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I più recenti approdi giurisprudenziali in tema di lesione del diritto di autodeterminarsi.

Il principio di autodeterminazione in ambito medico-sanitario

5. I più recenti approdi giurisprudenziali in tema di lesione del diritto di autodeterminarsi.

Fin qui, si è tentato di indagare i contenuti dell’autodeterminazione con la sguardo teso a comprenderne natura e portata.

A questo punto, però, pare opportuno mutare ambito prospettico per rispondere ad un diverso ma altrettanto affascinante quesito: che tutela giuridica riceve oggi tale principio nel nostro ordinamento?

Rientra in una qualche voce di danno? E se si, in quale?

Qual è il rapporto tra danno da lesione del diritto di autodeterminarsi e danno alla salute o danno biologico?

Appare dunque interessante, a questo punto, se non forse, indispensabile verificare quali sono stati i più recenti interventi giurisprudenziali in tema di lesione del diritto di autodeterminarsi nell’ambito delle decisioni di fine vita.

Volendo sintetizzare i passaggi chiave che si sono appresi pare innanzi tutto doversi affermare con una certa certezza che il diritto di autodeterminazione è un diritto diverso dal “diritto alla salute”320.

319 P. RESCIGNO, Dal diritto di rifiutare un determinato trattamento sanitario cit., p. 93 ss.

320 Cfr. Cass. 9 febbraio 2010, 2847, con comm. Di M. GORGONI, in Resp.civ e prev., 2010, p. 1014

ss. osserva la Corte come esso rappresenta “ad un tempo una forma di rispetto per la libertà

dell’individuo ed un mezzo per il perseguimento dei suoi migliori interessi, che si sostanzia non solo nella facoltà di scegliere tra le diversi possibilità di trattamento medico, ma altresì, di eventualmente rifiutare la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla, atteso il principio personalistico che anima la nostra Costituzione, la quale vede nella persona umana un valore etico in sé e ne sancisce il rispetto in qualsiasi momento della sua vita e nell’integralità della

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La lesione del diritto di autoderminazione può configurarsi, infatti, anche in assenza di violazione del diritto alla salute, come accade, ad esempio, nell’ipotesi in cui venga svolto un intervento con esito assolutamente positivo321, ma in assenza di consenso. Tale violazione della volontà di autodeterminarsi può assumere rilievo ai fini risarcitori “quante volte siano configurabili conseguenze

pregiudizievoli che siano derivate dalla violazione del diritto fondamentale di autoderminarsi”322.

Tra queste ipotesi va ricompresa, ad esempio, il caso di pregiudizio che il paziente avrebbe preferito sopportare nell’ambito di scelte che solo a lui è dato di compiere, rifiutando, ad esempio, una trasfusione di sangue, un trattamento comportante acuto o cronico dolore fisico o un intervento che abbai salvaguardato la salute in un campo a discapito di un secondario pregiudizio sotto altro pure apprezzabile aspetto. Altra ipotesi può essere quella di turbamento o sofferenza che deriva al paziente sottoposto ad atto terapeutico dal verificarsi di conseguenze del tutto inaspettate perché non prospettate e, per questo, difficilmente accettate323.

L’autonomia del diritto all’autodeterminazione, “in sé stesso considerato”, è dunque declamata con forza, così come ferma appare la conclusione sul fronte della lesione: ne è predicabile l’esistenza anche qualora l’atto medico abbia avuto, nella sua componente tecnico-esecutiva, esito totalmente positivo324.

Dunque la configurabilità di una diversa terapeutica verso la quale il paziente si sarebbe potuto indirizzare, ove correttamente informato, va presa in

sua persona, in considerazione del fascio di convinzioni etiche, religiose, culturali, e filosofiche che orientano le sue determinazioni volitive”

