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La tesi dell’annullabilità e i nuovi vizi del consenso

INFORMATIVI PRE-CONTRATTUALI

2. Introduzione alle diverse tesi elaborate a fronte della violazione di norme contenenti obblighi informativi

2.2. La tesi dell’annullabilità e i nuovi vizi del consenso

Giunti al bivio tra nullità e annullabilità, al fine di analizzare l’orientamento che accoglie tale secondo rimedio come soluzione al caso di violazione di obblighi informativi pre-contrattuali, è utile vagliare rapidamente le differenze che ai nostri fini interessano tra le due forme di invalidità.

Infatti, le cause di annullabilità del contratto, al contrario di quelle di nullità, sono, per tesi prevalente, tipizzate dal Legislatore, e come tali consistono nell’incapacità di agire e nei vizi del consenso (errore-vizio/motivo, dolo e violenza).

Inoltre, la nullità tutela un interesse generale, ossia l’interesse alla regolarità dei traffici giuridici (i relativi vizi infatti attengono alla struttura del contratto inteso come atto) ed inoltre opera contro l’autonomia privata, poichè quest’ultima ha dato vita ad un negozio lesivo di un interesse appunto generale.

All’opposto, l’annullabilità tutela un interesse particolare, o individuale, ossia posto in capo alla parte errante o alla parte che abbia subito il dolo o la violenza perpetrati dall’altra, e questo perché i vizi del volere hanno causato un deficit nel processo di formazione della volontà contrattuale.

Ebbene, proprio a fronte del verificarsi dei suddetti difetti, a seguito della violazione di norme prevedenti obblighi informativi pre-contrattuali, è previsto il rimedio dell’annullamento del negozio. In questa direzione, a riprova della commistione più volte menzionata tra regole di validità e regole di comportamento, possono essere citate diverse ipotesi. Anzitutto, il riferimento è al contratto di assicurazione, ove, in caso di dichiarazioni inesatte o di reticenza con dolo o colpa grave, si delinea l’annullabilità (art. 1892, comma 1, cod. civ.): “Le dichiarazioni inesatte e le reticenze del contraente, relative a circostanze

tali che l’assicuratore non avrebbe dato il suo consenso o non lo avrebbe dato alle medesime condizioni se avesse conosciuto il vero stato delle cose, sono causa di annullamento del contratto quando il contraente ha agito con dolo o con colpa grave.”.

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In secondo luogo, ex art. 1971 cod. civ., in tema di transazione su pretesa temeraria, è previsto l’annullamento se una parte, in mala fede, sia consapevole della temerarietà della pretesa.

Altro esempio è ascrivibile al caso dell’annullabilità del contratto di franchising, qualora una parte abbia fornito false informazioni (art. 8, L. n. 129/2004).

Se da un lato è evidente che si tratti pur sempre di previsioni expressis verbis predeterminate dal Legislatore, al contempo, e ciononostante, va nuovamente rammentato come nell’attuale ordinamento non vi sia alcuna norma a stabilire a priori che alla violazione di una regola di condotta mai possa conseguire l’invalidità del contratto. In generale, seguendo la tesi prevalente, in presenza di vizi del consenso non integranti gli specifici presupposti previsti dal Legislatore, si dovrebbe escludere che il contratto possa essere configurato come invalido (tanto nella forma della nullità quanto in quella della annullabilità).

Tuttavia, è forse possibile ragionare diversamente e, a tal proposito, il diritto consumeristico appare costituire un banco di prova rilevante.

Anzitutto, come si avrà modo di approfondire nel prosieguo290, la clausola generale di buona fede è da intendere quale norma imperativa dotata di eterogenee funzioni, costituente anche un inderogabile principio limitativo dell'autonomia privata.

Inoltre, e soprattutto, ai difetti del consenso tradizionalmente considerati si dovrebbero ritenere affiancati i cosiddetti “nuovi vizi del volere”, non integranti i presupposti previsti per i primi, ma tuttavia accomunati a questi dalla sussistenza di un abuso (commissivo oppure omissivo), tramite cui la controparte debole è indotta a concludere un contratto condizionato nell’an e nel quantum.

