• Non ci sono risultati.

Considerazioni finali

LEGISLATORE EUROUNITARIO

5. Considerazioni finali

Detto ciò, dopo aver evidenziato i dubbi emersi in merito ad un accoglimento automatico e acritico della più volte menzionata tesi prevalente, è anche corretto chiedersi se il Legislatore la abbia o meno accolta396, in specie mediante l’attuale previsione di cui agli artt. 48 e 49 Cod. cons., modificati dal D.lgs. n. 21/2014.

Se realmente la ratio legis fosse stata quella di seguire quanto il Supremo Consesso ha affermato ormai una decina di anni fa, non lo avrebbe forse espresso chiaramente? Ebbene, così non è stato, e pertanto sembra possibile considerare la quaestio ancora oggi aperta. In realtà, il problema maggiore riguarda i rapporti tra la buona fede e l’ingiustizia del contratto.

Per una parte della giurisprudenza, dalla prima non deriva una regola di “giustizia del contratto” che possa portare alla nullità, ma, ciononostante, recenti pronunce della Corte costituzionale, in materia di caparra confirmatoria397, hanno concluso nel senso per cui

396 Analizzata nello specifico al par. 2.3 del Cap. III.

397 Corte cost., ord. 2 aprile 2014, n. 77, cit.; e Corte cost., ord. 24 ottobre 2013, n. 248, in Giur. cost., 2013, pp. 3767 ss., con nota di F. ASTONE, In tema di riducibilità della caparra manifestamente eccessiva.

167

quando il contenuto della caparra appare manifestamente iniquo, la clausola sul punto è da ritenersi nulla, e questo non attraverso l’applicazione analogica della norma sulla penale eccessiva, bensì tramite l’analisi del contrasto del contenuto iniquo del contratto rispetto al canone della buona fede (la quale, quindi, diviene una regola di validità e di limitazione dell’autonomia negoziale).

Se tali pronunce sulla caparra fossero estese al di là del caso specifico, è evidente che la buona fede compirebbe un passo evolutivo notevole, divenendo una regola generale di validità del contratto.

La buona fede è normalmente fonte di regole di comportamento dalla cui violazione deriva responsabilità, salvo quanto afferma la Corte costituzionale nelle sentenze sulla caparra confirmatoria e salvo quanto affermano, in un importante obiter dictum, le Sezioni Unite nella pronuncia del 2016 sul contratto di assicurazione con clausole claims made398. Ed infatti entrambe le Corti giungono alla conclusione secondo cui la violazione della regola di buona fede, anche in assenza di una norma che diversamente qualifichi la regola di comportamento, possa costituire causa di invalidità del contratto.

Il rimedio individuato dalla Corte costituzionale e dalle Sezioni Unite è la nullità totale o parziale, cioè la caducazione totale del contratto, o la conservazione del medesimo (nullità parziale) con depurazione della clausola squilibrante.

Se la nullità tocca solo la clausola squilibrante, la nullità parziale diventa un rimedio caducatorio con effetto manutentivo, ossia di adeguamento del contratto, con l’effetto di ripristinare l’equilibrio dello scambio.

La causa della nullità è la violazione della clausola di buona fede, che in questa lettura è una regola di validità, e non di responsabilità.

Il principio di solidarietà sociale si riflette nella clausola di buona fede, che orienta e limita l’autonomia privata. Le parti, nell’esercizio della loro autonomia privata, hanno l’obbligo di comportarsi secondo buona fede, realizzando cioè uno scambio giusto, equo e proporzionato.

398 Cass. civ., 6 maggio 2016, n. 9140, in Foro it., 2016, I, pp. 3190 ss., con nota di R. SIMONE, Le sezioni

168

Un principio costituzionale, attraverso una clausola generale come quella di buona fede, va ad incidere direttamente sui rapporti privati: la norma costituzionale diviene norma precettiva.

“Solidarietà” vuol dire “buona fede”, e “buona fede” vuol dire “proporzionalità del rapporto”.

Un contratto secondo buona fede è un contratto proporzionato. Un contratto sproporzionato, quindi, è contrario a buona fede. Pertanto, da regola di comportamento la buona fede diviene regola di validità per valutare la sproporzione del contratto.

Ivi abbiamo quindi una prima forma, discussa, di invalidità, che deriva dalla violazione di una regola di buona fede, la quale però non è più regola di responsabilità ma regola di validità, e questo pur in assenza di una norma di legge che preveda espressamente in tal senso.

Eppure, ciò detto, nonostante le affermazioni della giurisprudenza e le petizioni di principio, si deve registrare l’assenza (almeno per ora) di reali applicazioni giurisprudenziali di tale forma di invalidità (derivante da una certa applicazione della regola di buona fede, in assenza di una norma che la qualifichi come regola di validità).

La stessa giurisprudenza se da un lato afferma che la regola di buona fede possa assurgere a regola di validità, dall’altro sostiene anche l’esatto contrario.

Nelle sentenze, in forza della regola di buona fede, si apre al sindacato generalizzato del giudice sullo squilibrio economico originario del contratto, e quindi ad un potere che è sempre stato considerato eccezionale.

Il rimedio ex bona fide è legale, caducatorio o con effetto conservativo (totale oppure parziale).

Tuttavia, si è da alcune parti ritenuto eccessivo il potere attribuito al giudice, poiché non limitato né perimetrato.

È questo il problema delle clausole generali. Quando il giudice va ad applicare una di esse, è ravvisabile un alto livello di discrezionalità, la quale ultima potrebbe anche divenire vero e proprio arbitrio.

Allora, la critica da muovere è proprio questa: la buona fede precettiva imperativa attribuisce al giudice un potere eccessivo, il quale finisce per operare contro l’autonomia negoziale.

169

Di conseguenza, si presentano esigenze tra loro contrapposte: da un lato, la libertà delle parti, dall’altro l’esigenza di giustizia sostanziale, dando al giudice uno strumento per poter reagire a contratti che sono ingiusti.

Si tratta di un bilanciamento difficile: se si espande il potere de quo, al contempo si comprime lo stesso potere del giudice.

Si tratta di una scelta di politica giudiziale. Se l’obiettivo è quello di garantire la giustizia contrattuale, bisogna accettare la limitazione dell’autonomia negoziale, ed anche che il potere del giudice entri nel merito delle scelte delle parti.

170 PARTE II

NUOVE FRONTIERE DELLA TUTELA CONSUMERISTICA: LA

Outline

Documenti correlati