CAPITOLO 3 D ISEGNO DI RICERCA
3.1 Quali percorsi fondano i processi di conoscenza di assessment?
3.1.1 Riflessioni sulle nostre teorie implicite
Nei capitoli precedenti abbiamo visto che la professione dell’assistente sociale si avvale di conoscenze esplicite e implicite, teoriche e pratiche per intervenire nei contesti sociali ove esiste una sofferenza o un disagio umano. Ciò facilita i processi di advocacy e di empowerment della cittadi-nanza e delle persone.
Lo sguardo professionale quindi è verso una dimensione bi-opsicosociale della persona e della società nel suo insieme (Folgherai-ter, 2002).
Nell’agire, l’assistente sociale considera la dimensione trifocale e mul-tidimensionale (Gui, 2004; Lazzari, 2008) del vivere umano inerente alla sfera della persona, della comunità e del sistema istituzionale.
Il campo d’azione riguarda il fronteggiamento dei bisogni delle persone e della comunità (Fargion, 2006) con un’attenzione alle risorse come mezzi per processare delle possibili risposte.
Il servizio sociale, inteso come disciplina, professione e metaistituzione nella sua valenza epistemologica, è stato definito come la sintesi “di ap-procci disciplinari diversi, per comprendere le cause multifattoriali dei bi-sogni e dei problemi delle persone e per possedere interpretazioni disci-plinari e interdiscidisci-plinari, che favoriscano il raggiungimento delle sue
fi-nalità primarie di aiuto alle persone in difficoltà e di contributo alla pro-mozione del benessere sociale” (Diomede Canevini, Neve, 2005: 592).
Tuttavia, il dibattito epistemologico attuale sul servizio sociale vorreb-be arricchire ulteriormente tale definizione disciplinare portando l’attenzione sulla necessità di distinguere tra il perseguimento di un’autonomia disciplinare dalla necessità di raggiungere concretamente un’autonomia professionale (Fargion, 2006).
Questa distinzione non conduce a una chiusura culturale o a una limita-zione del linguaggio professionale nel confronto con altri saperi discipli-nari ma è proprio la continua tensione alla “ricerca e l’identificazione di un sapere astratto e teorico del servizio sociale” (id., p. 35) che sancisce un processo di “rivendicazione” dell’autonomia professionale.
Riconoscere da parte nostra o comunque definire un “frame-work” (Fargion, 2006) dei diversi saperi che contribuiscono alla costituzione del sapere è un “saggio” atteggiamento del ricercatore per collocarsi dentro una disciplina e poterla “guardare”.
Allo stato attuale, ciò che ancora non ha consentito di definire un para-digma omogeneo della disciplina è che, fino a pochi anni addietro, l’agire professionale ha prevalentemente anticipato la riflessione in una profes-sione ancor “giovane” come quella del servizio sociale (Fargion, 2009).
L’accentuazione riflessiva poi, sulle tecniche piuttosto che sulle giusti-ficazioni epistemiche della disciplina, la separazione fino a non molti anni fa tra apparati della teorizzazione (i contesti della ricerca scientifica) e quelli della professionalità (la comunità professionale) come abbiamo vi-sto nei capitoli precedenti, non ha certo reso proficuo un incontro tra si-stemi della conoscenza e sisi-stemi della pratica (Parton, O’Byrne, 2005, Venturini, 2011).
L’agire professionale dell’assistente sociale, pur in apparenza sponta-neo a un osservatore esterno, contiene in sé una forma di intenzionalità pratica, tacitamente “teoretica” di un proprio modo di vedere gli scenari sociali di intervento (Crespi, 2007).
Ma quale è la “teoria” o le teorie sottese, i modelli che conducono all’azione?
Gli approcci teorici sorti all’interno della disciplina sono autonomi o dipendono dalle teorizzazioni delle scienze sociali dalle quali derivano?
È ancora credibile e applicabile la sintesi di teorie diversificate, pur di medio raggio, nel tentativo di delinearne una disciplina autonoma?
