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LA RELAZIONE PARTICOLAREGGIATA, TRA VECCHIA E NOVA DISCIPLINA

2.2 Analisi dell’articolo 33 Legge Fallimentare

2.2.3 Il contenuto della relazione

Gli argomenti sui quali il Curatore è tenuto a riferire all’interno della relazione particolareggiata sono opportunamente individuati dal legislatore.

In primo luogo, successivamente ad una introduzione dell’impresa, una prima parte dove il Curatore descrive i connotati dell’impresa fallita, ne presenta la storia, dove ne inquadra il relativo contesto di mercato e concorrenzialità, lo specifico settore di operatività, nonché l’eventuale articolazione della compagine sociale e degli organi sociali, il Curatore deve relazionare circa le cause e le circostanze che hanno comportato il

fallimento (art. 33 comma 1 l.f.)

Le cause che hanno comportato un preventivo stato di crisi dell’impresa, sfociato poi in una situazione di irreversibilità e quindi di insolvenza, possono essere molteplici ed avere sia carattere esogeno che carattere endogeno rispetto all’impresa.

È necessario che il Curatore valuti se il dissesto sia stato conseguenza di fattori estranei alla vita aziendale, i quali possono avere caratteristiche generali, riflettenti la situazione del paese (si pensi a casi di guerre, pandemie o grandi depressioni economiche) oppure proprietà particolari influenti sull’economia aziendale, come il crollo di un determinato mercato, la crisi di un specifico settore, nonché eventuali cause naturali che possono comportare ripercussioni sull’economia aziendale (terremoti, inondazioni, incendi), nei confronti delle quali l’organo gestorio poco può fare per evitarne le conseguenze.

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Il dissesto può inoltre essere causato da fattori endogeni all’impresa, quali naturali processi di decadenza (situazioni di crisi strutturale, finanziaria o di perdita di validità del sistema aziendale) oppure precisi comportamenti o atti compiuti dall’organo gestorio, spesso accompagnati da condotte ed ingerenze poco lecite.

La distinzione tra cause di carattere endogeno o esogeno non è così facile ad effettuarsi come lo è ad enunciarsi, anche perché gli eventi si intersecano e si condizionano a vicenda, l’esame della situazione economico – finanziaria dell’impresa permette però di accertare se lo stato di insolvenza sia determinato dal prevalere dell’une piuttosto che delle altre.124

Questa distinzione è fondamentale e consente di meglio individuare i profili di responsabilità che possono nascere in capo al fallito, amministratori, organi di controllo, soci o terzi soggetti.

Relazionare circa le circostanze del fallimento si concretizza nel dover indicare come l’impresa è giunta alla sentenza di apertura della procedura concorsuale.

È onere del Curatore indicare se il fallimento è stato dichiarato125 su istanza del Pubblico

Ministero, se l’istanza è stata proposta dal debitore stesso, oppure, come nella gran parte dei casi, se il ricorso è stato depositato dai creditori. Il fallimento può essere dichiarato, inoltre, a seguito di una procedura di messa in liquidazione o addirittura essere l’epilogo di una precedente procedura di composizione della crisi.

La richiesta che il legislatore avanza al Curatore non è affatto semplice, determinare con precisione assoluta il momento in cui il dissesto si è verificato è praticamente impossibile. In genere il dissesto non si verifica in un istante preciso e determinato ma è la

124 Pirola G., La relazione del curatore fallimentare (art. 33 l.f.), GIANCARLO MORO VISCONTI, 1974. 125 Art. 16 comma 1 R.D. n. 267 del 16 marzo 1942: “(Iniziativa per la dichiarazione di fallimento)

Il fallimento è dichiarato su ricorso del debitore, di uno o più creditori o su richiesta del pubblico ministero.”

Rispetto a tale questione si segnala la disposizione contenuta all’interno dell’art. 39, comma 2, CCII: “(Iniziativa per l’accesso alle procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza)

La domanda di apertura della liquidazione giudiziale è proposta con ricorso del debitore, degli organi delle autorità amministrative che hanno funzioni di controllo e di vigilanza sull’impresa, di uno o più creditori o del pubblico ministero”

La futura disciplina, quindi, attribuisce legittimazione attiva per la richiesta di apertura della liquidazione giudiziale anche all’organo di controllo, previsione attualmente non presente.

