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Le dichiarazioni rese al Curatore dal fallito o dal gestore dell’impresa ai sensi dell’art 49 Legge fallimentare

DELLA RELAZIONE PARTICOLAREGGIATA

4.2 Il contenuto della relazione particolareggiata quale elemento di prova nel processo penale

4.2.1 Il valore probatorio delle dichiarazioni raccolte dal Curatore

4.2.1.1 Le dichiarazioni rese al Curatore dal fallito o dal gestore dell’impresa ai sensi dell’art 49 Legge fallimentare

La questione sulla possibilità di utilizzare nel processo penale le dichiarazioni rese al Curatore dal debitore fallito, amministratore o liquidatore di società è articolata.

All’utilizzabilità delle dichiarazioni auto-indizianti potrebbero opposi due ostacoli. Da un lato, rispetto la loro recezione da parte dello stesso Curatore, senza garanzie di difesa processualpenalistica, potrebbe ostare il combinato disposto dagli art.li 63 comma 1 c.p.p. e 220 disposizioni attuative c.p.p., dall’altro, all’utilizzabilità penale delle succitate dichiarazioni, potrebbe ostare la previsione di cui all’art. 63 comma 1 ultima parte (le

precedenti dichiarazioni non possono essere utilizzare contro la persona che le ha rese) e

258 Art. 190 Codice di procedura penale: “(Diritto alla prova)

Le prove sono ammesse a richiesta di parte. Il giudice provvede senza ritardo con ordinanza escludendo le prove vietate dalla legge e quelle che manifestamente sono superflue o irrilevanti.

La legge stabilisce i casi in cui le prove sono ammesse di ufficio.

I provvedimenti sull'ammissione della prova possono essere revocati sentite le parti in contraddittorio”.

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l’art. 63 comma 2 c.p.p. (secondo il quale se la persona doveva essere sentita sin dall'inizio

in qualità di imputato o di persona sottoposta alle indagini, le sue dichiarazioni non possono essere utilizzate).260

A tal proposito se si assimila l’attività svolta dal Curatore ad attività ispettiva e di vigilanza l’art. 220 sopra menzionato dispone che la stessa deve essere compiuta con l’osservanza

delle disposizioni del codice di procedura penale, laddove emergano indizi di reato.

Le disposizioni del Codice di procedura penale all’art. 63 comma 1 c.p.p. prevedono: se in sede di interrogatorio davanti alle autorità giudiziarie o alla polizia giudiziaria il soggetto, non ancora indagato261 e non ancora imputato262, che rende dichiarazioni dalle quali

emergono indizi di reato a suo carico, deve essere informato dall’autorità procedente che a seguito di tali dichiarazioni nei confronti del soggetto potranno esser svolte indagini e lo invita alla nomina di un difensore.

Vi è poi la possibilità che il Curatore venga chiamato a testimoniare circa quanto riportato nella propria relazione particolareggiata e quindi anche sulle dichiarazioni a lui rilasciate nel rispetto dell’art. 49 l.f..

A tal proposito il Codice di procedura penale all’art. 62, rubricato “Divieti di testimonianza sulle dichiarazioni dell’imputato”, al comma 1 disciplina che “le dichiarazioni comunque

rese nel corso del procedimento dall'imputato o dalla persona sottoposta alle indagini non possono formare oggetto di testimonianza263”

260 Malagnino F., La bancarotta propria. Elementi e principi generali, KEY Editore, 2014.

261 Persona nei cui confronti vengono svolte delle indagini a seguito dell'iscrizione di un fatto a lui addebitato

nel registro delle notitia criminis. Tale qualifica permane fino a che il pubblico ministero non esercita l'azione penale o fino a che, su iniziativa del pubblico ministero, il procedimento relativo non viene archiviato dal giudice.

