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Il contesto: caratteri generali del teatro argentino dalla post dittatura a ogg

99 Marcela Bidegain, Teatro comunitario, cit., p.27.

II.4. Il contesto: caratteri generali del teatro argentino dalla post dittatura a ogg

È sempre il teatro popolare a salvare un’epoca (Peter Brook) Gli anni dell’ultima dittatura militare, dal ‘76 all’ ‘83, con le misure restrittive imposte dalla censura, hanno visto molti artisti in fuga. Altri invece sono rimasti, ed è proprio durante questo periodo di oppressione e oscurantismo ideologico, culturale e politico, che gli artisti argentini hanno concepito forse le opere più grandi. Molte sono nate a distanza di tempo, ma con il riverbero minaccioso di quegli anni. Così ce lo racconta oggi Ricardo Bartís, uno dei protagonisti della scena attuale:

Paradossalmente la dittatura ha favorito – e lo dico con orrore – un modo di produzione teatrale, perché ha bruciato tutto, ha prodotto una situazione di assoluto spaesamento. Si è creato un vuoto, bisognava sopravvivere in qualche modo. Si è abbandonata totalmente l’idea del professionismo – e lo dico con tutto il rispetto – come unica possibilità di concepire il teatro. Un settore molto

teatro libertario”. Intervista a Carlo Fos, Buenos Aires, luglio 2010 (cfr. trascrizione integrale in appendice. Traduzione mia).

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importante del mondo teatrale ha cominciato a sostenere la propria attività dove poteva: cantine, case, ovunque.

La dittatura, quindi, paradossalmente, ha posto le condizioni per l’instaurazione di un nuovo modo di fare e di produrre teatro, rompendo definitivamente con i modelli del passato.

La manifestazione artistica più imponente e interessante attiva proprio in quegli anni è il ciclo Teatro Abierto, inaugurato il 28 luglio del 1981 al Teatro del Picadero. Si tratta di un’esperienza di massa, forse più politica che teatrale, che ha visto artisti, oppositori politici, operatori della cultura resistere insieme contro l’atroce attentato a tutti i campi della vita sociale. Teatro Abierto ha costituito la prima voce collettiva che si è alzata in difesa, non soltanto della cultura nazionale, ma anche dei diritti umani e della libertà di espressione, promuovendo una concezione dell’arte come spazio di riaffermazione dei vincoli sociali.105

All’atto rivoluzionario, oggi, si aggiunge quello commemorativo: perché gli errori non si ripetano è necessario mantenere vivo il ricordo del passato. La memoria, ancora una volta, come consapevolezza del presente e proiezione verso il futuro.

Gli anni Novanta hanno tracciato all’interno del complesso orizzonte teatrale alcune linee di tendenza riconoscibili. Nella cosiddetta fase della “intertestualità postmoderna”, si distinguono il teatro della resistenza e il teatro della disintegrazione. Alla prima categoria, studiosi del teatro argentino come Jorge Dubatti e Osvaldo Pellettieri, riconducono le opere di Ricardo Bartís, a partire da Postales Argentinas (1988). Nel secondo gruppo confluiscono le poetiche di Veronese, Spregelburd, Szuchmacher, che introducono l’elemento della sorpresa, dello shock, dell’assurdo, dichiarando l’impossibilità di una comunicazione coerente. Resistenza e disintegrazione hanno come comune denominatore la rottura della narrazione lineare, il distacco dallo psicologismo realista, il rifiuto dell’opposizione vero-falso, il capovolgimento e lo sconvolgimento dei rapporti di causa-effetto.

Il teatro deve essere sempre pensato all’interno di un panorama socio- culturale più ampio, che nel caso di una grande metropoli dimostra una certa

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complessità. Ancora una volta Buenos Aires svela l’ennesimo paradosso, tutta stretta tra globalizzazione e localizzazione.

L’affermazione del neoliberismo degli anni Novanta, con una conseguente immissione del paese nel circuito planetario, ha rimesso in discussione il sistema di pensiero e di comunicazione. L’Argentina è stata catapultata all’interno di un macrosistema teatrale che l’ha relegata ai margini, scongiurando forse il pericolo dell’isolamento assoluto. Soltanto con la fine della dittatura il circuito teatrale ha ospitato i più grandi registi della scena internazionale, come Peter Brook e Bob Wilson, e la lontananza geografica rispetto al centro nevralgico europeo ha per lungo tempo fatto dell’Argentina una vera e propria periferia dell’Occidente.

Oggi il Paese, con Buenos Aires al centro, ha recuperato anche a livello teatrale una sua identità, facendo della molteplicità la sua etichetta.

