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La teoria del sistema mondo e la teoria della dipendenza

Capitolo Secondo LE TEORIE MIGRATORIE

2.1 L’avvio delle migrazioni internazionali L’ approccio economico neoclassico

2.1.4 La teoria del sistema mondo e la teoria della dipendenza

Alcuni sociologi teorici hanno collegato l’origine dei flussi non alla biforcazione del mercato del lavoro tra specifiche economie nazionali ma alla struttura globale del mercato che si è andato sviluppando e diffondendo dal XVI secolo. La teoria del sistema mondo190, meglio cono- sciuta come World System Theory, più che una vera e propria teoria, è un framework sviluppa- tosi intorno al lavoro di Immanuel Wallerstein agli inizi degli anni Settanta. L’autore sostiene l’esistenza di un unico mondo, regolato da una complessa serie di relazioni economiche, nelle quali la dicotomia capitale-lavoro e l’accumulazione di un capitale sempre maggiore spiegano gli attriti esistenti191.

Per Wallerstein, il sistema economico mondiale si caratterizza come un assetto produttivo omogeno, organizzato e basato sulla divisione internazionale del lavoro. Questo si differenzia al proprio interno in tre aree192:

• un nucleo centrale: in cui sono comprese le società capitalistiche avanzate,

• una semiperiferia: di cui fanno parte i paesi situati a un livello intermedio di sviluppo, • una periferia: in cui si collocano i paesi arretrati.

Le asimmetrie esistenti tra i paesi centrali e periferici si spiegano in base al maggiore pro- gresso tecnologico ed economico raggiunto dai primi e l’esistenza di una logica di scambio economico fra i due poli che favorisce i paesi centrali. Basandosi sul pensiero di Wallerstein, la teoria del sistema mondo collega le determinanti della migrazione al cambiamento struttu- rale nei mercati mondiali e considera la migrazione in funzione della globalizzazione, l'au- mentata interdipendenza delle economie e l’emergere di nuove forme di produzione. Spinti dal desiderio di maggiori profitti e di una maggiore ricchezza, i proprietari e i dirigenti delle imprese capitaliste entrano nei paesi poveri alla periferia dell'economia mondiale alla ricerca di terra, materie prime, manodopera e nuovi mercati di consumo. In passato, questa pene- trazione del mercato era assistita da regimi coloniali che amministravano le regioni povere a

190 D. S. Massey et al, Theories of International Migration. cit. pp. 444

191 M. A. Toscano, Introduzione alla sociologia, Franco Angeli, Milano, 2006, p. 288 192 Ibid. p. 288

66 vantaggio degli interessi economici nelle società colonizzatrici. Oggi è reso possibile dai go- verni neocoloniali e dalle multinazionali che perpetuano il potere delle élite nazionali che partecipano all'economia mondiale come capitalisti, oppure offrono le risorse della loro na- zione in termini accettabili a società globali.

Secondo tale teoria, le migrazioni costituiscono la naturale conseguenza dei disgregamenti e delle dislocazioni, entrambi provocati dal processo di sviluppo capitalistico che, in parallelo, produce una serie di fattori attrattivi verso i paesi sviluppati193:

• sviluppo delle vie di comunicazione tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo con conseguente abbassamento dei costi,

• legami ideologici e culturali mediati tramite i mezzi di comunicazione di massa e di pubblicità, con conseguente assunzione di questi modelli da parte delle popolazioni dei paesi in via di sviluppo,

• città globali con concentrazione dei servizi finanziari, amministrativi e professionali con la conseguente biforcazione del mercato del lavoro.

Inoltre, la migrazione internazionale segue l’organizzazione politica ed economica di un mer- cato globale in espansione, una visione che produce sei ipotesi distinte194:

1. La migrazione internazionale è una conseguenza naturale della formazione del mer- cato capitalista nei paesi in via di sviluppo; la penetrazione dell'economia globale nelle regioni periferiche è il catalizzatore del movimento internazionale.

