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3. Analisi del settore sportivo in Italia

3.1. Panoramica generale

3.1.2. Il consumatore di sport: il tifoso

Lo sport è un elemento che coinvolge pienamente la vita di sempre più persone in Italia come ci dicono i dati presentati nel paragrafo precedente. Se si pratica uno sport è fondamentalmente perché ci piace quello che stiamo facendo oltre che per i risvolti positivi in termini di salute, se si è tifosi è perché lo sport ha suscitato in noi un senso di appartenenza talmente forte da amare un campione o una squadra. Quindi i sentimenti che lo sport provoca in ogni appassionato sono molto forti e superano facilmente quel senso di trasporto che guida un consumatore verso uno specifico brand di un qualsiasi altro bene o servizio. Si può affermare dunque che il comportamento dei consumatori nei confronti dello sport è totalmente diverso dal consumer behaviour classicamente inteso. Proprio le particolarità del consumatore sportivo sono state determinante per far nascere una branca del marketing detta “marketing sportivo”. Il marketing sportivo (o sportmarketing) “è una tecnica del marketing che consiste nel pubblicizzare una marca, un

prodotto, un evento o un luogo utilizzando come media principale lo sport” (Wikipedia,

2018i). Il vantaggio del marketing sportivo è proprio quello di sfruttare la fortissima componente emozionale che coinvolge team, campioni, pubblico e media per la comunicazione pubblicitaria al fine di condizionare i comportamenti dei consumatori sportivi. Questa forte componente emotiva è il veicolo principale che porta il pubblico cui una tale pubblicità è indirizzata ad essere positivamente influenzato e ad avere un ricordo molto più vivido dello specifico prodotto o servizio (Wikipedia, 2018i).

Ma tornando a focalizzare l’attenzione sul consumatore di sport più che sul pubblico cui sono dirette pubblicità con contenuto sportivo è possibile dare un’altra definizione di marketing sportivo che trova origine in quanto scrivono Mullin e Hardy (2014): “il

marketing sportivo è differente da qualsiasi altro tipo di marketing poiché per gli esseri umani lo sport ha un significato sociologico, culturale ed emotivo profondamente diverso da qualsiasi altro tipo di prodotto o servizio” (Venturoli, 2017).

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Indipendentemente dal fatto che si operi nel marketing sportivo dal lato degli atleti, delle squadre, delle aziende o delle agenzie che usano lo sport per fare comunicazione, è fondamentale avere ben presente il modo in cui il consumatore finale si avvicina, consuma e si comporta nei confronti della pratica sportiva, dell’oggetto sportivo e del consumo sportivo in quanto tale. Per introdurre il processo di decision making e di consumer behaviour nel marketing sportivo nel modo più completo possibile si continuerà a fare riferimento al lavoro di Mullin e Hardy dal quale è stata estrapolata anche la definizione data poche righe sopra. Il fulcro del modello sviluppato dai due studiosi coincide con la triplice partizione fra “Socialization”, “Involvment” e “Commitment” relativi allo sport, ovvero, la socializzazione, la partecipazione e l’impegno che un consumatore mette nel consumo del prodotto-sport. Questi tre aspetti costituiscono il punto d’arrivo del progressivo avvicinamento tra individuo e prodotto, ovvero il risultato del processo decisionale vissuto dal consumatore. Sono due gli ordini di fattori che permettono di giungere a questo nodo centrale: quelli ambientali e quelli individuali. I fattori individuali, sono soggettivi e sono quindi legati alla percezione che l’individuo ha di sé, alle sue emozioni, al suo comportamento e alle sue percezioni. I fattori ambientali, invece, nascono da fuori l’individuo ma essendo l’individuo stesso immerso nell’ambiente vengono lentamente assorbiti e modificati dalle influenze individuali, in uno scambio quasi osmotico tra componenti individuali e ambiente esterno.

Entrando nello specifico dei fattori ambientali che influenzano il comportamento dei consumatori sportivi si devono prendere in considerazione innanzitutto tutte le persone significative per il soggetto. Soprattutto durante l’infanzia e l’adolescenza persone come il papà che guarda lo sport in televisione, il fratello che rientra dal campo di calcio e gli amici che trascinano in palestra sono determinanti nel processo di avvicinamento allo sport, è talmente naturale che è quasi difficile rendersene conto. Questa naturalezza è traducibile in termini di marketing e si riflette in maniera prepotente su alcuni key

performance indicators come ad esempio la presenza negli stadi. Le ricerche dimostrano

che il 96% delle persone (quasi la totalità dei casi) si fa accompagnare da una di queste persone significative quando decide di andare a vedere una partita. In termini economici quanto detto finora si può tradurre in una maggiore facilità della vendita di un pacchetto “famiglia” comprensivo di posti a sedere, parcheggio e cena piuttosto che di un biglietto singolo (Venturoli, 2017).