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risultante di un coacervo di azioni e di situazioni il cui aggravarsi porta alla crisi ed eventuale successiva insolvenza.126

Al Curatore si chiede, pertanto, procedendo a ritroso, di identificare il periodo per così dire sospetto, in cui si sono originate le difficoltà dell’azienda, l’evolversi delle vicende dell’impresa fallita nel periodo anteriore alla dichiarazione di fallimento e con esse le cause che hanno comportato il dissesto.127

È poi previsto che il Curatore relazioni sulla diligenza spiegata dal fallito

nell’esercizio dell’impresa, sulla responsabilità del fallito o di altri (art 33 comma 1 l.f.).

Tale richiesta è da integrare con i dettami contenuto nel comma 3 art. 33 l.f.: “Se si tratta

di società, la relazione deve esporre i fatti accertati e le informazioni raccolte sulla responsabilità degli amministratori e degli organi di controllo, dei soci e, eventualmente, di estranei alla società.”

Il legislatore fa riferimento alla necessità di andare ad analizzare, sia in caso di impresa individuale che nel caso di società, il comportamento assunto dalla governance dell’impresa, in relazione all’assolvimento degli obblighi e dei doveri cosiddetti “generali” che fanno loro capo, ossia il dovere di diligenza e di proseguire l’interesse sociale, previsti dalle opportune disposizioni dettate nel Codice civile.

Va però considerato128 che la diligenza è uno standard astratto di comportamento che chi

amministra deve osservare: il problema è stabilire in che modo, al verificarsi di una determinata circostanza, l’amministratore si sia comportato diligentemente. Altrettanto poco agevole è determinare l’esatto contenuto dell’obbligo di perseguire l’interesse sociale.

126 Cutillo G. e Novelli F., Manuale del curatore fallimentare, IPSOA, 1997.

127 Ghia L., Piccinini C e Severini F., I reati nelle procedure concorsuali. Gli adempimenti fiscali, UTET, 2012. 128 Monteleone M., Curatore fallimentare, IPSOA, 2017.

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Appare invece più immediato individuare le responsabilità derivanti dall’adempimento di obblighi specifici posti dalla legge e dallo statuto.

Viene quindi richiesto al Curatore di individuare quelle condotte censurabili che possono comportare una responsabilità di carattere patrimoniale ed hanno come conseguenza l’esercizio di azioni civili ai sensi dell’art. 146 l.f. nonché la possibilità di influenzare il giudizio di esdebitazione ai sensi dell’art. 142 l.f..

Molto spesso, nello svolgere le proprie attività di indagine circa le cause che hanno comportato il dissesto dell’impresa, il Curatore può giungere alla conclusione che le stesse sono riconducibili a errate condotte degli organi sociali, i quali hanno cagionato un danno all’impresa fallita.

Dato il presupposto base dettato dal combinato art. 51129 e 52130 l.f., le cui disposizioni

fanno sì che la procedura sia l’unica in grado di tutelare i creditori e garantirne i loro interessi una volta intervenuto il fallimento, laddove si siano presentati antecedenti comportamenti errati da parte dei soggetti a direzione dell’impresa, è opportuno che il Curatore abbia a disposizione strumenti tali da permettere la salvaguardia delle prerogative proprie della massa creditoria.

Tali strumenti sono stati regolati dal legislatore all’interno dell’art. 146 l.f..

Le disposizioni ivi contenute attribuiscono al Curatore la legittimità ad intraprendere azioni di responsabilità nei confronti di quei soggetti che hanno cagionato all’impresa un danno di carattere patrimoniale, su autorizzazione del Giudice Delegato, sentito il Comitato dei Creditori.

129 Art. 51 R.D. n. 267 del 16 marzo 1942: “(Divieto di azioni esecutivi e cautelari individuali)

Salvo diversa disposizione della legge, dal giorno della dichiarazione di fallimento nessuna azione individuale esecutiva o cautelare, anche per crediti maturati durante il fallimento, può essere iniziata o proseguita sui beni compresi nel fallimento”.

130 Art. 51 R.D. n. 267 del 16 marzo 1942: “(Concorso dei creditori)

Il fallimento apre il concorso dei creditori sul patrimonio del fallito.

Ogni credito, anche se munito di diritto di prelazione o trattato ai sensi dell'articolo 111, primo comma, n. 1), nonché ogni diritto reale o personale, mobiliare o immobiliare, deve essere accertato secondo le norme stabilite dal Capo V, salvo diverse disposizioni della legge.

Le disposizioni del secondo comma si applicano anche ai crediti esentati dal divieto di cui all'articolo 51”.

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Il presupposto delle azioni in oggetto è riconducibile all’insufficienza del patrimonio a disposizione della procedura per la soddisfazione dei creditori sociali, insufficienza dovuta da comportamenti tenuti dai soggetti interni all’impresa, non consoni all’esercizio del relativo incarico, che configura, in automatico, una situazione che vede lesa la garanzia patrimoniale dettata dall’art. 2740 c.c.131.

