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DEL CURATORE FALLIMENTARE

3.1 I poteri di interrogatorio

È ormai prassi comunemente praticata dal Curatore quella di convocare il debitore fallito al fine di acquisire notizie circa le attività svolte durante la vita dell’impresa antecedentemente all’apertura della procedura concorsuale.

In realtà nessuna disposizione normativa, né all’interno della Legge fallimentare né all’interno del Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, impone al Curatore l’onere di convocare il debitore fallito al fine di espletare le funzioni correlate all’incarico che gli è stato attribuito.

L’unica norma da cui si può desumere abbia origine tale consuetudine, e che ne legittima l’attuazione, è contenuta nell’art. 49 l.f. secondo cui: “L’imprenditore del quale sia stato

dichiarato il fallimento, nonché gli amministratori o liquidatori di società o enti soggetti alla procedura di fallimento sono tenuti a comunicare al Curatore ogni cambiamento della propria residenza o del proprio domicilio.

90 Se occorrono informazioni o chiarimenti ai fini della gestione della procedura, i soggetti di cui al primo comma, devono presentarsi personalmente al Giudice Delegato, al Curatore o al Comitato dei creditori.

In caso di legittimo impedimento o di altro giustificato motivo il giudice può autorizzare l’imprenditore o il legale rappresentante della società o enti soggetti alla procedura di fallimento a comparire per mezzo di mandatario”.172

La ratio generale della prescrizione sopra espressa è far in modo che soggetti protagonisti della realtà dell’impresa precedentemente alla dichiarazione di fallimento, i quali possono fornire notizie di una certa utilità, siano consultabili rapidamente dagli organi della procedura.

Dalla lettura della norma è chiaro come sia lo stesso legislatore a identificare espressamente quali soggetti possono subire la convocazione da parte del Curatore fallimentare, nonché dagli altri organi della procedura.

Infatti, solo l’imprenditore del quale sia stato dichiarato il fallimento, nonché amministratori e liquidatori (in casi di società o enti) devono presentarsi al Curatore qualora convocati. A rendere tassativa tale disposizione è anche il richiamo contenuto nell’art. 146 l.f., il quale al primo comma ripropone che “gli amministratori e i liquidatori della società

sono tenuti agli obblighi imposti al fallito dall’articolo 49. Essi devono essere sentiti in tutti i casi in cui la legge richiede che sia sentito il fallito”.

172 L’art. 149 D. Lgs n. 14 del 12 gennaio 2019, rubricato “Obblighi del debitore”, è la trascrizione esatta delle

disposizioni dettate dall’art. 49 l.f..

Quanto analizzato in materia di Legge fallimentare ha valore anche ai fini delle disposizioni contenute nel Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza.

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Si osserva che nonostante i richiami all’art. 49 contenuti negli art.li 220173, 226174 e 227175

l.f. (in materia di sanzioni penali) rimangono esclusi dal dovere di presentarsi al Curatore, qualora a loro richiesto, il direttore generale e l’institore.

Il tenore della norma art. 49 è impositivo, ragione per cui il Curatore che decide di convocare un socio di società a responsabilità limitata, il direttore generale piuttosto che l’organo di controllo della società debitrice dichiarata fallita, commette un atto illegittimo. L’illegittimità si fonda sul fatto che il Curatore non è investito dei poteri di indagine propri della polizia giudiziaria, quindi mentre il debitore, gli amministratori ed i liquidatori hanno dei doveri verso l’amministrazione fallimentare, imposti espressamente dalla legge ai sensi dell’art. 49, la stessa cosa non può dirsi per i soggetti diversi da questi.

Differente è, invece, la legittimità a convocare i soci di società con responsabilità illimitata. Laddove siamo in presenza di una sentenza che dichiara il fallimento di una società di persone (Snc, Sas e Sapa), nel rispetto delle disposizioni contenute nell’art. 147 l.f.176, la

173 Art. 220 R. D. n. 267 del 16 marzo 1942: “(Denuncia di crediti inesistenti e altre inosservanze da parte del

fallito)

È punito con la reclusione da sei a diciotto mesi il fallito, il quale, fuori dei casi preveduti all'art. 216, nell'elenco nominativo dei suoi creditori denuncia creditori inesistenti od omette di dichiarare l'esistenza di altri beni da comprendere nell'inventario, ovvero non osserva gli obblighi imposti dagli articoli 16, n. 3 e 49.

Se il fatto è avvenuto per colpa, si applica la reclusione fino ad un anno.”

La composizione dello stesso non ha subito modifiche nel corso degli anni, non essendo stato oggetto delle varie riforme che nel tempo hanno avuto come protagonista il diritto dell’impresa in crisi.

