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CAPITOLO II: DINAMICHE DELLA RELAZIONE VIOLENTA

2.4 Le conseguenze della violenza

2.4.1 Le conseguenze sulla salute delle donne

Le dinamiche che caratterizzano la relazione violenta producono sulla donna effetti specifici che vanno ad aggiungersi ed amplificare quelli prodotti dall’impatto traumatico. E’ l’effetto devastante della violenza psicologica che, da sola o in associazione ad altre forme, è sempre presente nella relazione maltrattante.

Tab. n5- Conseguenze sulla donna della violenza psicologica.

LUI LEI CONSEGUENZE SULLA

DONNA Squalifica, denigra,

deride

Dubita delle proprie capacità e risorse

Perdita di autostima percezione di sé alterata sentimenti di inadeguatezza Limita la donna nelle

sue relazioni familiari e sociali e nell’autonomia

Rimane isolata Perdita del proprio punto di vista ed assunzione di quello del maltrattante

Attribuisce alla donna la responsabilità delle proprie esplosioni di rabbia Si colpevolizza, si sforza di assecondare e prevedere il maltrattante

Senso di colpa, vergogna, sentimenti di impotenza, disperazione, ideazione di suicidio Si pente, chiede perdono Minimizza, razionalizza, nega

Perdita della capacità di comprendere

l’intenzionalità delle dinamiche violente

Fonte: Confronto ed elaborazione di modelli operativi integrati per intervenire sulla violenza di genere. Corso di Formazione- Associazione Artemisia.

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La donna è annientata, confusa, sola, paralizzata dalla paura e lacerata dalla colpa (tanto più grave se sono presenti figli che si sente incapace di proteggere), ha perso la volontà, l’iniziativa e la capacità di progettare. Non ha più riferimenti ed ha perso la fiducia in sé, negli altri, nel mondo. E’ in balia del maltrattante senza riuscire ad immaginare una via di fuga. Nel protrarsi di questa drammatica condizione esistenziale il malessere psicologico può strutturarsi in specifiche sindromi psichiatriche e disabilità sociali. Inoltre, per le lesioni direttamente provocate dalle violenze fisiche e per azione della continua attivazione delle risposte neurovegetative di allarme legate allo stress cronico, anche il corpo si ammala.

Le ricerche dimostrano che nel susseguirsi e rinforzarsi di questi gironi infernali la donna sviluppa gravi disturbi depressivi (le donne abusate hanno un rischio 5 volte maggiore di soffrire di depressione delle altre donne) e ansiosi. La donna vive in uno stato di perenne allarme, con una sensazione incalzante di pericolo; ha costantemente paura, è fortemente turbata da pensieri ed immagini intrusivi delle violenze subite, flashback, incubi notturni e il suo umore diventa sempre più instabile; sviluppa gravi disturbi del sonno. Diversi studi dimostrano che le donne maltrattate dal partner presentano un rischio molto alto di sviluppare un disturbo post-traumatico da stress (PTSD). È stata riscontrata una importante correlazione positiva fra la potenza della violenza subita e la gravità dei sintomi di PTSD. È stata, inoltre, rilevata una correlazione estremamente significativa fra PTSD e ogni diversa forma di violenza domestica: l’aspetto psicologico della violenza domestica è la componente che maggiormente predispone al PTSD (Pico-Alfonso).

Da uno studio realizzato in Francia (Indagine Enveff, 2000) , su un campione di 6.970 donne è stata rilevata una grave sofferenza psicologica attraverso il General Health Questionnaire (più di 6 items positivi). E’ risultato che il rischio di tentativo di suicidio riguarda il 3% delle donne che avevano subito almeno un atto di violenza fisica, il 4% di coloro che avevano subito violenza sessuale e il 10% di coloro che avevano subito violenze fisiche e sessuali, contro lo 0,2% di coloro che non avevano subito violenza. (Fonte: Gender-based violence – NoiNo.org pdf) L’immagine che ne deriva, è l’immagine di una donna completamente nuda e prosciugata, deumanizzata, priva di ogni difesa, che si dà nella forma più estrema di

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fragilità assoluta, sprofondata in un abisso senza fine di disperazione e scoraggiamento. Sente di non farcela più, che non ha più senso fare qualsiasi cosa. Lenore E. Walker, nel 1983, concettualizzò la teoria della “Learned Helplessness”, sulla base del paradigma di Seligman (1975), dell’“Impotenza appresa”. Seligman, attraverso i suoi studi sulla depressione osservò che gli animali che vivevano in cattività, a cui veniva impedito di operare ogni controllo sugli stimoli dolorosi a loro diretti, sviluppavano un comportamento apatico e passivo paragonabile a quello che connota il “disturbo depressivo”. Gli animali avevano appreso che qualsiasi cosa facessero non avrebbe evitato loro di subire la scarica elettrica improvvisa. Inoltre, anche quando veniva lasciata la gabbia aperta non tentavano la fuga ed opponevano resistenza se si cercava di spingerli fuori.