Si ammette quindi il Curatore all’esercizio delle così dette azioni di massa, azioni dirette alla reintegrazione del patrimonio della società fallita, considerato quale unica garanzia dei soci e dei creditori sociali, le quali vengono esperite nel momento in cui il patrimonio sociale risulti insufficiente per il soddisfacimento dei creditori della società (il che consente di affermare che il danno da essi subito costituisce la misura del loro interesse ad agire) e si manifesti con il decremento patrimoniale (sotto forma di danno emergente e lucro cessante) costituente il pregiudizio che la società non avrebbe subito se non vi fosse stato l’illegittimo comportamento degli organi di governance.132

L’art. 146 l.f. si limita esclusivamente ad una mera ricognizione della legittimazione all’esercizio delle azioni di responsabilità, le quali trovano riscontro e regolamentazione nelle norme contenute nel Codice civile.

Ai sensi dell’art. 146 l.f. il Curatore può esercitare, nei confronti di amministratori e liquidatori varie azioni:

- Azione di responsabilità della società per danni cagionati a seguito di inadempimento, per dolo o colpa, dei doveri imposti dalla legge o dall’atto costitutivo, nel rispetto delle disposizioni contenute negli artl.li 2392, 2393 e 2393 bis c.c. per le Spa ed art. 2476 c.c. per le Srl;

131 Art. 2470 Codice civile: “(Responsabilità patrimoniale)

Il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri.

Le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge [490, 2313; 514 c.p.c., 515 c.p.c., 545 c.p.c.; 46 l.f.]”.

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- Azione dei creditori sociali per i danni da essi subiti in funzione dell’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale (art. 2394 c.c. per le Spa).

Con riferimento a quest’ultima si sottolineano le disposizioni contenute nella sentenza n. 17121 del 21 luglio 2010 pronunciata dalla Cassazione Civile, sezione I: “In tema

di responsabilità degli amministratori di società a responsabilità limitata, la riforma societaria di cui al D. Lgs. n. 6 del 2003, che pur non prevede più il richiamo, negli artt. 2476 e 2487 c.c., agli artt. 2392, 2393 e 2394 c.c., e cioè alle norme in materia di società per azioni, non spiega alcuna rilevanza abrogativa sulla legittimazione del Curatore della società a responsabilità limitata che sia fallita, all'esercizio della predetta azione ai sensi dell'art. 146 L.F., in quanto per tale disposizione, riformulata dall'art. 130 del D. Lgs. n. 5 del 2006, tale organo è abilitato all'esercizio di qualsiasi azione di responsabilità contro amministratori, organi di controllo, direttori generali e liquidatori di società”.133

La questione è poi stata definitivamente superata con le disposizioni dell’art. 378 del Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, rubricato “Responsabilità degli

133 L’orientamento dettato dalla Suprema Corte con la sentenza n. 17121 del 21 luglio 2010 è stato confermato

dalle Sezioni Unite, sentenza n. 1641 del 23 gennaio 2017, affermando “il D. Lgs. n. 6 del 2003, ha poi disciplinato autonomamente la responsabilità degli amministratori di srl, eliminando ogni richiamo alla disciplina delle spa. Si discute pertanto se il curatore fallimentare sia ancora legittimato all'esercizio delle azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori di s.r.l. La questione deve ritenersi tuttavia superata dalla considerazione che la L. Fall., art. 146, nel suo testo originario, era destinato solo a riconoscere la legittimazione del curatore all'esercizio delle azioni di responsabilità comunque esercitabili dai soci o dai creditori nei confronti degli amministratori, indipendentemente dallo specifico riferimento agli artt. 2393 e 2394 c.c.”.

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amministratori”, il quale, al primo comma134, prevede l’introduzione espressa per la

disciplina delle Srl dell’azione di responsabilità per i creditori sociali.135

Non sono riconosciuti al Curatore fallimentare i dettami contenuti nell’art. 2395 c.c., quale azione di responsabilità realizzata dal socio o dal terzo nel caso in cui siano stati direttamente danneggiati da condotte dolose o colpose degli amministratori.

Tale azione rima esperibile, anche dopo la dichiarazione di fallimento, direttamente dal socio o dal terzo leso136 ed è cumulabile con le azioni che può intraprendere il Curatore.