2. Il flusso internazionale di lavoro segue il flusso internazionale di beni e capitali, ma nella direzione opposta. Gli investimenti capitalistici fomentano cambiamenti che creano una popolazione sradicata e mobile nei paesi periferici, forgiando allo stesso tempo forti legami materiali e culturali con i paesi centrali, portando al movimento transnazionale.

3. La migrazione internazionale è più probabile che si verifichi tra i poteri coloniali pas- sati e le loro prime colonie, questo perché i legami culturali, linguistici, amministrativi, di investimento, di trasporto e di comunicazione sono stati stabiliti presto e sono stati

193 Ibid. pp. 446-447 194 Ibid. p. 447-448

67 autorizzati a svilupparsi senza concorrenza esterna durante l'era coloniale, portando alla formazione di specifici mercati e sistemi culturali transnazionali.

4. Poiché la migrazione internazionale deriva dalla globalizzazione dell'economia di mercato, il modo in cui i governi influenzano i tassi di immigrazione è la regolamen- tazione delle attività di investimento all'estero delle società e il controllo dei flussi internazionali di capitali e merci.

5. Gli interventi politici e militari da parte dei governi dei paesi capitalisti (per proteg- gere gli investimenti all'estero e sostenere i governi stranieri in sintonia con l'espan- sione del mercato globale), quando falliscono, producono movimenti di rifugiati di- retti verso particolari paesi centrali, costituendo un'altra forma di migrazione inter- nazionale.

6. In definitiva, la migrazione internazionale ha poco a che fare con i tassi salariali o i differenziali di occupazione tra paesi; deriva dalle dinamiche della creazione del mer- cato e dalla struttura dell'economia globale.

Sempre negli anni Settanta si contrappone l’analisi, assai più critica, dei teorici della dipendenza195. Gli studiosi della dipendenza elaborano alcune ipotesi teoriche partendo dall’analisi delle asimmetrie fra i paesi industrializzati del nord e i paesi del Terzo Mondo, sostenendo che le cause del sottosviluppo non devono essere ricercate nell’arretratezza delle strutture tradizio- nali economiche e sociali dei paesi del Sud, ma proprio nei rapporti di forza esistenti tra questi due paesi. Il sottosviluppo, quindi, doveva essere interpretato come una condizione storicamente creata dalle politiche capitalistiche di sfruttamento realizzate dai paesi industria- lizzati nei confronti dei paesi del Terzo Mondo, prima attraverso la colonizzazione e poi attraverso l’inserimento dei paesi del Sud nel circuito dell’economia mondiale196. Da ciò si deduce che il sistema centro-periferia predominante dei rapporti economici internazionali è ad esclusivo vantaggio delle nazioni centrali, in quanto gioca su scambi commerciali che vanno a scapito delle aree periferiche, producendo e mantenendo il sottosviluppo all’interno di queste.

Inizialmente, entrambe le teorie -la teoria del sistema mondo e la teoria della dipendenza- riguardavano in gran parte la migrazione interna, ma a partire dagli anni Settanta, mentre il ruolo dei lavoratori migranti nelle economie dei paesi nordici si faceva sempre più ovvio, la

195 L. Zanfrini, Sociologia delle migrazioni. cit. p. 95

68 teoria del sistema mondo iniziò ad analizzare la migrazione lavorativa internazionale come uno dei mezzi attraverso cui si formavano i rapporti di dominazione tra le economie capita- liste centrali e quelle meno sviluppate della periferia197.

Anche questi approcci hanno ricevuto delle critiche per quanto riguarda la loro base teorica, ovvero considerare esclusivamente gli interessi del capitale come unici fattori determinanti non è utile nello studio delle migrazioni perché bisognerebbe dare altrettanto attenzione all’intervento umano, e cioè le motivazioni e i gesti degli individui e dei gruppi coinvolti.