Ebbene, proprio i contratti stipulati in presenza di asimmetrie informative, se considerati nella loro generalità, rientrano nelle fattispecie de quibus.

Del resto, come è già stato evidenziato, nemmeno le sentenze a Sezioni Unite del 2007 hanno escluso la possibilità di una funzione invalidante delle infrazioni perpetrate rispetto a norme di comportamento, nelle forme tanto della nullità relativa quanto dell’annullabilità291.

290 Cap. IV, par. 4.

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In questa prospettiva, tuttavia, il punto di maggiore importanza attiene al possibile superamento della tipicità delle cause di annullabilità del contratto tramite la costruzione dei nuovi vizi del consenso292.

Al fine di valutare se tali difetti possano permettere di applicare il rimedio dell’annullabilità in caso di violazione degli obblighi informativi pre-contrattuali, è bene partire dall’analisi dei vizi classici e tradizionali, perimetrandone i confini, conseguentemente poi valicandoli. Come noto, è annullabile l’atto che sia espressione di un processo decisionale formatosi in maniera non corretta poiché falsato da circostanze esterne o interne al suo autore, quali la incapacità di intendere o di volere, l’ignoranza o la falsa conoscenza, l’inganno, i raggiri, e le gravi minacce.

È anzitutto da considerare il vizio-errore ex artt. 1427 ss. cod. civ.293: perché l’errore determini l’annullamento del contratto la legge richiede due presupposti, ossia l’essenzialità e la riconoscibilità dell’errore stesso da parte dell’altro contraente.

Dati i presupposti, nonché le conseguenze, dell’errore in materia contrattuale, si deduce come la legge in definitiva tuteli tanto la parte caduta in errore, quanto il secondo soggetto coinvolto: il negozio, infatti, non è annullabile se non è possibile qualificare l’errore come essenziale e riconoscibile usando la normale diligenza.

Ebbene, l’errore è essenziale quando sia riconoscibile da parte di un paciscente normalmente diligente e quado al contempo, in sua assenza, il soggetto errante non avrebbe concluso il negozio: tale elemento quindi riguarda un aspetto fondamentale dell’operazione in esame, quale la natura del negozio, l’oggetto di esso, oppure ancora una qualità dell’oggetto della prestazione o della parte contraente. Ratio di siffatta disciplina è stata individuata nel principio di affidamento, ossia nell’esigenza di tutelare la buona fede dell’altro contraente.

Qualora si tratti di un elemento la cui ignoranza non sia idonea a integrare gli elementi dell’errore essenziale, l’annullamento del contratto potrebbe comunque fondarsi sulla

292 Il quesito è stato recentemente oggetto di indagine: A. GENTILI – V. CINTO, I nuovi “vizi del consenso”, in Contr. impr., 1, 2018, pp. 148 ss.

293L’errore può essere di fatto o di diritto. Il primo consiste nella falsa percezione di una situazione (di fatto) che spinge il soggetto a stipulare un contratto che, invece, non avrebbe stipulato, o che avrebbe stipulato in modo diverso. L’errore di diritto, invece, consiste nella inesatta percezione della portata, dell’esistenza di norme giuridiche, e nell’applicazione della norma giuridica ad una situazione che essa non disciplina.

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riconduzione dell’omessa informazione alla fattispecie del dolo negoziale quale inganno che abbia determinato nella parte errante la scelta di concludere il contratto294.

Come tale, il dolo consiste in artifici e raggiri con cui un soggetto induce un altro in errore, spingendolo a stipulare un negozio cui, altrimenti, non sarebbe pervenuto (o cui sarebbe giunto ma a condizioni diverse).

Tra i comportamenti dolosi rientra la menzogna, se usata per nascondere o negare l’esistenza di elementi decisivi ai fini della negoziazione.