Le medesime disposizioni sono contenute all’interno dell’art. 327 Codice della Crisi di Impresa e dell’Insolvenza.

174 Art. 226 R. D. n. 267 del 16 marzo 1942: “(Denuncia di crediti inesistenti)

Si applicano le pene stabilite nell'art. 220 agli amministratori, ai direttori generali e ai liquidatori di società dichiarate fallite, che hanno commesso i fatti in esso indicati.”

Le medesime disposizioni sono contenute all’interno dell’art. 332 Codice della Crisi di Impresa e dell’Insolvenza.

175 Art. 227 R.D. n. 267 del 16 marzo 1942: “(Reati dell’Institore)

All'institore dell'imprenditore, dichiarato fallito, il quale nella gestione affidatagli si è reso colpevole dei fatti preveduti negli articoli 216, 217, 218 e 220 si applicano le pene in questi stabilite”.

176 Art. 147 R.D. n. 267 del 16 marzo 1942: “(Società con soci a responsabilità illimitata)

La sentenza che dichiara il fallimento di una società appartenente ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV [2291-2324 c.c.] e VI [2452-2461 c.c.] del titolo V del libro quinto del codice civile, produce anche il fallimento dei soci, pur se non persone fisiche, illimitatamente responsabili.

Il fallimento dei soci di cui al comma primo non può essere dichiarato decorso un anno dallo scioglimento del rapporto sociale o dalla cessazione della responsabilità illimitata anche in caso di trasformazione, fusione o scissione, se sono state osservate le formalità per rendere noti ai terzi i fatti indicati. La dichiarazione di fallimento è possibile solo se l'insolvenza della società attenga, in tutto o in parte, a debiti esistenti alla data della cessazione della responsabilità illimitata.

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procedura si estende anche ai soci illimitatamente responsabili177, siano questi persone

fisiche o giuridiche, assumendo quindi la qualifica di soggetto nei confronti del quale è stato dichiarato il fallimento, con conseguente sottoposizione agli obblighi di cui all’art. 49 l.f..

Nonostante ciò è riconosciuta al Curatore la facoltà di fare semplici domande a qualsiasi soggetto egli ritenga opportuno sentire, con la libertà di tali soggetti di non essere sottoposti a nessun obbligo di legge nei confronti dell’organo fallimentare.

Invece non vi è opinione pacifica circa il diritto del Curatore di convocare chiunque abbia ricoperto cariche di governance all’interno dell’impresa fallita, oppure solo coloro in forza alla data di apertura della procedura concorsuale.

Secondo un primo parere i soggetti su cui ricade l’onere di presentarsi personalmente agli organi della procedura, ove richiesto, sono esclusivamente gli amministratori o liquidatori in carica al momento della dichiarazione di fallimento. Tale pensiero trova la sua ragione nell’interpretazione letterale dell’art. 49 l.f.. Nonostante la legge utilizzi il purale (“gli

amministratori o liquidatori”), e quindi potrebbe far intendere un’interpretazione più ampia

che si estende anche agli amministratori o liquidatori pregressi, l’obbligo di comunicare al Curatore ogni cambiamento di residenza o domicilio, imposto al primo comma art. 49, non può che far riferimento ai legali rappresentanti in carica al momento della dichiarazione di fallimento, non avendo molto valore estendere tale imposizione a soggetti precedenti,

Il tribunale, prima di dichiarare il fallimento dei soci illimitatamente responsabili, deve disporne la convocazione a norma dell'articolo 15.

Se dopo la dichiarazione di fallimento della società risulta l'esistenza di altri soci illimitatamente responsabili, il tribunale, su istanza del curatore, di un creditore, di un socio fallito, dichiara il fallimento dei medesimi.

Allo stesso modo si procede, qualora dopo la dichiarazione di fallimento di un imprenditore individuale risulti che l'impresa è riferibile ad una società di cui il fallito è socio illimitatamente responsabile.

Contro la sentenza del tribunale è ammesso reclamo a norma dell'articolo 18.

In caso di rigetto della domanda, contro il decreto del tribunale l'istante può proporre reclamo alla corte d'appello a norma dell'articolo 22”.

177 Con riferimento a tutti i casi in cui il Diritto commerciale prevede una responsabilità illimitata del socio. Ai

fini di una maggiore chiarezza si riporta l’esempio della Sas dove anche il socio accomandate (quale per definizione ha una responsabilità per le obbligazioni sociali limitata alla quota conferita) può essere soggetto a fallimento se viola il divieto di immistione, tale condotta è infatti sanzionata con l’assunzione della responsabilità illimitata e solidale verso terzi per le obbligazioni sociali.

