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La teoria duale (o segmentata) del mercato del lavoro

Capitolo Secondo LE TEORIE MIGRATORIE

2.1 L’avvio delle migrazioni internazionali L’ approccio economico neoclassico

2.1.3 La teoria duale (o segmentata) del mercato del lavoro

I modelli neoclassici sono stati criticati per la loro salda attenzione ai differenziali salariali tra paesi di partenza e paese di accoglienza e alle motivazioni economiche dei potenziali migranti. Da ciò si deduce che il beneficio economico non è l’unica motivazione che porta alla migra- zione e questa non può essere ridotta a semplici differenze nei salari e nell’occupazione. Un altro tentativo di introdurre nell’indagine economica altri fattori è stato fatto, negli anni Settanta, dalla teoria duale del mercato del lavoro. L’idea di fondo di questa teoria è che non esiste un unico mercato dove i lavoratori e le imprese liberamente offrono e domandano lavoro, ma mercati distinti dai confini difficilmente permeabili per ragioni legate al contesto sociale e istituzionale dentro la quale gli attori economici agiscono.

Questa teoria si oppone a quella neoclassica attribuendo il ruolo determinante alla domanda di lavoro da parte delle imprese dei paesi di accoglienza e pone l’accento sull’importanza dei

59 fattori istituzionali, razziali e di genere, nel determinare la segmentazione del marcato del lavoro172.

Michael J. Piore173 è stato il sostenitore più forte di questo punto di vista teorico, sostenendo che la migrazione internazionale è causata da una domanda permanente di manodopera im- migrata, inerente alla struttura economica dei paesi sviluppati. L’idea di fondo è che l’immi- grazione non è causata dai fattori di repulsione (push) dei paesi di origine174, ma bensì dai fattori d’attrazione (pull) dei paesi di accoglienza, un bisogno cronico ed inevitabile di lavo- ratori stranieri. L’arrivo e l’insediamento di lavoratori migranti sono tributari delle politiche di reclutamento attivo messe in atto dai paesi d’immigrazione (come in America e in Europa, qualche decennio fa, e più recentemente nei paesi medio-orientali di nuova immigrazione); ma, una volta arrivati, i flussi tendono a perdurare nel tempo, rifornendo di manodopera immigrata le economie ricche.

Si presentano quattro caratteristiche delle moderne società industriali175:

• inflazione strutturale: i salari non riflettono solo le condizioni di domanda e di offerta bensì divengono delle determinanti per conferire anche status e prestigio sociale. Una varietà di aspettative sociali informali e di meccanismi formali176 garantiscono che i salari corrispondano alle gerarchie di prestigio e status dove le persone ideal- mente aspirano di appartenere. Perciò, se i datori di lavoro cercano di attrarre ma- nodopera per i lavori dequalificati (unskilled), essi non possono semplicemente al- zare il salario in quanto questo provocherebbe scompiglio nei rapporti socialmente codificati tra remunerazione e status sociale; gli aumenti salariali devono quindi av- venire proporzionatamente lungo tutta la scala gerarchica delle occupazioni al fine di mantenerla in linea con le aspettative sociali;

• problemi motivazionali: la gerarchia occupazionale costituisce un aspetto critico anche per i lavoratori in quanto le persone lavorano non solo per avere un reddito ma anche per l’accumulazione e il mantenimento di uno status sociale. Problemi moti- vazionali sono particolarmente critici nell’ambito dei lavori posti alla base della scala

172 S. Castles and M. J. Miller, L’era delle migrazioni. cit. p. 47 173 L. Zanfrini, Sociologia delle migrazioni. cit. p. 89

174 Cioè bassi stipendi o disoccupazione elevata

175 D. S. Massey et al, Theories of International Migration. cit. pp. 441-443

60 gerarchica dove non esiste uno status da mantenere e dove sono scarse le opportu- nità di una mobilità ascendente. Il problema è ineludibile e strutturale in quanto il gradino inferiore della scala gerarchica non può essere eliminato dal mercato del lavoro. I datori di lavoro hanno bisogno di manodopera che considera le occupa- zioni socialmente meno appetibili come un mezzo per guadagnare senza alcuna im- plicazione di status o di prestigio. Per una serie di motivi gli immigrati soddisfano a questo requisito almeno agli inizi della loro esperienza migratoria: in tale fase la mag- gior parte degli immigrati cerca di guadagnare del denaro -target earners- per realiz- zare determinati obiettivi che accrescono il loro status in patria (costruzione di una casa, istruzione dei figli, acquisto di terreni o di beni di consumo): spesso l’immigrato vede se stesso come membro della comunità d’origine dove il lavoro all’estero e le rimesse danno onore e prestigio;