Nella capitale esistono tre circuiti teatrali riconosciuti: ufficiale, commerciale, indipendente, e il teatro comunitario, pur nella sua eccezionalità, rientra all’interno dell’ultima categoria.

Al circuito ufficiale fanno riferimento i sei teatri pubblici: il Teatro Cervantes è l'unico a dipendere dal governo nazionale, gli altri cinque – Teatro de la Ribera, Teatro Presidente Alvear, Teatro Regio, Teatro San Martín, Teatro Sarmiento – sono sussidiati dal governo municipale.

I teatri commerciali sono delle microimprese finanziate da privati; si tratta dei grandi edifici di Avenida Corrientes, una Broadway latina con le sue luci e i suoi strilloni che sventolano spettacoli per i passanti. Ma Corrientes è stata anche il cuore del teatro popolare argentino alle sue origini. Per ritornare al 1930 bisognerebbe immaginare Avenida Corrientes senza grattacieli, cinema e pensiline luminose, un po’ più stretta e buia, con un uomo che si fa largo per la strada agitando un campanaccio: Leónidas Barletta invita i passanti a seguirlo, a entrare con lui nella ex-latteria che è diventata un teatro e sta ospitando il suo primo spettacolo, 20 centavos l’entrata. L’uomo è stato scrittore, giornalista, regista e drammaturgo, e il suo teatro è diventato famoso come Teatro del Pueblo, una “agrupación al servicio del arte”.

Il Teatro del Pueblo instaura una nuova modalità di fare e di concepire il teatro, che nella pratica concreta comporta cambiamenti profondi nell’ambito delle forme organizzative, della poetica e dell’ideologia di riferimento, nonché del rapporto col pubblico: il pueblo è il popolo nel suo complesso, rappresenta

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tutte le classi sociali, indistintamente106. Le porte di accesso alla cultura si aprono per accogliere chi fino a quel momento non conosceva il teatro. Vengono promossi attori e registi giovani e nuove drammaturgie, privilegiando le opere nazionali.

La figura più emblematica di drammaturgo argentino legato all’attività del gruppo è quella di Roberto Arlt, scrittore, giornalista e uomo di teatro, che con i suoi lavori segna gli anni d’oro del Teatro del Pueblo, fino al 1943 quando la compagnia si trasferisce in Av. Roque Saenz Peña 943, dove si trova tutt’oggi, passando prima per Corrientes 1530, attuale sede dell’imponente complesso del teatro Municipal San Martín.

A partire da questa prima esperienza fondativa, gli anni Quaranta e Cinquanta vedono un grande sviluppo del teatro indipendente con la nascita di nuove formazioni artistiche. Gran parte della popolazione che si oppone al governo trova nelle sale indipendenti canali privilegiati di espressione e partecipazione. Il concetto stesso di teatro indipendente va modificandosi nel corso dei decenni, sotto il profilo estetico, politico e produttivo, pur mantenendo la necessità profonda come ragione stessa del creare.

Oggi il circuito cosiddetto alternativo si è reso indipendente dal teatro commerciale e da quello ufficiale, quindi non riceve sussidi economici né dallo Stato né da privati. A partire dagli anni Novanta però gode del sostegno di due istituzioni: El Instituto nacional de teatro e Proteatro. Il primo ente è stato creato nel 1997 con l'approvazione da parte del governo argentino della Legge Nazionale del teatro.

EL INSTITUTO. A partir de la sanción de la Ley Nacional del Teatro Nº 24.800, se crea el Instituto Nacional del Teatro como organismo rector de la promoción y apoyo de la actividad teatral en todo el territorio del país. Las amplias facultades que otorga la Ley al Instituto permiten la elaboración, ejecución y seguimiento de una política teatral en todo el territorio del país, y su caracter federal hace de las provincias las principales beneficiarias de la promoción y apoyo que realiza este Instituto.

106 Per approfondire questi argomenti cfr. José Marial, El teatro independiente, Buenos

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Nel 1999 è nato, a livello municipale, Proteatro, el Instituto para la Protección y Fomento de la Actividad Teatral no oficial de la Ciudad de Buenos Aires.