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sicché, quando il secondo comma disciplina il dovere di comparizione ai soggetti di cui al primo, è conseguenziale il richiamo ai liquidatore o agli amministratori ultimi.

L’opinione contraria, invece, abbraccia l’idea che siano sottoposti all’osservanza dei doveri di comparizione nel rispetto dell’art. 49, anche coloro che nel passato hanno ricoperto cariche aziendali all’interno dell’impresa fallita. Questa trova la sua logica nella ratio che il legislatore ha attribuito alla disposizione in esame. L’obbligo di presentazione è connesso alla necessità di fornire informazioni o chiarimenti per la gestione della procedura, quindi, nel caso di specie del Curatore, per ottenere le informazioni necessarie per l’amministrazione del patrimonio fallimentare.

Come ormai più volte ricordato è dovere del Curatore andare a ricercare le cause e le circostanze del dissesto nonché relazionare circa eventuali responsabilità patrimoniali o penali del fallito, degli amministratori, organi di controllo, soci e altri.

A tali fini indispensabile è la ricostruzione dei fatti e delle scelte imprenditoriali che hanno caratterizzato la realtà aziendale in epoche pregresse alla dichiarazione di fallimento ed è proprio sulla base di ciò che l’opinione meno letterale attribuisce l’onere di comparizione, qualora convocati, a tutti coloro che hanno ricoperto funzioni amministrative o liquidatorie nel periodo oggetto d’esame e non solo all’ultimo amministratore o liquidatore della società.178

È riconosciuta la possibilità per il convocato di farsi assistere, in sede di comparizione innanzi agli organi della procedura, magari da un legale. È naturalmente pensiero comune che il terzo non può rispondere al posto del soggetto convocato o addirittura impedirgli di rispondere.

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Il Curatore dell’interrogatorio effettuato redige apposito verbale circa le dichiarazioni rilasciate.

La tematica oggetto dell’art. 49 l.f. ha subito una profonda trasformazione con l’evolversi della Legge fallimentare.

Promulgata inizialmente in epoca di dittatura, la norma era rubricata “obbligo di residenza del fallito” ed esprimeva la profonda sottomissione delle libertà fondamentali del debitore in seguito alla dichiarazione di fallimento.179

In modo particolare l’antica formulazione dell’art. 49 l.f.180 prevedeva due distinti doveri a

carico del debitore: presentarsi personalmente agli organi fallimentari ogni qual volta fosse convocato, con la possibilità in capo al Giudice di disporne l’accompagnamento coattivo, ed il dovere indiscusso di non allontanarsi dalla propria residenza in assenza di un preventivo permesso del Giudice Delegato.

Era quindi previsto un chiaro precetto che limitava fortemente quella libertà costituzionale di movimento riconosciuta ad ogni cittadino ai sensi dell’art. 16 della Costituzione. La questione è stata molte volte sottoposta ad analisi di incostituzionalità, sulla quale si è pronunciato più volte il Giudice delle Leggi dichiarando non fondata la questione di mancata legittimità costituzionale dell’art. 49 in riferimento all’art. 16 della Costituzione.181 La Corte Costituzionale ha ritenuto che la norma avesse funzione

179 Tribunale di Milano, 9 maggio 2019 in www.ilcaso.it

180 Ai fini di una migliore comprensione delle considerazioni inserite nel testo si riporta, di seguito, la

composizione dell’art. 49 R.D. n. 267 del 16 marzo 1942, antecedente alle modifiche introdotte con il D. Lgs. n. 5 del 9 gennaio 2005: “(Obbligo di residenza del fallito)

Il fallito non può allontanarsi dalla sua residenza senza permesso del giudice delegato, e deve presentarsi personalmente a questo, al curatore o al comitato dei creditori ogni qualvolta è chiamato, salvo che, per legittimo impedimento, il giudice lo autorizzi a comparire per mezzo di mandatario.

Il giudice può far accompagnare il fallito dalla forza pubblica, se questi non ottempera all’ordine di presentarsi”.

181 Sul tema confrontare:

Corte costituzionale, sentenza n. 20 del 16 marzo 1962; Corte costituzionale, sentenza n. 24 del 20 febbraio 1969; Corte costituzionale, sentenza n. 103 del 25 giugno 1980; Corte costituzionale, sentenza n. 69 del 25 giugno 1984.