• demografia dell’offerta e della forza lavoro: il problema delle motivazioni e dell’inflazione strutturale, inerenti alle moderne gerarchie occupazionali, creano una domanda per- manente di lavoratori disponibili a lavorare in condizioni disagevoli, con bassi salari, in modo instabile e con poche possibilità di mobilità ascendente. In passato questa domanda veniva soddisfatta da due insiemi di persone: le donne e i giovani, nelle società industriali avanzate queste due fonti di approvvigionamento di forza lavoro si sono andate esaurendo a causa di tre fenomeni socio-demografici: l’aumento della partecipazione delle donne al mercato del lavoro (lavoro femminile inteso come car- riera da perseguire in funzione di obiettivi di status e di capacità reddituali), l’au- mento dei divorzi (lavoro femminile come fonte primaria di reddito), il declino delle nascite e la diffusione dell’istruzione (calo della consistenza delle generazioni in cerca di prima occupazione). Lo squilibrio tra la domanda strutturale, per certe tipologie di occupazioni (entry - level workers), e la carenza dell’offerta di manodopera nazio- nale ha prodotto un aumento intrinseco e a lungo termine della forza di lavoro stra- niera;

• dualismo economico: la biforcazione dei mercati di lavoro è una caratteristica dell’eco- nomie dei paesi sviluppati a causa del dualismo tra lavoro e capitale. Quest’ultimo costituisce un fattore produttivo fisso che può essere reso inattivo abbassando la domanda, mentre il lavoro è un fattore produttivo variabile che può essere rilasciato quando la domanda cade. Gli imprenditori cercano di isolare la porzione permanente di domanda, alla quale vengono riservati gli investimenti in attrezzature, mentre la

61 porzione variabile della domanda viene soddisfatta attraverso l’aggiunta di mano d’opera. Nel settore produttivo capital intensive i lavoratori dispongono di una occu- pazione stabile, qualificata e aggiornata in funzione dell’evoluzione tecnologica delle apparecchiature produttive (formazione del capitale umano nelle aziende). A questo settore “primario” della produzione (capital intensive primari sector) si affianca un settore “secondario” (labor intensive secondary sector) dove la fluttuazione del ciclo economico si concilia con una instabilità dei rapporti di lavoro. L’intrinseco dualismo tra capitale e lavoro si riflette sul mercato del lavoro sotto forma di una struttura occupazionale segmentata. I lavoratori all’interno del mercato del lavoro primario sono selezionati sulla base del capitale umano, ma spesso anche perché appartenenti al gruppo etnico presente in maggioranza, di sesso maschile e, nel caso dei migranti, con status giuri- dico regolare. Mentre chi fa parte del mercato del lavoro secondario è svantaggiato per mancanza d’istruzione e formazione professionale, oltre che per sesso, razza, minoranza e status giuridico irregolare.

Queste caratteristiche sono particolarmente evidenti nelle città globali, ovvero le metropoli (negli Stati Uniti, le città globali includono New York, Chicago, Los Angeles e Miami; in Europa, includono Londra, Parigi, Francoforte e Milano; e nel Pacifico, Tokyo, Osaka e Syd- ney) che, operando come punti direzionali di organizzazione dell’economia globale, come località chiave per le società di servizi, finanziare e specialistiche, come luoghi di produzione -comprendendo in ciò anche la produzione di innovazione in questi settori avanzati-, come mercati per i prodotti e le innovazioni create177, attirano una quantità notevole di lavoratori altamente qualificati -i cosiddetti lavoratori della conoscenza-, con una richiesta di reddito medio alta e conseguenti elevate prospettive di carriera.

Questa presenza contribuisce a fare lievitare la domanda di servizi a bassa qualificazione, dando vita alla polarizzazione ai due estremi della gerarchia delle professioni e alla moltipli- cazione delle opportunità occupazionali per gli immigrati terzomondiali che vi influiscono in gran numero, attratti anche dall’immagine che tali luoghi si sono costruiti attraverso le poli- tiche di marketing urbano178.

