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Prospettive future in tema di correttivi alla disclosure regulation

POLITICHE DI REGOLAZIONE E CONSUMATORI

4. Circa le tecniche di regolazione esperibili: la disclosure regulation tradizionale è (ancora) utile?

4.1. Prospettive future in tema di correttivi alla disclosure regulation

Nell’evoluzione storica, il perseguimento di un regime di concorrenza ha talvolta dato luogo a un eccesso di regolazione che non ha favorito l’efficienza economica, mentre, talaltra, lo stesso fine è stato perseguito attraverso una deregolazione oppure la

436 F. DI PORTO, Protezione ed empowerment del consumatore, cit.; N. RANGONE, Errori cognitivi e scelte

di regolazione, in Analisi Giuridica dell’Economia, 1, 2012, pp. 7 – 18.

437 G. GRISI, Gli obblighi informativi quali rimedio dei fallimenti cognitivi, in G. ROJAS ELGUETA – N. VARDI (a cura di), in Oltre il soggetto razionale. Fallimenti cognitivi e razionalità limitata nel diritto

privato, Roma, 2014, pp. 59 ss.

438 Si ricordi la distinzione tra “consumatore medio” e “consumatore esperto”.

439 G. GRISI, cit., p. 60: “Si constata che l’homo oeconomicus razionale e una favola, perche la realta rivela

che l’individuo agisce quasi sempre irrazionalmente, in balia di distorsioni cognitive che sovente inducono scelte assurde e/o controproducenti.”.

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soppressione di organismi pubblici. Le scienze cognitive possono tuttavia contribuire al miglioramento del procedimento che porta alla produzione della regolazione in genere440, e della disclosure regulation in particolare.

Ne consegue come il fenomeno della regolazione non sia sempre riuscito a finalizzare il risultato auspicato: le strategie risultano classificate secondo il grado di incisività sull’autonomia dei destinatari, e quindi sono distinte tra modelli più pervasivi, come il

command and control, incentrato su divieti o obblighi di definizione puntuale degli

standard di condotta dei regolati, fino ad altri, più conformi all’autonomia individuale (e più “vicini” ai reali destinatari), come è il caso della soft law441.

Fermi i rilievi di cui sopra, la riflessione deve ora concentrarsi sul tipo di regolazione auspicabile in relazione alla problematica della informazione, e quindi sulla sua carenza o manipolazione sul Mercato.

Tale obiettivo può essere raggiunto secondo vie tra loro differenti: tramite comandi imposti, mediante strumenti di indirizzo o incentivazione, o, ancora, tramite regole di comportamento per i privati (che vi si adegueranno di conseguenza).

Invero, sempre più strada si fanno tecniche nuove e attente alle caratteristiche eterogenee dei singoli consumatori, quale appunto il nudge442.

Le norme della regolazione intendono correggere, attenuare o compensare le asimmetrie fonti di un rapporto tra gli operatori sul Mercato che risulta squilibrato.

In questo senso è la information disclosure (o information sharing): “l’imposizione di

obblighi informativi a carico di imprese o di PA è compatibile con logiche di Mercato ed anzi è tra gli interventi regolatori quello che maggiormente lascia intatta l’autonomia dei destinatari dell’obbligo stesso di perseguire i propri interessi ed obiettivi.”443.

440 F. DI PORTO – N. RANGONE, Cognitive-based regulation: New challenges for regulators?, su

Federalismi.it, 2013; ID., Behavioural Sciences in Practice: Lessons for EU Rule-Makers, in A.L. SIBONY

– A. ALEMANNO (a cura di), Nudging and the Law, What can EU Learn from Behavioural Sciences?, Oxford, 2015, pp. 29 – 59.

441 F. DI PORTO, La regolazione degli obblighi informatici. Le sfide delle scienze cognitive e dei big data, Napoli, 2017, p. 23.

442 Di cui si è già accennato. Si v.: R.H. THALER – C.R. SUNSTEIN, Libertarian Paternalism, in 93 The

American Economic Review, 2, 2003, pp. 175 – 179 e ID., Libertarian Paternalismi Is Not an Oxymoron, in 70 Univ. Chicago L. Rev., 4, 2003, pp. 1159 ss.