262 Figura disciplinata dall'art. 60 c.p.p. ed è il soggetto nei cui confronti viene esercitata l'azione penale. 263 Testimonianza: È il mezzo di prova consistente nell'assumere da terzi estranei, ossia soggetti che non sono

parti nel processo e privi di interessi in relazione all'oggetto della causa, dichiarazione relative ai fatti dedotti in giudizio dalle parti. La prova testimoniale può avere ad oggetto sia fatti di cui il terzo ha diretta conoscenza, per essere essi avvenuti in sua presenza, sia fatti di cui abbia sentito parlare da altri.

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Si tratta di un’ipotesi di divieto, il cui mancato rispetto comporta l’acquisizione di un mezzo di prova in violazione dei doveri stabili dalla legge, la quale risulterà poi inutilizzabile ai sensi dell’art. 191 c.p.p.264. Si tratta inoltre di un’ipotesi di inutilizzabilità assoluta,

rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio.

I problemi che vengono a porsi, con riferimento alle dichiarazioni che il Curatore raccoglie nel rispetto dell’art. 49 l.f. da debitore fallito, amministratori o liquidatori e la possibilità di utilizzarle all’interno del processo penale, si concretizzano nel possibile rispetto delle norme contenute all’interno dell’art. 62 e 62 c.p.p. e 220 disposizioni attuative c.p.p..

Con riferimento al divieto di testimonianza sulle dichiarazioni dell'imputato o dell'indagato, imposto dall’art. 62 c.p.p., presupposto essenziale è che queste siano state rese nel corso del procedimento penale, dunque né anteriormente né al di fuori di esso. Inevitabile è richiamare la sentenza n. 136 del 20 aprile 1995 pronunciata dalla Corte costituzionale.

Secondo la Corte l’art. 62 c.p.p. non può certo coinvolgere le dichiarazioni rese al Curatore poiché “è sicuramente da escludere … che le dichiarazioni destinate al Curatore possano

considerarsi rese nel corso del procedimento penale, non potendo certo sostenere (come

sopra visto) che la procedura fallimentare sia preordinata ad una verifica di una notitia

criminis”.

Nel processo penale la testimonianza è un mezzo di prova che, differentemente da quanto previsto per l'esame delle parti di cui agli artt. 208 ss. c.p.p., obbliga colui che la rende a dire la verità. L'imputato non può rendere testimonianza, salvo quanto previsto alla lettera c), III comma dell'art. 64 c.p.p.

(https://www.brocardi.it/dizionario/4227.html).

264 Art. 191 Codice di procedura penale: “(Prove illegittimamente acquisite)

Le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate [26, 62, 63, 103, 197, 203, 234 3, 240, 254 3, 267].

L'inutilizzabilità è rilevabile anche di ufficio in ogni stato e grado del procedimento.

2-bis Le dichiarazioni o le informazioni ottenute mediante il delitto di tortura [613 bis, 613 ter c.p.] non sono comunque utilizzabili, salvo che contro le persone accusate di tale delitto e al solo fine di provarne la responsabilità penale”.

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Oltretutto la norma fa riferimento a dichiarazioni rilasciate da un soggetto imputato o indagato e, generalmente, nel momento in cui il fallito è sottoposto ad “interrogatorio” art. 49 l.f. questo non ha ancora assunto alcuna qualifica.

In ragione di ciò le informazioni rilasciate dal fallito al Curatore non sono rese, come vuole la norma richiamata, nel corso del procedimento penale dell’imputato o dalla persona sottoposta ad indagine, ma da un soggetto che non riveste tale ruolo e comunque nel corso di un diverso procedimento, quello fallimentare, che non ha finalità di accertare reati.