177 S. Paone, Città in frantumi: sicurezza, emergenza e produzione dello spazio. F. Angeli, Milano, 2008, p. 20 178 L. Zanfrini, Sociologia delle migrazioni. cit. p. 93

62 Il concetto di città globali è stato introdotto dalla studiosa Saskia Sassen (nel 1988), e sotto- linea come l’immigrazione sia essenzialmente un fenomeno urbano riguardante, in partico- lare, i grandi centri urbani del mondo sviluppato. All’interno di tali città, oltre alla presenza di un’economia caratterizzata da lavoratori specializzati, è presente una nuova economia metro-

politana che provoca l’esplosione dell’offerta di lavoro non remunerato. Come afferma la stu-

diosa, la crescita dinamica di questo settore gioca un ruolo decisivo nell’espansione di un settore economico informale suscettibile di essere occupato da lavoratori stranieri non qua- lificati179.

“Le città globali sono così diventante luoghi in cui un numero consistente di donne e immi- grati a basso reddito vengono assorbiti in settori economici strategici. Alcuni vi giungono direttamente, con mansioni impiegatizie e di servizio a basso livello retribuito, come custodi e riparatori. Per altri il processo è meno diretto e passa attraverso i modelli di consumo di professionisti ad altro reddito, che danno lavoro a domestiche e bambinaie e frequentano ristoranti e negozi di lusso in cui lavora personale con basse retribuzioni. Tradizionalmente l’impiego in settori di punta dava più potere ai lavoratori; il nuovo modello mette in forse questo nesso, producendo una classe di lavoratori isolati, dispersi e di fatto invisibili”180. Prende corpo, così, una nuova geografia della centralità e della marginalità: da un lato, i lavo- ratori più qualificati dei settori di punta, in grado di vendersi al migliore offerente su un mercato sempre più ampio e che vedono i propri redditi raggiungere i livelli inusitati; dall’al- tro i ceti medio-bassi alle prese coi forti rincari del costo della vita; al fondo della gerarchia sociale le categorie più vulnerabili che tuttavia, spesso, in maniera invisibile, svolgono un ruolo cruciale per il funzionamento dell’economia e della società181.

Con i modelli economici della migrazione si dava per scontato che il fenomeno migratorio si coniugasse esclusivamente al maschile. Gli studi si incentrarono unicamente sulla figura del lavoratore immigrato e della famiglia; proponendo teorie generali e modelli in cui le donne erano escluse, e dove i migranti e le migranti appaiono come delle entità asessuate (questi erano i casi non soltanto in cui gli uomini erano effettivamente i più numerosi tra i migranti, ma anche nelle migrazioni dove le donne erano spesso più numerose degli uomini).

179 V. Piché, Les théories migratories contemporaines au prisme des textes fondatuers, Population 2013/1, Vol. 68, (pp.

153-178), p. 159

180 S. Paone, Città in frantumi. cit. p. 21

63 Nel 1984 il numero speciale dell’International Migration Review sulle migrazioni femminili, di- retto da Mirjana Morokvasic182, ricorda come la migrazione sia anche un fenomeno al fem- minile. Il contributo di Morokvasic si concentra sulla diversità dei destini delle donne mi- granti in tutto il mondo, illustrando i molti casi di sfruttamento di questa mano d’opera e sottolineando come la migrazione femminile può essere positiva (in termini di emancipa- zione, autonomia finanziaria) ma può anche rinforzare le disuguaglianze di genere183. La femminilizzazione delle migrazioni184 è un processo lento e poco lineare. Infatti, si è cominciato a parlare di questo fenomeno negli anni Settanta (in Francia, Germania, Svizzera ed in altri paesi dell’Europa occidentale) attraverso un filone di studi impegnato ad analizzare il ruolo delle donne migranti all’interno della famiglia e nelle relazioni con le strutture di welfare, e solo più tardi il loro ruolo nella sfera produttiva.