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Invero, a risultati pari a quelli provenienti dalla funzione regolatoria finalistica è possibile pervenire grazie alla diffusione dell’informazione, e, in generale, a sperimentazioni coinvolgenti entrambe le categorie degli operatori sul Mercato.

Ebbene, a siffatto discorso si collega la diffusione della “comunicazione istituzionale”, volta a fornire una informazione a consumatori e utenti con funzione educativa, mirando a correggerne scelte e preferenze, ed incanalando le decisioni dei singoli verso esiti auspicabili per l’intera collettività.

In questo senso l’impostazione della recente nudge regulation (o “spinta gentile”)444 è destinata a indirizzare le scelte di consumo privato quale forma di “pungolo sociale” capace di orientare decisioni che promuovano il benessere degli individui.

Si tratta di una forma di regolamentazione ispirata al paternalismo libertario, dottrina politica che sostiene la possibilità di poter perseguire il benessere dei consociati senza però ostacolare la loro libertà di scelta.

L’economia comportamentale, interrogandosi su tali dinamiche, ha osservato che gli esseri umani:

1)utilizzano costantemente le “regole del pollice”, atte a facilitare le scelte in presenza di set informativi incompleti. Esse sono essenzialmente tre, e ad ognuna di esse è collegato un particolare bias: aggiustamento (basandosi su un dato conosciuto, si fanno aggiustamenti successivi fino ad arrivare al risultato ritenuto corretto); disponibilità (le scelte vengono compiute sulla base dei dati a disposizione del soggetto, i quali sono considerati a seconda della loro accessibilità ed importanza); rappresentatività (i processi cognitivi si affidano a stereotipi);

2)tendono all’inerzia, preferendo a non cambiare la propria situazione (c.d. status quo

bias);

3)in quanto animali sociali, sono facilmente influenzabili dalle scelte operate dagli altri. Secondo i sostenitori del paternalismo liberale, lo Stato – anziché obbligare i consociati a tenere determinati comportamenti, attraverso la minaccia della sanzione, dovrebbe individuare l’opzione preferibile per tutelare gli interessi dei consociati medesimi, senza però eliminare la loro libertà di scelta: ciò avviene attraverso un procedimento di opting

444 R. H. THALER – C.R. SUNSTEIN, Nudge. La spinta gentile. La nuova strategia per migliorare le nostre

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out, per cui l’ordinamento individua una serie di regole di default (essenzialmente, si

tratta di regole a carattere dispositivo), dalle quali i privati possono deviare. Con tale approccio si persegue il benessere dei consociati ma nel farlo non si impone alcun obbligo in capo ai privati.

In definitiva, il nudge deve considerarsi quale nuova via che lo Stato dovrebbe seguire intervenendo nell’economia, alternativa ad una regolamentazione fondata sul command

and control.

Da ultimo, lungo tale iter, ulteriore alternativa rispetto ad una stretta regolazione potrebbe derivare dall’impiego dei cosiddetti Big Data445, i quali permettono di individuare le preferenze degli utenti, e quindi i loro interessi, tramite osservazione delle scelte dei consumatori su siti Internet, social network e altre fonti.

Pertanto, l’interesse del consumatore, che viene in tal modo profilato, è al centro dell’analisi anche in tale prospettiva.

I Big Data sarebbero utili per addivenire a “disclosure personalizzate”, quindi basate sulle scelte dei consumatori, così potendosi conferire ad una determinata persona informazioni per certo precise e adatte, in quanto derivanti dalle sue stesse passate esperienze446: “dal

lato dei consumatori, affinchè questi possano ricevere le disclosure personalizzate e mirate da parte delle imprese, nel nostro ordinamento occorrerebbe che i cittadini prestassero il proprio consenso, ai sensi dell’art. 22 Reg. 2016/679, ad essere assoggettati a decisioni basate sul trattamento automatizzato dei dati, ferma restando la possibilità di optare per le disclosure dettagliate ed impersonali.”447.