321 Sempre Cass. 9 febbraio 2010, 2847, cit., fa notare come quando si parla di “esito positivo” si fa

riferimento all’ipotesi di trattamento sanitario correttamente eseguito, nella prospettiva della salute tradizionale, della salute standard; l’ “esito positivo” dell’atto medico non implica, dunque, la soddisfazione del malato il quale può, ad esempio, rimanere indifferente alla qualità esecutiva della prestazione medica, sia perché non ne è derivato benessere per il corpo, vuoi perché il suo interesse non risiede nel corpo. Ma mentre la prima evenienza rimane a carico del malato, che non può addossare al medico il mancato raggiungimento del risultato atteso se non configurandone l’adempimento e, dunque, la colpa secondo la tradizionale prospettiva dell’obbligazione di mezzi , la seconda si presta ad essere tradotta in termini di responsabilità a condizione che si ammetta la rilevanza di altri interessi in capo al paziente al di là della cura del suo corpo e che si ravvisano, di conseguenza, nella prestazione medica, contenuti di maggiore complessità rispetto alla sola cura del corpo. In questa prospettiva ben può ipotizzarsi che un atto medico correttamente eseguito e, dunque, perfettamente riuscito, se inteso nella sua dimensione ristretta, sia lesivo di altri valori che esso pur doveva preservare (nella sua dimensione allargata)

322 Cass. 9 febbraio 2010, 2847, cit, p. 1010 ss. 323

Cass. 9 febbraio 2010, 2847, cit, p. 1011 ss.

324 R. PUCELLA, Autoderminazione e responsabilità nella relazione di cura, Milano, 2010, p. 109 ss.;

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esame, ai fini del danno, nei termini di una lesione dei valori della persona e non della salute medicale.

Risulta, per altro verso, evidente che la stessa idea di danno non può concepirsi come meccanicamente limitata a definire un “effetto” , prescindendo dal contesto nel quale la prestazione medica si inserisce trovando la propria ragion d’essere.

La scelta terapeutica, infatti, presuppone sovente, la ricerca dell’opzione preferibile tra più alternative, gestite da un criterio di priorità non necessariamente indolore, nella ricerca di equilibri tra valori in gioco che, per definizione, può implicarne il sacrificio.

E’ improprio, allora, se è vero quanto fin qui osservato, parlare di danno alla salute se, una volta salva la vita del paziente, grazie all’intervento medico, residuano conseguenze pregiudizievoli di altro genere, ma preferibili, alla luce di quel bilanciamento di valori di utilità proprio di una valutazione finalizzata a conservare l’integrità fisica del soggetto malato.

Perchè all’atto medico, eseguito nel rispetto dei canoni deontologici, ma viziato sul pino del consenso, sia ascrivibile la perdita della salute del paziente è necessario utilizzare una nozione dilatata di salute, idonea a farvi rientrare altri valori della persona. Ma questo tentativo messo in opera in una certa epoca del percorso giurisprudenziale del danno biologico325 si dimostra infelice perché, pur fondato sul proposito di allargare la sfera dei valori oggetto di protezione oltre l’idea di salute medicale tradizionalmente intesa, alimenta un inestinguibile equivoco reso possibile dal significato ambivalente del concetto stesso di salute e perpetuato, altresì, dalla convenienza ad avvalersi, nella stima del danno, dei consolidati criteri che presiedono alla liquidazione della sua lesione.

Per tale ragione, l’intreccio tra patologie del consenso e lesione della salute si rivela infruttuoso e soprattutto non necessario apparendo preferibile inquadrare i profili del danno alla salute nel contesto dell’errore diagnostico-esecutivo, e misurando, per contro, l’impatto della violazione del diritto ad autodeterminarsi su quei valori della persona che, pur implicando la necessaria connessione con il bene salute, non si identificano, tuttavia, con esso.

Da due premesse ineccepibili – l’integrazione della gestione della salute nel diritto fondamentale ad autodeterminarsi e l’estensione dell’idea di salute all’unità della persona come corpo e mente – si cadrebbe in una conclusione logicamente infondata riferendo al bene salute, nel suo aspetto mentale o sociale, la lesione dei

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Massimamente a ridosso tra gi anni ’80 e ’90 con il proposito di evitare le strettoie imposte, al tempo, dall’art. 2059 c.c. ; doveroso il rinvio a G. ALPA, Il danno biologico, seconda ed., Padova, 1993, p. 44 ss.

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beni percepiti dal soggetto come fondamenti della propria persona, come la libertà o l’identità326.

L’offesa al bene salute non è , dunque, l’evento dannoso della violazione delle regole in tema di consenso: l’aggravamento delle condizioni di salute del paziente o la comparsa di una qualche patologia o disturbo in esito al trattamento medico non possono dirsi cagionati dall’atto terapeutico ove questo sia corretto e giustificabile sul piano deontologico; possono, ciò nonostante, entrare nel processo causativo del danno che è tuttavia altro327.

6. Consenso viziato e tutela dell’autodeterminazione.

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