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Un nuovo ruolo per la buona fede?

LEGISLATORE EUROUNITARIO

4. Un nuovo ruolo per la buona fede?

Più specificamente, entro tale contesto, il tema che ora merita un puntuale approfondimento riguarda il (già menzionato) rapporto tra il rimedio della invalidità per

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mancato rispetto di obblighi informativi pre-contrattuali e la clausola generale di buona fede380.

Come noto, la bona fides è nell’impianto codicistico intesa sia come stato soggettivo in cui versa colui che ignora di ledere, con la propria condotta, l’altrui diritto (buona fede soggettiva381), sia come regola di comportamento (buona fede oggettiva382).

Numerosi sono i riferimenti normativi, ma in particolare l’art. 1337 cod. civ. esprime una tipologia di buona fede in senso oggettivo, affermando che “Le parti, nello svolgimento

delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede.”.

È interessante notare come tale clausola generale abbia assunto diverse forme, in aggiunta a quella tradizionale che (era ed) è incentrata sulla buona fede come criterio di valutazione delle condotte. Infatti, essa rileva anzitutto nel corso delle trattative.

In secondo luogo, la bona fides assume un ruolo fondamentale anche in sede di esecuzione del contratto, come espressamente previsto dall’art. 1375 cod. civ., secondo cui appunto “Il

contratto deve essere eseguito secondo buona fede.”.

Nel prosieguo, l’attenzione sarà incentrata altresì sulle diverse e ulteriori forme che la buona fede può assumere, poiché, in quanto clausola generale, è ben qualificabile come “polifunzionale”.

Eppure, dato il progressivo e recente rilievo rivestito dalle “clausole generali”383 (intese quali “finestre aperte sulla società”384, che consentono al testo della norma di “adattarsi,

oltre che alle peculiari esigenze del caso concreto, anche alle nuove esigenze sociali”385), si è riscontrato il rischio che, data la sua generalità e indeterminatezza, il principio di buona fede consenta le soluzioni più disparate, in specie laddove non sia individuato un riferimento in legge per gli istituti che si intendono legittimare386.

380 In generale sulla buona fede, v.: D. MESSINETTI, (voce) Abuso del diritto, in Enc. dir., Milano, 1998, agg. II; F. MESSINEO, (voce) Contratto (dir.priv.), in Enc. dir., IX, 1981, p. 890; S. ROMANO, (voce)

Buona fede (dir.priv.), in Enc. dir., vol. V, Milano, 1959; A. MONTEL, (voce) Buona fede, in Noviss. dig. it., II, Torino, 1958, pp. 598 ss.; R. SACCO, La buona fede nella teoria dei fatti giuridici di diritto privato,

Torino, 1949.

381 Si pensi agli artt. 1147, 1152, 1153, 1155, 1157, 1159 – 1162, 1415 – 1416, 1445, 2033 cod. civ.

382 Il riferimento è agli artt. 1358, 1366, 1375 e 1460, comma 2 cod. civ.

383 V. per esempio ID., Buona fede oggettiva e trasformazioni del contratto, in Riv. dir. civ., I, 2002.

384 S. RODOTA’, Il tempo delle clausole generali, in Riv. crit. dir. priv., 1987, p. 718.

385 E. FABIANI, (voce) Clausola generale, in Enc. dir., Annali V, Milano, 2012, p. 247.

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Ciò detto, si considerino le funzioni della buona fede387. Attualmente, infatti, tale principio può essere inteso in funzione integrativa388 (come fonte di obblighi), in funzione correttiva del regolamento contrattuale, o, ancora, in funzione limitativa (appunto quale limite all’esercizio di un diritto389). Vieppiù, la regola de qua390 fonda il potere del giudice di valutare l’equilibrio economico originario del contratto.

Ebbene, il primo (tradizionale) ruolo attribuibile alla buona fede consiste nell’essere quest’ultima una clausola generale da cui derivano norme di condotta imponenti determinati comportamenti ai fini dell’adempimento dell’obbligazione, quindi configurate anche come un criterio di valutazione delle condotte.