Per altro verso, il curatore non è legittimato ad esperire l’azione nei confronti dell’unico socio artt. 2325 e 2462 c.c. per le obbligazioni contratte quando le azioni o le quote appartenevano ad un unico soggetto, in caso di insolvenza della società (ove sussista il presupposto degli omessi conferimenti o quello della omessa pubblicità).137

I soggetti di cui all’art. 146 l.f. posso inoltre rispondere al Curatore fallimentare per l’inosservanza dei doveri imposti da altre disposizioni del Codice civile, quali a titolo

134 Art. 378, comma 1, D. Lgs n. 14 del 12 gennaio 2019: “(Responsabilità degli amministratori)

All'articolo 2476 del codice civile, dopo il quinto comma è inserito il seguente: «Gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l'inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale. L'azione può essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti. La rinunzia all'azione da parte della società non impedisce l'esercizio dell'azione da parte dei creditori sociali. La transazione può essere impugnata dai creditori sociali soltanto con l'azione revocatoria quando ne ricorrono gli estremi.”

135 Ai sensi dell’art. 389, comma 2, D. Lgs n. 14 del 12 gennaio 2019, rubricato “Entrata in vigore”, le

disposizioni contenute all’interno dell’art. 378 sono entrate in vigore in data 16 marzo 2019.

136 Cfr. Cassazione civile, Sezione I, sentenza n. 6870 del 22 marzo 2010. 137 Studio NCTM, Fallimento e altre procedure concorsuali, IPSOA, 2017.

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esemplificativo ma non esaustivo: art. 2446 c.c.138, art. 2447 c.c.139, art. 2485 c.c.140, art.

2486 c.c.141 e dalla nuova composizione dell’art. 2086 c.c., a seguito delle modifiche

introdotte dall’art. 375 CCII.142

138 Art. 2446, comma 1 e 2, Codice civile: “(Riduzione del Capitale per Perdite)

Quando risulta che il capitale è diminuito di oltre un terzo in conseguenza di perdite, gli amministratori o il consiglio di gestione, e nel caso di loro inerzia il collegio sindacale ovvero il consiglio di sorveglianza, devono senza indugio convocare l'assemblea per gli opportuni provvedimenti. All'assemblea deve essere sottoposta una relazione sulla situazione patrimoniale della società, con le osservazioni del collegio sindacale o del comitato per il controllo sulla gestione. La relazione e le osservazioni devono restare depositate in copia nella sede della società durante gli otto giorni che precedono l'assemblea, perché i soci possano prenderne visione. Nell'assemblea gli amministratori devono dare conto dei fatti di rilievo avvenuti dopo la redazione della relazione.

Se entro l'esercizio successivo la perdita non risulta diminuita a meno di un terzo, l'assemblea ordinaria o il consiglio di sorveglianza che approva il bilancio di tale esercizio deve ridurre il capitale in proporzione delle perdite accertate. In mancanza gli amministratori e i sindaci o il consiglio di sorveglianza devono chiedere al tribunale che venga disposta la riduzione del capitale in ragione delle perdite risultanti dal bilancio. Il tribunale provvede, sentito il pubblico ministero, con decreto soggetto a reclamo, che deve essere iscritto nel registro delle imprese a cura degli amministratori”.

139 Art. 2447 Codice civile: “(Riduzione del capitale sociale al di sotto del limite legale)

Se, per la perdita di oltre un terzo del capitale, questo si riduce al disotto del minimo stabilito dall'articolo 2327, gli amministratori o il consiglio di gestione e, in caso di loro inerzia, il consiglio di sorveglianza devono senza indugio convocare l'assemblea per deliberare la riduzione del capitale ed il contemporaneo aumento del medesimo ad una cifra non inferiore al detto minimo, o la trasformazione della società.”

140Art. 2485 Codice civile: “(Obblighi degli amministratori)

Gli amministratori devono senza indugio accertare il verificarsi di una causa di scioglimento e procedere agli adempimenti previsti dal terzo comma dell'articolo 2484. Essi, in caso di ritardo od omissione, sono personalmente e solidalmente responsabili per i danni subiti dalla società, dai soci, dai creditori sociali e dai terzi.

Quando gli amministratori omettono gli adempimenti di cui al precedente comma, il tribunale, su istanza di singoli soci o amministratori ovvero dei sindaci, accerta il verificarsi della causa di scioglimento, con decreto che deve essere iscritto a norma del terzo comma dell'articolo 2484”.

141 Art. 2486 Codice civile: “(Poteri degli amministratori)

Al verificarsi di una causa di scioglimento e fino al momento della consegna di cui all'articolo 2487 bis, gli amministratori conservano il potere di gestire la società, ai soli fini della conservazione dell'integrità e del valore del patrimonio sociale.

Gli amministratori sono personalmente e solidalmente responsabili dei danni arrecati alla società, ai soci, ai creditori sociali ed ai terzi, per atti od omissioni compiuti in violazione del precedente comma.

