio conoscitivo di una comunità di pratiche di alta qualificazione che non hanno una natura proposizionale.

Entrambi i saperi sono taciti, difficilmente formalizzabili dal punto di vista epistemologico, ma posseggono una loro validità pratica.

Un sapere “esperto” (Pontecorvo, Ajello, Zucchermaglio, 1995) è in ogni caso fondato sull’esperienza professionale e personale, attinge dai processi di memoria semantica, riferibile anche in parte ai percorsi di ap-prendimento accademici, fondamentali per acquisire abilità cognitive e stili di pensiero.

Il sapere esperto è quindi legato ai processi di memoria.

I processi di memoria sono stati indagati attraverso tre principali filoni di ricerca (anche se non sempre le distinzioni nell’approccio scientifico sono così nette).

Quelli che riguardano l’approccio dell’information processing (indaga-no i processi di memoria come fasi di apprendimento delle informazioni, di recupero dei processi legati all’immagazzinamento delle informazioni)

(contemplano nei processi di memoria, gli atteggiamenti, le abilità mentali e le esperienze dell’individuo, anche nelle loro valenze emozionali) (Liot-ti, 2001; Castelfranchi, Mancini, Miceli, 2002) infine quelli dell’approccio ecologico (pongono maggiore attenzione ai processi di memoria che av-vengono al di fuori dei contesti sperimentali e considerano quelli dei con-testi di vita quotidiana

Nel nostro lavoro di ricerca pratica che vedremo nei capitolo successivi, abbiamo considerato la memoria non secondo tali distinzioni (non sempre nettamente demarcabili), ma secondo la plausibilità di ogni approccio ri-spetto all’emersione dei dati.

Abbiamo quindi considerato i materiali testuali di ricerca evocati po-nendo attenzione agli aspetti di memoria secondo una differenziazione per stadi temporali in: memoria a breve termine (memoria che solitamente du-ra pochi secondi o finché permane la rievocazione interna dello stimolo), memoria a medio termine (memoria che dura più a lungo e non richiede ripetizione dello stimolo, agisce secondo gli effetti di primarietà come quelli riferiti alle prime informazioni apprese o di immediatezza come quando si ricordano maggiormente gli ultimi apprendimenti appresi) e memoria a lungo termine come forma permanente di memoria che dura per anni e ha una capacità molto ampia. In tale memoria le informazioni

sono organizzate in strutture sintattiche e semantiche che vanno a costitui-re degli schemi (Rosenzweig, Leiman, Bcostitui-reedlove, 2001).

Per la nostra ricerca si è considerata l’importanza della memoria a lun-go termine per l’emersione della conoscenza implicita ed esplicita.

La memoria a lungo termine infatti si distingue in:

- dichiarativa o “proposizionale” ed è la memoria che può essere va-lutata o descritta. Tale memoria compone la qualità della cono-scenza e della coscienza. A sua volta si distingue in memoria epi-sodica (memoria riferita ad informazioni relative a eventi casuali, nessi e informazioni su apprendimenti specifici: è la memoria di eventi transitori della nostra esperienza ed è legata alle sensazioni, pertanto è suscettibile all’oblio) e memoria semantica (memoria generale diffusa, come ad esempio conoscere il significato delle parole o di una parola specifica o di un concetto, senza sapere do-ve o quando è stata appresa);

- non dichiarativa o implicita (memoria che si manifesta attraverso la competenza piuttosto che mediante la verbalizzazione consape-vole) (Liotti, 2001).

Nel lavoro dell’assistente sociale si presentano infatti situazioni che ri-chiedono capacità di analisi e di elaborazione delle informazioni (spesso implicite) per fornire risposte immediate all’interno di scenari sociali pro-blematici, complessi, mutevoli e carichi di valenze emotive.

Questi scenari, pur accomunati da qualche elemento, presentano una forte differenziazione nel loro manifestarsi.

Le singole situazioni contribuiscono a costituire nel tempo il sapere e-sperto (expertise) del professionista.

Un’ intelligenza pratica59 in grado di esplorare in maniera più appro-fondita contesti, informazioni e problemi, al fine di poter formulare diver-se ipotesi rispetto ad un problema.

Attraverso l’expertise il professionista ricava sempre più informazioni dalla complessità dello scenario problematico prospettato (Norman, Bro-oks, Allen, 1989) per assumere solitamente giudizi rapidi basati anche su processi introspettivi intuitivi non facilmente accessibili ad una immediata verbalizzazione (Hamm,1988).

Si ritiene che l’expertise professionale sia data anche dalla capacità di impiegare procedure euristiche per risolvere determinati problemi e per-metta di saper usare la minima informazione in prospettiva di una decisio-ne, piuttosto che utilizzare determinati passi “algoritmici” più frequente-mente impiegati dai non esperti (Scribner, 1986; Girotto, Legrenzi, 1999). Gli anni dell’esperienza professionale favoriscono gli assistenti sociali all’uso di un’intelligenza e di una competenza pratica (Sternberg, 1987) che si conciliano con le esigenze fattive degli scenari professionali.

Si tratta di un sapere che coinvolge l’operatore in un olismo razionale ed emotivo (Stocco, 2007) derivante da conoscenze di tipo euristico più che di tipo sequenziale, o detto in altri termini, dall’uso delle conoscenze implicite sulla pratica (Fook, 2002).

Una conoscenza pratica che potremmo dire essere caratterizzata sostan-zialmente da 3 fattori principali (Sheppard, 1995; O’Sullivan, 2005):

- i “magazzini” (stocks) di conoscenze derivanti da diverse fonti dell’esperienza professionale (formazione sul “campo”, formazio-ne permaformazio-nente, conoscenze teoriche, modelli di fatto, etc.);

- la rappresentazione della situazione professionale (picture of the situation) intesa come la rappresentazione mentale che si viene a prefigurare in base alle informazioni in possesso, all’esperienza maturata, al contesto di presentazione, alle ipotesi formulate;

- la padronanza e monitoraggio della situazione (critical control) in-tesi come l’uso consapevole del sé professionale nel flusso della coscienza. Un pensiero professionale che si vede nell’atto del pen-sare (abilità metacognitiva) sia rispetto ai processi cogniti, emoti-vi, decisionali che a quelli inerenti alle proprie pre-conoscenze.