Per quanto riguarda le origini dell’invisibilità delle donne immigrate, Morokvasic sottolinea la necessità di distinguere nella migrazione, da una parte, la presenza delle donne immigrate rispetto agli uomini e, dall’altra, le rappresentazioni. Infatti, il rapporto numerico uomo/donna varia sensibilmente da una nazione ad un’altra. Riferendosi alle migrazioni in Francia, la studiosa evidenzia come inizialmente la migrazione algerina è stata prevalente- mente maschile, lo stesso per la migrazione maliana, invece, per le altre nazionalità (spagnola, portoghese, jugoslava) le statistiche attestano che le donne sono state molto più presenti fin dagli inizi della migrazione. Malgrado questa pluralità di situazioni, si è imposta comunque una visione globale della migrazione come fenomeno esclusivamente maschile, emarginando o rendendo invisibili alcune situazioni in cui le donne erano tuttavia molto presenti, anche nel mercato del lavoro. Questa invisibilità, per la studiosa, è dovuta anche e probabilmente al fatto che le analisi sociologiche più approfondite dell’emigrazione/immigrazione riguarda- vano le migrazioni algerine, soprattutto il fondamentale lavoro di A. Sayad ha tanto influen- zato la sociologia dell’immigrazione in Francia. Infatti, per Sayad l’emigrato/immigrato è, in un primo momento o “età”185, il contadino di una società impoverita che cerca di sopravvi- vere grazie all’emigrazione, e che, in un secondo momento, si separa da questa società per realizzare le sue proprie ispirazioni. Questo immigrato è un lavoratore, un uomo solo che ha

182 V. Piché, Les théories migratories contemporaines au prisme des textes fondatuers. cit. p. 159 183 Ibid. p. 160

184 M. Morokvasic, Femme et genre dans l’étude des migrations: un regard retrospectif. Les Cahiers du CEDREF, 16/2008

(pp. 33-56), p. 33

185 A. Sayad, La doppia assenza. Dalle illusioni dell’emigrato alle sofferenze dell’immigrato. R. Cortina, Milano, 2002, p.

64 lasciato, al paese d’origine, la sua famiglia. Le donne, invece, sono considerate soltanto in quanto membro della famiglia, e quindi una persona a carico.

Le forme delle migrazioni sono evolute, sempre più le donne migrano in modo indipendente e in quanto principale sostegno familiare. Se inizialmente la femminilizzazione faceva riferi- mento soprattutto al cambiamento quantitativo da parte della donna rispetto agli uomini, adesso il termine segnala anche il cambiamento qualitativo186: all’interno di molti flussi le donne tendono a essere più numerose degli uomini e, in ogni caso, svolgono il ruolo di pio- niere della migrazione e non quello di accompagnatrici del capofamiglia (uomo), sostengono i progetti migratori del gruppo domestico rimasto in patria.

Ma l’aspetto che ha maggiormente catalizzato l’attenzione degli studiosi e delle studiose è stato quello dei processi discriminatori di cui le donne migranti sono vittime. Le donne mi- granti sono discriminate in quanto donne e in quanto immigrate, e a ciò si aggiunge anche la classe di appartenenza. Tutto questo si ripercuote automaticamente nel mercato del lavoro, dove «le prestazioni che la società ricevente richiede a queste donne derivano semplicemente dalla loro identità femminile “tradizionale”, che si presume le predisponga positivamente a prendersi cura della casa e di persone che si trovano in una condizione di debolezza. Tutto ciò che sanno o sanno fare in più delle normali incombenze “femminili” non ha semplice- mente rilevanza, non è richiesto e neppure tenuto in considerazione187».

La migrazione e le occupazioni che a noi appaiono dequalificate, per molte donne risultano essere una sorta di veicolo di emancipazione188. Infatti, alcuni studi antropologici hanno dimo- strato come l’immagine della donna migrante oppressa, sfruttata, perdente perché incapace di uscire dai vincoli familiari culturali del paese d’origine e poiché legate a una condizione sociale emarginante nel paese ospite, viene a volte superata dall’idea che esse dimostrano di essere autonome e di possedere un’entità che non è quella del loro passato, ma anche quella ricercata e voluta dalle donne occidentali.

Oggi, la migrante è percepita prima di tutto come madre di famiglia ed è a lei che si attribuisce il costo sociale della migrazione, della mobilità, della separazione, soprattutto allorquando le ricerche si focalizzano sulla maternità transnazionale189.

186 M. Morokvasic, Femme et genre dans l’étude des migrations. cit. p. 42 187 M. Ambrosini, Sociologia delle migrazioni, cit. pp. 141-142 188 Ibid. p. 144

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