Inoltre, come accennato, la buona fede può essere intesa quale autonoma fonte di obbligazioni, ed è pertanto un criterio di determinazione delle condotte: il principio solidaristico ex art. 2 Cost., infatti, non è il solo criterio di valutazione delle condotte391, essendo ormai pacifico, ad una lettura aggiornata dell’art. 1375 cod. civ., che il contratto

387 F. BUSNELLI, Note in tema di buona fede ed equità, in Riv. dir. civ., 2001, I, p. 537.

Quanto alla buona fede considerata in riferimento al sindacato sulla clausola contrattuale, con riguardo all’art. 33 Cod. cons., v. L. BIGLIAZZI GERI, in C.M. BIANCA – F. BUSNELLI (a cura di), Commentario al capo

XIV-bis del codice civile: dei contratti del consumatore, in Nuove leggi civ. comm., 1997, sub art. 1469-bis,

comma 1°, p. 798.

388 A riguardo v. G. ALPA, La buona fede integrativa: note sull’andamento parabolico delle clausole

generali, in Il ruolo della buona fede oggettiva nell’esperienza giuridica storica e contemporanea. Atti del

convegno internazionale di studi in onore di A. Burdese, L. GAROFOLO (a cura di), I, Padova, 2003, pp. 155 ss.

In tema di contrapposizione tra funzione integrativa e funzione valutativa della buona fede si vedano, a favore della prima, C. CASTRONOVO, (voce) Obblighi di protezione, in Enciclopedia giuridica Treccani, XXI, Roma, 1990, pp. 1 ss. e G. VISINTINI, Inadempimento e mora del debitore, in Commentario Schlesinger, Milano, 1987, pp. 239 ss. Invece, a favore della funzione valutativa della clausola generale de qua si vedano: E. NAVARRETTA, Diritti inviolabili e risarcimento del danno, Torino, 1996, pp. 179 ss., U. BRECCIA, Le

obbligazioni, in G. IUDICA – P. ZATTI (a cura di) Trattato di diritto privato, Milano, 1991, pp. 355 ss.; L.

BIGLIAZZI GERI, (voce) Buona fede nel diritto civile, in Dig. disc. priv., sez. civ., vol. II, Torino, 1988, pp. 172 ss.

389 Di qui, il problema dell’abuso del diritto come esercizio del diritto oltre il limite consentito dalla legge. Sembrerebbe essere questa la tipologia di buona fede cui fa riferimento la recente sentenza Sezioni unite, 19 ottobre 2017, n. 24675, sulla usura sopravvenuta.

390 Per una definizione di buona fede v. F. BENATTI, (voce) Responsabilità precontrattuale (diritto civile), in Enc. giur. Treccani, XXVII, 1991, pp. 1 ss.; ID., Osservazioni in tema di doveri di protezione, in Riv. trim., 1960, pp. 1342 ss.; V. CUFFARO, (voce) Responsabilità precontrattuale, in Enc. dir., XXXIX, Milano, 1988, pp. 616 ss.

391 La buona fede imporrebbe obblighi comportamentali diversi da quelli previsti ma a tutela del medesimo interesse del creditore dedotto in contratto. Sono obbligazioni di prestazione, in quanto relative allo stesso interesse contrattuale.

La buona fede serve poi anche a evitare che nel corso dell’esecuzione della prestazione il creditore subisca una lesione a interessi patrimoniali o non patrimoniali diversi da quelli contrattualmente dedotti. La tutela è nei confronti di beni patrimoniali o personali e di diritti anche fondamentali della persona diversi da quelli in contratto. Si parla di “obblighi di protezione”, aggiunti agli “obblighi di prestazione”.

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obblighi, oltre a quanto previsto in contratto, anche alle prestazioni derivanti dalla legge, dagli usi nonché a quelle derivanti dalla stessa buona fede. In tal modo è possibile corredare l’oggetto del rapporto obbligatorio di una serie di doveri accessori, i quali, per la maggior parte, non sono espressamente citati dal Legislatore e, pertanto, trovano fondamento nel principio stesso di buona fede392.