Si è discusso relativamente alla quaestio sulla rilevanza ai fini della configurazione del dolo omissivo del contegno reticente in capo ad uno dei contraenti, che consiste nel tacere volutamente aspetti che avrebbero indotto la controparte a non stipulare. In merito, dottrina e giurisprudenza sono giunte a soluzioni ondivaghe, ma l’orientamento prevalente e dominante sembra favorevole, pur se ne condiziona l’ammissibilità a determinati presupposti: l’esistenza di un obbligo informativo, la intenzionale violazione di esso, nonché il conseguente errore che abbia indotto la controparte a contrarre.

Quanto al loro accertamento, le difficoltà maggiori sembrano appuntarsi in ordine al secondo requisito, sulla intenzionalità della omessa informazione, la cui ricorrenza potrà comunque essere desunta da una adeguata considerazione delle circostanze concrete. Tale soluzione si espone ai rilievi solitamente formulati riguardo all’adeguatezza del rimedio dell’annullamento nell’ambito della contrattazione per condizioni generali ai fini di un’efficace tutela del contraente aderente. In particolare, l’esperibilità del rimedio dell’annullamento pone al contraente l’alternativa tra la rinuncia al contratto o l’accettazione delle condizioni stabilite da controparte.

Tuttavia, per evitare siffatta conseguenza (nel caso in cui sussista un prevalente interesse alla conservazione del contratto) potrebbe valere la configurabilità del “dolo incidente”295, che, in quanto fonte di responsabilità ex art. 1440 cod. civ., rende possibile, a titolo di risarcimento del danno, una correzione del contenuto economico dell’operazione.

Fermi i rilievi che precedono, la disciplina sugli obblighi informativi considera il concetto di errore non tanto come vizio del consenso quanto come situazione di fatto in cui si sia trovata la parte al momento della conclusione del contratto, situazione caratterizzata da una

294 V. ROPPO, Il contratto, Milano, 2001, p. 811.

295 F. SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1964, p. 169; A. TRABUCCHI, (voce) Dolo (dir. civ.), in Nov. Dig. it., VI, 1960, p. 151; C.A. FUNAIOLI, (voce) Dolo (dir. civ.), cit.

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falsa rappresentazione della realtà296. Occorre pertanto distinguere le ipotesi in cui la parte sia spontaneamente caduta in errore da quelle in cui, invece, vi sia stata indotta dalla controparte, così da individuare i rimedi esperibili, e quindi, esemplificativamente, l’annullamento del contratto e/o il risarcimento del danno. Pertanto, un ruolo fondamentale è ivi assunto dal requisito della colpevolezza.

Ciò detto, è possibile considerare le seguenti quattro prospettive297.

Anzitutto, se l’errore è scusabile e non riconoscibile secondo il criterio della normale diligenza298, i contraenti non potranno essere ritenuti in colpa, e le conseguenze negative, pertanto, dovranno ricadere su ciascuna di esse in base al principio di auto-responsabilità per il quale ubi commoda, ibi incommoda.

In secondo luogo, se l’errore è inescusabile e non riconoscibile, la non riconoscibilità dell’errore impedisce all’errante di chiedere l’annullamento del contratto (art. 1428 cod. civ.), poiché l’ordinamento tutela l’affidamento della controparte, che non avrebbe potuto riconoscere l’errore, nella validità del contratto.

Nella terza ipotesi, le parti sono entrambe colpevoli, posto che l’errore è inescusabile e riconoscibile da controparte. L’errante potrà domandare solo l’annullamento ex art. 1428 cod. civ., e non anche il risarcimento del danno, suddiviso tra loro.

Infine, nell’ultima fattispecie l’errante risulta essere del tutto incolpevole: l’errore è infatti scusabile e riconoscibile. Ivi pertanto, oltre all’annullamento del contratto, la parte potrà domandare il risarcimento del danno ai sensi dell’art. 1338 cod. civ., per cui “la parte che

conoscendo, o dovendo conoscere l’esistenza di una causa di invalidità del contratto, non ne ha dato notizia all’altra parte è tenuta a risarcire il danno da questa risentito per aver confidato senza sua colpa nella validità del contratto”.