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strumentale ai fini propri dei procedimenti concorsuali ed imponeva al fallito limitazioni analoghe a quelle previste in processi concernenti lo stato delle persone, nei quali la persona è contemporaneamente soggetto del processo e mezzo necessario perché questo possa conseguire i propri fini. La limitazione ai movimenti del fallito era quindi giustificata in funzione di un miglior risultato del procedimento concorsuale.

Altra rilevante disposizione presente nel vecchio art. 49 l.f. era data dalla possibilità attribuita al Giudice Delegato di far accompagnare il fallito dalla forza pubblica se questi non ottemperava all’ordine di presentarsi agli organi che lo avevano convocato.

Il legislatore, giustificando il superiore interesse verso le esigenze della procedura rispetto al singolo soggetto, attribuiva al Curatore (Giudice Delegato e Comitato dei Creditori) un mezzo molto invasivo al fine di farsi ascoltare.

Nell rispetto della precedente disposizione contenuta nell’art. 49 se il fallito, ricevuta opportuna convocazione, non si presentava il Curatore aveva la possibilità di richiedere ed ottenere l’accompagnamento coattivo dello stesso.

I dettami dell’ex art. 49 l.f. avevano una portata particolarmente restrittiva, la loro incisione sulla libertà del debitore dichiarato fallito era rilevante, espressione di una legge la cui idea era quella di sanzionare il soggetto su cui era gravata la dichiarazione di fallimento. L’attitudine delle direttive contenute nell’art. 49 l.f. è andata progressivamente cambiando, anche in virtù delle pronunce europee che hanno condannato l’atteggiamento eccessivamente sanzionatorio che il diritto fallimentare italiano assumeva nei confronti della persona che aveva gestito l’impresa dichiarata fallita.

Recepite le critiche all’eccessivo rigore della previsione, la riforma fallimentare del 2006 rovescia la pregressa prospettiva dell’art. 49.182

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Il D. Lgs. n. 5 del 9 gennaio 2006 ha modificato gli effetti della procedura fallimentare nei confronti del fallito, andando a variare in modo innovativo quanto contenuto nell’articolo oggetto di analisi.

In luogo alle disposizioni che richiedevano di limitare la libertà di residenza alle sole esigenze connesse alla procedura fallimentare, sono state introdotte più “duttili” previsioni, che hanno sostituito l’obbligo di residenza del fallito con quello di comunicare agli organi della procedura ogni variazione di residenza dell’imprenditore o dei legali rappresentanti delle società o enti soggetti a fallimento. Si è altresì previsto che il Giudice Delegato, in caso di legittimo impedimento o di altro giustificato motivo, possa autorizzare gli stessi soggetti a comparire dinnanzi agli organi della procedura per mezzo di un mandatario.183

Il nuovo testo184 contiene una serie di novità e l’intervento più radicale attiene al nuovo

dovere connesso alla residenza ed al domicilio del debitore fallito.

Al divieto espresso di allontanamento dalla propria residenza senza il preventivo permesso del Giudice Delegato si è sostituito un obbligo di ordine informativo, di comunicare al Curatore ogni cambiamento di residenza o domicilio.

Non si ha più una restrizione alla libertà di circolazione ma, semmai, una indiretta limitazione della privacy, peraltro scevra da ogni ottica sanzionatoria e funzionalizzata solo all’efficienza della procedura, con cui si assicura la costante reperibilità del fallito e, con essa, l’immediata disponibilità di tutte le informazioni di cui gli organi fallimentare intendono disporre.185

Il fallito può oggi liberamente muoversi dalla propria residenza, trasferire la stessa o cambiare il proprio domicilio, con il solo onere di comunicazione al Curatore.186

183 Relazione illustrativa al D. Lgs n. 5 del 9 gennaio 2006, commento art. 49.

184 L’attuale composizione dell’art. 49 L.F. è così stata costituita dall’art. 46, primo comma, del D. Lgs. n. 5

del 9 gennaio 2006, con decorrenza dal 16 gennaio 2006.

185 Ferro M., La legge fallimentare, CEDAM, 2014.

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La dottrina ha poi sostenuto che l’onere in questione va assolto con la massima tempestività e riguarda ogni tipo di variazione, per quanto minima o provvisoria.187

L’interesse sotteso alla disposizione non varia rispetto alla composizione precedente: volontà di reperire celermente il debitore, fonte di informazioni fondamentali per la gestione della procedura concorsuale.

L’attenuarsi delle disposizioni limitative ha permesso di far venir meno il dilemma sull’incostituzionalità della norma, prevedendo un obbligo meno incisivo sulla libertà del soggetto con la medesima funzione di base.