Circa l’applicazione dell’art. 63 risulta necessario analizzare la nozione di autorità giudiziaria che lo stesso articolo richiama, la quale è opinione consolidata che racchiuda al proprio interno solo le figure del Giudice penale e del Pubblico Ministero, rimanendo escluso il Giudice civile e ancor più il Curatore fallimentare.265

Inoltre, l’orientamento giurisprudenziale consolidato tende a salvaguardare l’efficacia probatoria di ogni tipo di dichiarazione resa al Curatore, anche auto-indiziante, in quanto non riconosce la figura del Curatore nelle categorie di autorità giudiziaria o polizia giudiziaria e la sua attività non può farsi rientrare nella previsione di cui all’art. 220 disposizioni attuative c.p.p., che concerne attività ispettive e di vigilanza266

Nella già più volte citata sentenza n. 136/1995 la Corte costituzionale ha inoltre ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 63 c.p.p., sollevata in riferimento agli art.li 3 e 24 della Costituzione, nella parte in cui tale norma non ricomprende tra i destinatari delle dichiarazioni oltre all’autorità giudiziaria ed alla polizia

265 Corte costituzionale sentenza n. 136 del 20 aprile 1995; 266 Sull’argomento crf:

Cassazione penale, sezione V, sentenza n. 46422 del 25 settembre 2013;

Cassazione penale, sezione V, sentenza n. 33325 del 29 luglio 2016 (la quale richiama le seguenti pronunce: sezione V, n. 46422 del 25/09/2013, sezione V, n. 13285 del 18/01/2013; sezione V, n. 36593 del 18/04/2008; sezione V, n. 46795 del 04/10/2004; sezione V, n. 41134 del 15/10/2001);

Cassazione penale, sezione V, sentenza n. 41429 del 3 ottobre 2016; Cassazione penale, sezione V, sentenza n. 12338 del 30 novembre 2017; Cassazione penale, sezione V, sentenza n. 44125 del 4 ottobre 2018.

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giudiziaria anche il Curatore fallimentare, in quanto la richiesta postula l’erroneo presupposto di identità di posizione non solo fra indagato/imputato e fallito (che legittima l’inapplicabilità dell’art. 62) ma anche fra Curatore fallimentare e Autorità Giudiziaria o polizia giudiziaria, ribadendo che le dichiarazioni rese al Curatore da parte dei vari soggetti nel rispetto dell’art. 49 l.f. operano fuori dal procedimento penale.

Consegue che il Curatore, al quale il fallito riferisca fatti che possono involgere la sua responsabilità penale, non deve interrompere l’esame (con relativo invito alla nomina di un difensore e avviso che potranno essere svolte indagini nei suoi confronti) viceversa, tali dichiarazioni devono essere verbalizzate e comunque riportate nella relazione, in quanto si tratta di fatti che, a mente dell’art. 33 l.f., possono interessare ai fini delle indagini preliminari in sede penale e sono utilizzabili nel procedimento penale contro chi le ha rese.267

In conclusione, la Corte costituzionale ha confermato come le disposizioni di cui agli articoli 62 e 63 c.p.p. non siano riferibili al fallito relativamente agli atti acquisiti durante la procedura concorsuale e, più specificatamente, alle dichiarazioni destinate al Curatore, essendo quest’ultimo un soggetto che non è da qualificare neppure come ufficiale di polizia giudiziaria e non potendo certo sostenere che la procedura fallimentare sia preordinata alla verifica di una notitia criminis.268

Le dichiarazioni del debitore così assunte dal Curatore hanno piena valenza processuale.269

267 Ilari A., La relazione del Curatore fallimentare ed i suoi effetti nel processo penale.

(http://giustizia.lazio.it/appello.it/form_conv_didattico/LA%20RELAZIONE%20DEL%20CURATORE%20 FALLIMENTARE%20ED%20I%20SUOI%20EFFETTI%20NEL%20PROCESSO%20PENALE.pdf).

268 Ghia L., Piccinini C e Severini F., I reati nelle procedure concorsuali. Gli adempimenti fiscali, UTET, 2012. 269 Studio NCTM, Fallimento e altre procedure concorsuali, IPSOA, 2017.

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Sul punto, circa le regole di valutazione, è consolidato l’orientamento per cui se rese al Curatore le dichiarazioni dal gestore / amministratore dell’impresa fallita equivalgono a confessioni.