296 G. AFFERNI, Il quantum del danno nella responsabilità precontrattuale, Torino, 2008, p. 162.

297 G. AFFERNI, La responsabilità precontrattuale per violazione di obblighi di informazione, in Trattato

della responsabilità contrattuale diretto da G. Visintini, Padova, 2009, pp. 736 ss.

298 Ai sensi dell’art. 1431 cod. civ., l’errore è riconoscibile quando in relazione al contenuto, alle circostanze

del contratto ovvero alle qualità dei contraenti, una persona di normale diligenza avrebbe potuto rilevarlo.

Sullo stretto nesso che lega il requisito di riconoscibilità al principio di tutela dell’affidamento, vedi M. MANTOVANI, “Vizi incompleti” del contratto, cit., pp. 202 – 203, per la quale “se infatti la regola di

riconoscibilità trova la sua ratio nell’esigenza di accordare protezione all’affidamento del destinatario della dichiarazione, tale esigenza viene meno ove quest’ultimo, pur potendolo, non abbia saputo rilevare l’errore. L’equazione in tal modo stabilita tra riconoscibilità e conoscenza ha poi condotto ad accentuare le assonanze con l’art. 1338 c.c., fino a configurare a carico di chi riceve la dichiarazione non tanto un onere di diligenza quanto un vero e proprio dovere di rilevare l’errore riconoscibile, la cui violazione troverebbe sanzione sul piano dell’annullamento oltre che su quello risarcitorio (ex art. 1338 c.c.)”.

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Ebbene, la differenza sostanziale tra l’errore e il dolo come vizi del consenso consiste nel fatto che in tale ultimo caso l’errore in cui cade la parte non è spontaneo ma è anzi indotto dalla controparte, tramite raggiri: il Legislatore non ha ivi ritenuto necessario tutelare l’affidamento della controparte nella validità del contratto, né richiedere l’elemento della essenzialità ai fini dell’annullamento. Il contratto è infatti annullabile anche nell’ipotesi in cui il dolo abbia causato un errore sui motivi.

Nell’ipotesi in cui i raggiri non siano stati tali da determinare il consenso, benché senza di essi la parte avrebbe concluso il contratto (che pertanto resta valido) a condizioni diverse, si delinea il dolo incidente (art. 1440 cod. civ.), che si differenzia dal dolo determinante esclusivamente per l’oggetto su cui cadono le conseguenze dell’inganno, oggetto che in tal caso sarà una qualche circostanza non essenziale ai fini della conclusione del contratto, e non, invece, per la natura o l’intensità dell’inganno.

Di estrema rilevanza è l’ultimo inciso della norma, laddove espressamente riconosce (ed è l’unica ipotesi in tutta la disciplina dei vizi del consenso) il risarcimento dei danni. Proprio tale disposizione ha costituito l’addentellato normativo per riconoscere la coesistenza tra responsabilità pre-contrattuale e persistente validità del contratto, obbligando il contraente in mala fede a risarcire i danni pur in presenza di un contratto valido.

La figura del dolo si estrinseca sia come vizio del volere (che comporta l’annullamento), sia come comportamento illecito, in quanto tale contrario alla regola di buona fede nelle trattative e nella formazione del contratto (giustificando il risarcimento dei danni). Di conseguenza, la stretta connessione con il dovere pre-negoziale di buona fede è di fondamentale rilevanza al fine di individuare i rimedi di volta in volta configurabili. La connessione tra dolo incidente e comportamento secondo buona fede induce a ripensare le possibili conseguenze derivanti da un contegno meramente omissivo della controparte. Si tratta di stabilire entro che limiti la “reticenza dolosa” su alcuni elementi del contratto possa essere ricondotta all’art. 1440 cod. civ.

Ebbene, a fronte della introduzione dell’art. 1337 nel codice civile, il ruolo del dolo omissivo è stato necessariamente rivalutato, essendo ormai pacifica la sua rilevanza giuridica quale comportamento contrario a buona fede.

Si deve pertanto considerare la sempre più diffusa consapevolezza nella dottrina circa l’esigenza di coordinare la normativa sui vizi del consenso, rapportandola alla disciplina

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della responsabilità pre-contrattuale e senza trascurare il principio di autonomia tra regole di validità e regole di comportamento.