In quanto funzionale alla procedura, l’effetto personale della disposizione cessa automaticamente con la sua chiusura, nonché, in quanto strettamente personale, esso cessa anche con la morte del fallito, non essendo applicabile all’erede.188

Tra le variazioni introdotte con la riforma del 2006 si riscontra l’ampliamento della platea a cui la norma è diretta. Rispetto quanto precedentemente previsto, dove l’obbligo ricadeva solo in capo al fallito, oggi l’onere di informazione è relativo ai soggetti tassativamente elencati (imprenditore fallito, amministratori e liquidatori), le cui disposizioni sono state antecedentemente analizzate.

Il legislatore ha comunque mantenuto la sanzione penale per la mancata osservanza dell’onere di informativa, ai sensi dell’art. 220 l.f., incidendo però sulla natura del reato. Rispetto alle disposizioni precedenti la natura del reato ha, oggi, carattere omissivo in quanto si concreta nella violazione dell’obbligo di informazione imposto.

Si configura comunque un reato di pericolo individuando nella sicura reperibilità dei soggetti dettati dalla legge il bene giuridico da tutelare penalmente.

187 Ferro M., La legge fallimentare, CEDAM, 2014. 188 Ferro M., La legge fallimentare, CEDAM, 2014.

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È poi variata la ragione della convocazione da parte del Curatore e degli altri organi concorsuali. Dall’assoluto ed immotivato “ogni qual volta chiamato” alla più circoscritta causale “se occorrono informazioni o chiarimenti ai fini della gestione della procedura”. Si è venuto a configurare quindi un obbligo, il quale non poteva che persistere continuando ad avere una fondamentale importanza funzionale, con una personalità però più tenue e meno sanzionatoria nei confronti del debitore fallito e degli altri soggetti sottoposti a norma di legge.189

Si contempla inoltre la possibilità di comparire non personalmente ma tramite mandatario. Tale facoltà era in precedenza limitata al ricorrere di un legittimo impedimento, mentre ora è estesa ad ogni altro caso di giustificato motivo, facendo intendere190 che il legittimo impedimento non è che una delle possibili estrinsecazioni del

giustificato motivo.

Con ciò si manifesta un intento maggiormente permissivo, che punta alla sostanza delle informazioni piuttosto che alla forma (soggetto chiamato a renderle).

Si rileva che il mandatario deve necessariamente essere informato sui fatti e che quindi incomba al fallito mandante l’onere di rendere edotto l’incaricato di ogni circostanza utile alla conoscenza della procedura. L’eventuale inadempimento, e quindi la mancata cura di apprestare una idonea sostituzione per rendere le informazioni agli organi fallimentari, è qualificabile ai fini della concessione del beneficio della esdebitazione, sotto il profilo della violazione dei doveri di cooperazione.191

189 Ferro M., La legge fallimentare, commentario teorico-pratico (seconda edizione), CEDAM, 20011. 190 Ferro M., La legge fallimentare, CEDAM, 2007.

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Fondamentale, nell’attuale formula dell’art. 49, è la mancata previsione di quella forma di coercizione indiretta che era rappresentata, in caso di inosservanza dell’obbligo di comparizione, dall’accompagnamento a mezzo della forza pubblica.

Con le modifiche introdotte dalla riforma del 2006, è venuto meno il contenuto del comma 2 dell’ex. art. 49 l.f., quale: “Il giudice può far accompagnare il fallito dalla forza pubblica,

se questi non ottempera all’ordine di presentarsi”.

In dottrina non è pacifica la discussione sulla possibilità, ad oggi, di ricorrere all’accompagnamento coattivo quando, successivamente a regolare convocazione, il soggetto chiamato non si presenti.

L’orientamento prevalente sposa l’idea del non poter utilizzare la forza pubblica nei confronti del colui che non osserva l’invito a comparire ai sensi dell’art. 49.

Si pensa che l’accompagnamento tramite forma pubblica risulta essere una misura coercitiva piuttosto invasiva, la cui mancata espressa previsione di legge ne impedisce qualsiasi diversa interpretazione. Tale idea fa leva sulla tassatività dei casi in cui ci si può avvalere della forza pubblica e sull’impossibilità di farlo per conferire forza coercitiva a provvedimento che ne sono intrinsecamente sprovvisti.192

A titolo esemplificativo si ricorda che in materia di apposizione dei sigilli l’art. 84 l.f. al comma 2 prevede la possibilità per il Curatore di richiede l’assistenza della forza pubblica ai fini di riuscire a svolgere la propria funzione.

In ragione di ciò si può supporre che se la volontà del legislatore fosse stata quella di continuare a permettere l’utilizzo dell’accompagnamento coattivo in caso di inosservanza