¿Qué es Proteatro? El Instituto para la Protección y Fomento de la Actividad Teatral no oficial de la Ciudad de Buenos Aires (Proteatro) otorga subsidios para Salas, Grupos Teatrales Estables o Eventuales y Proyectos Especiales. Las Salas Teatrales deben estar domiciliadas en la Ciudad de Buenos Aires y haber sido registradas previamente en este Instituto, la certificación de este registro, les permite a dichas salas tramitar la exención del pago de impuestos, tasas y contribuciones en la Dirección General de Rentas. Los subsidios solicitados por las mismas podrán ser utilizados para infraestructura, equipamiento o funcionamiento

Buenos Aires, dietro le luci della ribalta, nasconde tutta una città invisibile fatta di spazi abbandonati, garage, sale di ex fabbriche, depositi dismessi, case chorizo (un tipo di abitazione tipicamente argentina, caratterizzata da un cortile laterale su cui si affacciano le stanze, collegate tra loro in fila come delle salsicce, chorizos) e living ben arredati. Questo circuito indipendente è il teatro off, con un pubblico quasi sempre colto, interessato, fidelizzato.

I tre circuiti pian piano sembrano toccarsi sempre di più. Non esiste oggi, come per gli europei sarebbe forse più facile immaginare, una separazione netta tra off e commerciale. Certo la qualità dei prodotti cambia insieme col pubblico, ma gli autori del circuito alternativo spesso e volentieri si avvicinano al teatro “on”, per questioni economiche e per mancanza di un certo snobismo culturale. Per la maggior parte degli artisti argentini “indipendenti” il denaro sembra essere l’ultimo dei problemi. Se c’è una differenza tra Argentina e Europa – sostengono Rafael Spregelburd, Ricardo Bartís, Claudio Tolcachir, tra i drammaturghi più acclamati nel vecchio continente – è proprio questa: gli argentini sembrano amare l’arte così com’è, prendono il pacchetto completo senza riserve, e continuano nonostante tutte le difficoltà a vivere di questo.

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*…+ El argentino no necesita dinero para sus produciones. Hemos aprendido a trabajar sin plata y hemos convertido la precariedad de nuestros medios en fuerza ideológica y estética (Ricardo Bartís)107.

Molti nomi, dunque, come quello di Daniel Veronese, Mauricio Kartun, Javier Daulte illuminano a intermittenza Avenida Corrientes, senza vergogna. Altri invece, come Ricardo Bartís, hanno scelto di abitare la propria isola felice, eludendo il rischio di contaminazioni.

Una irriducibilità all’uniforme caratterizza, quindi, la scena attuale argentina, che sembra rispondere al “canone della molteplicità”108, una convivenza pacifica di micro poetiche e micro estetiche differenti. Il teatrista è la figura di artista che corrisponde alla configurazione della scena attuale: è contemporaneamente attore, regista, drammaturgo, traduttore.

In cartellone oggi coesistono i più diversi registri artistici, il teatro commerciale, i cosiddetti spettacoli della globalizzazione, le opere che recuperano la tradizione popolare, i teatri indipendenti, il teatro ufficiale che alterna produzioni estere e nazionali, il teatro comunitario.

Come espressione di resistenza di fronte all’omogeneizzazione culturale, si può osservare, all’interno dell’universo teatrale, un fenomeno cosiddetto di “destotalizzazione”109, che compie una funzione culturale “disomogeneizzante” e che propone il valore della diversità. La “destotalizzazione” implica l’idea della multi-centralità, per cui non esiste più un centro riconoscibile, ma differenti centri, innumerevoli, non più rintracciabili.

Lo storico Jorge Dubatti prova, senza alcuna pretesa di esaustività, a immaginare i possibili modelli di attorialità esistenti nel panorama teatrale argentino attuale: l’attore naturalista-realista di formazione stanislavskiana, ancora molto in voga in America Latina; l’attore di tradizione popolare locale, dal circo criollo al radio teatro; l’attore clown di tradizione europea che prende a modello il lavoro di Jacques Lecoq e Etienne Decroux; l’attore dell’antropologia teatrale, che si ispira a Eugenio Barba fino ad arrivare a

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Jorge Dubatti, El nuevo teatro en la postdictadura (1983-2001). Micropética I, Buenos Aires, CCC Centro Cultural de la Cooperacion, 2002, p. 63.

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Jorge Dubatti, Teatro de grupos, compañias y otras formaciones. Micropoética II, Buenos Aires, CCC Centro Cultural de la Cooperacion, 2003, p. 9.

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Richard Schechner, allargando il concetto stesso di teatralità al parateatro e alla performance; l’attore-marionetta, erede del teatro di Craig; il narratore orale, il cantastorie del teatro epico; l’attore come delegato della comunità, l’attore non professionista, che, trovandosi dentro la comunità civile, ad essa si rivolge con gli strumenti del teatro110. Quest’ultima categoria attoriale, che fa riferimento evidentemente ai gruppi di teatro comunitario, rappresenta senza dubbio una della peculiarità del teatro argentino rispetto ai modelli preesistenti di teatro, per lo più importato dall’Europa.

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