Ad ammettere, infatti, che tra le due categorie di regole vi sia uno stretto collegamento, ben potrebbe affermarsi la possibilità che la reticenza “dolosa” assuma rilievo sul terreno dell’annullamento, e perché ciò avvenga, però, occorrerà accertare il nesso causale tra il contegno diretto a trarre in inganno e la conseguente induzione in errore di controparte. Qualora, invece, non si giunga all’accertamento di tali elementi (carattere doloso del contegno e nesso di causalità), la reticenza potrà rilevare sul piano risarcitorio, secondo quanto previsto dall’art. 1337 cod. civ.: un esempio si ha nel caso del semplice silenzio, che favorisce il mantenimento in errore della controparte, facendole concludere un contratto che non avrebbe concluso a quelle condizioni. Tale eventualità pone la problematica di individuare il punto di equilibrio tra il dovere di informare e l’onere di informarsi, da un lato, e tra il dovere di informare e il diritto di sfruttare a proprio vantaggio l’informazione acquisita.

Ebbene, conferendo all’elemento dell’informazione la qualifica di bene economico, sembrerebbe più corretto attribuire a chi ha sostenuto dei costi rilevanti il diritto di tenere per sé le informazioni, ma è anche vero che un simile ragionamento avrebbe senso solo per contraenti in una posizione di perfetta simmetria informativa. Pertanto, quando una delle parti sia un professionista e l’altra un consumatore, è ragionevole ritenere che per il primo sia più semplice (e non per forza dispendioso) reperire determinate informazioni, poiché sul Mercato come operatore professionale di quello specifico settore.

Al contrario, il consumatore, pur agendo con la diligenza richiesta, dovrà confidare nell’esattezza e nella completezza delle informazioni ricevute dallo stesso professionista. Concludendo, pertanto, si può sostenere che la parte vittima della violazione possa agire per domandare l’annullamento del contratto asimmetrico stipulato qualora vengano integrati gli estremi dei vizi del consenso ai sensi della disciplina di cui agli artt. 1427 – 1440 cod. civ., eventualmente insieme alla richiesta di risarcimento del danno.

Tuttavia, potrebbe accadere che il consumatore non sia nella posizione per chiedere l’annullamento: in questo caso l’ordinamento, in forza della reciproca autonomia delle due azioni, concede il diritto di scegliere di agire soltanto per il risarcimento dei danni, mantenendo in vita il contratto.

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In caso di nuovi vizi del consenso, essi realizzano fattispecie solo affini a quelle previste dai vizi classici. Pertanto, ci si chiede se sia legittimo estendere ai primi gli effetti a questi ultimi relativi.

In merito, si sono contrapposte due tesi, una favorevole alla suddetta estensione, ed una, invece, contraria.

Per certo, dati i dubbi emersi in dottrina, è possibile sottolineare l’ampiezza e la conseguente trasversalità della categoria dei vizi del consenso, che pertanto potrebbero essere in grado di disciplinare qualsivoglia situazione dubbia: “L’applicabilità dei vizi del

consenso alle problematiche inerenti i bias percettivi del consumatore nei contratti standard non è, tuttavia, del tutto priva di difficoltà: in particolare, sullo sfondo si agita la questione – invero ampia – relativa ai rapporti tra diritto civile e diritto dei consumi, e alla possibilità di applicare gli istituti tradizionali del codice civile ai contratti dei consumatori. (..) il diritto dei contratti – e, precisamente, la disciplina dei vizi del consenso – ben può essere chiamato a svolgere un ruolo di «cornice» ai rimedi previsti dal diritto dei consumatori, operando in tutte quelle situazioni nelle quali il vizio (ossia l’errata rappresentazione della realtà da parte del consumatore) dipenda non da raggiri o minacce della controparte, ma dalle oggettive modalità di svolgimento dell’attività professionale, avendo altresì a riferimento le caratteristiche dei contratti proposti ai consumatori.”299.

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