CAPITOLO V: GLI INTERVENTI E LE AZIONI DI PREVENZIONE NELLA REGIONE
5.2 Primo intervento: l’accoglienza
L’argomento del secondo capitolo, relativo alle dinamiche e agli effetti della relazione violenta, può aiutarci a individuare le dinamiche attraverso le quali una vittima diventa tale e, di conseguenza, comprendere le sue difficoltà e incertezze che si manifestano soprattutto con un senso generalizzato d’impotenza, inadeguatezza e dipendenza dall’aggressore.Le donne che subiscono violenza sono imprigionate in un processo confusivo e devitalizzante, “modificate” nella forma in cui sono state
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pensate dall’altro violento. Nella presa in carico della donna vittima di violenza il primo obiettivo è quello di contrastare la “logica violenta” portando alla luce i fatti e delegittimando le giustificazioni che, a volte, la donna stessa porta, in una sorta di protezione dell’aggressore visto anche come fragile e bisognoso.La prima risposta di cura consiste dunque nell’assumere una chiara posizione rispetto al fatto che niente può giustificare la violenza. Questa posizione fa sì che l’operatore intervenga come attivatore di un processo di “contro influenza” rispetto alla tendenza della donna a sopportarla. La donna inizialmente entrerà e uscirà dall’universo logico violento oscillando fra due dimensioni di pensiero, una in cui progetta scelte alternative alla relazione violenta, l’altra in cui sembra minimizzare, negare o giustificare la violenza stessa. Le persone in condizioni di coercizione, attraverso la dissociazione, la minimizzazione, la negazione e la razionalizzazione spesso imparano a modificare una realtà insopportabile sviluppando un pensiero doppio che condivide simultaneamente opinioni palesemente contraddittorie (Herman, 1992)22 .
Nello stesso tempo possono essere in contatto in modo alternato con percezioni di sé e della realtà più autentiche che producono sentimenti insostenibili d’impotenza, disperazione e senso di fallimento. Questi sentimenti spesso bloccano qualsiasi pensiero progettuale. L'accoglienza rappresenta un momento molto delicato. Occorre tenere presente che per la donna parlare della propria situazione è estremamente difficile: rivelarla può mettere a repentaglio la sua sicurezza. La donna teme di non essere creduta, prova vergogna, non ha fiducia in se stessa e nelle istituzioni. Nella relazione con la donna è quindi importantissimo il “fattore tempo” che possiamo suddividere in due dimensioni:
Il tempo dell’operatore: deve avere un tempo per accoglierla, un tempo per conoscere e per capire la situazione al fine di una corretta rilevazione del rischio, un tempo per pensare alle azioni da fare e alla elaborazione del progetto di intervento;
Il tempo della donna: deve avere il tempo per riuscire a “fidarsi” dell’operatore/operatrice, il tempo di poter raccontare la propria sofferenza e se ci sono quella dei propri figli, il tempo di capire i danni che la violenza
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domestica ha provocato a lei e se vi sono ai suoi figli, il tempo di riuscire a pensare lei stessa che può avere una vita diversa da quella che sta vivendo. In questo contesto un atteggiamento empatico e non giudicante permette alla donna di sentire che può contare su un aiuto e di pensare a possibili vie d’uscita dalla violenza. Ogni atteggiamento giudicante, sull’intenzione o decisione della donna di non lasciare il proprio partner, non fa che minare la sua fiducia e aumentare la sua condizione di isolamento. E’ importante che sia la donna a decidere di lasciare il proprio partner e che non le venga imposto o suggerito insistentemente da altri. La decisione di sporgere denuncia rappresenta una questione estremamente delicata per le donne,i sensi di colpa nei confronti del maltrattante, la paura di processi di vittimizzazione secondaria, l’incertezza della pena e il timore di eventuali ripercussioni, sono solo alcuni degli elementi che intervengono nella maturazione della scelta da parte della donna. A questi fattori “soggettivi” se ne aggiungono altri collegati al contesto normativo e territoriale (presenza protocolli, reti) in senso più ampio. Come riportato nelle rilevazioni statistiche la propensione alla denuncia non cambia nel corso del tempo, ma risente di alcune variabili. Anche in Toscana, in linea con le evidenze ISTAT, la denuncia è più forte tra le straniere, direttamente correlata alla presenza di figli coinvolti nella violenza e inversamente proporzionale alla “vicinanza” in termini di legame intimo-affettivo che intercorre tra la vittima e il maltrattante, variabile che condiziona l’atteggiamento delle donne ancor più della gravità fisica dell’atto. La denuncia è condizionata poi da variabili di contesto (quadro normativo, variabili territoriali – presenza reti, protocolli ecc). La maggior propensione a denunciare da parte delle straniere non dipenderebbe dal tipo di violenza agito nei loro confronti, quanto dalla mancanza di una rete di supporto, amicale e familiare, che le porterebbe a chiedere aiuto ai servizi. Per quanto riguarda le italiane, queste tenderebbero a denunciare più facilmente violenze come lo stupro o il tentato stupro se agito da stranieri non partner. Gli operatori, nel contatto con vittime di violenza cronica, possono percepire un’aderenza e un’ambiguità rispetto all’aggressore e, di conseguenza, reagire con rabbia volendo definire, diagnosticare in modo conclusivo, per il bisogno di sottrarsi al caos dell’indifferenziazione e all’impotenza (Bruno, 2005). Si può creare così una dinamica ri-traumatizzante che conferma la diffidenza della donna e la sua difficoltà di fidarsi. Accade anche spesso
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che nell’entrare in contatto, a qualsiasi titolo, con la violenza l’operatore tenda molto a negarla o minimizzarla. I meccanismi di difesa della negazione e della minimizzazione agiscono sia nella donna che subisce le aggressioni, sia nell’uomo che esercita la violenza, sia, anche, negli operatori che intervengono nei casi di maltrattamento. Avendo ben salda questa consapevolezza, per capire come intervenire correttamente con la donna che vive una situazione di violenza, per l’operatore è essenziale comprendere i suoi ed i propri vissuti emotivi.