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Altro fattore consiste nel modo in cui lo sport stesso comunica con il mondo. È un modo pregno di emozioni e di intimità quello che usa lo sport per arrivare al cuore e alla mente dei tifosi riuscendo quindi ad influenzare il consumatore in maniera molto profonda. Altra componente risulta essere il complesso mondo di norme e valori propri di una cultura, il quale dà giusta misura della trasversalità, della complessità e della profondità del ragionamento che deve presupporre qualsiasi strategia legata allo sport. Eventi come i Mondiali di calcio o il Super Bowl possono essere seguiti da un ragazzino indiano, un businessman statunitense e uno studente universitario italiano, addirittura possono praticare tutti e tre lo stesso sport ma è evidente che quando si parla loro di sport lo si deve fare avendo ben presenti norme e valori di ogni specifica cultura (Venturoli, 2017). Infine, ultimi fattori ambientali impossibili da trascurare sono razza, genere e classe. Sono elementi non tanto legati alla tradizione quanto piuttosto a variabili statisticamente rilevabili quindi dato che la provenienza geografica di un individuo va inclusa in questo gruppo i fattori, si prova con un esempio a chiarire cosa si intende: non può essere demandato esclusivamente alla casualità il fatto che gli scandinavi siano eccezionali piloti di rally, che un messicano giochi a calcio piuttosto che a hockey e che i 100 metri piani siano dominati dagli atleti di colore (Venturoli, 2017).

A testimonianza del fatto che un consumatore di sport non è un consumatore come tutti gli altri sono state riportate dai giornali delle notizie di cronaca tutt’altro che positive. La cronaca racconta che alcuni tifosi italiani abbiano rifiutato alcune magliette che presentavano colori più vicini a quelli degli sponsor piuttosto che a quelli appartenenti per tradizione alla squadra. Questo è successo perché l’identità sportiva per i tifosi è basata su riti e miti quindi qualsiasi scelta da parte delle società sportive che porti ad una sorta di profanazione di questa “fede” è vissuta come una ferita. Nonostante chi pensa che nello sport è ancora possibile lucrare sulla fede dei tifosi, la realtà di oggi insegna che si devono tenere in considerazione questi sentimenti così forti o si corre il rischio di fare del tifoso un mero consumatore e di trasformare lo sport in qualcosa di impersonale e anonimo (Sancini, 2016).

A quando detto fino a questo punto sul consumatore sportivo in generale vanno aggiunte alcune informazioni specifiche per il tifoso italiano visto che da quanto appreso razza, genere, classe, norme e valori di una popolazione sono fondamentali per costruire la giusta comunicazione. Secondo il sondaggio condotto da Demos&Pi del settembre 2016 già citato a inizio capitolo, il calcio è lo sport più seguito in Italia. Ma il numero di tifosi che

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segue il calcio è in calo (demos.it, 2016). Se oggi la percentuale di italiani che si definisce tifosa di calcio è del 38%, nel 2010 era del 52% e nel 2009 del 58%. Un calo veramente drastico. Non calano invece i sentimenti e i risentimenti più accesi, infatti, di quel 38% oltre la metà è costituita da ultra-tifosi. In altre parole, il popolo dei tifosi diminuisce di numero ma cresce in intensità dei risentimenti, al punto che risulta difficile parlare di “popolo” dei tifosi mentre sarebbe più corretto parlare di molti popoli diversi tra loro che esibiscono le loro bandiere contro gli altri. A proposito di bandiere, un veloce excursus sulle squadre di calcio più tifate in Italia: al primo posto la Juventus si conferma il principale club “nazionale”, la seguono Inter e Milan a larga distanza. Seguono Napoli e Roma. Statisticamente poco significative sul piano nazionale sono Lazio e Fiorentina, le quali però presentano dei bacini di tifosi veramente molto numerosi in ambito locale intorno alla città e dentro i confini della regione dove ha sede il club (demos.it, 2016). Il numero di tifosi che man mano diminuisce e contemporaneamente la quota parte di tifosi militanti che cresce sono solo due dei motivi che probabilmente portano a stadi sempre più vuoti. Il pubblico si è spostato dallo stadio al divano di casa grazie alle pay per view o a Internet e il calcio sta diventando col passare del tempo uno spettacolo da vedere in televisione piuttosto che da vivere dal vivo. Nonostante questa nuova chiave di lettura dello spettacolo sportivo si registra un calo costante anche dell’audience delle pay per view. La causa? La credibilità del calcio, o meglio, la non-credibilità (Diamanti, 2016). Il Campionato di calcio da fuori è visto sempre di più come un mondo sempre più condizionato da scommesse, corruzione e criminalità organizzata. Anche nel post- Calciopoli, lo scandalo che ha colpito tutto il mondo del calcio nel 2006, non è stato fatto abbastanza per ripulire l’immagine di questo sport o meglio dei professionisti e delle società che il calcio dovrebbero farlo crescere a livello nazionale. E ad essere stati feriti maggiormente sono proprio i tifosi più convinti, quelli che amano veramente il bel calcio, gli stessi che lamentano l’infiltrazione della criminalità organizzata in alcuni settori ultrà (Diamanti, 2016).