Quando è accertata la responsabilità degli amministratori a norma del presente articolo, e salva la prova di un diverso ammontare, il danno risarcibile si presume pari alla differenza tra il patrimonio netto alla data in cui l'amministratore è cessato dalla carica o, in caso di apertura di una procedura concorsuale, alla data di apertura di tale procedura e il patrimonio netto determinato alla data in cui si è verificata una causa di scioglimento di cui all'articolo 2484, detratti i costi sostenuti e da sostenere, secondo un criterio di normalità, dopo il verificarsi della causa di scioglimento e fino al compimento della liquidazione. Se è stata aperta una procedura concorsuale e mancano le scritture contabili o se a causa dell'irregolarità delle stesse o per altre ragioni i netti patrimoniali non possono essere determinati, il danno è liquidato in misura pari alla differenza tra attivo e passivo accertati nella procedura.”

142 L’art. 375 D. Lgs n. 14 del 12 gennaio 2019 disciplina le modifiche introdotte all’art. 2086 del c.c., la cui

portata è di estrema rilevanza. Oltre a variare il titolo di rubricazione dell’articolo, da “Direzione e gerarchia nell’impresa” a “Gestione dell’impresa”, fondamentale è l’introduzione del comma 2, il quale recita: “L’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”.

Si tratta di una norma con carattere imperativo, che impone un onere a carico degli organi sociali, il quale va letto in concomitanza agli strumenti messi a disposizione dal Codice della crisi di impresa al fine ultimo di intercettare precocemente la crisi ed addivenire ad una sua anticipata composizione.

Per effetto delle disposizioni contenute dell’art. 377 D. Lgs. n. 14 del 12 gennaio 2019, l’obbligo previsto dal comma 2 art. 2086 è esteso a tutti i tipi di società.

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Nel caso in cui l’impresa sottoposta a procedura di fallimento sia munita di organo di controllo (Sindaco unico, collegio sindacale o consiglio di sorveglianza) il Curatore dovrà analizzare le attività svolte dallo stesso, verificando se tale organo ha esercitato con diligenza i doveri di vigilanza e controllo a lui imposti dalla legge.

Nell’analisi delle attività gestionali il Curatore dovrà poi individuare eventuali atti di mala

gestio posti in essere da soggetti estranei alla compagine amministrativa e di controllo

dell’impresa fallita, come direttori generali, institori o procuratori, nonché i coloro che rivestono una posizione totalmente terza rispetto alla società, come i cosiddetti amministratori di fatto quali soggetti che pur non ricoprendo alcuna carica o funzione all’interno della società abbiano tuttavia compiuto atti di gestione nei cui confronti può essere proposta azione di responsabilità.

In ordine alle condotte che potrebbero legittimare la evocazione in giudizio è necessario che il Curatore effettui anche un’analisi relativamente all’incidenza di tali azioni sui tempi della procedura concorsuale nonché un rapporto costi-benefici, necessariamente correlato alle condizioni patrimoniali dei soggetti da convenire in giudizio, al fine di valutare la convenienza a procedere.

Il legislatore ha poi previsto che il Curatore riferisca in ordine agli atti del fallito già

impugnati dai creditori, nonché quelli che egli intende impugnare (art. 33 comma 2 L.F.)

Oggetto di tale parte della relazione sarà l’esposizione degli atti di disposizione patrimoniale posti in essere dal debitore in violazione, o addirittura in frode, alle ragioni dei creditori, e delle relative iniziative giudiziali e stragiudiziali di contrasto a tali atti assunte dai creditori a tutela delle loro pretese.

Il riferimento è a tutte quelle azioni tese alla ricostruzione della garanzia patrimoniale quali l’azione revocatoria di cui all’art. 2901 c.c.143 e l’azione surrogatoria di cui all’art. 2900

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c.c.144, ma anche all’azione di simulazione di cui all’art. 1416 c.c.145 e le azioni di nullità

(come quella prevista dall’art. 2744 c.c. “Divieto del patto commissorio). Il Curatore deve poi indicare quegli atti che lui stesso intende impugnare.

Il tenore letterale del comma 2 sembra fa riferimento solo alle azioni impugnatorie, ma si ritiene146 che il Curatore sia tenuto a riferire al Giudice Delegato tutte le iniziative giudiziali

che lo stesso si propone di attuare al fine di ricostruire le garanzie patrimoniali disperse o diminuite dagli organi gestori con propri atti di disposizione.

In tali termini, oltre alle azioni sopra menzionate, il Curatore indicherà l’eventuale esistenza