Di conseguenza, la buona fede è fonte di integrazione del contratto, che non stabilisce solo “come” adempiere all’obbligazione, ma anche “quali” siano le obbligazioni da eseguire. La suddetta funzione di integrazione è a tutela dell’interesse della controparte del contratto, ma anche di interessi diversi (da quello dedotto) di controparte, e forse anche a tutela di soggetti diversi dalle parti che siano però in situazione di prossimità rispetto alla prestazione.

In terzo luogo, si riscontra una funzione limitativa della clausola, intesa a conformare il contenuto del diritto e a perimetrarne l’esercizio: essa si traduce nell’istituto connesso e consequenziale del divieto dell’abuso del diritto, che in Italia non è codificato, ma ben può considerarsi immanente al principio di buona fede medesimo.

Infine, da ultimo (ma non ultima), è bene sottolineare che la funzione della buona fede quale parametro di validità del contratto.

Secondo tale specifica posizione, un contratto connotato da contenuto contrario a buona fede, in quanto squilibrato e quindi “ingiusto”, è di per sé nullo per difetto di causa o per violazione di norme imperative.

Pertanto, sarebbe registrabile un ulteriore passaggio evolutivo relativo alla “transcodificazione” del principio generale di buona fede da regola di comportamento a regola di validità dell’atto, ossia come regola tale per cui un contratto che si ponesse in contrasto con essa (ingiusto o sproporzionato) sarebbe di per sé nullo, e dunque invalido nonché inefficace.

Come noto, in virtù dell’approdo cui sono pervenute le Sezioni Unite nel 2007, la elevazione della buona fede a regola attizia risulterebbe scongiurata in caso di buona fede pre-contrattuale o di buona fede esecutiva. Ed infatti, forse, accogliere questo pensiero sarebbe rischioso, posta la rilevanza del principio di certezza del diritto che permea il nostro

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ordinamento, in quanto sarebbero minate le fondamenta del sistema giuridico, ed in particolare la disciplina delle invalidità393.

Per vero, la dottrina che individua nella buona fede il fondamento unitario delle regole di invalidità e di comportamento arriva alla conclusione secondo cui le ipotesi di invalidità, oltre a quelle previste dal Legislatore, sarebbero un numero pari alle possibili combinazioni di un vizio incompleto o di un non vizio più la violazione della correttezza da parte dell’altro contraente.

In effetti, dalle considerazioni fin qui svolte appare condivisibile la tesi che sostiene come sia “necessario privilegiare delle soluzioni non già esclusiviste, ossia orientate ad

affermare che la responsabilità precontrattuale è idonea ad incidere o soltanto sul risarcimento o soltanto sulla validità, bensì una prospettiva capace di analizzare gli interessi e porre in evidenza che anche l’inesatta o la mancata informazione, ad esempio, può, talvolta e ‘in funzione della rilevanza che essa riveste nel caso concreto (..) sia incidere soltanto sul risarcimento, sia incidere sulla validità, senza che debba esser letta e considerata in chiave di vizi della volontà, sia coniugare invalidità e risarcimento. La questione quindi deve essere risolta con ragionevolezza, secondo una ‘valutazione equitativa’ tipica (anche se non esclusiva) del common law (..).”394.

Ed infatti, soltanto ragionando nel solco dell’interesse protetto nel caso di specie, tra la fase pre-contrattuale e quella in cui si estende l’area del valore, è possibile individuare il rimedio più adatto alla fattispecie de qua.

Ed allora, ove si sia in presenza della violazione della regola di buona fede, essa ben potrebbe anche considerarsi non mera regola di condotta ma anzi regola di validità: in tal caso, la violazione del principio di buona fede comporterebbe non soltanto il monolitico rimedio del risarcimento del danno, ma anche, secondo le circostanze e le istanze di tutela, conseguenze diverse quali la invalidità del contratto o la finzione di avveramento395. Del resto, in assenza di una norma ad hoc che espressamente preveda la sanzione da applicare, è fortiori ratione necessario analizzare l’influenza operata dal comportamento tenuto da una delle parti sul regolamento contrattuale.