Attraverso la “Teoria della disperazione appresa”, la Walker ha voluto spiegare il senso di paralisi ed anestesia sperimentato dalle donne vittime di violenza, all’interno di una relazione intima. La donna, che vive in condizioni di abuso, di fronte alle minacce di violenza o anche di morte, di fronte al senso di impotenza, quando sente di aver perso ogni forza o quando sente di non poter opporre alcuna resistenza, si arrende, si prostra, si annulla; vive aspettando la scarica elettrica improvvisa, il dolore che certamente arriverà e la punizione di colui che ormai possiede totalmente la sua vita, che è, a fasi alterne, carnefice e padrone capace di smisurato tormento; compagno premuroso capace di annullare qualsiasi angoscia. Di fronte a questi drammatici scenari, la donna, esausta, reagisce dissociando, allontanandosi dalla realtà, comportandosi come se le violenze non fossero più capaci di tirar fuori quelle emozioni e quelle reazioni che le situazioni di grave pericolo, solitamente, generano. La donna, completamente sola, incapace di qualsiasi genere di azione perché ha paura, perché ha perso ogni punto di riferimento esterno; ha perso il lavoro, ha allontanato amici e parenti, e spesso, addirittura, subisce biasimo sociale da parte della stessa famiglia di origine o anche dagli amici, è totalmente dipendente dal partner anche dal punto di vista economico. Paralizzata all’interno di una totale sottomissione e dipendenza ed incapace di riuscire ad immaginare una vita diversa, una vita migliore non è più in grado di interrompere la sua condizione di vittima ed uscire dalla spirale della violenza.

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La violenza è stata collegata a una quantità di problemi di salute, sia immediati sia a lungo termine. Oltre al fatto che la violenza presenta conseguenze sanitarie dirette, le lesioni, essere vittima di violenza aumenta anche per la donna il rischio di una cattiva salute in futuro. Alcuni studi mostrano come le donne vittime di abusi fisici o sessuali nell’infanzia o nell’età adulta sperimentino situazioni di malattia più frequentemente delle altre donne in particolare funzione fisica, benessere psicologico e adozione di comportamenti ulteriormente rischiosi, tra cui fumo, sedentarietà, abuso di alcool e di droghe.

Fig. n4- le conseguenze della violenza sulla salute della donna

Fonte: Biancheri R., a cura di (2014)16.

I costi diretti e gli effetti moltiplicatori economici sono le tipologie di costo che configurano dei costi immediati per il sistema. Si tratta dei costi dei vari servizi, pubblici e privati, che lo Stato, le stesse vittime e le aziende devono sostenere a seguito degli episodi di violenza contro le donne. Si tratta di:

• costi relativi alla salute delle donne (costi sanitari, per cure psicologiche, per il consumo di farmaci);

• costi relativi alla sicurezza delle donne e della collettività (costi per l’ordine pubblico, giudiziari, per le spese legali);

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• costi relativi all’assistenza delle vittime e dei loro familiari (costi dei servizi sociali dei comuni e dei Centri Antiviolenza);

• costi collegati alla perdita economica delle imprese e del sistema a seguito

della mancata produttività delle vittime,

I costi non monetari e gli effetti moltiplicatori sociali rappresentano una simulazione del costo umano, emotivo ed esistenziale sostenuto dalle vittime, dai loro figli e familiari. Includono l’impatto intergenerazionale della violenza sui bambini, l’erosione del capitale sociale, la riduzione della qualità della vita e della partecipazione nella vita democratica. Per quanto inadeguati a rappresentare effettivamente le conseguenze del dolore umano, tali categorie di costi tentano di quantificare con un riferimento numerico la perdita di potenzialità umane, sociali ed economiche dovute alla sofferenza. Aggiungere la dimensione economica e finanziaria all’istanza sociale di giustizia serve infatti ad aumentare la gamma di azioni nelle quali il quadro politico può essere articolato, stimolando una rilettura nelle priorità di spesa e di investimento.

Fig. n5 – Tipologia di costi sanitari.

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CAPITOLO III I DATI DEL FENOMENO: UNA