Come sarebbe possibile coniugare il tentativo di sintetizzare le discipli-ne in un’unica disciplina autonoma e avvertire, allo stesso tempo, l’esigenza di approfondire aree del sapere in una visione specializzata?
È possibile trovare modalità pratiche univoche in una realtà sociale sempre più complessa e che abbiano anche un comune substrato teorico?
Il dibattito epistemologico sulla disciplina in servizio sociale è tutt’ora aperto e ha attraversato i nostri pensieri riflessivi nell’impostazione della presente ricerca (Allegri, 2006).
Importanti e molteplici interrogativi richiedono approfondite ricerche per il prossimo futuro anche alla luce delle domande di cui sopra che at-traversano la comunità scientifica e professionale di servizio sociale.
Tuttavia illusoria sarebbe la “pretesa” di giungere a risposte globali “e-pistemiche” attraverso ricerche di servizio sociale “onnicomprensive”.
Si potranno raggiungere alcune risposte, parziali, con possibili ricerche mirate.
Nel libro Esercizi di stile (Queneau, 1987), attraverso un gioco lettera-rio, è presentato in novantanove versioni diverse un semplice episodio di un giovane che sale su un autobus affollato e incontra una persona.
Per la medesima scena figurata corrispondono molteplici descrizioni da parte di diversi osservatori.
Novantanove versioni offrono tipologie di discorso e variazioni retori-che retori-che sembrano descrivere altrettante diverse realtà.
Quando la realtà sociale (complessa) da descrivere, s’inserisce in un’ottica professionale (come quella dell’assessment), le cose diventano ancora più complicate e non c’è da stupirsi se due operatori usino argo-mentazioni descrittive non coincidenti per il medesimo fatto.
La necessità di usare termini e concetti più o meno appropriati (scienti-fici) per descrivere una realtà di servizio sociale (Fargion, 2002) si pone già da tempo, così come quella di osservare le pratiche di lavoro per co-gliere le diversità o le affinità nell’operare sulla medesima situazione o a-rea d’intervento.
Dobbiamo, quindi, guardare alla teoria in un’ottica non puramente spe-culativa, ma con sguardo pensante verso orizzonti creativi, aperti, pronti a cogliere l’inedito per “rafforzare il dialogo costante tra chi fa teoria e chi opera sul campo” (Neve, 2006: 26).
Alla luce di quanto fin qui esposto (e che rappresenta una parte impor-tante del dibattito che ci coinvolge all’interno della comunità scientifica e professionale di servizio sociale) era sorta in noi un’attesa iniziale (aspet-tativa tacita e poi esplicita) di ricerca: quella di cogliere nei contesti inda-gati, dei modelli di fatto che riflettessero gli aspetti teorici del costruttivi-smo e del costruzionicostruttivi-smo sociale come se questi fossero il riflesso opera-tivo professionale sotteso a una complessità sociale oggetto d’interventi.
Portando infatti, l’oggetto della ricerca sull’importante funzione dell’assessment, ci si aspettava (implicitamente) che tale modello sarebbe con immediatezza emersa, se presente, dai contesti di servizio sociale e-splorati.
L’assessment costruzionista, infatti, soppesa i vari dati, includendo an-che quelli an-che non necessariamente possono essere generativi o legati al problema, ma che nello scenario problematico costituiscono invece un da-to positivo nell’esistenza della persona. In tale ottica il ricercada-tore acco-glie quindi sia la verità storica (i dati oggettivi) riportata dagli attori sia la verità narrativa (i resoconti manifestati soggettivamente), anche se le due possono apparire contraddittorie. È la verità narrativa che comunque rite-nevamo sarebbe stata accolta, ascoltata e ricondotta a una verità storica.
In realtà, nell’intento di tenere traccia dei processi cognitivi di ricerca e in prospettiva di formulare un resoconto riflessivo è emersa in noi la con-sapevolezza della presenza di tale frame concettuale come vedremo più nello specifico (par. 3.1.4 La domanda di ricerca).