393 G. PERLINGIERI, Regole e comportamenti, cit., pp. 69 – 70.

394 ID., cit., p. 95.

395 G. PERLINGIERI, G. PERLINGIERI, L’inesistenza della distinzione tra regole di comportamento e di

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Da un lato, la indeterminatezza nel contenuto propria della bona fides ha posto all’interprete la necessità di specificare i comportamenti cui le parti sono tenute per osservarne il precetto: sono comportamenti tipici, tali da fornire al giudice una serie di regulae iuris applicabili ai casi concreti. Pertanto, si è rilevato che la buona fede imponga alla parte forte di informare l’altra riguardo alle circostanze rilevanti per l’operazione contrattuale, e questo tanto nella fase delle trattative quanto in quella in executivis.

Dall’altro lato, però, la regola della buona fede richiede comportamenti diversi in relazione alle concrete circostanze della fattispecie di volta in volta considerata, ciò comportando che il giudice debba valutare se il comportamento di una parte costituisca violazione di un obbligo di informazione e sia fonte di responsabilità.

Anzitutto, è necessario vagliare il tipo di circostanza non divulgata all’altra parte: questo tipo di accertamento è diretto a comprendere se una determinata disposizione, destinata ad uno specifico caso o di portata generale, imponga o vieti la disclosure di quella circostanza. Qualora il dato de quo non sia stato individuato dal Legislatore (né, quindi, posto quale oggetto di un espresso obbligo di comunicazione), spetterà al giudice il compito di valutare la doverosità della relativa comunicazione.

Ebbene, ove siffatto controllo abbia esito positivo, constatandosi quindi che l’informazione si sarebbe dovuta divulgare, bisognerà pertanto anche comprendere se la comunicazione in esame avrebbe condotto la controparte a non concludere il contratto o invece a concluderlo benchè a condizioni differenti (e migliori).

Nel primo caso, oltre al riconoscimento dell’esperibilità dell’azione di risarcimento dei danni subiti in favore del soggetto leso, per alcuni si potrebbe configurare anche l’invalidità del contratto per errore o per dolo (fattispecie che, però, sarebbe condizionata non solo dalla necessaria presenza di tutte le condizioni poste dalla legge per l’annullamento per errore o per dolo, ma anche dall’incertezza intorno alla capacità del mero silenzio di costituire raggiro).

Con riferimento alla seconda ipotesi, vi sarebbe la possibilità di azionare il risarcimento dei danni, salvo che la vicenda sia inclusa entro un diverso trattamento normativo, passando ad esempio da mero illecito pre-contrattuale ad illecito di tipo invece contrattuale.

Il giudizio deve comunque essere condotto verificando l’incidenza della circostanza taciuta proprio sugli interessi della persona concreta, posti alla base del suo agere.

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Fermi i rilievi espressi, la valorizzazione della buona fede come parametro di validità del contratto potrebbe assumere un ruolo fondamentale nella individuazione del rimedio contrattuale che sia maggiormente adatto per tutelare il consumatore: del resto, lo scopo ultimo delle clausole generali è proprio quello di intervenire laddove il Legislatore non abbia predeterminato la soluzione, adeguando lo strumento giuridico alla fattispecie concreta.

In questo senso, ove il consumatore avesse interesse a mantenere il contratto, sarebbe necessario ri-equilibrarlo (responsabilità pre-contrattuale, secondo il terzo modello di responsabilità), con conseguente risarcimento del danno; qualora, invece, il consumatore non avrebbe stipulato il contratto se a conoscenza della asimmetria informativa, in mancanza di interesse a mantenere tale negozio, il rimedio della responsabilità pre-contrattuale si rivelerebbe, giocoforza, non soddisfacente, dovendo rivolgere lo sguardo altrove e, nello specifico, al terreno della invalidità.

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