445 In tema v. F. DI PORTO, La rivoluzione dei big data. Un’introduzione, in F. DI PORTO (a cura di), Big

Data e concorrenza, num. spec. di Conc. e merc., 2016, pp. 5 – 14; G. PITRUZZELLA, Big data, competition and privacy: a look from the antitrust perspective, in Conc. merc., 26, 2016, pp. 15 ss.; A. MANTELERO, Big Data: i rischi della concentrazione del potere informativo digitale e gli strumenti di controllo, in Dir. inform., fasc. 1, 2012; G. D’ACQUISTO – M. NALDI, Big data e privacy by design. Anonimizzazione, pseudonimizzazione, sicurezza, Torino, 2016.

Quanto alle analisi sul tema, v.: THE ASPEN INSTITUTE, The Promise and Peril of Big Data, David Bollier Rapporteur, Washington, 2010, in http:// www.aspeninstitute.org/publications/promise-peril-big-data; MCKINSEY GLOBAL INSTITUTE, Big data: The next frontier for innovation, competition, and

productivity, May 2011, in http://www.mckinsey.com/mgi/publications/big_data/; BOYD-CRAWFORD, Six Provocations for Big Data, in http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=1926431.

446 A. PORAT – L. STRAHILEVITZ, Personalizing Default Rules and Disclosure with Big Data, in 112 Michigan L. Rev., 2014, pp. 1417 – 1478.

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Dai rilievi sopra effettuati, riprendendo anche quanto detto in precedenza, nella prospettiva prettamente civilistica, si ricava come attualmente i tipi di disclosure che il Regolatore può adottare debbano in concreto basarsi sul modello della “regolazione differenziata”. Infatti, solo a seguito di un procedimento regolatorio trasparente e partecipato sia da imprese sia da consumatori il Regolatore sarà in grado di selezionare il tipo di disclosure più adatto ai diversi destinatari dell’informazione.

Attualmente non solo non è ancora pacifica la scelta tra l’azione di tutela della concorrenza e il ricorso, invece, a misure di regolazione, ma si prospetta problematica l’estensione dell’intervento qualora si opti per le modalità di natura regolatoria. Andrebbe valutata, infatti, la preferibilità di una regolazione generale rispetto ad una di tipo settoriale, per specifici Mercati.

Ciò detto, e comunque, probabilmente la soluzione al fallimento delle asimmetrie informative potrà essere raggiunta solo attraverso la combinazione, da un lato, di una sapiente opera educativa nei confronti dei consumatori (pur se da effettuarsi in più fasi, e quindi fortiori ratione progressivamente), in tal modo posti nella condizione di comprendere quale sia, per ciascuno, la scelta più conveniente da effettuare, e, dall’altro, dalla differenziazione del flusso informativo, secondo il tipo di consumatore cui si rivolge la singola informazione, secondo proporzionalità, e che sia costruito in base alla conoscenza che il Regolatore ha dei consumatori.

Per vero, nonostante si sia di recente acceso un dibattito circa il perimetro, più o meno esteso, degli obblighi informativi in fase di trattativa, si pone il problema sul se effettivamente la mera informazione possa considerarsi sufficiente, specie laddove si tratti di informazioni non facilmente comprensibili448.

Nello specifico, una strategia di educazione che permei l’intera società potrebbe incentivare la collaborazione tra controparti negoziali, consumatori e imprenditori.

È quindi necessario far emergere i reali interessi degli operatori, affinché tali soggetti possano, ciascuno, valorizzarli tramite una contrattazione consapevole.

448 E. BRODI, Dal dovere di far conoscere al dovere di far comprendere: l’evoluzione del principio di

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E tutto ciò considerando che pervenire ad una soluzione che sia realmente ideale, per un Mercato in condizioni di concorrenza perfetta, non è possibile: gli scambi economici conseguentemente riflettono la natura e le caratteristiche dei soggetti ivi coinvolti.

Pertanto, nell’ambito dei rapporti tra Economia e Diritto sarà auspicabile unicamente il migliore dei Mercati possibili, ove, (almeno nella maggioranza dei casi) i soggetti coinvolti siano tutti soddisfatti, e comunque restando fermi i rilievi sulla soluzione combinata di cui sopra.

191 CAPITOLO VI

PROFILI PROCESSUALISTICI. LA TUTELA DEI CONSUMATORI

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