Oltre a non venire in rilievo le garanzie processuali art. 62 c.p.p., 220 disposizioni attuative c.p.p. e art. 63 c.p.p., tali dichiarazioni “documentali” non patiscono gli aggravi art. 192 comma 3 e 4 c.p.p., non sono cioè necessari riscontri esterni, essendo ricondotte allo statuto della provo documentale.270

Pare opportuno, sul tema, porre l’attenzione circa una particolare questione.

Le dichiarazioni oggetto di analisi, come rammentato precedentemente, vengono rilasciate al Curatore nell’osservanza di un obbligo a cui il fallito, gli amministratori ed i liquidatori sono sottoposti dall’art. 49 l.f., obbligo la cui violazione è sanzionata penalmente.

La ratio della norma è quella di permettere agli organi della procedura di reperire facilmente il fallito laddove occorrano chiarimenti e informazioni per la gestione della procedura, da cui si può desumere, indirettamente, una fede del legislatore nella verità delle dichiarazioni rilasciate.

In tale contesto normativo la possibilità di utilizzare come prova in un eventuale processo penale quanto detto al Curatore porta il debitore fallito, che ha commesso dei reati, a trovarsi nell’alternativa tra l’autoincriminarsi per un reato precedente e l’incriminazione conseguente al dovere di ostensione. Nelle proprie pronunce né la Corte costituzionale né i giudici di legittimità hanno dato esplicita risposta circa la presenza di un obbligo gravante in capo al fallito di presentarsi al Curatore e fornire informazioni che potrebbero portare ad una propria responsabilità penale.

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Sul punto, si può osservare271 che la soluzione più corretta, in applicazione del principio

nemo tenetur se detegere sia non già di escludere l’utilizzabilità di queste dichiarazioni a

dibattimento ma di non ritenere presente una responsabilità penale del fallito, art. 220 l.f., laddove lo stesso abbia reso non veritiere e reticenti dichiarazioni al Curatore proprio al fine di evitare di far emergere la commissione da parte sua di reati fallimentare.

D’altra parte, comunque, nessuna condanna risulta emessa per violazione dell’art. 220 l.f. per dichiarazioni non veritiere al Curatore, il tutto a dimostrazione di come negli anni non si sia mai preteso che il fallito dinanzi al Curatore confessi condotte criminose.

Inoltre, si riporta come vi sono questioni sul quale la legge ha imposto l’impossibilità per il fallito di mentire al Curatore, in quanto esistono norme che gli esigono la verità, stabilendo sanzioni penali per la trasgressione.

Parliamo innanzi tutto dell’art. 87 della legge fallimentare, il cui terzo comma dispone che in sede di redazione dell’inventario il Curatore invita il fallito a dichiarare se vi siano ulteriori attività fino a quel momento non appalesate, avvertendolo delle pene stabilite dall’articolo 220 della stessa legge, per il caso di falsa o omessa dichiarazione. Su questo aspetto, il fallito non può dunque tenere un comportamento omissivo o reticente, poiché ne conseguirebbe un’incriminazione, a titolo doloso o anche colposo.

Però nulla si impone circa la necessità di verità in sede si colloqui art. 49 l.f. anche perché quello che il fallito dichiara al Curatore, quando a lui sfavorevole, può per contro, come osservato, assumere un rilievo molto negativo e ciò sia per la mancanza di qualsiasi garanzia difensiva di tipo processual-penalistico, sia per il valore confessorio che la giurisprudenza gli attribuisce, sia, ancora, per il rilievo documentale che la stessa giurisprudenza attribuisce alla relazione del Curatore.

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Per ultimo, non è applicabile alle dichiarazioni l'art. 238, commi 2 e 2bis c.p.p.272, in

quanto quella fallimentare è una procedura finalizzata alla liquidazione dell'attivo, all'accertamento del passivo ed alla soddisfazione della massa dei creditori e non un giudizio civile in senso stretto.273