Tab. n9-Reazioni emotive della donna e dell’operatore
ALCUNE POSSIBILI REAZIONI EMOTIVE NEL CONTATTO CON LA VIOLENZA
DELLA DONNA DELL’OPERATORE/TRICE
RABBIA per le aggressioni e le
umiliazioni subite
RABBIA per l’incapacità della donna di liberarsi da una
relazione violenta
PAURA di non saper gestire la
situazione, di non essere una buona madre, di non essere creduta, di non farcela senza di lui, di perdere i figli,
PAURA E SENSO DI COLPA per non sapere come intervenire
e per il timore di esiti fatali legati alle violenze, per il timore di essere coinvolto/a in procedimenti giudiziari
SENSO DI COLPA per non essere
riuscita ad evitare la violenza, salvare la famiglia, cambiare compagno
INDIFFERENZA O FORTE SENSO DI INGIUSTIZIA perché
ritiene di non dover intervenire o di intervenire oltre il suo ruolo e le sue funzioni
AMBIVALENZA E CONFUSIONE
perché la violenza proviene da chi è o è stato oggetto e fonte d’amore
FASTIDIO E COLPEVOLIZZAZIONE DELLA VITTIMA per il
carattere paradossale della situazione e per la forte ambivalenza della donna verso il maltrattante (amore e violenza)
NEGAZIONE delle violenze o della gravità
NEGAZIONE delle violenze o della gravità
PENA per l’aggressore che si pone
come bisognoso pentito e in difficoltà di fronte alla scelta della donna di andarsene
PENA per l’aggressore che si pone come bisognoso pentito e
in difficoltà di fronte alla scelta della donna di andarsene
Fonte: Confronto ed elaborazione di modelli operativi integrati per intervenire sulla violenza di genere. Corso di Formazione- Associazione Artemisia.
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Per l’operatore, conoscere lo scenario emotivo che può prodursi nell’incontro con la violenza è essenziale, da un lato, per prevedere le possibili reazioni della donna maltrattata e comprendere i suoi reali bisogni, dall’altro per gestire le proprie reazioni ed evitare errori che possano impedire l’instaurarsi di una efficace relazione d’aiuto o compromettere la correttezza dell’intervento.
Tab. n10-Comportamenti in reazione ai vissuti emotivi
POSSIBILI COMPORTAMENTI IN REAZIONE AI VISSUTI EMOTIVI
DELLA DONNA DELL’OPERATORE
IRRITABILITÀ, AGGRESSIVITÀ,
SFIDUCIA NELLA POSSIBILITÀ DI
INVIO A SCARICO O FALSO INVIO
SILENZIO, RIFIUTO DI
RISPONDERE ALLE DOMANDE
ELUSIONE DELL’ARGOMENTO, RICERCA DI
GIUSTIFICAZIONI PER LA VIOLENZA
CONFUSIONE NEL RIFERIRE I FATTI
OFFERTA DI AIUTO VINCOLATA A
DETERMINATE CONDIZIONI
TENDENZA A DELEGARE FORZATURA DEI TEMPI DECISIONALI DELLA
DONNA O TENTATIVO DI IMPORRE STRATEGIE NON CONDIVISE
Fonte: Confronto ed elaborazione di modelli operativi integrati per intervenire sulla violenza di genere. Corso di Formazione- Associazione Artemisia 2011 L’operatore deve saper stabilire una buona relazione ed orientare il proprio intervento tenendo presenti quali sono i bisogni della donna che vive una situazione di violenza.
La donna prima di tutto vuole essere creduta, sentirsi compresa , non giudicata e garantita nella riservatezza. Altro bisogno importante è essere rispettata nei tempi e nei modi del cambiamento oltre a ricevere informazioni chiare e precise.
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Creato un contesto relazionale attento ai bisogni della donna, l’intervento, al di là delle peculiarità legate al ruolo ed alle funzioni dei diversi operatori, deve seguire alcune regole base generali.
Parlare con la donna da sola e non in presenza di altre persone che l’accompagnano, sia che si tratti del partner, sia che si tratti di altra persona. La sola presenza di una terza persona può influenzare il racconto ed interferire con i processi decisionali. Presentarsi, fornire alla donna informazioni sui suoi diritti e sulla procedura che sarà seguita. E’ importante sottolineare la garanzia di riservatezza entro i limiti previsti dalla legge e tenere presente che a causa delle condizioni emotive della donna, la ricostruzione dei fatti può essere difficoltosa e richiedere tempo e per questo è meglio non fare domande chiuse che sollecitano una risposta affermativa o negativa, ma domande aperte. Nel progetto di aiuto è essenziale definire con chiarezza le possibilità ed i limiti dell’intervento che realisticamente si può effettuare e individuare insieme alla donna strategie a cui ricorrere in caso di situazioni di emergenza. Altro aspetto fondamentale è dare giuste informazioni alla donna sia sull’importanza della certificazione medica e sui termini della denuncia sia fornire informazioni ed eventuale materiale stampato sui centri antiviolenza e sui servizi territoriali a cui la donna può rivolgersi per ricevere aiuto. Il Centro Anti Violenza dell’Associazione Luna utilizza una scheda d’accesso, rivolta alle donne che prendono in carico inviate dal Pronto Soccorso, per rilevare la percezione delle donne sulla rete dei servizi. Da una prima rilevazione si può notare come l’aspetto di informazioni chiare sia ancora carente.